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boiardesco in direzione bembesca piuttosto che bernesca? Esperienze traduttive e volgarizzament

più o meno coevi alle meritorie traduzioni di Cornelio Agrippa,

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di

Erasmo,

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di Sleidan,

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di Giovio,

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di Boezio,

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di Giraldi.

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illuminati, perché l‟uomo, con il suo libero arbitrio, diventa solo «schiavo del diavolo» (ivi, 25).

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Plutarco Cheroneo, La prima [-seconda] parte delle vite di Plutarco […], In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de‟Ferrari, 1555. Traduzione di grossa risonanza, ribadisce il Garavelli, ebbe più ristampe, di cui tre gioilitine – 1559, 1560, 1561 - ; fu rimaneggiata da Leonardo Ghini nel 1566 e da Francesco Sansovino nel 1570.

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DOMENICHI 1560

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Gaio Plinio Secondo, Historia naturale […], tradotta per M.Lodovico Domenichi

[…], In Vinegia, Appresso Gabriel Giolito de‟Ferrari, 1561 (1562), più volte ristampata.

Si segnala la ristampa di un estratto della traduzione complessiva del Domenichi, con il titolo La descrizione d’Italia, introd. di Carlo Pascal, Pavia, Tip. Succ. Fratelli Fusi, 1920. Per l‟attività del D. traduttore si rinvia alla Nota al testo e all‟Apparato filologico dell‟edizione.

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Matteo Maria Boiardo, Orlando inamorato del s. Matteo Maria Boiardo conte di Scandiano, insieme co i tre libri di Nicolo de gli Agostini, nuovamente riformato per m. Lodovico Domenichi, In Vinegia, Al segno della Salamandra, appresso Girolamo

Scotto, 1545.

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Enrico Cornelio Agrippa Von Nettesheim, L’Agrippa. Arrigo Cornelio Agrippa

della vanità delle Scienze tradotto per M. Lodovico Domenichi […], in Venetia,

[Venturino Ruffinelli?], 1547. Il Garavelli segnala l‟edizione moderna:

Dell’incertitudine e della vanità delle scienze [trad. da Lodovico Domenichi], a cura di

Tiziana Provvidero, Nino Aragno, Torino, 2004. Astrologo, alchimista ed esoterista, Cornelio Agrippa è autore di un trattato dedicato a Margherita D‟Asburgo, il De

nobilitate et praeecelentia foeminei sexus (Anversa, 1529), che non poco dovette

influenzare la cultura europea, per la confutazione dei dogmi cattolici sui quali è fondata la visione misogina e sessuofoba della donna (l‟Inquisizione domenicana e

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francescana aveva perseguito non solo la caccia alle streghe in nome della presunta inferiorità della donna, teologicamente dimostrata su basi alquanto fatue, ma aveva mandato al rogo un numero incalcolabile di donne. A questa visione Cornelio ne oppose una di stampo ermetico-neoplatonico, che poi è alla base della concezione della donna nel nostro Rinascimento e nel trattato-palgio del D.). Accusato di eresia giudaizzante per la fusione della tradizione ermetico-cabalistica – consolidatasi in seguito al commento del Pimandro, il testo di Ermete Trismegisto scoperto in Macedonia il secolo prima, portato in Italia e tradotto da Marsilio Ficino – con quella cristiana, Cornelio ritenne che la Cabala fosse alla base della dottrina cristiana, essendo la legge trasmessa oralmente da Dio a Mosè. Il De incertitudine è un attacco conclamato contro le scienze e il clero: apparentemente, l‟opera è una retractatio di tutte le scienze occulte, che in realtà continuò a coltivare. Il trattato fu condannato al rogo dai teologi della Sorbona nel 1531, in pieno clima protestante. Il D. sentì la sua traduzione come qualcosa di effettivamente originale (in effetti era la prima traduzione in assoluto del trattato; seguì quella inglese del 1569, quella francese del 1582 e quella olandese del 1661): l‟opera fu dedicata a Cosimo I ed ebbe quattro edizioni cinquecentesche (‟47, ‟48, ‟49 e ‟52). È pur vero, però, che all‟epoca, dal momento che i poligrafi come lui inseguivano il facile successo editoriale, non c‟era gran distinzione fra raffazzonamenti, volgarizzamenti- centone, plagi e traduzioni. Per la sovrapposizione delle prassi di riscrittura dei classici e degli intellettuali riformati europei, cfr. la bibliografia in GIGLIUCCI 2000, 149-182 (157, n.21).

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Erasmo da Rotterdam, Paragone della Vergine, et del Martire, e una Oratione di

Erasmo Roterodamo a Giesu Cristo, tradotti per Lodovico Domenichi. Con una dichiaratione sopra il Pater nostro del S.Giovanni Pico della Mirandola, tradotto per Frosino Lapino, In Fiorenza, appresso Lorenzo Torrentino, 1554.

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Si tratta di John Sleidan, storico tedesco della Riforma: le stampe fiorentine anonime dei suoi Commentarii (1557) sono state attribuite al D., così come quelle dei

Nicodemiana di Calvino, per i quali cfr. GARAVELLI 2004.

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Delle Vitae di Paolo Giovio il Domenichi fu instancabile traduttore: per ragguagli

bibliografici rinvio a DOMENICHI 2008. Degno di nota, per la complessa vicenda editoriale, è il Ragionamento nel quale si parla delle imprese d’armi, et d’amore (Milano, Giovann‟Antonio degli Antonij, [imprimevano i fratelli da Meda], 1559), che

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In realtà Gigliucci non fa un‟apologia del D. plagiario stricto sensu,

quanto della sua abilità “enciclopedica” nella commixtio di topoi classici e

di scritture arditamente satiriche, ai limiti della deformante carica

espressionistica tipica del Satyricon di Petronio: in un‟ottica oltranzista e

forzata, sul piano delle scelte espressive, si potrebbe parlare di polifonie

discorsive corrosive delle scritture epico-didascaliche, di «eteroglossia

dialogizzata»,

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soprattutto in quella che sembra essere l‟operazione

figurava nell‟editio princeps del Dialogo dell’imprese militari et amorose […] con un

ragionamento di messer Lodovico Domenichi nel medesimo soggetto, In Vinegia,

appresso Gabriel Giolito de‟Ferrari, 1556 (1557). Il Garavelli sottolinea che il dossier del D. fu ristampato dal Giolito nel ‟58, nel ‟59 dall‟editore milanese, con l‟aggiunta di un Discorso che Girolamo Ruscelli aveva inserito nell‟edizione da lui curata per Giordano Ziletti. Il Dialogo del Domenichi e il Discorso del Ruscelli venivano riproposti a Lione da Guillaume Rouillé nel ‟59, il quale nel ‟74 aggiunse un intervento in merito di Gabriele Simeoni. Per le moderne edizioni si vedano le curatele di DOGLIO 1978 e di ORGEL 1979.

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Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, De’ conforti filosofici tradotti per

M.Lodovico Domenichi, In Fiorenza, Appresso Lorenzo Torrentino, 1550. Si conoscono

una „rinfrescatura‟ del Torrentino (1556) e una ristampa giolitina (1562/63), nonché l‟esistenza di un manoscritto non autografo conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

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Giovanni Battista Giraldi Cinzio, Commentario delle cose di Ferrara, et de Principi da Este […] tradotto per M. Lodovico Domenichi, In Fiorenza, Appresso

Lorenzo Torrentino, 1556 (ristampato, a Venezia e nello stesso anno, da Giovanni de‟Rossi).

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Backtin parla di «eteroglossia dialogizzata» in relazione al discorso narrativo di stampo modernista e post-modernista: la negoziazione di un significato è il frutto di un‟operazione complessa in ambito linguistico ed extra-linguistico. Se il linguaggio poetico, altamente autoreferenziale nella sua intrinseca costituzione materiale, punta all‟assolutezza del significato e, dunque, del discorso monologico e non dialogizzato, il linguaggio narrativo veicola una dispersione della persona narrativa che, per

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ossimoricamente più letteraria e anti-letteraria della produzione del

poligrafo: i Dialoghi, in edizione giolitina del 1562.

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autodefinirsi, si frantuma, si apre all‟altro, si dialettizza. Cfr. BACKTIN 1981; CARRANO 2007, 147-157.

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Nei Dialoghi, l‟opera di massimo impegno della maturità, cui il D. affidava la sua fama, il Nostro edifica un vero e proprio «monumento alla riscrittura e alla operosa mediocrità», redigendo dunque «una piccola enciclopedia di topoi del classicismo, ma capace di omogeneizzare e integrare testualità eteroclassiciste, oppure tematiche straordinariamente moderne, come la stampa o l‟impresistica» (cfr. GIGLIUCCI 1999, 89). Eppure, anche in un‟ottica marcatamente espressionistica in direzione anticortigiana e anticlassicista, il D. sfiora quell‟aurea mediocritas tipica solo di chi conosce anche le armoniche tessiture classicheggianti. Il volgarizzamento dell‟Aula di Ulrich Von Hutten, edito per la prima volta nel 1518, è un‟eloquente testimonianza. Si tratta di un dialogo anticortigiano, in cui Hutten rimaneggia a sua volta Enea Silvio Piccolomini, De curialium miseriis (1444). Il futuro Papa, Pio II, nell‟epistula

praefatoria a Johannes von Eich, lamentava addirittura le spiacevolezze visive,

acustiche, tattili ed olfattive dell‟universo curiale [nella stessa epistola, catalogo delle impudicizie e della balsfemìa, l‟autore tocca punte di altissima invettiva, in «un impasto luridamente concreto carnoso» di «tessere citatorie, loci e allusività», in una climax che esplode nella iuvenaliana esclamazione Qualis coena tamen!, ma che scavalca addirittura la misura del modello principe del Piccolomini, appunto Giovenale. Cfr. GIGLIUCCI 2000. L‟edizione dell‟epistola cui Gigliucci fa riferimento è a c. di W.P.Mustard (Aeneae Silvii De curialium miseriis epistula, Baltimore 1928). La marginalizzazione dei clientes è già nei classici – Giovenale, Marziale, Luciano - , ma Piccolomini ne fa un motivo laido: le delizie ittiche e carnee dei principi sono le carni «immundae, insipidae, fetentes» dei cortigiani, il formaggio è verminoso e sforacchiato, il burro è rancido. Il convito diventa il luogo delle obscoenitates, della carnevalizzazione: c‟è chi vomita, chi rutta senza alcun pudore («hic te praemit, ille ructat, et in faciem tuam vomit», p.50 dell‟epistola cit.); e non mancano nella descrizione del Papa i guai notturni di giacigli immondi, su cui non ci si adagia da soli («Comes adiungetur scabiosus, qui se tota nocte fricabit. Alius tussitabit, alius foetido flatu te perurgebit; interdum et leprosus tibi coniacebit», p.56). Il dialogo di von Hutten,

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memore dell‟icastico espressionismo piccolominiano, non ha comunque la stessa trama allusiva del modello, come efficacemente ribadisce PAPARELLI 1947, 125-133. I cibi marcescenti e rancidi («marcescentibus saepe ac rancidis carnibus in vas nihil purius coniectis»), il vino acido e con impurità («Vinum aut acidum aut quod ab alia sumptum mensa est, de quo biberat forte barbatus aliquis, barbam profuso nuper iure infectam habens»»): osservazioni forti anche quelle di Hutten, ma prive di climax e iperbole tonale e semantica. Il tutto scivola nel meno figurativo «bibitur, vomitur, effunditur». Di notte non si dorme, perché si canta a squarcia gola e i letti sono funestati dalla scabbia e dalla lebbra («et eundem tecum sortitur lectum aut ex ebriis illis unus, aut qui ex morbo puteat ac scabie infectus sit, aut cui spurce oleat anima, vel qui aliis tibi modis molestus. Adde lectos…ubi leprosus aliquis desudaverat»). L‟edizione critica di riferimento del

Misaulus in Gigliucci è a cura di E. Böcking, IV, Lipsia, 1860, 71 3-30/72 1-19. Al

terzo erede delle sconcezze “auliche” di certo non sfugge, come Gigliucci efficacemente sottolinea, l‟efficacia apotrettica del dialogo hutteniano, ma l‟intento del Domenichi vuole e deve essere di taglio completamente diverso: il poligrafo non può ostentare un elenco di sordidezze che offenderebbero il buon gusto di un ampio pubblico, per cui il più delle volte “scorcia” arbitrariamente lo stile “asiano” del modello ed opta per la

medietas stilistica. Francesco Sardo, il Misaulus domenichino, usa addirittura preamboli

di convenevoli perifrasi per non urtare la sensibilità di Andrea Lario-Castus: «Amo la verecondia in questo, et non la libertà del dire; non essendo convenevole che tutte l‟opere malfatte da ognuno habbiano ad esser proverbiate. Benché (se vale a dire il vero) quando io m‟accignessi a tale impresa, et cominciassi a parlarvi de‟ cibi stomacosi che vi si mangiano con somma ingordigia, dubito che voi commosso da simile indegnità ne potreste perdere il gusto. I vini o acetosi o incerconiti levati poco prima, non voglio dir dinanzi a chi, vi farebbono maggior nausea che l‟aceto caldo. I compagni, che fuora d‟ogni creanza vi si fanno commensali, di tanto vi sono gentili che se voi, solo a vedergli, non che a sentire il lezo della lor fetida briachezza, non v‟ammalate, avete la complession tutta di ferro». Sardo enuncia la vera condizione del cortigiano, costretto a dimorare in una «fetida sentina»: chi bazzica la Corte è come un soldato di Alessandro Magno o di Ciro re de‟Persi; ambedue si contentano di sedare fame, sete e sonno con pochissimi mezzi a disposizione, ma il soldato lo fa spontaneamente e per conseguire la gloria, il cortigiano forzatamente; il soldato si tempra, il cortigiano diventa solo un

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1.3a L’eclettismo degli intellettuali del Cinquecento e di Lodovico

Domenichi: un’invariante dell’antifrasi classicismo-anticlassicismo.

Premessa

Il classicismo rinascimentale riafferma la priorità umanistico-