Excursus IV: Ernst Bloch e Ludwig Klages. Temporalità e filosofia del soggetto alle soglie del mito
1. Bloch e il passato
In Eredità del nostro tempo Ernst Bloch afferma la validità delle posizioni dei Cosmici, dimostrando «una certa simpatia per quei valori la cui perdita discredita il progresso sul piano etico:
per valori ad esempio come la “patria” [Heimat] e la natura, la “fedeltà” e altri arcaismi».672 Secondo Bloch le nostalgie per il passato, ritenute nell’ambito della sinistra tedesca espressione
delle visioni del mondo fasciste,673 sono un chiaro sintomo del disagio provato da ampi strati della popolazione nella società capitalistica. Davanti a un presente così poco genEroso verso la maggior
parte della popolazione l’idealizzazione del passato appare legittima e necessaria.
Anche nel ritorno al passato c’era qualcosa di sostanziale: il vecchio artigiano era una cosa ben diversa dall’operaio di
fabbrica, addetto ad un telaio meccanico ad una catena di montaggio. Gli artigiani avevano le loro tradizioni e i loro
canti: potevano ancora cantare, mentre i proletari hanno quasi perso l’abitudine e la possibilità di farlo (ET, pp. 200 e
segg.)
Il fatto che il Partito comunista e anche quelli borghesi non si siano resi conto dell’importanza di questi valori è stato per Bloch un grossissimo errore, che ha reso possibile l’ascesa del nazismo.
Nello specifico, Bloch afferma che i concetti di «vita» «anima» «inconscio» e persino di «Reich» posti contro a tutto ciò che è meccanico avrebbero una validità anche al di fuori del fascismo, se «la rivoluzione non si limitasse, sia pure giustamente, a smascherare, ma se, altrettanto giustamente, volesse rilanciare concretamente e ricordarsi del suo antico possesso proprio di quelle categorie» (ET, p. 5). Se nelle società industriali avanzate si manifestano resistenze di segno conservatore e se al contesto attuale si oppongono valori e ideali del passato, ciò significa che quell’eredità, quel passato a cui ci si continua ad appellare non è stato sufficientemente elaborato e assimilato.
In questo contesto non può stupire che, nella comune battaglia della sinistra intellettuale
contro l’epoca, il libro di Bloch venga considerato quasi unanimemente, da Benjamin, Adorno,
Lukács e altri, inattuale e non contemporaneo. Basti citare il giudizio pronunciato da Lukács su
Eredità del nostro tempo per rendersi conto della temperie culturale in cui fu accolto questo libro:
Il presente excursus rappresenta la rielaborazione di un saggio già apparso in Estetica. Studi e ricerche, Rivista semestrale 1/2011, Luciano Editore, Napoli 2011, pp. 189-206.
672Frank 1994, p. 23.
673Sull’interpretazione del pensiero di Klages da parte della Kulturkritik oltre al classico testo di Kasdorff,1978, cfr.
Pauen 1992, Id. 1994 e Id. 1999a. Si vedano altresì i più recenti saggi di Falter 2003, pp. 97-99 e p. 113 sgg.; Doerr 2007.
Il tentativo blochiano di scoprire un nuovo metodo di lotta contro l’ideologia del fascismo deve quindi considerarsi fallito. È fatica vana cercare l’ “oro” nelle ideologie dei contadini e dei piccolo borghesi arretrati. L’ “oro” è contenuto
per questi ceti negli istinti anticapitalistici che scaturiscono dalla loro condizione sociale scissa, dall’oppressione e lo sfruttamento che esercita su di loro il capitalismo.674
Quello che viene rimproverato a Bloch è allora l’esagerazione del gesto dell’avanguardia, la scarsa
preoccupazione per la realtà effettiva del marxismo e del movimento che ad esso si richiama, la
mancanza di un confronto radicale con i fenomeni sociali dell’epoca.675Ma, d’altra parte, è proprio
la rigidità moralista di gran parte del movimento marxista quello che viene rifiutato da Bloch nella sua teoria del nazismo. 676 Non basta chiudere gli occhi e negare la grande potenza insita nel nazismo, spiegandolo in chiave economico-sociale come fase estrema del capitalismo. Il nazismo è infatti un fenomeno ideologico-culturale che davanti alla crisi di senso della Germania post-bellica ha saputo risvegliare speranze fantastiche; il marxismo invece, ha mostrato di comportarsi come
quel rabbino che, venuto dall’Europa orientale a Francoforte, città piena di seduzioni profane,
raccomandava alla giovane moglie di non guardare.677 Generalmente, da gran parte della
Kulturkritik, lo sguardo al passato e al mito viene paragonato al Canto delle sirene di Ulisse, così in
Benjamin e ancora in Adorno. Chi non ha la forza di gestire il mistero, le potenze inconsce che
trascendono il “lumen della ragione” non deve ascoltare quel canto ammaliante che porta alla follia.
E anche chi, come Ulisse, ha la forza di ascoltare deve restare legato, cinto strettamente a quello spiraglio di lucidità che protegge dalla caduta nell’abisso.
La specificità della posizione di Bloch sta nel ricercare un «residuo possibile», un’eredità
positiva, anche quando il sogno, quello delle tradizioni popolari e delle superstizioni contadine, diventa incubo. Per il filosofo non occorre risvegliarsi dal sogno, né nel senso del «destati,
Germania» dell’inno nazista, né nel senso del «risveglio» più volte suggerito da Benjamin;678 la Germania deve e non può far altro che elaborare i fantasmi del sogno, rimontarli, recuperando le loro valenze fantastiche. Bloch vede allora proprio nella procedura espressionista del montage la possibilità di ereditare in senso positivo il presente. Un presente, di cui Bloch ha la consapevolezza
dell’impossibilità di viverlo in tutta la sua pienezza, perché gravido di un passato
non-ancora-divenuto, come una promessa che resta valida finché il presente non è in grado di esaurirla. 679
674Lukács 1976, p. 242. 675
Boella 1992, p. XV
676Sul rapporto di Bloch con il marxismo si veda Zecchi 2008; Pan 2000, pp. 41-57.
677E. Bloch, Bemerkungen zur Erbschaft dieser Zeit, in Philosophische Aufsätze, Gesamtausgabe in 16 Bd., Bd. 10, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1962, p. 32
678
Sul tema del risveglio in Benjamin cfr. P, pp. 507-515. 679Sull’argomento si veda SU, in particolare p. 216 sgg.
Attraverso il montaggio le rovine mitologiche vengono trasportate in un altro spazio che si oppone al contesto abituale, che in ogni epoca, quando si presenta come realtà unitaria del molteplice, si rivela provvisorio e mai compiuto. 680 Lo scopo del montaggio non è quello di coprire il vuoto
dell’epoca con una costruzione effimera, rappresentata per Bloch dall’esasperazione razionalistica dell’oggettività positivista, 681 ma di risaltare gli spazi vuoti e frammentari, mettendo insieme
lontano e vicino, mito e ragione, passato e presente. Il montaggio consiste quindi nell’affidarsi ad
una ricezione frammentaria del reale, rinunciando alla tentazione di ricomporre i pezzi
cristallizzandoli in schemi forzatamente riduttivi, in un’ottica che riconosce la natura più intima
della realtà, che è sempre interruzione, frammento (ET, p. 232).
Il montaggio strappa al contesto lacerato e ai relativismi di vario genere dell’epoca alcune parti, per collegarle in figure
nuove. […] Grande è la ricchezza di un’epoca in agonia, di una sorprendente epoca di confusione in cui si mescolano
sera e mattino negli anni venti. Si va dalle associazioni di sguardo e di immagine appena abbozzate, a Proust a Joyce a
Brecht e ancora oltre. È un’epoca caleidoscopica, una ‘rivista’ (ET, p. 5).
In questo contesto Bloch riconosce la presenza del procedimento del montage anche nella tarda borghesia, nella cerchia dei Cosmici e in particolare in Klages. Solo quando il mondo distrugge le proprie rovine mitologiche, rifiutando il proprio passato, arriva ad un punto zero. È però vero che quando il montaggio si riduce al tentativo di far rivivere il vecchio nel nuovo, senza l’aspirazione a ricercare un modo in cui il frammento ripreso dal passato funzioni in una vita nuova, resta vuota
combinazione che cerca l’inganno nel caleidoscopio (ET, pp. 184 e segg.).
Senza la confusione degli stati e delle cose non sarebbe affatto possibile comprendere la mitologia delle metamorfosi
elaborata dall’ultimo Klages, per quanto grande sia la distanza che la separa – in virtù del sogno involontario e degli
arcaismi – dal nolens-volens del ‘montaggio’. Certo, da un punto di vista immediato, nella loro specifica verità borghese, tutte queste emozioni tutti questi geroglifici in posizione bloccata, si riducono a un retro altrettanto bloccato e ostruito, composto di rovine che non trovano il coraggio di essere fosforescenti, di parti di vecchio mondo che vengono prese per essere fatte funzionare di nuovo pur sempre nel vecchio mondo (ET, p. 184-185).
Questo genere di montaggio proprio dei «nemici della coscienza» si rivela per Bloch non essere altro che mera «archeologia», apologia di un passato irrimediabilmente perduto. A proposito, Bloch
si confronta con l’idea del simbolico e dell’ebbrezza presentata da Klages nella sua prima opera
monografica dedicata al mito e al pensiero di Bachofen, Dell’Eros Cosmogonico. Di quest’opera
Bloch mette in luce l’irrazionalismo, indicando la posizione di Klages come tentativo di sradicare la
680
Latini 2003, p. 48 sgg.
cultura umana fino alle radici, di eliminare l’io cosciente a favore dell’abisso: un abisso in cui tutto
è ebbrezza. Bloch sottolinea come per Klages, solo l’uomo in stato di ebbrezza, preso dall’estasi dionisiaca, è in grado di cogliere la vita al di là dei limiti imposti dalla spiritualità umana collocata
nella coscienza individuale. Primitivi, poeti e bambini sarebbero i testimoni dell’originaria pienezza
vitale, di un modo di vivere autentico in armonia con la natura, dove non vi è separazione tra soggetto e oggetto. Ma questo montaggio di immagini che restano ancorate al passato senza volontà di futuro; questa esaltazione dei primitivi, dei poeti e dei bambini; la ricerca, in altre parole, della
salvezza nelle origini, è per Bloch espressione dell’insoddisfazione della borghesia in declino. La
miseria del presente porterebbe il borghese «che sta andando a fondo» a cercare la felicità
all’indietro (ET, p. 278). L’origine, però, non si dà mai in quanto tale, la «natura originaria» non si trova da nessuna parte. L’essere umano non è mai esistito in quanto essere cosciente o fin dall’inizio compiuto, è sempre stato una «variabile della x» (ET, p. 279), un problema della coscienza. Lo stato dionisiaco non rappresenta l’origine, ma solo un altro tentativo di determinazione dell’essenza dell’uomo, per altro preceduta e seguita da altre.
Infatti la sostanza reale dell’uomo e del mondo può essere afferrata, diventare realtà e venire rettificata solo alla luce della storia, non all’«inizio». L’unico merito di Klages è avere indicato anche la «vita», al posto dell’angoscia e della «cura»; di averla mostrata nell’esistenza di un «soggetto» che non ha più «vita», né come borghese, né come alto
borghese e di conseguenza sotterra bei cadaveri (ET, p. 280).