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di Michelangelo e del Correggio: euritmia rinascimentale che, soprattutto nel campo delle arti figurative, si sarebbe presto esaurita a favore di linee

spezzate e contorte, di forzature espressionistiche, segno di una visione

turbata e inquieta del reale – in letteratura le deformazioni manieriste, già

presenti nelle pieghe crepuscolari e decadenti della poesia tassiana,

troveranno la massima espressione nel virtuosismo di Giambattista Marino.

Il rifiuto delle formulazioni dogmatiche post-tridentine e delle spinte

edonistico-naturalistiche

svilirà

i

presupposti

del

classicismo

rinascimentale con conseguenze di certo apprezzabili – l‟arte barocca e il

metamorfismo seicentesco, la “metafora” cangiante come stilema

dell‟espressività barocca - , ma in parte sarà un rifiuto di matrice

«antirinascimentale»

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o «controrinascimentale».

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Il lemma «antirinascimento» viene utilizzato da BATTISTI 2005. Nella praefatoria, Battisti precisa che il termine vuole essere traduzione del lemma inglese «counter- renaissance» (titolo originario della monografia di Haydn – The Counter-Renaissance, Charles Scribner‟s Sons, New York, 1950) e che significativamente utilizza il prefissoide «anti» per designare una frattura e non un‟evoluzione. Egli sottolinea che già l‟estetica rinascimentale svilisce «la dignità e monumentalità delle figure umane […] gradualmente distrutte dall‟emozionalismo e da quasi espressionistiche contorsioni fisiche e spirituali» (BATTISTI 2005, vol. I, XXIV), come se appunto il Rinascimento fosse già tensione iperbolica dell‟espressività barocca. Il Cinquecento per Battisti è già una rivoluzione, non in nuce, ma conclamata: è già anticlassicismo, in quanto privilegia l‟introspezione psicologica, la sensualità e l‟erotismo, il demoniaco e la superstizione, l‟alchimia e la magia. Se in arte il paesaggio non è più un ordito geometrico di forme lineari e di spazi conchiusi, ma di lunghe prospettive, di abbaglianti sovrapposizioni, se il paesaggio diventa panteistico e demoniaco; se in musica l‟ambiguità tonale infrange l‟ordine, in altri campi accade qualcosa di più sconvolgente, di più duraturo. Sul piano

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sociale si costruiscono città e Stati utopistici, ma è pur vero che, per la prima volta dopo l‟Ellenismo, si documentano i costumi sociali delle classi più basse. In filosofia l‟edonismo neoplatonico è già in sé rivoluzionario, in quanto detronizza la ragione “celeste” per creari mondi e specula sulla terra. Battisti ritiene che l‟etichetta “anticlassicismo” sia fuorviante, in quanto la rivoluzione si attua proprio utilizzando, in maniera massiccia, le fonti classiche, sia letterarie che visive. Viceversa, il lemma “manierismo” si attaglia maggiormente e sul piano cronologico (la categoria “anticlassicismo” sembra potersi applicare a qualsiasi epoca) e sul piano concettuale [il manierismo gettò le basi per la classificazione scientifica di alcuni ambiti epistemologici, per la creazione (in realtà Battisti parla di «esperimento sociale») di nuove forme di governo e per l‟invenzione di una nuova arte concettuale, fatta di emblemi arditi e oscuri]. In realtà non esistono definizioni univoche, perché in quella temperie l‟eleganza formale e il gusto decorativista coesistono con la violenza emozionale e la tortuosità espressiva (peraltro, quest‟ultima già si ravvisa in Botticelli e in Michelangelo); similmente la religiosità coesiste con l‟erotismo, il dogmatismo con il bisogno di sperimentazione, l‟edonismo con la dilagante malinconia, il razionalismo con le sforature surrealiste. Per esemplificare questa contrapposizione tra linearità e armonia naturalistiche e deformazione-distorsione surrealista, il Battisti riporta alcuni stralci della polemica galileiana contro Torquato Tasso, a favore di Ariosto. Con un linguaggio plastico, “architettonico” ed estremamente “visivo”, Galileo sostiene che il poema tassiano è un ammasso di relitti pietrificati e di fantocci tirati fuori all‟uopo, mentre quello ariostesco è una galleria farnesiana, con agate, lapislazzuli, statue, colonne e storie conchiuse (il testo di Galilei cui si allude è nelle Opere, Edizione Nazionale, Firenze 1899, vol. IX, comprendente gli Scritti letterari, 63 sgg., secondo le indicazioni di Battisti). E se manieristi furono già considerati un Botticelli o un Michelangelo, in virtù di quella leggiadria che eccede la misura e di quel furore che tanto piacquero al Vasari, lo si deve anche al Pre-Raffaellismo tardo-ottocentesco e al rifiuto delle retoriche dittatoriali primo-novecentesche che, nella ripresa degli ideali di

dignitas, gravitas, magnanimitas, nobilitas e magnificentia, avevano fatto del

classicismo una vuota parata di potere. In definitiva, il Battisti sostiene che il classicismo rinascimentale sia confinato ai primi quindici anni del „500, mentre il manierismo, originariamente formulato dalla poetica figurativa michelangiolesca,

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sarebbe più atto a contrassegnare tutto il secolo, prima dell‟avvento dello stile berniniano-rubensiano e prima dell‟affermazione, in letteratura, delle così dette poetiche “barocche”, ma che in realtà sono più autenticamente “manieriste”, ossia il concettismo e il gongorismo. «L‟uomo e l‟artista classico vivono nella convinzione che è possibile accettare, senza contrasti, l‟autorità o la disciplina di un ordine e di una regola fissa, in quanto essi credono ad una essenziale congruenza ed interrelazione fra ideale e realtà empirica, fra ciò che dovrebbe essere e ciò che è» (Haydn, The counter-

renaissance, cit., 15, in BATTISTI 2005, 28): il che equivale a postulare un‟intellegibilità e una regolarità che simulano la perfezione divina, la circolarità di una visione cosmologica tipicamente tomistica. I classicisti si relazionano, dunque, ad una regolarità che diventa limite, formulano leggi razionali universalmente valide che, nell‟ottica di Haydn, si infrangono sotto il peso delle tendenze eversive, sia di matrice filosofica che scientifica. L‟antirinascimento è cronologicamente ascrivibile al 1520 (momento risolutivo per tante ragioni politico-religiose): nonostante la vita culturale europea avesse toccato l‟acme «per il fasto dei committenti, per la crescente diffusione, tramite la stampa e l‟incisione, dei capolavori letterari e figurativi, ciò che caratterizza la nuova fase è appunto l‟incertezza, la mancanza sempre più palese di ottimismo, lo scivolare parallelo della letteratura e dell‟arte verso il cupo, il tragico, il tenebroso in una decisa opposizione alla solare serenità o indifferenza dei primi decenni del secolo, che avevano visto trionfare con Raffaello, l‟Ariosto e il Bembo un mondo d‟immagini singolarmente lontano dalla vita concreta. Né manca la condanna dell‟arte stessa come vanitas vanitatum, rispetto alla religione, la tecnica, la natura» (BATTISTI 2005, 38-39, in particolare i capitoli L’antirinascimento: alcune riflessioni dieci anni dopo, vol. I, XXIII- XXXIX, e Manierismo o Antirinascimento?, vol. I, 5-40).

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Per HAYDN 1967, il «controrinascimento» risiede nel rifiuto del dogmatismo raziocinante, delle smodate pretese dell‟intelletto speculativo, che pretende di penetrare Dio e la Natura: il rifiuto, a ben vedere, ha radici molto più antiche, se pensiamo, insieme ad Arpad Steiner [The Faust Legend and the Christian Tradition, «PMLA», LIV (1931), pp. 391-404, cit. in HAYDN 1967], che già a partire da Agostino l‟attacco alla Scolastica, nata «con il sorgere dell‟intellettualismo» (396), è latente, ma, soprattutto da Petrarca a Cartesio, sono presi di mira quanti ritengono di essere vicini a Dio, di partecipare dei suoi piani e dei suoi misteri, insomma quanti peccano di hybris

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speculativa. [La storia del concetto di “controrinascimento” viene ripercorsa criticamente da Baird W. Whitlock, che recensisce Haydn sulla rivista «Bibliothèque d‟Humanisme et Renaissance», XX, 1958, 434-449, mentre lo stesso era già stato adoperato in precedenza da Theodore Spencer nel 1938 per Shakespeare, nel famoso articolo Hamlet and the nature of reality, in «English Literature History», V, n. 4 (dicembre 1938), 253-277]. La disamina di Haydn è onnicomprensiva e mitteleuropea, in quanto chiama in causa uomini di lettere, filosofi, ma anche alchimisti: di Erasmo cita il delirio umano di voler possedere tutti i misteri della natura; di quel Cornelio Agrippa von Nettesheim, che pure incuriosì il Domenichi, riporta alcuni passi del De

incertitudine et vanitate scientiarum (nell‟edizione francese di M. de Guendeville del

1726) sul visionarismo dell‟uomo, che ardisce visitare le superne regioni per poi discenderne e fabbricare globi; di Montaigne gli Essais e l‟icastica forza invettiva che smonta qualsiasi certezza antropocentrica; degli elisabettiani inglesi (Ben Jonson, Ralegh, Donne, Nashe, Sidney, Harvey) riporta passi di pari vis censoria. Per tutto il „500, la hybris morale degli umanisti rappresenta il controcanto alla hybris speculativa degli scolastici: se agli scolastici si rimproverava la fiducia smisurata nell‟intelletto capace di attingere verità escatologiche, agli umanisti si muove un analogo rimbrotto, ossia la fiducia eccessiva in una ragione che, guidata dalle humanae litterae e dai comportamenti veicolati dall‟auctoritas dei classici, attinge a modelli di virtù senza il ricorso a Dio. La polemica contro gli umanisti sposa automaticamente le istanze della Riforma: il sapere umanistico, fondato sulla ragion pratica che indica la virtù, a sua volta in antitesi con l‟intellettualismo scolastico, fondato sulla conoscenza teoretica, viene ripudiato perché contrario all‟imperscrutabile progetto di Dio. La rivolta “antiintellettualistica” e “antimoralista” del XVI secolo non risparmiò nessun ambito, la religione, l‟estetica, la filosofia, l‟etica e la politica: sia che si opponessero alle solide impalcature logiche della Scolastica, sia che tentassero di scalzare la teologia razionale dei neoplatonici e la pretesa speculativa di formulare leggi razionali universalmente valide, tutti i ribelli si appellarono al divario tra ideale e reale, postulando uno scetticismo epistemologico che è alla base della seconda diramazione del pensiero rinascimentale, appunto il „controrinascimento‟. Questa tendenza fu “contraria” alla corrente principale del Rinascimento umanistico, ossia alla rinascenza delle lettere classiche, della filosofia morale e del senso “greco” della percezione artistica delle cose,

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Il classicismo cinquecentesco confluisce sostanzialmente in due tendenze

divergenti – distinzione peraltro dettata dalla diversità delle realtà

municipali italiane e dalla doppia connotazione del rapporto tra intellettuale

e potere (ossia cortigiana e civile) - : il filone naturalistico, che trova piena

realizzazione nella trattatistica storiografica e politica, e il filone

spiritualistico-estetizzante, che ha in Pietro Bembo (Gli Asolani) e in

Baldesar Castiglione (Il Cortegiano) modelli altamente significativi.

Lo scrittore cinquecentesco, quantunque stipendiato e protetto dalla