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Excursus II: Il tema dell’Eros in due scritti di Ludwig Klages

2. Dell’Eros Cosmogonico: contemplare la lontananza

In Dell’Eros Cosmogonico, Klages perviene certamente ad una trattazione molto più

strutturata dell’Eros rispetto a quella presente nel saggio su George. Si assiste al venir meno del “suolo tellurico” e del fremito anelante presenti nelle analisi della poesia di George. Il filosofo

elabora ora sistematicamente la propria concezione del desiderio, prendendo le distanze dalla tradizione occidentale. Sono tre gli autori con cui si confronta per pervenire alla propria definizione

dell’Eros: Platone, Schopenhauer e Nietzsche, con l’obbiettivo primario di svincolare la nozione di

desiderio da quella di impulso sessuale e di restituire alla struttura desiderativa la propria

significazione originaria. La presa di distanze dall’erotica platonica è particolarmente rilevante,

poiché essa, secondo la prospettiva klagesiana, è all’origine dell’intero modo di intendere il

desiderio nella tradizione occidentale. Il concetto platonico dell’Eros si sarebbe infatti sostituito al

concetto originario di Eros cosmogonico, comportandone l’oblio. A differenza dell’Eros

cosmogonico, l’Eros filosofico introdotto da Platone mira a «sostituire all’eccitazione psichica dello stato erotico un’affezione della ragione». Davanti al divenire della realtà, all’accadere cosmico, non

vi è abbandono estatico né contemplazione, ma necessità di astrarre e fissare idee quali oggetti

dell’impulso erotico. In questo senso viene meno l’aspetto contemplativo dell’Eros a cui si

sostituisce la brama di possesso rivolta a quegli oggetti preventivamente estratti dalla totalità vitale.

Secondo la prospettiva platonica l’amato racchiude in sé «la bellezza, la bontà, l’eccellenza» (EC,

41) e, indirizzando il proprio amore alle sue qualità terrene, si ha la possibilità di attingere alle qualità in se stesse, approdando in tal modo all’aldilà ultrasensibile.

Facendo riferimento ai dialoghi «propriamente erotici» di Platone, il Simposio e il Fedro,

Klages considera la struttura erotica lì presentata come il frutto di una riduzione dell’intera dinamica del desiderio all’impulso sessuale.

Per la concezione di Platone, nonostante la distinzione tra un amore ‘terreno’ ed uno ‘celeste’, l’origine è stata il sesso e non l’Eros. (EC, 49)302

Nello specifico, secondo Klages, nonostante Platone faccia riferimento alla «beatitudine spirituale»,

essa ha pur sempre «il carattere dell’appagamento rispetto a una precedente aspirazione, proprio come la voluttà sessuale dell’atto dell’accoppiamento appaga il precedente impulso all’unione»

(EC, 49). Secondo la concezione platonica espressa nel Simposio, l’amante trova nell’amato la

possibilità di colmare la propria incompletezza originaria e il desiderio, sia se rivolto al «corpo» sia

se rivolto all’«anima», viene a configurarsi come uno stato di bisogno, di mancanza. L’Eros viene

dunque caratterizzato come uno stato di tensione, come un tendere a e quindi come un particolare stato di bisogno che cerca appagamento. Ridurre, con Platone, il desiderio alla voluttà significa

secondo Klages definire l’intera realtà in base alla legge cieca del bisogno, che inevitabilmente si

scontra con il suo limite intrinseco di non poter trovare soddisfazione.

Klages ravvisa nella teoria di Schopenhauer un primo passo all’interno della storia della

metafisica occidentale verso il rifiuto della concezione erotica di Platone. Facendo riferimento a

Schopenhauer, secondo cui l’appagamento della volontà esiste solo nel fugace attimo del passaggio dallo stato del non possedere a quello del possedere, Klages mostra l’infondatezza della beatitudine basata sull’appagamento. Tuttavia, Klages prende le distanze pure dalla posizione di Schopenhauer, che cerca soluzione al circolo vizioso della volontà nell’ascesi come astensione da qualsiasi tipo di volere. All’impossibilità di soddisfare il desiderio – che sempre di nuovo «rinasce in nuova forma e

con esso il bisogno, altrimenti ecco la tristezza, il vuoto, la noia: nemici ancora più terribili del bisogno»303 – Schopenhauer oppone infatti la noluntas, l’annullamento della volontà. In tal modo

la sua posizione non si distingue più di tanto dalla “fuga” platonica nell’iperuranio davanti alla fugacità del possesso corporeo (EC, 50). Per Klages entrambe le posizioni illustrate si dimostrano

dunque incapaci di cogliere la dinamica dell’Eros, riducendo lo stato di beatitudine all’eliminazione

di una privazione.

Rispetto a Schopenhauer, secondo cui il circolo della volontà coincide con l’intera realtà,

Klages riconduce la spinta al volere alla sola dimensione umana. La vita è molto più che «tendere, aspirare, desiderare», altrimenti l’ebbrezza erotica non sarebbe altro che espressione di un bisogno.

Facendo riferimento all’ebbrezza dionisiaca del Nietzsche della Nascita della tragedia, Klages

mostra, contro Schopenhauer, l'irrealtà della volontà (EC, 45-52). L’essere umano, prescindendo

dalla dimensione della volontà, e quindi da quella dimensione “troppo umana” che gli è propria,

può ancora sperimentare un tipo di desiderio non rivolto al possesso. La volontà non esaurisce

dunque la dinamica desiderativa e l’ebbrezza erotica non ha niente a che vedere con l’appagamento sessuale o con un qualsiasi impulso istintivo nato da un bisogno. L’ebbrezza erotica è si voluttà ma

è così poco simile a quello di un qualsivoglia bisogno che dobbiamo contrassegnare ciò che in esso è impeto come impeto dello straripare, della raggiante effusione, dello smisurato donarsi. Non è bisogno o mancanza, ma esuberanza della pienezza più sorgiva, fiamma che sparge oro e gravidanza di mondi (EC, 51).304

303A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, trad. it. di N. Palanga, Mursia, Milano 1969, p. 355, cit. in EC, pp. 49 -50.

Riecheggiando la ricchezza del sole – che si sente davvero ricco solo quando, irradiando con i suoi

raggi sul mare, fa sì che anche il «più povero dei pescatori remi con un remo d’oro»305 – l’erotica klagesiana si avvicina all’ebbrezza dionisiaca nietzscheana. Entrambe hanno in comune lo «straripare» dell’anima, che «spezza la barriera dell’individuazione e rituffa la vita del singolo nella

vita degli elementi» (EC, 52).306 Il desiderio non è più conseguenza di bisogno e mancanza, ma pienezza e forza dirompente. Pienezza in espansione che rende labili i confini tra il Sé e l’Altro,

lasciando che l’io si abbandoni per donare se stesso e solo così avere.

Nonostante la profonda assonanza con l’estasi dionisiaca, l’Eros tematizzato da Klages si

distanzia ulteriormente anche dalla concezione nietscheana. Nell’estasi erotica klagesiana è infatti

fondamentale il tratto dell’estraneità [Entfremdung] e della conseguente possibilità di creazione simbolica. Se non si presupponesse una distanza tra anima e immagine, l’anima dell’iniziato diverrebbe tutt’uno con il fluire cosmico dell’eternità, disciogliendo completamente la propria

essenza.307 Questo è ciò che accade secondo Klages nel tipo di estasi teorizzato da Nietzsche, in cui si assiste «ad una selvatichezza che afferra irresistibilmente e che si mostra totalmente priva della

dolcezza dell’Eros». Tale dolcezza è ciò che avvicinando al contempo allontana l’anima del singolo dall’altro da sé. Poiché l’Eros «anche nell’attimo del più alto compimento rimane un Eros della lontananza [Eros der Ferne]».

Infatti ciò con cui sono diventato una cosa sola non è più presente davanti a me; la sua e la mia realtà sono confluite in

una sola realtà. […] Il legame erotico non è mescolanza: esso lega i poli senza negarli. (EC, 73)

Attraverso il tema della lontananza Klages prende dunque definitivamente le distanze da

tutte quelle concezioni dell’Eros che a suo avviso hanno determinato il modo di intendere il

desiderio nella cultura occidentale, da Platone, Schopenhauer e Nietzsche. Il tratto della lontananza definisce quel legame in grado al contempo di congiungere e mantenere la distanza originaria nei

confronti dell’Altro. In questo senso la lontananza è un elemento imprescindibile dell’Eros, poiché se viene meno, nell’abbandono all’Altro, allora «ciò con cui io sono diventato una cosa sola, non è

più presente davanti a me». Per questo motivo il legame erotico non può essere mescolanza o

fusione, sennò amante e amato non esisterebbero più l’uno per l’altra (EC, 73). E “amato” può

significare di volta in volta essere umano, vegetale, animale e ancora qualsiasi apparizione fenomenica, in quanto ogni immagine, eludendo qualsiasi tentativo di possesso, porta con sé nella

propria vicinanza l’eterna lontananza.

305F. Nietzsche, La Gaia Scienza, trad. it. di F. Masini (a cura di), Milano 1991, p.188. Cit. in EC, p. 53.

306È lo stesso Klages a mettere in luce la vicinanza tra la sua (e di Schuler) concezione dell’Eros «cosmogonico» e lo

stato dell’ebbrezza dionisiaca teorizzato da Nietzsche.

Tornando, dopo quanto illustrato, al confronto tra il concetto di Eros espresso da Klages nel testo su George del 1902 e quello presentato in Dell’Eros Cosmogonico, si può senz’altro

confermare la maggiore sistematicità nella trattazione del tema nell’opera del 1922. Attraverso un

confronto puntuale con la storia della metafisica occidentale, Klages perviene qui ad una propria definizione del desiderio come abbandono alla lontananza a cui rimanda ciascuna presenza. Solo

nell’ottica della realtà delle immagini si può dunque comprendere un desiderio non rivolto al

possesso. Tuttavia, può essere affermato che, già nel 1902, Klages giunge a considerare l’Eros come Eros della lontananza, riferendosi ad esso come termine ultimo per distinguere l’Eros pagano dalla Caritas cristiana all’interno dell’opera di George. Si tratta in ultima analisi della differenza tra il desiderio rivolto al singolo individuo e il desiderio rivolto alla manifestazione dello stesso, alla sua immagine. Nell’ottica della ‘realtà delle immagini’ non c’è dunque posto per il possesso, poiché

l’immagine nella sua essenza sfugge a qualsiasi tentativo di fruizione immediata, volatilizzandosi nell’attimo stesso in cui viene afferrata, divenendo parola, concetto, ma non più immagine.

Analogamente il desiderio erotico rivolto ad una persona determinata, piuttosto che ad un oggetto specifico, e non più alla manifestazione della stessa, resta privo della dimensione della lontananza a cui al contrario ogni immagine, in quanto manifestazione seppur parziale del tutto, ha sempre in sé.