• Non ci sono risultati.

Lodovico Domenichi (Piacenza 1515 – Pisa 1564) nasce e si forma in una realtà culturalmente e politicamente borderline: dopo gli studi d

108

I Ragionamenti di Aretino sono dialoghi in cui l‟autore illustra come il filo conduttore ideale non possa essere più il richiamo alle maniere aristocratiche: la protagonista è stata una monaca gaudente, una prostituta, portavoce di una morale cinica e spregiudicata. Il rifiuto del bembismo porta alla pirotecnica verbale di ritmi spezzati e al clangore carnevalesco.

78

grammatica e retorica a Piacenza,

109

inizia gli studi giuridici nelle più

prestigiose università di Padova

110

e di Pavia, incrociando i gusti e gli

109

Presso il glorioso Studium piacentino: nato nel 1248 come scuola vescovile preuniversitaria, fu successivamente il luogo deputato allo svolgimento di attività accademiche a vario titolo, fino alla seconda metà del Settecento, nei tre Collegi – dei Dottori e dei Giudici, dei Dottori di Arti e Medicina, dei Teologi. Per le origini dello

Studium piacentino si vedano i contributi di NASALLI ROCCA 1927, III-XXII; NASALLI ROCCA 1944, 19-28; NASALLI ROCCA 1956, 129-141. Per ulteriori indicazioni sulla storia delle Università tra Medioevo e Rinascimento, cfr. DEL FANTE 1980, 118, n.3. Le sorti dello Studium piacentino furono intimamente legate alla politica farnesiana dal 1545; l‟attività del Collegio dei Dottori e dei Giudici, documentata dagli Statuti, per le cui vicende tipografiche si vedano le note 41-44 (122) in DEL FANTE 1980, attesta che la maggioranza dei giureconsulti appartenessero alle più nobili famiglie piacentine – Scotti, Landi, Anguissola, Paveri da Fontana, Pallastrelli. Tra le più note personalità la Del Fante annovera: Pietro Antonio Pietra, consigliere di Alessandro Farnese e autore del De potestate principis (1599), trattato che lo condannò all‟Inquisizione; Alessandro Anguissola, versatile politico dei Farnese, dei Savoia e della Repubblica di Venezia, autore del trattato Del buon governo del principe; Girolamo Mentovato, governatore di Parma, autore di rime classicheggianti e amico del Nostro; Ottaviano, Giulio e Costanzo Landi, artefici della congiura contro Pier Luigi Farnese, insigni giuristi e letterati (si ricordi che Giulio fu amico stretto di Annibal Caro e pubblicò, per Giolito e per le cure del Domenichi, nel 1565 - in realtà, il primo volume fu edito a Venezia, il secondo a Piacenza dieci anni dopo - , una versione dell‟Artificialis introductio in decem libros

Ethicorum Aristotelis di Lèfevre d‟Etaples, intitolata Le attioni morali. Il Landi aveva

conosciuto il celebre umanista durante un soggiorno parigino del 1519: proponendone la diffusione in Italia, intese mediare la Riforma italiana con quella francese); Alessandro Ruinagia, ambasciatore presso Leone X e Francesco I, lettore pubblico della Bibbia e delle Istituzioni Imperiali nello Studio di Piacenza. Lo Studium annoverava, dunque, un‟ “eteria” di intellettuali politicamente versatili e propulsori di una trattatistica “imperiale” a livello periferico, nonché filoriformati e di formazione classicheggiante.

79

interessi di intellettuali di fama europea, quali l‟Alciati,

111

giurista e

filologo, nonché corrispondente di Erasmo, e Celio Secondo Curione,

110

A Padova il Domenichi si laureò in legge; nell‟agosto del 1539 si iscrisse al „Collegio dei notai e dei giuristi‟ di Piacenza, esercitando la professione legale fino al 1543 e coltivando contemporaneamente interessi letterari. Cfr. DBI 1991, 595.

111

Un profilo esaustivo del maestro del Domenichi è in TIRABOSCHI 1767, Tomo VII, Parte II, 730-736 (730): «Giano Parrasio lo istruì nella Greca e nella Latina lingua in Milano, e pochi scolari ebbe quel valentuomo, che a questo si potessero pareggiare. Nella Giurisprudenza udì singolarmente Giasone Maino in Pavia e Carlo Ruino in Bologna, e presto andò di gran lunga innanzi a‟suoi stessi Maestri, di che diede pruova col pubblicare in questa seconda Città, essendo ancora scolaro, e giovane di 21 anni, cioè nel 1513, le sue note su gli ultimi tre libri delle Istituzioni di Giustiniano da lui scritte nello spazio di soli 15 giorni». Dopo aver conseguito la laurea a Bologna, fu ammesso «con singolar privilegio» nel Collegio dei Giureconsulti di Milano. Nel 1518 fu chiamato a ricoprire una cattedra ad Avignone, in quanto era risultato «novator pernicioso» di legge con i „Paradossi‟ del Diritto Civile; ammirato da Erasmo, da Francesco Calvi, tronfio di se stesso per la fama che riteneva di essersi conquistato ovunque, dovette lasciare Avignone perché gli diminuirono lo stipendio. Ritornato in Italia, snobbò l‟incarico di Vicario di Provvisione a Milano, rientrò in Avignone per accettare poi un incarico a Bourges e per raggiungere nuovamente Bologna, per interessamento del Sadoleto. I cittadini di Bourges cercarono di trattenerlo in ogni modo: allo stipendio che già percepiva il re di Francia aggiunse una pensione di 300 scudi; il Delfino lo onorò con una medaglia, che valeva 400 scudi. Il profilo dell‟Alciati emerge anche in Giammaria Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia, Bossini, Brescia 1753- 63 (Tomo I, Parte I, pp.354 sgg), quantunque monco di alcuni particolari, come per esempio l‟omissione dei fatti narrati nelle lettere latine del Bembo, che tanto si adoperò per attrarre l‟Alciati a Padova: siamo nel 1532, anno in cui, in una lettera indirizzata dal Bembo a Bourges, si riscontrano l‟invito da parte del letterato a Padova, nonché l‟accenno di una richiesta, da parte dell‟Alciati, di una considerevole somma di „scudi d‟oro‟, che per il momento il Bembo non è riuscito ancora ad ottenere. Nell‟archivio ducale di Modena, inoltre, come ribadisce il TIRABOSCHI, ci sono altre lettere (una scritta da Bologna, il 27 dicembre 1538, a Lodovico Cato a Ferrara, un‟altra indirizzata

80

filoriformato. Prima di stabilirsi nella Serenissima,

112

“porto franco” di

un‟inedita libertà espressiva per gli intellettuali “sradicati” e scomodi,

al Duca Ercole II, da Pavia, il 15 marzo 1547, dalle quali emerge l‟avidità di questo «volubile» e «incostante» professore di legge). Itinerante fra Pavia, Bologna e Ferrara, la morte lo colse nel 1550: una morte singolare, a detta del Tiraboschi, che poeticamente trasfigura la fame d‟oro del giurista in un‟ingordigia letale. Di contro, l‟abate ne elogia l‟attività e le opere: l‟Alciati fu un giurista umanista; fino a quel momento le leggi, non rischiarate dall‟apporto delle altre discipline, giacevano in uno stato di barbarie. L‟Alciati, con rigore filologico, si avvicinò alle leggi attraverso lo studio delle antichità classiche e della storia greca e romana, liberandole «dalle scolastiche sottigliezze» e rischiarandole «co‟ lumi di una vasta ed universale erudizione». E così, un ambito pedante e tedioso come quello giuridico, fu travolto dalla rivoluzione dello scandaglio filologico dell‟Alciati, chiosatore appassionato della Storia di Tacito, delle Familiares ciceroniane e traduttore di alcuni epigrammi dell‟Antologia

Palatina. La personalità di questo inquieto, itinerante, eversivo e dotto giurista dovette

influenzare non poco lo stesso Domenichi.

112

Il Domenichi operò a Venezia dal 1544, a stretto contatto con filoaretiniani (il Dolce, il Betussi); d‟altra parte, lo stesso Aretino, grazie alla committenza tipografico- editoriale del primo nucleo di Lettere al Marcolini (1537- 38), avulsa da quella conformista della curia, dovette rappresentare per il Nostro il modello del poligrafo voltagabbana, dell‟intellettuale eteroclassicista profumatamente pagato. Il Domenichi, dall‟indole certamente più mediatrice di un Aretino o di un Franco, si inserisce pienamente, in un sottile e capzioso gioco di scambi epistolari (accuratamente ricostruito da BRUNI 1977, 52-67), nel meccanismo della sodale politica di rapporti, peraltro tipicamente rinascimentale, di attestazioni di stima, programmaticamente ribaltate dalla furibonda invettiva. Scambi di questo tipo, fra personaggi spesso ritenuti fieri ma servili, vituperosi e al contempo venali e pronti ad avvalersi dei vantaggi della penna, fanno luce proprio sulle profonde differenze degli attanti coinvolti nell‟andirivieni delle lettere: forse è utile rammentare che il Domenichi, abile trafficante e sottile voltagabbana, rientrò nei ranghi medicei come storiografo di corte, dopo una vicenda poco edificante; il Franco, invece, morì sul patibolo per le Pasquinate contro Paolo IV e la Controriforma: un epilogo degno della sua lingua biforcuta, di un

81

sollecitato da inedite spinte eteroclassiciste ed eterodosse, il Domenichi

lega il suo nome ad una breve, ma intensa e significativa esperienza

accademica d‟ispirazione bernesca: gli Ortolani.

113

Quantunque umanisti e

voraci lettori di filosofia, logica, retorica, poesia latina e toscana, avevano

adottato la falce priapea come “impresa” del club all‟insegna dello

sberleffo anticlassicista. L‟ “impresa” priapea, così come tutta la

produzione

di quell‟entourage, che peraltro annovera anche

volgarizzamenti (La Vita di Cleopatra e La Vita di Esopo di Giulio

Landi),

114

si inscrivono in una prassi conclamata, in pieno „500: l‟antifrasi

intellettuale nomade e scomodo che, a differenza del poligrafo piacentino, non seppe affatto giovarsi delle alleanze letterarie e politiche. Sui motivi che spinsero il Domenichi ad abbandonare la sua città natale, si vedano: NASALLI ROCCA 1896, 135- 142; DOGLIO 1978, 143 sgg; i sonetti CXI ed LVII del poligrafo in DOMENICHI 2004; GARAVELLI 2001, 177-208; FIORI 2002, 73-88.

113

Sull‟ “impresa” priapea e sull‟Accademia piacentina si confrontino: FERRO 1623, 282; QUADRIO 1739, I, 91; CERRI 1896; BONGI 1863, vol. IV, XVIII-XIX; MAYLANDER 1929, 146-149. Dopo la menzione esplicita degli „Ortolani‟ in Doni, Ferro, Quadrio e Maylender, l‟interesse per l‟ «ambiente letterario volgare piacentino», come efficacemente sottolinea Baucia (BAUCIA 1984, 141-182), si è sviluppato in più direzioni: R. Scrivano è partito dallo Specchio d’Amore del Gottifredi, un trattato antipetrarchista sull‟amore, emblema di una certa tendenza anticlassicista nella tradizione letteraria delle rime d‟amore in una realtà provinciale (cfr. SCRIVANO 1971, 265-295;); P. Grendler ha seguito le tracce del Doni, come d‟altra parte fa Baucia, ma ampliando l‟indagine ai carteggi di quegli anni (cfr. GRENDLER 1969); A. Del Fante si è invece occupata degli Ortolani nel più ampio contesto della produzione culturale farnesiana di Parma e di Piacenza (cfr. DEL FANTE 1978, L’Accademia degli Ortolani, in Le corti farnesiane di Parma e Piacenza 1545-1622, 149-170).

114

La Vita di Cleopatra Reina d’Egitto dell’illustre S. Conte Giulio Landi. Con una

oratione nel fine recitata nell’Academia dell’Ignoranti in lode dell’Ignoranza, in

Vinegia, MDLI; La Vita di Esopo tradotta et adornata dal conte Giulio Landi. Al molto

82

classicismo-anticlassicismo, che nel Nostro si colora di eclettismo

periferico, in un contesto tagliato fuori dalle dinamiche peninsulari.

L‟antifrasi diventa paradigma connotativo e cifra stilistica dell‟eclettismo

Venetia, per il Giolito, 1545: le due citazioni bibliografiche sono in BAUCIA 1984, nn. 43, 49. La presenza di questi volgarizzamenti nell‟ambiente piacentino segnala la necessità di valorizzare i classici: in primis Plutarco, quel Plutarco tante volte citato da Erasmo. Di stampo erasmiano, infatti, è la doniana Orazione in lode dell’ignoranza (infaticabile, peraltro, fu l‟attività di promozione e di sponsorizzazione delle opere di piacentini fuori da Piacenza da parte del Doni), mentre l‟antigrafo della traduzione del Landi si ravvisa nella plutarchiana Vita Antonii. Ora, se la tradizione delle Vite plutarchiane era autorevolmente quattrocentesca, l‟interesse erasmiano per Plutarco è tutto incentrato sull‟edizione dei Moralia, per le cure di Erasmo e di Demetrio Ducas e per i tipi di Aldo, 1509. Per “rigore” comparativo, sostenuto da una fitta trama di rapporti fra intellettuali periferici ed europei, nonché da precisi riscontri linguistico- filologici, ritengo similmente che l‟ “antigrafo” a stampa del Domenichi della traduzione de Il Convito de’ Sette Savi sia l‟editio princeps aldina del 1509. La Vita di

Esopo fu affidata proprio alle cure del Domenichi, dedicata dall‟autore a Girolamo

Anguissola giurista. In una praefatoria Domenichi si scusa di aver passato la Vita alle stampe, ma la sua excusatio è del tutto funzionale ad una politica editoriale di rilancio dei classici molto lungimirante diremmo, se si pensa che il volgarizzamento landiano della Vita Aesopi di M. Planude è citazione costante nelle edizioni canoniche delle favole esopiche. Il Domenichi, infatti, da scaltro “politicante” dell‟editoria periferica e da versatile manipolatore della parola, afferma di aver limato e restaurato un‟opera rozza, perché di Esopo si conoscano non solo le ingegnose trovate, ma anche la «divina sapienza».

7

Cfr. SCRIVANO 1971. Anche le cure editoriali del Gottifredi furono del Domenichi.

8

Cfr. BAUCIA 1984. Baucia, che adotta la classificazione e la cronologia di C. RICOTTINI MARSILI LIBELLI 1960, segnala diverse edizioni delle lettere doniane: due veneziane, per i tipi di Girolamo Scoto, rispettivamente del 1544 e 1545, due fiorentine, del 1546 e 1547, l‟ultima, veneziana per i tipi di Francesco Marcolini, del 1552.

9

Si tratta di un piacentino aretiniano, le cui rime sono tradite dal manoscritto Capponiano 74 della Biblioteca Apostolica Vaticana.

83

del Domenichi traduttore-volgarizzatore di Plutarco. Basterebbe solo citare

di quella fugace e apparentemente subliminale produzione accademica

farnesiana Lo Specchio d’Amore del Gottifredi,

115

emblema di una

trattatistica anticortigiana e di un antipetrarchismo misaulico sullo sfondo

di istanze bembesche e castiglionesche, riempite di contenuti diversi; ma

basterebbe anche solo attingere al corpus delle testimonianze epistolari

116

fra il Doni, autentico catalizzatore del circolo, e Isabella Sforza, Luigi

Cassoli,

117

Ottavio Landi,

118

Girolamo Anguissola,

119

lo stesso Lodovico

Domenichi, per documentare gusti e propensioni di quell‟ambiente: le

disinvolture filosofico-religiose della nobildonna autrice del trattato Della