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BLOCCO I COSCIENZA DI MALATTIA

Nel documento Psicoeducazione nel disturbo bipolare (pagine 33-45)

MATERIALI E METOD

3. La psicoeducazione secondo il modello di Colom e Vieta

3.2 Sviluppo delle session

3.2.1 BLOCCO I COSCIENZA DI MALATTIA

Il primo blocco è fondamentale perchè persegue l'obiettivo di fornire al paziente alcuni concetti chiave riguardo alla sua malattia in quanto, quasi sempre, tutta l'informazione relativa alle cause e ai sintomi del loro disturbo non è mai ovvia ed acquisita dai pazienti, dal momento che la maggior parte di essi ne ignora il carattere biologico, cronico e ricorrente. Questo blocco deve essere sempre affrontato prima degli altri poichè introduce concetti che risulteranno imprescindibili per lo sviluppo successivo del programma di gruppo, infatti, ad esempio, non ha senso effettuare un intervento di

breve durata destinato all'identificazione precoce dei sintomi, se prima non viene definito correttamente in che cosa consiste il disturbo bipolare e perchè si manifestano i suoi sintomi (Colom & Vieta, 2006).

Non pochi pazienti interpretano in maniera erronea il significato dell'entrata in un gruppo di terapia comel'inizio della loro "depsichiatrizzazione" o, in altre parole, come il primo passo per sospendere definitivamente la terapia farmacologica: è dunque fondamentale che all'inizio delle sessioni di gruppo, il terapeuta presenti entrambi i trattamenti, psicologico e farmacologico, non come opposti, bensì come complementari, e che spieghi chiaramente la necessità della terapia farmacologica, anche annotandolo su una lavagna, qualora fosse necessario, altrimenti, tra i pazienti del gruppo, potrebbe nascere una "corrente antipsichiatrica", che, se non viene adeguatamente controllata, potenzierà i comportamenti di cattiva aderenza (Colom & Vieta, 2006).

L'obiettivo di questo blocco è anche quello di rendersi conto di quale sia il modello di malattia con cui familiarizzano i pazienti per capire esattamente su quali punti è necessario insistere maggiormente, e per conoscere quali possano essere i loro pregiudizi sulla malattia, spesso guidati da sentimenti di colpa. Alcuni soggetti reagiscono alle spiegazioni con atteggiamenti di resistenza: in questi casi la migliore strategia è quella di lasciare che i membri del gruppo discutano tra loro riguardo al contenuto della sessione, piuttosto che assumersi il ruolo di avvocati difensori del modello medico (Colom & Vieta, 2006).

Sessione 1. Presentazione e regole del gruppo

Obiettivo

Esso consiste nell'entrare in contatto con il gruppo e rendere note ai partecipanti le regole esistenti al suo interno, le quali rappresentano le basi per ottenere un buon funzionamento del gruppo e per creare un ambiente favorevole che faciliti la partecipazione dei pazienti. Sebbene uno dei padri scientifici dell'intervento di gruppo, Yalom, definì apertamente il paziente bipolare come "una delle peggiori calamità che possano capitare in un gruppo"(Yalom, 1995), in verità tale tipo di paziente solitamente si adatta molto bene al gruppo psicoeducativo, soprattutto se viene raggiunto un adeguato equilibrio di omogeneità/eterogeneità tra i membri rispetto ad età, sesso, gravità di malattia ecc. Questo non deve sorprendere più di tanto in quanto i soggetti capiscono subito che possono trarre un gran beneficio da questa esperienza, poichè si rendono conto che, tanto loro quanto la malattia, verranno rapidamente accettati e compresi, e che nel programma psicoeducativo verranno affrontati aspetti di grande interesse (Colom & Vieta, 2006).

Sviluppo

 Prima di dare inizio alla sessione, è necessario preparare la stanza disponendo in cerchio varie sedie e, in maniera leggermente distanziata, tante sedie quante sono i terapeuti (Colom & Vieta, 2006).

 Salutare i pazienti con naturalezza, e, dopo aver enunciato il proprio nome e la propria professione, presentare il programma, i suoi obiettivi, la sua durata (21 sessioni di 90 minuti) e i metodi che verranno impiegati; è bene spiegare anche "che cosa non è un programma psicoeducativo", ossia che non è un intervento finalizzato all'approccio di problematiche o traumi infantili, al conseguimento del "porre sul tavolo le proprie emozioni", all'elaborazione di conflitti intrapsichici o semplicemente alla condivisione di esperienze. Generalmente il programma è presentato come “un corso in cui verrà insegnato che cos'è il disturbo bipolare ed alcune tecniche e trucchi per gestire meglio la malattia e anche per identificarla precocemente” (Colom & Vieta, 2006).

 Elencare dettagliatamente le norme de1 gruppo avvertendo anche che il non rispetto di queste potrebbe significare l'espulsione di un paziente dal programma psicoeducativo. Le regole sono le seguenti:

- Riservatezza. I pazienti non devono comunicare al di fuori del gruppo nè l'identità del resto

dei membri, nè ciò che essi raccontano durante le sessioni; al contrario, è bene chiarire che tutto quello che verrà detto dai terapeuti potrà essere commentato liberamente in pubblico (Colom & Vieta, 2006).

- Presenza. Dal momento che esiste una lista di attesa abbastanza lunga per essere inclusi nel programma psicoeducativo, parteciparvi rappresenta praticamente un privilegio; per tale motivo e per facilitare un sentimento di gruppo è obbligatoria la presenza a tutte le sessioni: chiunque salterà 5 sessioni sarà espulso dal gruppo. Qualora dovesse avere un motivo valido che spieghi la sua assenza, verrà invitato ad entrare in gruppi successivi.

- Puntualità. Essa è fondamentale per il normale svolgimento delle sessioni: non rispettare sistematicamente gli orari del gruppo significherà l'espulsione del paziente.

- Rispetto. È richiesto esplicitamente a tutti i membri di rispettare le opinioni dei propri compagni, sebbene non le condividano, e di non mancare di rispetto verso il resto del gruppo in alcuna occasione, attraverso commenti, risate o atteggiamenti di scherno. Contravvenire reiteratamente a questa regola può significare l'espulsione.

- Partecipazione. Intervenire nelle sessioni, ossia formulare e rispondere a domande, condividere esperienze con il gruppo e dare consigli agli altri compagni non è obbligatorio, ma molto consigliato al fine di trarre il massimo beneficio dal gruppo (Colom & Vieta, 2006). - Beneficio. Non è obbligatorio eseguire i compiti settimanali per iscritto, qualora vengano assegnati, ma comunque questo è un ottimo strumento per trarre beneficio dalla partecipazione al programma.

- Non esiste alcuna proibizione in merito a eventuali incontri tra i pazienti al di fuori delle sessioni.

La lettura delle regole deve essere un momento “serio”, visto che la serietà trasmette sicurezza ai pazienti riguardo al contenuto delle norme e, allo stesso tempo, fa capire ad essi il rigore con il quale sono tenuti a rispettarle (Colom & Vieta, 2006).

 Successivamente, con un tono molto più disteso, procedere con le nostre presentazioni, anche utilizzando qualche forma di gioco classicamente usato nelle dinamiche di gruppo. Di solito è utilizzato il seguente:

- In una prima rotazione si presentano sia i terapeuti, sia i pazienti. I terapeuti dicono il proprio nome, la loro occupazione e la loro disponibilità, ovvero i luoghi e le ore in cui possono essere facilmente rintracciati; i pazienti possono presentarsi dicendo il proprio nome e, se vogliono, qualche commento riguardo alla loro vita, lavoro, hobbies.

- Dopo questa rotazione, viene effettuato un altro giro di memorandum dei nomi: il primo paziente sulla destra dirà il suo nome, il secondo paziente sulla destra dovrà dire il suo nome ed il nome del primo paziente, il terzo paziente dirà il proprio nome e quello dei due pazienti che lo precedono, e così via, fino a che l'ultimo paziente della catena ricorderà i nomi di tutto il gruppo. In seguito, avrà inizio un'altra rotazione (Colom & Vieta, 2006).

 Concludere la sessione attraverso un commento positivo, soprattutto se il gioco è riuscito; alla fine, sarà dato appuntamento ai pazienti per la sessione successiva (Colom & Vieta, 2006).

Sessione 2. Che cos'è la malattia bipolare

Obiettivo

L'obiettivo è far prendere ai pazienti un primo contatto con il concetto di disturbo bipolare, smentendo le molteplici leggende che circolano al riguardo, enfatizzando il carattere biologico del disturbo e cercando di vincere lo stigma sociale: di solito, infatti, la popolazione generale ignora profondamente le origini e la natura dei disturbi psichiatrici per una mescolanza di leggende, ignoranza, cattiva informazione operata dai mezzi di comunicazione e altri vari luoghi comuni. Per molti pazienti quello che viene spiegato nel corso della sessione costituisce una grossa novità, una rivoluzione nelle loro vite e un cambiamento nel modo di intendere la propria malattia, e, di conseguenza, nel modo di intendere loro stessi come individui.

Questa seconda sessione quindi si rivela molto efficace nel combattere i sentimenti di colpa che molti soggetti si trascinano, in particolare quelli che provengono da un approccio eccessivamente psicologico o che arrivano direttamente da terapie a orientamento dinamico (Colom & Vieta, 2006). Sviluppo

 Iniziare la sessione con una fase di riscaldamento, nella quale si può semplicemente chiedere come è trascorsa la settimana, verificare la presenza di eventuali dubbi circa le regole elencate durante la sessione 1, scherzare un po' e ripetere il gioco dei nomi: in questo modo si otterrà un'atmosfera piacevole per iniziare la sessione.

 Definire il disturbo bipolare come una malattia che consiste in un'alterazione dei meccanismi regolatori del tono dell'umore: tale definizione aiuta a rimarcare la natura biologica della malattia e ad iniziare l'esposizione precisando ai pazienti che possono interrompere nel caso in cui qualche concetto non sia per loro sufficientemente chiaro e non dando nulla per scontato. È importante che questa sessione, la prima realmente informativa, sia condotta dal terapeuta principale in quanto ciò trasmette al paziente la sensazione di avere di fronte un professionista di riferimento e questo sarà di grande aiuto nel corso del programma; inoltre, poiché molti soggetti spesso si mostrano avidi di informazioni e anticipano argomenti futuri, è fondamentale non perdere di vista lo scopo della sessione in corso ed esortare tali pazienti a non affrettare i tempi. È possibile infine commentare brevemente le origini del termine “psicosi maniaco-depressiva” e spiegare perchè il suo impiego è poco adeguato rispetto al suo sinonimo “disturbo bipolare”, ovvero chiarire che spesso è oggetto di stigma sociale e inoltre non è sempre una psicosi e non si manifesta sempre con sintomi maniacali (Colom & Vieta, 2006).

 Nel corso dell'esposizione, disegnare l'immagine di un cervello sulla lavagna, su cui sarà evidenziato il sistema limbico: questo sarà molto utile affinchè i pazienti sin dall'inizio possano localizzare visivamente la causa della propria malattia. L'immagine deve essere presentata in maniera enormemente semplificata, ma nonostante ciò, risulta fondamentale per far capire ai soggetti quali non siano le cause del disturbo bipolare e demolire così alcuni miti colpevolizzanti, provenienti quasi sempre da altri paradigmi ormai obsoleti della psichiatria o della psicologia, o da credenze popolari largamente diffuse. Ovviamente, è necessario spiegare che l'immagine esposta rappresenta una semplificazione dell'eziologia della malattia, e che nel corso del programma saranno spiegati in maniera più dettagliata gli aspetti biologici del disturbo (Colom & Vieta, 2006). Al fine di rendere l'esposizione comprensibile, è bene usare sempre l'esempio del termostato, molto efficace perchè i pazienti lo ricordano senza difficoltà e possano riportarlo ai loro familiari; l'esempio consiste nel paragonare l'utilità del termostato di un'abitazione, che serve a mantenere la temperatura stabile, a regolare e a rispondere ai cambiamenti dell'ambiente circostante, con l'utilità del sistema limbico, il “termostato dello stato d'animo”, incaricato di mantenerlo stabile e regolare e di farlo rispondere adeguatamente a stimoli e cambiamenti esterni (Colom & Vieta, 2006).

 Per introdurre il concetto del decorso ricorrente è utile rappresentarlo graficamente, tracciando sulla lavagna due assi, l'asse delle ascisse, nel quale verrà rappresentato il tempo, e l'asse delle ordinate, che rappresenterà il tipo di alterazione dell'umore ("D" per episodio depressivo maggiore grave, "d" per la sintomatologia depressiva lieve-moderata, "E" per eutimia, "m" o "H" per ipomania e "M" per mania). Ciò rappresenta una tecnica, definita la tecnica del grafico vitale, che sarà utilizzata spesso nel corso del programma: per questo conviene esporla con attenzione, anche più volte se necessario, e assicurarci che tutti ne intendano il significato (Colom & Vieta, 2006).

M H eutimia d D 15 16 17 18 19 20 21 anni

Figura 1. Assi di rappresentazione del tempo e del tono dell'umore in un grafico vitale

Quando il decorso viene rappresentato graficamente, non è consigliabile disegnare i periodi eutimici utilizzando una retta perfetta, poiché è importante far capire che, tanto l'eutimia quanto il tono dell'umore di una persona non affetta, sono soggetti a degli “alti e bassi”, anche se meno pronunciati: “l'eutimia è una retta disegnata da una mano tremolante, altrimenti la vita sarebbe troppo noiosa” (Colom & Vieta, 2006).

 Un utile esercizio potrebbe essere una rotazione di opinioni, nella quale viene chiesto ai pazienti di ricordare ed elencare alcuni luoghi comuni e frasi qualificative che la società può assegnare ai disturbi psichiatrici in generale (ad esempio, "la malattia è cosa da gente debole","questo succede soltanto a chi assume droghe"): queste frasi devono essere annotate sulla lavagna e analizzate successivamente. Tale esercizio permette di affrontare il tema dello stigma sociale che grava sulla malattia, oltre ad alcune credenze intime dei pazienti riguardo al proprio disturbo: i pazienti, infatti, si sentono sollevati nell'essere messi al corrente dell'alta prevalenza dei disturbi bipolari, poichè smettono di considerarsi "bestie rare". Al fine di rinforzare ciò, è bene commentare che, sebbene le percentuali di prevalenza ufficiali della malattia oscillino tra l'1% e il 2%, gli studi più recenti offrono una prevalenza del 4% e, nel caso dello spettro bipolare, una prevalenza superiore al 10% della popolazione generale (Colom & Vieta, 2006).

Tabella 3. Dieci sporche menzogne sul disturbo bipolare 1. è un'invenzione operata dai medici

2. è una malattia del mondo occidentale 3. è una malattia di questo secolo 4. colpisce i deboli

5. è una malattia contagiosa

6. la psicoanalisi e l'omeopatia sono rimedi utili 7. è un dono divino

8. è frutto di un' autoconvinzione 9. si può controllare senza farmaci 10. è una malattia inabilitante

L' aspetto dell'ereditarietà del disturbo, introdotto per la prima volta in questa sessione, di solito preoccupa i pazienti, soprattutto quelli che hanno figli o che desiderano averne. Visto

che la sessione non è propriamente incentrata su questo aspetto, è bene dedicare ad esso solo alcuni accenni , soprattutto per non allarmare i soggetti (Colom & Vieta, 2006). Argomenti che di solito turbano sono la cronicità, la ricorrenza e il concetto di “incurabilità”: ciò obbliga ad agire con estrema prudenza, seppur con la dovuta chiarezza, nell'utilizzo di tali termini. Per quanto riguarda la cronicità, si può riportare l'esempio di altre malattie mediche croniche, che, se correttamente controllate, permettono all'individuo di mantenere una buona qualità di vita, e deve essere anche differenziato tale concetto da quello di malattia degenerativa, dal momento che molti pazienti considerano questi due termini come sinonimi. Rispetto alla ricorrenza è utile trasmettere il messaggio che, sebbene la malattia tenda a ripresentarsi periodicamente, il manifestarsi di una ricaduta dipende anche dall'atteggiamento del paziente nei confronti del disturbo (aderenza farmacologica, regolarizzazione delle ore di sonno, identificazione precoce degli episodi), cercando sempre di non creare false aspettative, dal momento che, a volte, anche un'ottima aderenza alle prescrizioni farmacologiche e una normalizzazione delle abitudini di vita possono non essere sufficienti a garantire al 100% una stabilizzazione dell'umore a lungo termine. Per il termine "incurabilità", conviene spiegare che la malattia è incurabile, nel senso che non si può far sparire, ma che può essere mantenuta in uno stato compenso - o "dormiente" - per un lungo periodo di tempo (Colom & Vieta, 2006).  Concludere la sessione con il racconto di qualche storia divertente che sdrammatizzi il

contenuto, ma che allo stesso stesso tempo sia educativa, con la quale si mira a far comprendere le origini biologiche del disturbo, ma anche quanto sia fondamentale il nostro atteggiamento nei confronti della malattia. È essenziale fare attenzione a non superare il delicato confine tra la comicità e il rispetto per il paziente, al fine di non dar luogo a spiacevoli fraintendimenti (Colom & Vieta, 2006).

Sessione 3. Fattori eziologici e scatenanti

Obiettivo

Lo scopo fondamentale di questa terza sessione è quello di far apprendere ai pazienti il carattere biologico della loro malattia e, soprattutto, farli essere in grado di distinguere tra il concetto di "causa" del disturbo, che è considerato sempre come biologico, e quello di "scatenante", che può essere biologico o ambientale. Questa distinzione svolge un ruolo chiave nel gestire il sentimento di colpa di molti pazienti in relazione alla propria malattia, e dovuto alla credenza che il disturbo bipolare rappresenti una conseguenza di qualche fattore scatenante, del quale essi si sentono responsabili, per esempio il consumo di sostanze, lo stress o la mancanza di sonno.

Sebbene la sessione venga considerata parte del blocco I (consapevolezza di malattia), in essa sono trattati anche aspetti relativi al blocco III (evitamento dell'abuso di sostanze) (Colom & vieta, 2006). Sviluppo

 Come sempre, iniziare la sessione con una conversazione informale, ridiscutendo su eventuali dubbi che possono essere sorti rispetto ai contenuti della sessione 2.

 Proseguire con l'esposizione dell'argomento del giorno, utilizzando una figura abbastanza grande, nella quale i pazienti possano vedere una rappresentazione del cervello umano, e in cui venga chiaramente messo in rilievo il sistema limbico (Colom & Vieta, 2006).

 Utilizzare la lavagna per separare chiaramente su due colonne i fattori causali dai fattori scatenanti; è possibile cominciare chiedendo ai pazienti quali potrebbero essere, secondo loro, le cause del proprio disturbo. É normale che qualche paziente riferisca come fattore causale un fattore che in realtà è uno scatenante, ad esempio "mia moglie mi ha lasciato e sono caduto in depressione": è molto vantaggioso approfittare di questi momenti per introdurre la distinzione tra i due concetti. Pur non essendo frequente, può accadere che la reazione di alcuni, nel venire a conoscenza che la propria patologia è stata ereditata, sia quella di dare la colpa ai genitori: il terapeuta deve essere pronto ad un'eventuale reazione di rabbia e spiegare che i genitori non possono decidere quali malattie erediteranno i figli (Colom & Vieta, 2006).  Proporre al gruppo una discussione su "colpa versus responsabilità", e insistere

sull'improduttività dei sentimenti di colpa e, al contrario, sull'utilità del sentimento di responsabilità. È importante chiarire che possono presentarsi episodi senza la presenza di alcun fattore scatenante e cercare di evitare che il paziente superi il delicato confine che intercorre tra l'identificare correttamente un fattore scatenante e il colpevolizzarsi a causa di esso: il terapeuta deve insegnare a responsabilizzarsi e a smettere di colpevolizzarsi. Anche se sarà illustrato il fenomeno della sensibilizzazione o kindling, per il quale la malattia tende a rendersi indipendente nel tempo da fattori ambientali scatenanti, è necessario porre la dovuta attenzione su ciò che lo stesso paziente può fare per la propria malattia. Questa forse rappresenta una delle “turbolenze” più forti durante il programma psicoeducativo: una visione eccessivamente biologista della malattia potrebbe provocare nel paziente la sensazione che non ci sia niente da fare, a parte assumere i farmaci, fino a stabilizzarlo verso un certo vittimismo o verso un atteggiamento di autogiustificazione. Non è nemmeno consigliato fornire una visione del disturbo troppo "ambientale", perchè sarebbe falsa e potrebbe condurre con una certa facilità ad una cattiva aderenza farmacologica, ad una confusione sulla diagnosi e allo sviluppo di sentimenti di colpa.

 Aprire un turno di domande e, una volta concluse, dare fine alla sessione (Colom & Vieta, 2006)

Sessione 4. Sintomi (I): mania e ipomania

Obiettivo

Lo scopo è porre il paziente di fronte a un primo contatto con la realtà rappresentata dalla comparsa di un episodio maniacale o ipomaniacale, riuniti nell'ambito della stessa sessione per le loro somiglianze dal punto di vista clinico. La sessione non pretende di insegnare ad identificare precocemente un episodio (ipo)maniacale, ma aspira solamente a far capire in che cosa consista: al fine di raggiungere tale obiettivo, è importante spiegare tutti i possibili sintomi, senza perdersi nell'affrontare i segnali di ricaduta (Colom & Vieta, 2006).

Sviluppo

 Iniziare la sessione in maniera informale e rispondere ad eventuali domande sulla sessione precedente.

 Cominciare chiedendo quanti conoscano il significato del termine "mania". I fraintendimenti derivati dai differenti significati possono generare nei pazienti una confusione maggiore di quella che molti professionisti potrebbero sospettare; di conseguenza, conviene chiarire che, sebbene mania possa significare "preoccupazione ossessiva per un tema", "capriccio", o "antipatia nei confronti di qualcuno", il significato medico di questo termine è un altro. Si può dire, ad esempio, che il paziente affetto da mania è definito dai medici "maniacale" e non "maniaco": questa distinzione può sembrare banale, ma non lo è, e per molti pazienti risulta decisiva per capire meglio o per cominciare ad accettare la diagnosi (Colom & Vieta, 2006). Un altro argomento particolarmente delicato è rappresentato dal confine che esiste tra i sintomi psicotici e alcune credenze religiose, questione che spesso è oggetto di domande da parte di molti pazienti. Le discussioni che possono derivare da tali domande sono molte, come, ad esempio, se le apparizioni mariane o altre tipologie di rappresentazione del divino in terra costituiscano realmente delle allucinazioni, o fino a che punto sono considerati eventi patologici la "comunicazione diretta" con Dio o le illuminazioni improvvise, sperimentate

Nel documento Psicoeducazione nel disturbo bipolare (pagine 33-45)