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Psicoeducazione nel disturbo bipolare

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DI PISA

FACOLTA' DI MEDICINA

Corso di Laurea in

Scienze e Tecniche di Psicologia della Salute

TESI DI LAUREA

“Psicoeducazione nel Disturbo Bipolare”

Relatore : Correlatore :

Dott. Ciapparelli Antonio Dott.ssa Aloisi Maria Stella

Candidata :

Serena Cei

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INDICE

INTRODUZIONE

1. IL DISTURBO BIPOLARE 1.1. Cenni storici 1.2. Epidemiologia 1.3. Eziopatogenesi 1.3.1. Fattori biologici 1.3.2. Fattori socio-ambientali 1.4. Caratteristiche cliniche 1.4.1. Esordio 1.4.2. Quadri clinici 1.4.3. Sottotipi clinico-diagnostici 1.4.4. Decorso 1.4.5. Prognosi 1.5. Diagnosi 1.5.1. Diagnosi secondo il DSM-V 1.5.2. Diagnosi differenziale 1.6. Trattamenti 1.6.1. Trattamento farmacologico 1.6.2. Intervento psicologico 1.6.3. Ospedalizzazione

MATERIALI E METODI

2. LA PSICOEDUCAZIONE

2.1. Note sulla storia della Psicoeducazione 2.2. La Psicoeducazione orientata al recovery 2.3. Perchè psicoeducare?

2.4. Meccanismi di azione

2.5. Integrazione della Psicoeducazione nella pratica clinica 2.6. Quando introdurre la Psicoeducazione

2.7. Aspetti formali del programma psicoeducativo

3. LA PSICOEDUCAZIONE SECONDO IL MODELLO DI COLOM E VIETA

3.1. Il programma di Psicoeducazione 3.2. Sviluppo delle sessioni

3.2.1. Blocco I. Coscienza di malattia 3.2.2. Blocco II. Aderenza farmacologica

3.2.3. Blocco III. Evitamento dell'abuso di sostanze

3.2.4. Blocco IV. Identificazione precoce dei nuovi episodi

3.2.5. Blocco V. Regolarizzazione dello stile di vita e gestione dello stress

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5. LA RICERCA SPERIMENTALE 5.1. Premessa 5.2. Obiettivi e ipotesi 5.3. Metodologia 5.3.1. Procedura 5.3.2. Strumenti

5.4. Descrizione delle caratteristiche del campione 5.4.1. Età

5.4.2. Tipo di diagnosi di disturbo bipolare 5.4.3. Durata del disturbo bipolare

RISULTATI E DISCUSSIONI

6. Presentazione dei dati e dei risultati

6.1. Suddivisione delle affermazioni sul tempo

6.2. Suddivisione di staticità e movimento tramite i verbi utilizzati 6.3. Locus of control esterno e interno

6.4. Elementi di insight 6.5. Autoefficacia 6.6. Strategie di coping 7. Discussioni

7.1. Analisi delle interviste tramite un approccio narrativo 7.2. Suddivisione delle affermazioni sul tempo

7.3. Staticità e movimento 7.4. Locus of control 7.5. Elementi di insight 7.6. Autoefficacia 7.7. Strategie di coping

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

1. DISTURBO BIPOLARE

Il disturbo bipolare, classicamente denominato “psicosi maniaco-depressiva”, è una malattia mentale grave, cronica e ricorrente e, malgrado la crescente efficacia delle risorse terapeutiche attualmente disponibili, continua a costituire una fonte importante di morbilità e mortalità, con una grave compromissione della qualità di vita di coloro che ne sono colpiti.

Tale patologia rappresenta la sesta causa di inabilità lavorativa nel mondo e comporta una considerevole spesa economica e sociale, tanto diretta – ricoveri ospedalieri e utilizzo di risorse mediche – quanto indiretta – costanti cali lavorativi e perdita di produttività (Lopez & Murray, 1998). Le conseguenze della malattia e delle continue ricadute, per l’individuo e per i suoi familiari, unite all’alto rischio di mortalità per suicidio, rendono necessario un molteplice sforzo terapeutico che vada oltre la farmacoterapia ma che, allo stesso tempo, la faciliti (Vieta et al., 1992).

1.1 Cenni storici

Le brusche variazioni dell'umore e delle emozioni sono state osservate come parte della vita umana da tempi immemorabili; i primi riferimenti alla mania e alla melanconia infatti risalgono ad Areteo di Cappadocia, nel II secolo a.C. , e nel corso dei secoli il termine mania venne utilizzato per descrivere quadri di agitazione, qualsiasi fosse la loro origine (Colom & Vieta, 2006).

I primi tentativi mirati ad evidenziare un substrato biologico nella patogenesi della mania risalgono al periodo della liberalizzazione della dissezione dei cadaveri e all'avvento del metodo anatomo-clinico; ciò nonostante, lo sviluppo concettuale dei termini mania e depressione non avvenne fino al XIX secolo, con le prime descrizioni della “folie circulaire” di Falret e della “folie à double forme” di Baillarger, quadri entrambi caratterizzati dalla successione di episodi di eccitamento, tristezza e da un intervallo libero di durata variabile (Colom & Vieta, 2006).

Colui che delimitò in maniera chiara i confini della malattia (ricorrenza e carattere ciclico), introducendo lo studio longitudinale come elemento diagnostico imprescindibile, fu Emil Kraepelin, la cui opera, “La follia maniaco-depressiva e la paranoia”, segna un prima e un dopo nella nosografia del disturbo bipolare, dal momento che in tale opera vengono tracciati i confini tra la psicosi maniaco-depressiva e la schizofrenia e viene descritto il decorso episodico della malattia, la sua ereditarietà e le sue principali forme cliniche (Colom & Vieta, 2006).

Quasi tanto importanti quanto l'opera di Kraepelin furono gli studi di Leonardh, il quale postulò la separazione tra le forme bipolari e unipolari del disturbo affettivo, a partire da differenze cliniche, evolutive e familiari. Questa suddivisione fu validata separatamente da Angst e Perris nel 1966 : i loro lavori, uniti a quelli del gruppo nord-americano cui faceva capo George Winokur, costituirono il fondamento scientifico-clinico delle prime classificazioni dei disturbi affettivi basate sull'applicazione di criteri standardizzati (Colom & Vieta, 2006).

Parallelamente all'evoluzione dei concetti nosologici, un'altra pietra miliare nella storia del disturbo bipolare è la scoperta dei sali di litio, che vennero impiegati per la prima volta sull'uomo nel 1949, anno in cui lo scienziato John Cade ne descrisse le proprietà "tranquillizzanti". Successivamente, la psichiatra Mogens Schou realizzò i primi esperimenti clinici e dimostrò l'azione antimaniacale del litio, il quale continua ad essere ancora oggi lo stabilizzante del tono dell'umore più usato nei trattamenti psicofarmacologici del disturbo bipolare (Colom & Vieta, 2006).

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Sebbene l'incidenza del disturbo bipolare nella popolazione generale sia stata stimata inferiore al 2%, le nuove stime sono vicine al 4-5% e interessano in particolare i giovani, visto che l’età media del primo episodio maniacale è intorno ai 20 anni. La malattia ha la stessa incidenza nei due sessi, ma le forme depressive prevalgono nelle donne e quelle maniacali negli uomini (Buscaglia & Ciancaglini, 2013).

Nonostante non siano ancora chiare le modalità di trasmissione genetica, tutti gli studi concordano sull'alto tasso di familiarità dei disturbi dell'umore: si valuta infatti che i familiari di primo grado abbiano un rischio di ammalarsi da 2 a 18 volte superiore a quello della popolazione generale e tale rischio sarebbe maggiore per le forme bipolari (Cassano, 2006).

In base alla caratteristiche demografiche dei pazienti bipolari sono stati identificati diversi fattori di rischio.

1. Sesso : il disturbo bipolare I e quello ciclotimico hanno pari distribuzione tra i sessi mentre il disturbo bipolare II ha una frequenza doppia tra le donne.

2. Età : la malattia ha un esordio che va dai 15 ai 50 anni, con media intorno ai 30. I disturbi ciclotimici compaiono precocemente, nell'infanzia/adolescenza o, al più, nei primi anni della vita adulta.

3. Stato civile : la patologia bipolare è la più frequente tra celibi, nubili e separati. Il fenomeno può essere attribuito alla giovane età o all'influenza negativa che la malattia, e in particolare la ricorrenza di episodi espansivi, esercita sui rapporti affettivi e sul legame di coppia. Non si può escludere inoltre anche lo stress legato alla separazione, il quale rappresenta un fattore scatenante in soggetti predisposti.

4. Classe sociale : sembra che i disturbi bipolari siano più frequenti nelle classi sociali più elevate. É stato ipotizzato che le caratteristiche temperamentali di tali soggetti o la presenza di lunghe ma lievi fasi (ipo)maniacali ne favoriscano l'ascesa sociale aumentando le loro capacità di realizzazione lavorativa; altri ritengono che lo stress connesso con l'arrivo e la permanenza in una classe sociale elevata possa scatenare in soggetti predisposti il disturbo. I multiformi aspetti della malattia comunque sono molto diffusi nella popolazione generale e non risparmiano certo le classi meno abbienti (Cassano, 2006).

1.3 Eziopatogenesi

L'origine del disturbo bipolare è stata sempre attribuita a fattori organici, in particolare ad alterazioni genetiche e biochimiche, ma esistono anche ipotesi alternative di tipo socio-ambientali (Cassano, 2006).

1.3.1 Fattori biologici

Genetica : secondo gli studi di aggregazione familiare, la malattia sarebbe più comune nell'ambito della stessa famiglia e questo quasi sempre stupisce perché spesso la malattia non si manifesta fino all'età adulta oppure non è noto nessun caso simile nella famiglia del soggetto. Affinchè determinate malattie con una componente ereditaria si manifestino, è necessario il concorso di alcuni fattori ambientali; per questo non si evidenzia traccia della patologia alla nascita (Colom & Vieta, 2006).

Neurochimica : i neurotrasmettitori sono le sostanze incaricate al trasporto dell'informazione all'interno del cervello ed esistono prove empiriche che alcuni di essi (dopamina, serotonina, noradrenalina, acetilcolina) funzionino in maniera anomala nel disturbo bipolare. Allo stesso modo, possono essere presenti anomalie nel funzionamento del sistema ormonale, soprattutto nel caso dell'ormone tiroideo (Colom & Vieta, 2004).

Ritmi biologici : un ritmo naturale da sempre correlato al decorso dei disturbi dell'umore e quindi di quello bipolare è la stagionalità; tutti gli studi indicano una frequenza massima per gli episodi depressivi in primavera ed autunno, per le condotte suicidarie in maggio e in ottobre, per la mania in estate ( Cassano, 2006).

1.3.2 Fattori socio-ambientali

Eventi di vita : nella maggior parte dei casi si tratta di eventi di perdita reali o simbolici , come un lutto, la perdita di un animale domestico, la separazione dal partner, un cambiamento di

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residenza o di lavoro. Possono esercitare lo stesso ruolo anche eventi “aspecifici”, come una banale discussione o un incidente stradale, ed eventi “positivi”, come il matrimonio, una promozione, la nascita di un figlio (Cassano, 2006).

Stress ambientali : cambiamenti aspecifici dell’organismo in risposta ad uno stimolo per far fronte alle possibili richieste generate dalla nuova situazione. All’inizio, l’iperattivazione implicata dalla risposta allo stress è efficace, perché permette di affrontare le richieste ambientali, ma, superato un certo limite, disorganizza il comportamento in quanto l’organismo non può rimanere per troppo tempo in uno stato di iperattivazione, ecco che possono insorgere problemi fisici e psichiatrici (Colom & Vieta, 2006).

È probabile che gli eventi scatenanti agiscano attraverso un meccanismo comune e aspecifico; in un soggetto biologicamente vulnerabile un eccessivo carico di tensione farebbe emergere la patologia per cui sarebbe predisposto e ne influenzerebbe l’epoca di comparsa e il decorso : si ritiene infatti che uno stato protratto di iperemotività e attivazione neurovegetativa possa scatenare un episodio depressivo, mentre le alterazioni biologiche conseguenti ad una drastica riduzione delle ore di sonno possano indurre una fase maniacale.

È stata inoltre ipotizzata una correlazione inversa tra ruolo dei fattori scatenanti e predisposizione biologica: nei pazienti con carico genetico importante sarebbero sufficienti stimoli ambientali di lieve entità per indurre gravi episodi di depressione o mania e viceversa (Cassano, 2006).

1.4 Caratteristiche cliniche

1.4.1 Esordio

Generalmente la malattia si sviluppa in forma appena percettibile durante l’adolescenza (tappa che già di per sé provoca una certa instabilità emotiva) e raggiunge il suo apice nell’età adulta manifestandosi con una fase depressiva o maniacale; in ogni caso, l’età a più elevato rischio di comparsa del primo episodio è quella al di sotto dei 50 anni.

L’insorgenza del disturbo pieno può essere preceduta, anche di anni, da una serie di segni e sintomi precursori, come cefalea, disturbi del sonno, irritabilità premestruale e oscillazioni dell’umore sotto-soglia, il cui rapporto con la patologia non è ancora definito (Cassano, 2008).

Spesso il primo episodio è preceduto da una situazione ambientale stressante e, a partire da questo momento, il disturbo tende a rendersi sempre più indipendente dagli eventi ambientali e psicologici, e i meccanismi biologici regolatori del tono dell’umore sembrano entrare in una oscillazione permanente (Colom & Vieta, 2004). Quando il primo episodio è in atto, spesso il paziente e i familiari non capiscono cosa stia succedendo : fino a poco tempo prima stavano bene, erano persone “normali”, poi hanno iniziato a dormire sempre meno, a fare troppe cose, ad avere troppo entusiasmo, a diventare irritabili se contraddetti, fino a sviluppare veri deliri di onnipotenza; oppure la persona attiva e brillante all’improvviso diventa senza energie, silenziosa, incapace di lavorare, perde la concentrazione e ogni desiderio cominciando a sentirsi una nullità (Perone et al., 2015).

1.4.2 Quadri clinici

Il disturbo bipolare comprende due quadri clinici fondamentali, episodio depressivo ed episodio (ipo)maniacale. Ciascuna di queste forme si manifesta con una serie di sintomi, variamente associati tra loro, riguardanti il tono affettivo, la psicomotricità, la sfera cognitiva e il sistema neurovegetativo (Cassano, 2008).

Fase maniacale

L’episodio maniacale ha un esordio abitualmente più rapido in confronto a quello del depressivo; in genere è preceduto, per 3-4 giorni, da sintomi prodromici quali iperattività, espansività e loquacità inusuali, spese eccessive, aumento delle energie, dell’appetito e dell’attività sessuale, riduzione del bisogno di sonno. Tuttavia, con il ripetersi degli episodi e soprattutto quando cominciano abuso di sostanze o fattori ambientali stressanti, l’esordio può anche verificarsi nel giro di poche ore.

La durata spontanea di tale fase varia da pochi giorni a 4-6 mesi e la risoluzione può essere brusca o richiedere alcuni giorni (Cassano, 2008).

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La sintomatologia fondamentale della fase maniacale del disturbo bipolare viene definita a partire da un periodo delimitato di tempo nel quale è presente un'alterazione del tono dell'umore, predominata dall'euforia, dall'espansività, ma anche dall'irritabilità, con sintomi associati che includono un' eccessiva autostima o grandiosità (che può arrivare ad assumere caratteristiche deliranti), diminuzione delle ore di sonno, logorrea, fuga delle idee, facile distraibilità, aumento delle attività ludiche o ad alto rischio che viene però sottovalutato, irrequietezza o agitazione psicomotoria (Colom & Vieta, 2006).

Al fine di operare una diagnosi differenziale rispetto all'ipomania, si ritiene che, nella mania, l'alterazione dell'umore debba possedere caratteristiche di gravità tali da provocare un netto deterioramento nelle attività socio-lavorative dell'individuo o da richiedere l'ospedalizzazione. Quando sono presenti allucinazioni o idee deliranti, i contenuti solitamente riguardano l'alterazione dell'umore, anche se non è sempre così; di fatto, sono sempre più forti le evidenze che rilevano la presenza di sintomi tradizionalmente considerati esclusivi della schizofrenia in pazienti bipolari nel corso di un episodio maniacale grave (McElroy et al., 1996). Tra i suddetti sintomi, si incontrano quelli che Schneider, nel momento in cui propose alcuni sintomi chiave per fare diagnosi di schizofrenia, definì di "primo rango": eco del pensiero, allucinazioni uditive in forma di voci commentanti, allucinazioni somatiche, deliri di controllo e/o influenzamento (Schneider, 1959). Nell' ICD-10 tali pazienti vengono classificati come schizoaffettivi: questo argomento rappresenta una delle principali cause di confusione diagnostica tra schizofrenia e psicosi maniaco-depressiva, che potrebbe riguardare circa un quarto dei pazienti bipolari (Vieta et al., 1994).

Carlson e Goodwin hanno distinto tre diversi stadi nella mania di gravità crescente e ciascuno con proprie caratteristiche sintomatologiche:

• stadio 1 : euforia, idee di grandezza, iperattività;

• stadio 2 : labilità dell’umore con frequente disforia, agitazione motoria, accelerazione del pensiero fino alla fuga delle idee, deliri di grandezza e persecuzione;

• stadio 3: umore disforico, attività motoria frenetica, allentamento dei nessi associativi, deliri bizzarri (Carlson & Goodwin, 1973).

Una caratteristica importante che accomuna ogni tipo di mania è il fatto che il paziente, durante tale episodio, non riconosce di essere malato e può di conseguenza opporre resistenza ai tentativi di essere trattato; spesso giustifica o razionalizza il proprio comportamento, modifica il modo di vestire, di truccarsi o di apparire utilizzandone uno più appariscente e seduttivo, dimentica le considerazioni etiche e non prende più in considerazione gli altri (Colom & Vieta, 2006).

Fase ipomaniacale

L'espressione clinica caratteristica degli episodi ipomaniacali consiste nel predominio di un tono dell'umore elevato, espansivo o irritabile, e di sintomi propri della mania durante un determinato periodo di tempo, ma la loro intensità non raggiunge un livello di gravità tale da provocare un marcato deterioramento sociale e lavorativo o da richiedere l'ospedalizzazione. In generale, tutta la sintomatologia tende ad essere più attenuata rispetto alla mania e non sono presenti sintomi psicotici (Colom & Vieta, 2006).

L'ipomania è una sindrome difficile da riconoscere, in particolare da un punto di vista retrospettivo, e le difficoltà diagnostiche costituiscono la causa più frequente di errori nell'identificazione del disturbo bipolare di tipo II, che viene confuso con il disturbo unipolare o con i disturbi di personalità. Il confine tra ipomania e un'esaltazione non patologica delle emozioni è, in alcuni casi, difficile da tracciare, specie in soggetti con livello culturale e intellettuale elevato. Il problema di queste ipomanie apparentemente virtuose, nelle quali il paziente sostiene di agire per recuperare il tempo perso, risiede nel fatto che esse rappresentano spesso il fattore predittivo più potente dell'imminente comparsa di un episodio depressivo (Colom & Vieta, 2006).

Da un punto di vista psicologico, l'approccio cognitivo-comportamentale si è dimostrato utile nella spiegazione del funzionamento cognitivo della depressione (Beck, 1976) e, più recentemente, nella comprensione del coinvolgimento di alcuni aspetti cognitivi come quello dell'autostima (Winters & Leale, 1985), dello stile attribuzionale, della capacità di affrontare i problemi (Lam & Wong, 1997) e

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del processo decisionale (Murphy et al, 2001), presenti nei disturbi bipolari. Il modello cognitivo si incastra perfettamente con il modello medico della malattia, senza metterlo in discussione ma piuttosto completandolo, in parte grazie alla sua grande tradizione di investigazione scientifica che ne facilita la validazione sul piano empirico (Colom & Vieta, 2006).

Il modello cognitivo della mania riconosce pienamente la sua origine organica ed evidenzia l'esistenza di pensieri distorti, similmente a ciò che avviene per la depressione. La mania è caratterizzata, però, da una triade cognitiva "positiva": visione eccessivamente ottimista di se stessi, del mondo e del futuro. I pensieri automatici maniacali sono caratterizzati da cognizioni ed interpretazioni positive che non corrispondono alla realtà; come nella depressione, si tratta di cognizioni rigide, inflessibili, non realistiche (Colom et al., 2002).

Aldilà di queste ipotesi, la cognizione riveste un ruolo chiave nell'ipomania, sia come fattore scatenante o aggravante, sia come strumento terapeutico destinato a migliorare essenzialmente tre aspetti : a) l'organizzazione del comportamento, ossia la riduzione degli stimoli, il rinvio di alcune decisioni, il ripristino della regolarità del sonno; b) l'analisi delle cognizioni ; c) il miglioramento dell'aderenza al trattamento, tradizionalmente scarsa tra i pazienti bipolari (Colom & Vieta, 2006). Attualmente, esistono prove inequivocabili sul fatto che alcuni interventi comportamentali possano indurre cambiamenti biologici: è stato dimostrato, ad esempio, il ruolo svolto dalla deprivazione di sonno nell'induzione di episodi ipomaniacali (Wher et al.,1982).

Tuttavia, allo stesso modo in cui il pensiero nichilista, fatalista e la sottovalutazione delle proprie capacità non deve essere inteso come un fattore causale della depressione, bensì come un sintomo di essa, anche il pensiero positivo caratteristico dell'ipomania deve essere considerato un sintomo, non una causa. I cambiamenti nel modo di processare le informazioni durante un episodio ipomaniacale non possiedono un valore eziologico di per sè, ma comunque bisogna ammettere che possono svolgere un ruolo fondamentale nel "nutrire" la gravità della sintomatologia, visto che generalmente le modificazioni cognitive implicano cambiamenti comportamentali, e questi sì che possono aggravare un episodio e dare inizio ad un'autentica spirale ipomaniacale autoalimentata. Ciò è la ragione per cui l'identificazione di modificazioni cognitive possiede un alto valore terapeutico a favore di un intervento precoce nelle fasi ipomaniacali, quando la spirale è meno potente (Colom & Vieta, 2006).

Descrivere isolatamente tali modificazioni non è facile, visto che si presentano intrecciate come parte di un tutto, e la loro presentazione indipendente non è frequente: alcune di esse potrebbero essere quantitative, ossia rappresentare la caratteristica propria di un individuo presente anche nei periodi asintomatici; altre potrebbero essere qualitative, ossia corrispondere a modi di pensare "nuovi" per il paziente. Per tale motivo, risulta più semplice descrivere uno stile cognitivo qualitativamente caratteristico delle fasi ipomaniacali, definito "pensiero anastrofico", in contrapposizione al “pensiero catastrofico” delle fasi depressive. Questa modalità di processare le informazioni potrebbe includere la sopravvalutazione dell'Io, la lettura positiva della realtà e un ottimismo ingiustificato, smisurato e acritico.

I comportamenti intrusivi tipici dei periodi ipomaniacali risultano strettamente connessi alle modificazioni cognitive menzionate e, a loro volta, contribuiscono al peggioramento dello stato di quel paziente. Nello stesso modo in cui Beck definì alcuni supposti fattori "depressogeni", i quali, di per se, mediante la modificazione del comportamento, aggravano la sintomatologia depressiva (Beck, 1979), è stato proposto, sulla base del suo modello, l'esistenza di fattori "elatogeni" (Colom & Vieta, 2006).

L'intento di stabilire un ordine causale tra cambiamenti emotivi, cognitivi e comportamentali risulta praticamente impossibile se non ricorrendo a ipotesi ma, di sicuro, può esistere un processo di retroalimentazione tra emozione e cognizione che influenza il comportamento, nel senso che proprio quest'ultimo finisce per chiudere il ciclo, modificando alcuni aspetti biologici quali, ad esempio, la diminuzione delle ore di sonno. Lo stesso ciclo si rigenera e la gravità del quadro aumenta ogni volta diventando sempre più difficile da controllare (Colom & Vieta, 2006).

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La fase depressiva talvolta si presenta in modo improvviso ma più spesso è preceduta per alcuni giorni o settimane da prodromi come labilità affettiva, riduzione degli interessi, tensione, astenia, inappetenza, insonnia, cefalea, senza tuttavia una compromissione particolare sul piano socio-lavorativo. Quando presenti, i sintomi prodromici tendono a ripetersi sempre con le stesse modalità costituendo una valida spia del sopraggiungere di un nuovo episodio per cui il paziente, riconoscendoli, può chiedere per tempo l’aiuto del medico (Cassano, 2008).

Nei depressi bipolari l'esordio del disturbo è più precoce e, mentre nei pazienti giovani è relativamente frequente la presenza di sintomi di tipo catatonico o di stupor, negli anziani può presentarsi spesso un quadro di pseudodemenza (Colom & Vieta, 2006).

L'episodio depressivo presenta alcune peculiarità che lo differenziano, da un lato, dalle depressioni endogene unipolari, e, dall'altro, da quelle reattive o situazionali. La fase depressiva del disturbo bipolare è caratterizzata frequentemente dal predominio dell'apatia sulla tristezza, dell'inibizione psicomotoria sull'ansia e dell'ipersonnia sull'insonnia: prevalgono quindi le alterazioni cognitive sulle comportamentali. Altre differenze tra depressioni bipolari e unipolari consistono nel fatto che, nelle prime, l'incidenza di anoressia e perdita di peso è minore ma la labilità emotiva e la probabilità di sviluppare sintomi psicotici, nei casi gravi, sono più frequenti (Colom & Vieta, 2006).

1.4.3 Sottotipi clinico-diagnostici

Il DSM-V individua tre sottotipi di disturbo bipolare distinti in base alla manifestazione clinica:

disturbo bipolare I, disturbo bipolare II, disturbo ciclotimico.

In passato, il disturbo bipolare I era ritenuto più grave e invalidante del II in quanto associato ad un'espressione più attiva ed "evidente" di alterazione dell'umore e del comportamento (mania, psicosi); oggi, le due forme sono ritenute di severità paragonabile, a fronte del riconoscimento dell'impatto fortemente negativo che possono avere gli episodi depressivi prolungati sulla vita della persona che ne soffre.

Inoltre, un ulteriore sottocategoria prevede : disturbo bipolare e disturbi correlati con altra

specificazione, disturbo bipolare e disturbi correlati senza specificazione (APA, 2013).

Disturbo bipolare di tipo I

Comprende quei pazienti che hanno presentato uno o più episodi maniacali e quei pazienti che presentano esclusivamente ricadute maniacali; l'episodio maniacale inoltre può essere preceduto o seguito da episodi ipomaniacali o depressivi maggiori.

Nel decorso spontaneo i singoli episodi hanno una durata abbastanza regolare, 3-4 mesi per la mania e 6-8 mesi per la depressione, con relativa stabilità nell’arco della malattia e il tipo di andamento più frequente è quello di un episodio maniacale seguito da depressione maggiore (Cassano, 2008).

Il numero di episodi pieni cui il paziente può andare incontro nel corso della vita varia da 2-3 a 30 e oltre, con una media annuale intorno a 8-10; se si considerano tuttavia gli episodi attenuati subclinici si stima che un soggetto con tale sottotipo di disturbo bipolare trascorra almeno la metà del suo tempo in uno stato di malattia.

La familiarità, l’insorgenza precoce (tra i 15 e i 40 anni), l’alto numero di ospedalizzazioni, la frequenza di condotte autolesive, il marcato disadattamento familiare e socio-lavorativo e la facilità con cui può evolvere verso la cronicità confermano la particolare gravità di questa forma (Cassano, 2008).

Le principali difficoltà di diagnosi differenziale si producono con la schizofrenia, probabilmente a causa della sopravvalutazione diagnostica dell'eventuale presenza di sintomi psicotici floridi come quelli di “primo rango” o anche alla mancanza di attenzione nei confronti della storia longitudinale della malattia (Colom & Vieta, 2006).

Disturbo bipolare di tipo II

È caratterizzato dalla presenza di episodi depressivi maggiori e ipomanie spontanee; l’età di esordio è tardiva (30-50 anni), gli episodi sono più brevi ma le recidive sono più numerose (Cassano, 2008).

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Sebbene il disturbo bipolare di tipo II rappresenti una categoria abbastanza stabile, una percentuale variabile tra il 5% e il 15% dei soggetti affetti finisce per sviluppare un episodio maniacale, convertendosi di conseguenza nel tipo I (Coryell et al., 1995).

Molti bipolari II vengono diagnosticati e trattati come se fossero pazienti unipolari, principalmente perché tali pazienti si rivolgono al medico solo quando sono depressi: tutti i pazienti depressi quindi dovrebbero essere interrogati, possibilmente con l'aiuto dei familiari, circa la presenza di eventuali antecedenti di ipomania (Colom & Vieta, 2006).

Disturbo ciclotimico

Consiste nell'alternanza di episodi ipomaniacali e depressivi di gravità non sufficiente per permettere la diagnosi di disturbo bipolare. Per poter affermare che si tratta di disturbo ciclotimico le oscillazioni del tono dell'umore devono persistere per almeno due anni negli adulti e per almeno un anno nei bambini (Cassano, 2008).

Si tratta di episodi di lieve intensità, ma la loro elevata frequenza e i cambiamenti comportamentali associati finiscono per determinare complicazioni psicosociali; un’altra caratteristica inoltre è la resistenza ai trattamenti con antidepressivi, in particolare ai triciclici e agli IMAO (Colom & Vieta, 2006).

L’età di esordio è precoce, tra i 15 e i 25 ani, il decorso è protratto (almeno 2 anni), la sintomatologia è analoga a quella del temperamento ciclotimico ma più intensa e provoca una maggiore compromissione (Cassano, 2008).

1.4.4 Decorso

Il disturbo bipolare presenta un decorso tipicamente cronico-ricorrente, con la presenza di periodi più o meno lunghi e completi di risoluzione dei sintomi. Il decorso è terribilmente eterogeneo, con un numero di episodi di malattia che, se non trattati, possono arrivare anche ad essere più di 4 per anno (andamento a cicli rapidi); per questo motivo la prognosi risulta difficile da stabilire e va stimata caso per caso da uno specialista esperto nella cura del disturbo bipolare.

Per un corretto inquadramento diagnostico, oltre alla polarità degli episodi, è necessario valutare anche le caratteristiche del ciclo maniaco-depressivo, cioè le modalità di successione di depressione, mania e stato di eutimia, e la sua durata, ovvero il tempo tra un episodio e il successivo della stessa polarità. Riguardo alle caratteristiche, spesso le diversi fasi si susseguono con una certa regolarità, ecco che si parla di disturbo con andamento stagionale, caratterizzato da una ricorrenza stagionale con depressione in autunno/inverno e (ipo)mania o eutimia in primavera/estate. Per quanto riguarda invece la durata del ciclo, nelle fasi iniziali della malattia, si verifica una spontanea e progressiva contrazione dello stato di eutimia con conseguente aumento delle ricadute, il cui numero, dopo un certo periodo di tempo, tende a stabilizzarsi; quando ciò non accade e le recidive diventano quattro o più per un anno, si configura una particolare forma clinica definita disturbo bipolare con andamento

a cicli rapidi (Cassano, 2008). 1.4.5 Prognosi

Nonostante ai tempi di Kraepelin si considerasse il disturbo bipolare una patologia con decorso intermittente, buon livello di funzionamento e prognosi favorevole, ad oggi è dimostrata un’elevata frequenza di casi con evoluzione verso la cronicità, di recidive o con incompleta risoluzione della sintomatologia tra un episodio e l’altro : queste condizioni comportano lunghi periodi di malattia, alti livelli di sofferenza soggettiva e grave adattamento sul piano socio-lavorativo (Colom & Vieta, 2006). Fino al 70% dei pazienti manifesta ricadute multiple che possono superare anche gli otto episodi nel 22% dei casi, mentre il rischio di cronicità, inteso come persistenza dei sintomi per più di due anni, oscilla tra il 6% e l’11%. L’evoluzione più sfavorevole sembra correlata alla presenza di:

1. Specificatore con caratteristiche miste;

2. Decorso a cicli rapidi, in quanto dopo ogni nuova ricaduta la persona diventa più vulnerabile nei confronti di nuove situazioni di scompenso, inoltre si accorcia sempre di più l’intervallo

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di tempo tra un episodio ed il successivo e la durata degli episodi aumenta;

3. Comorbidità con altre patologie fisiche o psichiche, come il disturbo borderline di personalità e il disturbo da deficit di attenzione e iperattività;

4. Abuso di sostanze, la cui associazione con la malattia è frequente anche se non è ancora noto il nesso eziopatogenetico tra i due dal momento che in alcuni soggetti sono le sostanze psicoattive, per la loro azione sul SNC, a scatenare gli episodi, mentre in altri è il disturbo a facilitare l’abuso. Per questo, è importante individuare precocemente i pazienti con maggiore propensione alla tossicodipendenza per evitare profondi cambiamenti del quadro clinico, con prevalenza di sintomi come disforia, irritabilità, ostilità, ansia e ritiro sociale, che rendono la malattia resistente ai trattamenti aumentandone il rischio di cronicità;

5. Scarsa adesione al trattamento, la quale rappresenta l’evento scatenante più comune di ricadute ed è associata a motivazioni come il presumere di essere in grado di controllare il proprio disturbo senza alcun farmaco, il negare la malattia o averne poche informazioni, il presentare credenze erronee sulla terapia (“crea dipendenza”), l’abbassare la guardia nei periodi di eutimia;

6. Mancanza di un adeguato supporto a livello familiare, sociale e lavorativo, probabilmente dovuta all’assenza di informazioni riguardanti il disturbo e l’importanza della terapia farmacologica all’interno del contorno sociale del paziente (Cassano, 2006; Colom & Vieta, 2006).

È il disturbo che comporta il più alto rischio di suicidio, specialmente nei periodi di depressione: aumenta infatti il rischio di 15 volte rispetto alla popolazione generale, specialmente in quei soggetti che hanno precedenti tentativi di suicidio e che hanno una storia familiare positiva per suicidio (Cassano, 2008).

1.5 Diagnosi

Il disturbo bipolare è particolarmente difficile da diagnosticare per i seguenti motivi:

- riguarda le alterazioni dell’umore, che in una certa misura sono sperimentate dalla maggior parte delle persone, e che, quando sistematicamente indagate, possono essere sovrastimate;

- i criteri riguardano più stati mentali soggettivi (ad es. distraibilità, umore elevato, irritabilità sentimenti di autosvalutazione, etc.) da dedurre attraverso l’osservazione nel tempo, il racconto riferito dal paziente e comportamenti direttamente osservabili;

- una parte dei criteri è costituita da stati mentali che il paziente non individua come problematici, lasciando al clinico la responsabilità di definirli tali in funzione di principi che non sono individuati univocamente ma dipendono dal suo sistema di rappresentazione, soprattutto nei casi in cui la dannosità con cui si esprimono non sia evidente;

- la maggior parte dei criteri non è costituita da elementi discreti ma da esperienze che appartengono a un continuum noto alla maggior parte delle persone (Blacker & Tsuang, 1992).

Nonostante ciò, emettere una corretta diagnosi di disturbo bipolare fin dall'esordio è estremamente importante per poter offrire al paziente la terapia adeguata ed infatti il DSM-V propone criteri diagnostici specifici per i diversi sottotipi clinico-diagnostici della malattia (Cassano, 2008).

1.5.1 Diagnosi secondo il DSM-V

Il capitolo “disturbi dell'umore”, presente nel DSM-IV-TR, è stato eliminato: vi sono ora due capitoli separati (“disturbo bipolare e disturbi correlati” e “disturbi depressivi”). Il disturbo bipolare è stato infatti separato dai disturbi depressivi e organizzato in una categoria unitaria, collocato tra il capitolo dedicato ai disturbi dello spettro schizofrenico e altri disturbi psicotici e i disturbi depressivi, riconoscendo come sia un disturbo “a ponte” tra le altre due diagnosi in termini di sintomatologia, storia familiare e genetica (Cassano, 2008).

Disturbo bipolare di tipo I

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la durata dei singoli episodi si mantiene costante mentre diminuisce quella tra l'uno e l’altro nel tempo.

Gli episodi di disturbo dell’umore indotto da sostanze (dovuti agli effetti diretti di un medicamento, ad altri trattamenti somatici per la depressione, ad una droga di abuso o all’esposizione ad una tossina) o di disturbo dell’umore dovuto ad una condizione medica generale non costituiscono un criterio utile per una diagnosi di disturbo bipolare I. Inoltre gli episodi non risultano meglio spiegati da un disturbo schizoaffettivo e non sono sovrapposti a schizofrenia, disturbo schizofreniforme, disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici con altra specificazione o senza specificazione (Allegria et al., 2008).

Episodio maniacale: criteri diagnostici secondo il DSM-V

A. Un periodo definito di umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile, o di un aumento anomalo e persistente dell'attività finalizzata o dell'energia, della durata di almeno una settimana e presente per la maggior parte del giorno quasi tutti i giorni (o di qualsiasi durata se è necessaria l’ospedalizzazione).

B. Durante il periodo di alterazione dell’umore e di aumento dell'energia e dell'attività, tre (o più) dei seguenti sintomi (quattro se l'umore è solo irritabile) sono stati presenti a un livello significativo e rappresentano un cambiamento evidente rispetto al comportamento attuale:

1. autostima ipertrofica o grandiosità;

2. diminuito bisogno di sonno (per esempio, si sente riposato dopo solo 3 ore di sonno); 3. maggiore loquacità del solito oppure spinta continua a parlare;

4. fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente;

5. distraibilità (cioè, l’attenzione è troppo facilmente deviata da stimoli esterni non importanti o non pertinenti) riferita o osservata;

6. aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale) oppure agitazione psicomotoria (attività immotivata non finalizzata);

7. eccessivo coinvolgimento in attività che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per es., acquisti incontrollati, comportamenti sessuali sconvenienti, investimenti finanziari avventati).

C. L’alterazione dell’umore è sufficientemente grave da causare una marcata compromissione del funzionamento lavorativo o sociale abituale o da richiedere l’ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazioni psicotiche.

D. L'episodio non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., una sostanza di abuso, un farmaco o altro trattamento) o di una condizione medica generale (APA, 2013).

Episodio depressivo maggiore: criteri diagnostici secondo il DSM-V

A. Cinque o più dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di due settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al funzionamento precedente; almeno uno dei sintomi è 1) umore depresso, 2) perdita di interesse o piacere.

1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, come riferito dal soggetto (es., si sente triste e vuoto) o come osservato dagli altri (es., appare lamentoso);

2. marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come riferito dal soggetto o osservato da altri);

3. significativa perdita o aumento di peso non dovuto a dieta (per es., un cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese), oppure diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno (nei bambini considerare l'incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali);

4. insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno;

5. agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservato da altri; non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato);

6. faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno;

7. sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inadeguati (che possono essere deliranti), quasi tutti i giorni (non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per essere ammalato); 8. ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno (come riferito

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9. pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico o un tentativo di suicidio o un piano specifico per commettere suicidio.

B. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.

C. L'episodio non è attribuibile agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., abuso di droga, di un medicamento) o ad una condizione medica generale (per es., ipotiroidismo) (APA, 2013). Disturbo bipolare di tipo II

La caratteristica essenziale del disturbo bipolare II è un decorso clinico caratterizzato da uno o più episodi depressivi maggiori accompagnati da almeno un episodio ipomaniacale: non deve esserci mai stato un episodio maniacale.

Il verificarsi dell'episodio ipomaniacale e depressivo maggiore non è meglio spiegato da un disturbo schizoaffettivo, da schizofrenia, da un disturbo schizofreniforme, da un disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici con altra specificazione o senza specificazione.

Le manifestazioni e i disturbi associati possono essere: facilità al pianto, irritabilità, tendenza a rimuginare, ruminazione ossessiva, ansia, fobie, preoccupazioni eccessive per la salute fisica e lamentele di dolori, abuso di alcol o altre sostanze, difficoltà nelle relazioni strette, difficoltà nel funzionamento sessuale (Cassano, 2008).

Episodio ipomaniacale: criteri diagnostici secondo il DSM-V

A. Un periodo definito di umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile, e di un aumento anomalo e persistente dell'attività finalizzata o dell'energia che dura per almeno 4 giorni consecutivi e presente per la maggior parte del giorno quasi tutti i giorni.

B. Durante il periodo di alterazione dell’umore e di aumento dell'energia e dell'attività, tre (o più) dei seguenti sintomi (quattro se l’umore è solo irritabile) sono presenti, rappresentano un cambiamento evidente rispetto al comportamento abituale e si manifestano ad un livello significativo :

1. autostima ipertrofica o grandiosità;

2. diminuito bisogno di sonno (per esempio, si sente riposato dopo solo 3 ore di sonno); 3. maggiore loquacità del solito oppure spinta continua a parlare;

4. fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente;

5. distraibilità (cioè, l’attenzione è troppo facilmente deviata da stimoli esterni non importanti o non pertinenti) riferita o osservata;

6. aumento dell’attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica o sessuale) oppure agitazione psicomotoria;

7. eccessivo coinvolgimento in attività che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per es., eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari avventati).

C. L’alterazione dell'umore è associata a un evidente cambiamento nel funzionamento, che non è caratteristico della persona quando è asintomatica.

D. L’alterazione dell’umore e il cambiamento nel funzionamento sono osservabili da altri.

E. L’episodio non è sufficientemente grave da causare una marcata compromissione del funzionamento lavorativo o sociale, o da richiedere l’ospedalizzazione; se sono presenti manifestazioni psicotiche, l'episodio è, per definizione, maniacale.

F. L'episodio non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per esempio, una droga di abuso, un farmaco o altro trattamento) (APA, 2013).

Disturbo ciclotimico

Consiste nell'alternanza di episodi ipomaniacali e depressivi di gravità non sufficiente per permettere la diagnosi di disturbo bipolare. Per poter affermare che si tratta di disturbo ciclotimico le oscillazioni del tono dell'umore devono persistere per almeno due anni negli adulti e per almeno un anno nei bambini (Cassano, 2008).

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I criteri diagnostici per il disturbo ciclotimico secondo il DSM-V sono i seguenti:

A. Per almeno due anni (un anno nei bambini e negli adolescenti) ci sono stati numerosi periodi con sintomi ipomaniacali che non soddisfano i criteri per un episodio ipomaniacale e numerosi periodi con sintomi depressivi che non soddisfano i criteri per un episodio depressivo maggiore. B. Durante questo periodo di due anni (uno nei bambini e negli adolescenti), i periodi ipomaniacali e

depressivi sono stati presenti per almeno metà del tempo e l'individuo non è stato senza sintomi per più di due mesi.

C. Non sono soddisfatti i criteri per un episodio depressivo maggiore, maniacale o ipomaniacale. D. I sintomi del criterio A non sono meglio spiegati da un disturbo schizoaffettivo, da schizofrenia,

da un disturbo schizofreniforme, o da un disturbo dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici con altra specificazione o senza specificazione.

E. I sintomi non sono dovuti agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., una droga di abuso, un medicamento), o ad una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo).

F. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre importanti aree di funzionamento (APA, 2013).

Disturbo bipolare e disturbi correlati con altra specificazione

In tale categoria rientrano tutte le manifestazioni simili a quelle caratteristiche del disturbo bipolare, di intensità tale da causare disagio psicologico e compromissione della funzionalità lavorativa, dell'interazione sociale e della vita familiare/di relazione, presenti nel contesto di quadri clinici che non soddisfano l'insieme dei criteri previsti per la classificazione nella categoria "Disturbo bipolare e disturbi correlati" (Cassano, 2008).

La scelta di assegnare il paziente a questa categoria dipende dalla valutazione globale delle manifestazioni e dalla loro evoluzione nel tempo da parte dello psichiatra e dal peso che egli dà a singoli aspetti del disturbo. In questa categoria possono rientrare, per esempio, disturbi bipolari caratterizzati da sintomi maniacali molto lievi, sporadici o di breve durata nel contesto di manifestazioni prevalentemente depressive, da un esordio ipomaniacale non preceduto/seguito da sintomi depressivi oppure da oscillazioni dell'umore in un limitato range di variabilità e/o di durata insufficiente per emettere la diagnosi di "Disturbo ciclotimico" (ossia, meno di 24 mesi negli adulti e meno di 12 mesi nei bambini-adolescenti) (Cassano, 2008).

In aggiunta, possono rientrarvi anche i pazienti con una precedente diagnosi di depressione nei quali siano secondariamente riconosciuti sintomi ipomaniacali o maniacali lievi o di durata troppo breve per poter orientare la diagnosi verso un disturbo bipolare "vero e proprio".

Analogamente all'inserimento degli specificatori per gli episodi misti e per l'ansia, l'introduzione di questo nuovo sottogruppo diagnostico ha lo scopo di precisare e rendere più sensibili l'individuazione e l'inquadramento dei disturbi dello spettro bipolare, differenziandoli meglio da altre condizioni caratterizzate da sintomi in parziale sovrapposizione (depressione maggiore, ansia, disturbi psicotici lievi ecc.) e permettere, così, un trattamento più appropriato (Cassano, 2008).

Specificatori: criteri diagnostici secondo il DSM-V

1. Con ansia. La presenza di almeno due dei seguenti sintomi durante la maggior parte dei giorni

dell'attuale e più recente episodio di mania, ipomania o depressione: - sentirsi agitato o teso;

- sentirsi insolitamente irrequieto;

- difficoltà di concentrazione a causa delle preoccupazioni; - paura che possa accadere qualcosa di terribile;

- sentire che l'individuo possa perdere il controllo di sé stesso.

Specificare se: lieve (due sintomi), moderato (tre sintomi), moderato-grave (quattro o cinque sintomi), grave (quattro o cinque sintomi con agitazione psicomotoria) (APA, 2013).

2. Con caratteristiche miste. Tale specificatore si può applicare all'attuale episodio maniacale,

ipomaniacale o depressivo nel disturbo bipolare I e bipolare II. Episodio maniacale o ipomaniacale con caratteristiche miste.

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almeno tre dei seguenti sintomi durante la maggior parte dei giorni dell'attuale e più recente episodio di mania o ipomania:

- disforia rilevante o umore depresso come riportato dall'individuo (per es., si sente vuoto, solo) o osservato da altri (per es., l'individuo sembra sul punto di piangere);

- diminuito interesse o piacere di tutte, o quasi tutte, le attività (come indicato dalla considerazione soggettiva o dall'osservazione fatta da altri);

- rallentamento psicomotorio quasi tutti i giorni (osservabile da altri; non semplicemente l'impressione soggettiva di essere rallentati);

- faticabilità o mancanza di energia;

- sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi tutti i giorni (non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per il fatto di essere ammalato);

- pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico o un tentativo di suicidio o un piano specifico per commettere suicidio.

B. I sintomi misti sono osservabili da altri e rappresentano un cambiamento nel comportamento usuale della persona.

C. Per gli individui i cui sintomi soddisfano pienamente i criteri per mania e depressione simultaneamente, la diagnosi dovrebbe essere di episodio maniacale, con caratteristiche miste, dovuto a marcata compromissione e gravità clinica della completa mania.

D. I sintomi fisici non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza (per es., sostanza di abuso, un farmaco, un altro trattamento) (APA, 2013).

Episodio depressivo con caratteristiche miste.

A. Sono soddisfatti pienamente i criteri per un episodio depressivo maggiore e sono presenti almeno tre dei seguenti sintomi durante la maggior parte dell'attuale e più recente episodio di depressione: - umore elevato, espanso;

- autostima ipertrofica o grandiosità;

- maggiore loquacità del solito o continua spinta a parlare;

- fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente;

- aumento dell'energia o dell'attività finalizzata (sociale, lavorativa, scolastica, sessuale);

- eccessivo coinvolgimento in attività che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose (per es., acquisti incontrollati, comportamenti sessuali sconvenienti, investimenti finanziari avventati);

- diminuito bisogno di sonno (sentirsi riposato dormendo meno del solito; da contrapporre all'insonnia).

B. I sintomi misti sono osservabili da altri e rappresentano un cambiamento rispetto al comportamento usuale della persona.

C. Per gli individui i cui sintomi soddisfano pienamente i criteri per mania e depressione simultaneamente, la diagnosi dovrebbe essere di episodio maniacale, con caratteristiche miste.

D. I sintomi fisici non sono attribuibili agli effetti diretti di una sostanza (per es., sostanza di abuso, un farmaco, un altro trattamento) (APA, 2013).

3. Con cicli rapidi. La presenza di almeno quattro episodi dell'umore nei precedenti 12 mesi che

soddisfano i criteri per un episodio maniacale, ipomaniacale o depressivo.

Gli episodi sono demarcati sia da remissione parziale o completa di almeno due mesi o da un passaggio a un episodio di polarità opposta (ad es., da episodio depressivo maggiore a episodio maniacale) (APA, 2013).

4. Con caratteristiche melanconiche. Applicato se presente nelle fasi più gravi dell'episodio e

caratterizzato dall'assenza completa della capacità di provare piacere.

A. Durante il periodo di maggior gravità dell'episodio attuale è presente uno dei seguenti sintomi: - perdita di piacere per tutte, o quasi tutte, le attività;

- perdita di reattività agli stimoli abitualmente piacevoli (non si sente meglio, neppure temporaneamente, quando accade qualcosa di buono).

B. Tre (o più) dei seguenti sintomi:

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malumore o il cosiddetto “empty mood”; - depressione regolarmente peggiore al mattino;

- risveglio precoce al mattino (almeno due ore prima del solito); - marcato rallentamento o agitazione psicomotoria;

- anoressia significativa o perdita di peso;

- sentimenti di colpa eccessivi o inappropriati (APA, 2013).

5. Con caratteristiche atipiche. Tale specificatore si può applicare quando queste caratteristiche

predominano durante la maggioranza dei giorni dell'attuale o più recente episodio depressivo maggiore.

A. Reattività dell'umore (l'umore migliora in risposta a stimoli positivi reali o potenziali). B. Due (o più) delle seguenti caratteristiche:

- significativo aumento di peso o aumento dell'appetito; - ipersonnia;

- “paralisi plumbea” (sensazione di pesantezza alle braccia e alle gambe);

- pattern duraturo di sensibilità al rifiuto interpersonale (non limitato agli episodi di alterazione dell'umore) che determina una significativa compromissione sociale o lavorativa.

C. Non sono soddisfatti i criteri per il tipo “con caratteristiche melanconiche” o “con catatonia” durante lo stesso episodio (APA, 2013).

6. Con caratteristiche psicotiche. Deliri e allucinazioni si presentano in qualsiasi momento

dell'episodio; se sono presenti caratteristiche psicotiche, specificare se sono congruenti o non congruenti all'umore.

Con caratteristiche psicotiche congruenti all'umore: durante gli episodi maniacali, il contenuto di deliri e allucinazioni è coerente con le tipiche tematiche maniacali di grandiosità, invulnerabilità, etc., ma possono anche comprendere tematiche di sospettosità o paranoia, soprattutto nei confronti di dubbi altrui circa le capacità dell'individuo, i risultati, e così via.

Con caratteristiche psicotiche non congruenti all'umore: il contenuto di deliri e allucinazioni non è coerente con la polarità delle tematiche dell'episodio come descritto sopra, oppure il contenuto è un misto di tematiche congruenti all'umore e non congruenti all'umore (APA, 2013).

7. Con catatonia. Tale specificatore si può applicare a un episodio di mania o di depressione se le

caratteristiche catatoniche sono presenti durante la maggior parte dell'episodio. È necessaria la presenza di tre (o più) dei seguenti sintomi:

- stupor (nessuna attività psicomotoria, non c'è relazione attiva con l'ambiente); - catalessia (induzione passiva di una postura mantenuta contro la gravità);

- flessibilità cerea (leggera resistenza costante ad una modificazione posturale indotta dall'esaminatore);

- mutismo;

- negativismo (oppositività o nessuna risposta a istruzioni o stimoli esterni); - postura fissa;

- manierismo; - stereotipia;

- agitazione non influenzata da stimoli esterni; - grimace;

- ecolalia;

- ecoprassia (APA, 2013).

8. Con esordio nel peripartum. Tale specificatore si può applicare all'attuale episodio oppure, se non

sono attualmente soddisfatti i criteri per un episodio dell'umore, al più recente episodio di mania, ipomania o depressione nel disturbo bipolare I e II se l'esordio dei sintomi dell'umore si verifica durante la gravidanza o nelle quattro settimane seguenti al parto (APA, 2013).

9. Con andamento stagionale. Si applica al pattern lifetime di episodi dell'umore; la caratteristica

essenziale è un andamento stagionale regolare di almeno un tipo di episodio (cioè mania, ipomania, depressione), mentre gli altri tipi di episodi possono non seguire questo pattern.

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maniacali, ipomaniacali o depressivi maggiori in un particolare periodo dell'anno (per es., autunno o inverno).

B. Anche le remissioni complete si verificano in un caratteristico periodo dell'anno.

C. Negli ultimi due anni, gli episodi maniacali, ipomaniacali e depressivi dell'individuo hanno mostrato una relazione temporale stagionale.

D. Manie, ipomanie e depressioni stagionali superano sostanzialmente per numero ogni mania, ipomania o depressione non stagionali che possono essersi verificate lifetime nell'individuo (APA, 2013).

1.5.2 Diagnosi differenziale

La diagnosi differenziale deve essere posta tra i diversi sottotipi di disturbi dell’umore e tra questi e condizioni fisiologiche o altre patologie sia psichiatriche sia fisiche.

Nella pratica non è sempre facile distinguere tra le diverse forme di disturbo bipolare, per questo è utile ricordare che la differenza tra:

 disturbo bipolare con andamento a cicli rapidi e disturbo ciclotimico è basata sull’intensità della sintomatologia: piena nel primo e subsindromica nel secondo;

 disturbo bipolare con andamento a cicli rapidi e disturbo bipolare con caratteristiche miste poggia sulle modalità con cui i fenomeni depressivi ed espansivi si manifestano: rapida alternanza nel primo, contemporanea presenza nel secondo (APA, 2013).

Gli episodi depressivi con manifestazioni psicotiche, soprattutto se “incongrue” all'umore, pongono talora problemi di diagnosi differenziale con i disturbi dello spettro schizofrenico; non esistono segni patognomonici dell’una o dell’altra patologia e per un corretto inquadramento si fa riferimento anche alla storia familiare, alle caratteristiche premorbose del paziente e al decorso del disturbo. Depongono per la diagnosi di disturbo bipolare la familiarità, il buon adattamento socio-lavorativo prima dell’insorgenza della malattia, la presenza di anamnesi di un temperamento affettivo o di precedenti episodi depressivi e/o espansivi anche attenuati, l’esordio brusco, un netto cambiamento rispetto alla personalità premorbosa. Possono essere di aiuto anche la coloritura affettiva della sintomatologia delirante (per esempio, deliri a contenuto megalomanico o religioso), l’assenza di sintomi negativi, quali il distacco affettivo e la fasicità del decorso anche nei casi in cui l’evoluzione sia verso la cronicità (Cassano, 2008). Le persone con schizofrenia presentano deliri e allucinazioni e possono sperimentare depressioni severe, ma spesso il loro problema più grande è l’ottundimento emotivo; anche nel disturbo bipolare possono essere presenti allucinazioni o deliri ma questi sono tipicamente di tipo maniacale grandioso, paranoico o depressivo, sono circoscritti nel tempo e compaiano con l’instaurarsi dei cambiamenti del tono dell’umore. Inoltre, la prognosi a lungo termine della schizofrenia è ben peggiore che nel disturbo bipolare (Allegria et al., 2008). Quando il disturbo fa la sua prima comparsa nell’adolescenza, la sintomatologia può essere caratterizzata prevalentemente da comportamenti antisociali: in questi casi la diagnosi differenziale si pone con il disturbo borderline di personalità. Nonostante entrambe le patologie evidenzino caratteristiche comuni quali l’impulsività, l’umore instabile, la rabbia inadeguata, un elevato rischio suicidario e relazioni affettive instabili, motivo per cui spesso numerosi terapeuti si trovano in difficoltà ad effettuare una diagnosi corretta, i pazienti borderline tendono a mostrare una maggiore instabilità, impulsività e ostilità. In secondo luogo, il disturbo borderline di personalità è più fortemente associato ad una storia di infanzia di abusi, inoltre il cambiamento del tono dell’umore è solitamente a breve termine e costituisce la reazione ad un rifiuto da parte dei propri conoscenti o comunque a stimoli interpersonali. Infine i pazienti borderline spesso diventano depressi e possono rientrare nei criteri per un episodio depressivo maggiore, ma non sviluppano mai una reale sindrome maniacale o con caratteristiche miste, a meno che non siano affetti anche da un disturbo bipolare. A contribuire al problema della diagnosi, concorre anche il fatto che entrambi i disturbi possono coesistere nello stesso paziente: si stima, infatti, che circa il 20% dei pazienti con disturbo borderline di personalità presenti in comorbilità un disturbo bipolare e che nel 15% dei pazienti con tale disturbo sia coesistente un disturbo borderline di personalità (Allegria er al., 2008). Il disturbo bipolare spesso può essere anche confuso con il disturbo da deficit di attenzione e

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iperattività (ADHD): anche i pazienti bipolari possono presentare problemi costanti di attenzione ed impulsività, tipici dell’ADHD, ma per lo più durante gli episodi maniacali o con caratteristiche miste, inoltre l’ADHD non è accompagnato da euforia, aumentata spinta motivazionale, ipersessualità, diminuito bisogno di sonno o grandiosità, e non è caratterizzato dall’alternarsi di profonde depressioni a periodi di umore stabile (Allegria et al., 2008).

1.6 Trattamento

Il trattamento del disturbo bipolare richiede un’approfondita conoscenza della malattia, la capacità di gestire questo tipo di pazienti e la dimestichezza nell’uso dei diversi strumenti terapeutici oggi disponibili; l’intervento deve essere pianificato caso per caso tenendo conto delle caratteristiche della sintomatologia attuale, del precedente decorso, dell’età e delle condizioni generali del paziente (Marneros & Angst, 2002).

Dopo aver formulato la diagnosi è necessario:

a) considerare la concomitanza di altre condizioni psichiatriche (comorbidità); b) verificare che non vi siano controindicazioni all’uso di alcune classi di farmaci;

c) escludere, mediante un’accurata anamnesi medica e, se richiesto, appropriate indagini di laboratorio e strumentali, che l’insorgenza della sintomatologia sia secondaria a patologie medico-chirurgiche o all’assunzione di farmaci (Marneros & Angst, 2002).

Una corretta strategia terapeutica dovrebbe essere articolata in più fasi e mirare a: a) garantire la sicurezza del paziente;

b) fornire un supporto psicoeducazionale al paziente ai familiari; c) eliminare i sintomi;

d) ripristinare un normale funzionamento socio-lavorativo; e) mantenere a lungo termine lo stato di benessere;

f) incidere, se possibile, su eventuali fattori psicologici o ambientali che facilitano le recidive. Ovviamente, non tutte le fasi dovranno essere percorse in ogni soggetto poiché le scelte saranno condizionate dalla fase evolutiva raggiunta dalla malattia, dalla comorbidità, dalla risposta a eventuali cure precedenti e dalle terapie assunte al momento dell’osservazione (Marneros & Angst, 2002). Sebbene la terapia farmacologica rappresenti il cardine del trattamento del disturbo bipolare, il piano terapeutico prevede un approccio integrato che includa anche interventi psicoterapeutici, psicosociali e rieducativi; gli obiettivi del trattamento sono diminuire la gravità, la frequenza e le conseguenze psicosociali degli episodi di malattia e migliorare il funzionamento del soggetto negli intervalli tra i vari episodi (Marneros & Angst,2002).

1.6.1 Trattamento farmacologico

Gli psicofarmaci intervengono sulla modulazione dell’emotività e riportano i picchi fuori soglia dell’intensità delle singole emozioni all’interno del range di variabilità della reattività normale: ciò consente di intervenire non solo sui sintomi correlati all’ansia e al tono dell’umore, ma anche su quelli relativi alla dimensione del pensiero (delirio) e delle percezioni (allucinazioni) (Perone et al., 2015).

I farmaci somministrati possono essere suddivisi in tre categorie: eutimizzanti, antimaniacali e antidepressivi.

Eutimizzanti o stabilizzatori dell’umore

Sono farmaci deputati a mantenere la stabilità del tono dell’umore, la cui assunzione è necessaria per tutta la vita non solo per evitare che si producano nuovi episodi ma anche per ridurre la gravità e la durata di un’ipotetica nuova ricaduta. Il farmaco più indicato è senza dubbio il litio, il quale possiede un’elevata potenza preventiva, soprattutto in relazione agli episodi maniacali, aiuta a ridurre l’instabilità del tono dell’umore tra un episodio e l’altro ed è efficace nella prevenzione del suicidio. Al contrario, la sua brusca interruzione può far insorgere in poco tempo una ricaduta e per questo la sospensione deve sempre essere effettuata in maniera graduale: l’abbandono repentino e il mancato

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rispetto delle indicazioni fornite dallo psichiatra può rappresentare la causa di una futura resistenza al farmaco. Gli effetti secondari più frequenti sono il tremore, soprattutto nelle prime settimane, la diarrea e la ritenzione di liquidi (Rosenfeld, 1963).

Il resto dei farmaci utilizzati sono anticonvulsivanti, farmaci, cioè, indicati per il trattamento dell’epilessia ed usati per il disturbo bipolare in quanto è possibile che questo condivida con l’epilessia alcuni meccanismi psicobiologici. Gli eutimizzanti anticonvulsivanti più utilizzati sono:

 Valproato, efficace per il mantenimento di uno stato di eutimia, per il trattamento di andamenti a cicli rapidi e di stati misti e avente un’elevata potenza antimaniacale;

 Carbamazepina, efficace nella prevenzione della ricadute e per il trattamento dell’impulsività;  Lamotrigina, efficace in assoluto per la prevenzione degli episodi depressivi.

Antimaniacali

Questi farmaci hanno un impatto forte sulla vita delle persone, sia perché agiscono in maniera importante nel portare sollievo dai disturbi più gravi, sia perché possono dare effetti collaterali fastidiosi specialmente nel primo periodo (Perone et al., 2015); si utilizzano fondamentalmente per il trattamento di episodi di mania e ipomania e si dividono in:

1- Neurolettici o antipsicotici classici. Essi, per decenni, sono stati un rimedio imprescindibile nel successo del trattamento di qualsiasi quadro antimaniacale e, sebbene in molti contesti siano stati superati dalla loro versione più evoluta, ancora oggi costituiscono i farmaci più incisivi e rapidi per trattare la mania e i sintomi psicotici, quali deliri e allucinazioni, per ridurre il pensiero megalomanico e per controllare agitazione, irritabilità e accelerazione del pensiero. Tra essi abbiamo:

 Aloperidolo, sufficiente a impedire l’insorgere di un nuovo episodio se identificato precocemente;

 Clotiapina, efficace nel facilitare il ritorno ad un regime di sonno adeguato e nell’allontanare il rischio di iperattività, grazie alla sua potente azione sedativa (Rosenfeld, 1963).

2- Antipsicotici atipici o di seconda generazione. Sono farmaci commercializzati nell’ultimo decennio, con l’obiettivo di superare o uguagliare l’efficacia degli antipsicotici classici, provocando però minori effetti secondari; la maggioranza ha dimostrato un’efficacia come trattamento di mantenimento e per tale ragione possono essere utilizzati a bassi dosaggi come eutimizzanti. Tra essi sono inclusi:

 Olanzapina, altamente efficace nel trattamento della mania, molto adeguato come trattamento di mantenimento e molto ben tollerato;

 Risperidone, impiegato anche come farmaco di mantenimento, a bassi dosaggi, e particolarmente efficace nel prevenire l’andamento a rapidi cicli;

 Quetiapina, ad azione meno rapida ma con meno effetti secondari (Colom & Vieta, 2006). 3- Benziodiazepine. Tra esse, il farmaco ipnotico maggiormente impiegato per le fasi maniacali ed ipomaniacali è il Clonezapam, efficace nei quadri in cui è presente molta ansia, agitazione, irritabilità o insonnia; altri farmaci usati sono il Lorazepam o il Diazepam, i quali migliorano il sonno e diminuiscono l’ansia. NB. In assoluto non è indicato trattare un quadro maniacale unicamente con

questi farmaci (Rosenfeld, 1963).

Antidepressivi

L’uso degli antidepressivi nel disturbo bipolare risulta essere tutt’oggi un argomento alquanto complesso: è certo che si tratta di farmaci molto efficaci per la cura della depressione bipolare, ma sono alti i rischi in merito alla loro assunzione, visto che il paziente può subire cambi di umore repentini, passando da quelli depressivi a quelli di natura maniacale. Per questo motivo, se vi è una tendenza ad attraversare episodi di mania, bisogna essere molto cauti nel prescriverli e soprattutto devono essere sempre associati ad uno stabilizzatore dell’umore (Rosenfeld, 1963).

A differenza del trattamento degli episodi maniacali, nei quali gli antipsicotici costituiscono principalmente l’unica terapia possibile, per quello degli episodi depressivi esistono varie alternative: 1- Antidepressivi. Questi sono abbastanza efficaci, inoltre i dosaggi e gli effetti secondari sono simili

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