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La prostituta e la moglie: figure di estraneazione femminile

Excursus I: Monoteismo e divieto delle immagini

4. Maschile e femminile. L’essenza della modernità

4.1. Georg Simmel, Lou Andreas-Salomè e Ludwig Klages

4.1.1. Il femminile e la differenza di genere nei movimenti femministi tedeschi di fin-de-siécle

4.2.1.1. La prostituta e la moglie: figure di estraneazione femminile

Riguardo al tema della prostituzione nell’opera di Reventlow, von Hammerstein sottolinea come, nella stilizzazione dell’etera, l’autrice non tenga conto dell’aspetto della vendita del corpo,

perdendo conseguentemente di vista la grave situazione della prostituzione del suo tempo.215Infatti,

l’etera nel senso di Reventlow non è la donna che si dà per soldi, ma per piacere. È il tipo di donna

che vive liberamente la propria sessualità al di sopra di qualsiasi vincolo di natura morale, economica e sociale. Il modello ideale a cui aspira Reventlow è quello messo in scena da lei stessa nella propria vita quotidiana, in cui non farà mai la prostituta o la dama di compagnia. Anche nei momenti del bisogno più estremi la prostituzione occasionale viene considerata come un espediente per guadagnare qualche soldo in più, e non viene mai recepita come soluzione definitiva del problema economico.

Analogamente anche il matrimonio, come appare chiaramente nel romanzo Der

Geldkomplex, è una farsa per poter ottenere una fetta di eredità (CD, pp. 36 e segg.). Davanti quindi

alla scelta di dover ricorrere alla prostituzione occasionale per poter mantenere se stessa e il figlio

213von Hammerstein 1999, p. 295. 214

Günter 2002, pp. 227 e segg; Finger 2005, pp. 321-322.

non si tirerà indietro, preferendo questa scelta non solo al matrimonio patriarcale, ma a qualsiasi impedimento alla sua libertà.

Arrivo a casa stanca, sono contenta di avere un po’ di soldi in più in tasca e di tornare dal mio piccolo Bubi. Ma se mai

dovesse prendersela con me, quando da grande butterà un occhio negli abissi attraverso i quali sua madre occasionalmente è passata – allora dovrebbe piuttosto prendersela con me, se lo lasciassi morire di fame, e mi uccidessi con le traduzioni. (TB 22.08.1898)

Secondo von Hammerstein il mancato confronto con il tema della prostituzione sul piano sociale è da attribuirsi alla prospettiva individualista di Reventlow. Tale prospettiva le avrebbe impedito di comprendere che il dover ricorrere alla prostituzione rappresentava un problema strutturale legato alla carenza di possibilità impiegatizie per la donna, ed in particolare per le madri sole.216 In altri termini, il fatto che nella sua vita privata Reventlow riuscisse in qualche modo a scendere a patti con la vendita del proprio corpo non può, secondo tale critica, avere un valore sul piano sociale.217

Tuttavia, rispetto a quanto affermato da von Hammerstein, va aggiunto che, all’epoca del fin-de-siècle, il rifiuto della prostituzione andava di pari passo con una concezione morale molto rigida.218 Non solo nell’ambito della borghesia, in cui prostituzione era sinonimo di malattia e

sporcizia, ma anche secondo l’ala più conservatrice della stessa critica femminista. Ad esempio il

movimento femminista borghese, si prodigava con Helene Lange contro la prostituzione, riconoscendo nel matrimonio la forma più elevata per la convivenza dei sessi, e screditando di conseguenza le madri sole. Al contrario Reventlow rifugge il matrimonio e considera la

prostituzione come l’altra faccia di una morale coniugale repressiva.

Nei suoi scritti, così come nella sua vita, Reventlow promuove il diritto della donna

all’autoaffermazione, soprattutto in relazione all’erotismo, mettendo sullo stesso piano la figura

della prostituta e quella della moglie borghese. Di contro a quel «vociare del movimento femminista volto ad abolire la prostituzione», in Das Männerphantom der Frau, Reventlow sostiene che la prostituzione non sia contraria alla natura femminile, ma anzi è la natura stessa a «produrre il tipo della prostituta» (MF). A sostegno di tale tesi Reventlow fa riferimento agli studi di Pauline Tarnowskaja,219 collaboratrice di Lombroso, la quale sulla base di diverse analisi compiute sulle prostitute, avrebbe dimostrato la presenza in alcune donne di una predestinazione genetica alla prostituzione. Richiamandosi agli studi fisiognomici e naturalisti del tempo, Reventlow giunge ad

216Ivi, p. 302. Per un quadro generale della situazione della prostituzione nella Germania di fine Ottocento si veda: Evans1976; Krafft 1996.

217von Hammerstein 1999, p. 303; Egbringhoff 2000, pp. 105-6. 218

Felski 1995, pp. 19-20; Gerhard 1992.

affermare che la prostituzione non sia contraria «all’autentica natura femminile», anzi, persino le

«innumerevoli donne “perbene” e rispettate, vivono nel matrimonio la vita da prostituta. Con l’unica differenza che è un solo uomo, invece che tanti, quello a cui si concedono quotidianamente

senza amore e senza sentimento, il quale per questo le deve accudire – senza che mai il loro buonsenso vi si ribelli» (MF).

Reventlow non si appella però solo alla prospettiva naturalista per affermare la propria critica al matrimonio, ma anche al pensiero nietzscheano. Come altre autrici di fine Ottocento influenzate da Nietzsche,220la contessa riconduce il rifiuto della prostituzione alla morale cristiana, «quella doppia morale che condanna la prostituzione senza avvedersi che il matrimonio non è altro che una prostituzione legalizzata» (VH). Il tema della prostituzione passa quindi in secondo piano, se paragonato alle «terribili conseguenze» del vincolo matrimoniale. A partire da Nietzsche, si assiste infatti ad una generale messa in discussione della sessualità e dei rapporti di forza tra i sessi, in cui la critica alla morale cristiana, intesa come negazione delle “pulsioni vitali”, si declina in un rifiuto del matrimonio patriarcale.221 Nello specifico, svelando le conseguenze della repressione delle pulsioni carnali della donna attuate dal cristianesimo, Nietzsche mette in crisi affermazioni generalmente accettate come quella che la donna non avrebbe una sessualità e che il sesso

all’interno del matrimonio non sarebbe un piacere, ma un dovere.222 È nel contesto dell’influenza

nietzscheana che va dunque inserita la critica reventlowiana al matrimonio e alla monogamia, intesi principalmente come limitazione degli istinti e della libertà.

È così che a mio avviso stanno le cose con l’affermazione secondo cui la donna è monogama! Sì, perché siete voi a

portarla a ciò! Poiché le insegnate il dovere e l’abnegazione, dove dovreste insegnarle la gioia e il desiderio (VH).

La liberazione sessuale nel senso di Reventlow è quindi strettamente legata al tema nietzscheano del

«dire sì alla vita». In altri termini, si può dire che l’immoralismo di Nietzsche nel nome della vita si

declini per Reventlow in un immoralismo in nome del «libero amore», da lei percepito come la forma più alta di affermazione della vita.223

L’importanza della filosofia nietzscheana viene ribadita lungo tutto l’arco dell’opera di

Reventlow. Ad esempio nel romanzo autobiografico Ellen Olestjerne, l’autrice racconta dell’effetto liberatorio e catartico avuto dalla lettura dello Zarathustra sulla propria adolescenza (EO). Inoltre,

220A proposito dell’influenza di Nietzsche sulle pensatrici di fin-de-siècle si veda l’ormai classico Brann 1976; Diethe

2000. Sul pensiero di Nietzsche relativo al tema della prostituzione e il suo essere a favore della sua legalizzazione si veda Leis 2000, p. 9. Sul tema della prostituta si veda l’interessante saggio Buck-Moss 1986.

221Tebben 1999a, p.11.

222 F. Nietzsche, Der Antichrist, in Id., F. Nietzsche, Sämtliche Werke. Kritische Studienausgabe, G. Colli e M. Montinari ( a cura di), vol. 6, München e Berlin/New York, 1980, p. 235, Af. 53.

nei saggi degli anni Novanta, come Viragines oder Hetären? e Das Männerphantom der Frau,

l’autrice fa riferimento a Nietzsche quale sostegno della propria concezione della femminilità e dell’importanza della maternità.

Tuttavia, per quanto il confronto di Reventlow con la questione femminile in generale, e con i movimenti femministi della fin-de-siècle in particolare, sia sicuramente plasmato dalla filosofia nietzscheana bisogna pur sempre considerare l’ambivalenza dell’apporto di Nietzsche alla questione femminile. Da un lato Nietzsche afferma l’autonomia della donna sul piano sessuale, dall’altra non

le riconosce un’identità propria. La critica del filosofo all’immagine della donna tipica dell’era guglielmina, si limita infatti ad evidenziare la sola repressione sessuale, accettando d’altra parte la

riduzione del ruolo della donna alla sola funzione domestica. In altri termini, la critica nietzscheana

alla «generale misoginia» del tempo non mette in discussione l’inferiorità della donna rispetto all’uomo, la quale anzi viene posta sullo stesso piano di piante e animali.224

Non sono solo però le letture nietzscheane, ma anche l’opera di Ibsen,225 ad offrire a Reventlow un punto di riferimento teorico per la sua già viva propensione a ribellarsi alla rigida educazione che le spettava in quanto donna. Letture come Brand e Peer Gynt, scrive ancora Reventlow nel proprio romanzo autobiografico Ellen Olestjerne – definito dalla letteratura secondaria anche come un romanzo ibseniano226 –, le avrebbero permesso di capire che non erano

«impossibili fantasmi mentali quelli contro cui lottava» (EO). Rispetto a Nietzsche, le letture di Ibsen sembrano offrire a Reventlow una maggiore coscienza della propria identità di genere. Ibsen, aveva infatti mostrato nei suoi drammi le menzogne della vita borghese, la doppia morale

matrimoniale e l’importanza dei diritti femminili. La dimensione etica e il ruolo della donna era quello che più affascinava Reventlow dell’opera di Ibsen, poiché accendeva la speranza in un tipo

nuovo di umanità capace di non conformarsi ciecamente alla morale imposta dalla società, ma di agire liberamente, diventando solo così veramente consapevole e morale. In un commento al romanzo ibseniano La donna del mare, Reventlow scrive:

Io credo inoltre fermamente che si possa arrivare ad una vera etica non tanto attraverso la costrizione morale – a cui si sottopongono quasi tutte le donne e le ragazze – quanto attraverso la libertà. Dovessero pure in questo modo andar perse queste assurde e ridicole leggi morali (Br., p. 56).

224

F. Nietzsche, Jehnseits von Gut und Böse, in KSA, vol. 5, Cap. 7. Si veda a proposito: Brann 1976, p. 32; Eberlein 1999; Diethe 2000, p. 62; Nesbitt Oppel 2005.

225Reventlow, trasferitasi a Lubecca con la famiglia nel 1899, farà subito parte del club di Ibsen. Clubs come questo iniziano a comparire in tantissime città della Germania guglielmina. Tanto che Wolkskehl annovera nei suoi ricordi di

gioventù un «Ibsenclub» e Klages parla addirittura dell’«età ibseniana». Schroeder 1966, p. 72.

In Ellen Olestjerne, nel solco tracciato dall’opera di Ibsen, Reventlow mette in luce le difficoltà riscontrate da bambina, legate soprattutto a una questione di genere, davanti alla rigidità

dell’educazione aristocratica, insistendo sulla necessità di superarle. Mentre i fratelli maschi

godevano di una libertà illimitata, lei in quanto femmina doveva sottostare a regole che limitavano la sua vivacità e personalità. Infatti, secondo la visione patriarcale della realtà, rappresentata nel romanzo come nella vita dalla figura materna, vitalità e creatività sono considerate non-femminili.

Ellen arrivò presto alla conclusione che tutto ciò dipendeva dal fatto che lei era una bambina; le toccò infatti sentirlo

un’infinità di volte – le bambine piccole non possono essere così selvagge – le bambine non si arrampicano sugli alberi – ma desiderano vestitini rosa e bianchi […] «Se solo fossi un maschio!» si lamentava talvolta disperatamente con la

sua amica (EO).

Le difficoltà vissute da Ellen in ambito familiare non sono l’espressione di una sofferenza

personale, ma sintomi delle contraddizioni presenti nell’educazione guglielmina riservata alle donne

del tempo. Il fatto che Reventlow elevi nel proprio romanzo un’esperienza personale a problematica

strutturale della società, fa sì che tale esperienza assuma una valenza politica.227

Reventlow propone dunque con il suo primo romanzo un’evidente critica all’educazione femminile, facendo proprio, quasi contro Nietzsche, il concetto dell’affermazione della vita a tutti i costi e ponendo il valore della libertà al di sopra di ogni altro. Mentre per Nietzsche il valore assoluto della libertà non viene esteso ad una riconsiderazione delle libertà concesse alle donne, Reventlow, proprio in quanto donna, mette in questione il tema della libertà in relazione alla condizione femminile. Libertà, non solo in campo sessuale, ma in tutti gli ambiti della vita. È in

questi termini che va inteso il rifiuto dell’educazione femminile e del ruolo della donna come

moglie e casalinga, in quanto restrittivo e contrario alla libertà individuale. In una lettera-manifesto della contessa, non ancora ventenne, scritta al suo primo amore Emanuel Fehling, la libertà viene posta come unica possibile definizione di se stessa:

Io voglio e devo una volta diventare libera; è profondamente parte della mia natura, questa infinita brama e tensione verso la libertà. Il minimo vincolo, che altri non riconoscono neanche come tale, mi opprime in modo insopportabile, insostenibile, e io devo battermi, scontrarmi contro ogni vincolo, ogni limitazione. [...] Non dovessi rendermi libera, non dovessi salvare me stessa – io so che altrimenti soccomberei (Br., p. 154).228

227Tebben 1997, p. 210; von Hammerstein 1999, p. 296. Il nuovo movimento femminsta tende sempre più ad attribuire alla dimensione privata un assetto politico. Cfr. Morgan 1970.

Nel panorama della critica femminista del tempo è difficile trovare una così decisa e assoluta richiesta di indipendenza e pretesa di libertà come nel pensiero di Reventlow. Alla peculiare

declinazione del tema della libertà presentata dall’autrice va inoltre aggiunta la discussione

strettamente correlata di temi quali la sussistenza economica e la questione morale. Tali temi, centrali per il femminismo del tempo, assumono, come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo, un

peso diverso a seconda dell’inclinazione politica dell’autrice che li tratta, tanto che si assiste di volta

in volta al prevalere della questione morale rispetto alla questione economica e alla richiesta di libertà, o viceversa.

Generalmente, nell’ambito della critica femminista, la libertà, e in modo particolare la

libertà sessuale passa in secondo piano rispetto alle tematiche concrete della sussistenza economica, e anche il tema della prostituzione viene ancora trattato secondo i dettami della morale cristiana. Solo alcune esponenti del femminismo radicale, come ad esempio Stöcker, giungono a reclamare un livello di indipendenza paragonabile a quello richiesto da Reventlow e se rifiutano la prostituzione

non è per motivi legati alla morale, ma all’emancipazione femminile. Stöcker, non considera “naturale” il fatto che una donna si trovi dinnanzi alla necessità di ricorrere alla prostituzione, ma

una conseguenza della discriminazione sessuale e della difficoltà per una donna di trovare possibilità impiegatizie.229 Reventlow, invece, pur presentando spunti originali in relazione al tema

dell’educazione femminile e dell’emancipazione sessuale – anche rispetto alla critica femminista

del tempo –, non apporta alcuna novità sul piano dell’emancipazione professionale della donna, restando in tal modo legata ai pregiudizi biologisti del tempo sui rapporti tra i sessi.230