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Il rientro a Firenze, breve e malinconico prima della morte a Pisa nell‟agosto del ‟64, nonostante le infauste congiunture di allogg

temporanei e di stipendi irregolari, fu un‟ennesima conferma di quella

«strategia d‟attesa» di garavelliana convinzione.

1.4

Incontro con l’opera: il

Sumpo@sion tÈn eépta# sofÈn

141

Il Septem Sapientium Convivium è un dialogo che Ziegler ascrive agli

«scritti di contenuto misto»:

142

Lo Cascio, moderno “editore” dell‟opera,

parla di un genere «dieghematico».

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Il D‟Alessandro, sulla scia del Bongi e del Poggiali, sostiene che il D., nuovamente perseguito dal Doni, fu coinvolto in una vicenda oscura, dalla quale riuscì però a svicolare fortunosamente, proprio in corrispondenza del suo soggiorno romano; Bramanti edita una lettera (datata 9 ottobre 1561, in ASF Mediceo del Principato, 490, c. 460r, cfr. BRAMANTI 2001,37), in cui il D. chiedeva a Cosimo il permesso di recarsi a Roma, nonché i finanziamenti, per un duplice «servigio» (personale e politico, dal momento che Pio IV gli aveva lasciato intendere di volergli affidare la redazione della biografia del fratello, Gian Giacomo dei Medici marchese di Marignano). Cosimo salutò felicemente l‟iniziativa, poiché il Marignano era stato capo delle sue truppe nella guerra di Siena; la biografia restò solo un progetto ideale, anche se una nota biografica del marchese risulta nella parte terminale di un codice (II.II.211) della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, di mano di Antonio da Sangallo.

141 Tale il titolo nel Catalogo di Lampria, mentre nei codici VΠ si legge tÈn eépta#

sofÈn sumpo@sion [V=Marcian. Gr. 427, s. XIV; Π=codices Planudei (αAE)].

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Cfr. ZIEGLER 1965, 289. L‟opera in questione corrisponde al n. 110 del catalogo di Lampria, catalogo che lo stesso Ziegler considera redatto con molta trascuratezza e con una così scarsa cognizione di causa, che sarebbero davvero impensabili in un figlio di Plutarco. Nel lessico Suida, infatti, si apprende che un certo Lampria, figlio di

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Plutarco di Cheronea, predispose una „tavola‟ (pi@nax) relativa ai titoli di opere paterne sulla storia greca e romana. La notizia è supportata dal fatto che, in alcuni manoscritti delle opere di Plutarco, il catalogo è preceduto da una lettera sine nomine, in cui lo scrivente comunica al destinatario, anch‟egli anonimo, di inviargli una lista degli scritti di suo padre. Non abbiamo prove storiche dell‟esistenza di un figlio di Plutarco di nome Lampria, né, secondo TREU 1873 e ZIEGLER 1908 (LXIII, 239 sgg) e 1927 (LXXVI, 20 sgg.), lo stile della lettera può essere indicativo, povero com‟è, di un certo livello culturale. Ziegler adduce come prova il Parisinus Gr. 1678 (XII sec.), ossia il manoscritto più antico: esso contiene il catalogo senza la lettera, con la sola titolazione Pa@nta toῦ Plouta@rcou bibli@a taῦta. La lettera è, dunque, un falso del XIII o XIV secolo, redatta sulla base dell‟annotazione nella Suida e di una lettera di Plinio il Giovane (III, 5), in cui lo scrittore, accogliendo la richiesta di Bebio Macro, gli invia una tavola degli scritti di suo zio. Il catalogo di Lampria viene riprodotto da ZIEGLER 1965, 80-83, secondo la numerazione dei Moralia nell‟EDITIO TEUBNERIANA 1974, 300- 338, che corrisponde all‟ordine dell‟Editio francofurtana 1599 (EDITIO MARNIUS- AUBRIUS 1599), in cui il SSC è n. 13, 146b-164d. Lo scopo precipuo dell‟opera, secondo Ziegler, è compendiare tutta la tradizione novellistica che ruota intorno ai Sette Savi, offrire un quadro mosso, variegato ed avvincente, attraverso le loro sentenze e i loro insegnamenti, della filosofia arcaica: in questo senso, allora, il dialogo potrebbe anche essere inteso come appendice-completamento divulgativo di un‟altra opera, che figura al n. 184 del catalogo di Lampria, il Peri# tÈn prÈton filosofhsa@ntwn kai# tÈn aèp è aèutÈn. Si tratterebbe, così, di un‟opera mista appunto, che intreccia ragioni meramente artistiche – di contenuto e di stile – a ragioni retorico-sofistiche (e che sia un‟opera retorica è sostenuto da HIRZEL 1895, 142, e da VOLKMANN 1872, 198). Molti critici hanno contestato la paternità plutarchea dell‟opera, a partire da REISKE 1759, 176 (per altri riferimenti bibliografici, si veda ZIEGLER 1965, 292, n. 3). Di certo, tutti i discorsi ivi contenuti hanno valenza manifestamente didascalica, filosofica (cinica diremmo), ma è pur vero che l‟insistenza sui valori spirituali e lo spregio di quelli materiali rientra in una casistica plutarchea, così come tanti altri artifici legati all‟intreccio ed alla prossemica (ad esempio lo smembramento del contenuto della lettera di Amasi, che ha un antecedente in De Pythiae oraculis – laddove il tema viene ripetutamente introdotto, interrotto e ripreso per volontà di uno degli interlocutori - , oppure la vanità

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Nell‟opera si coglie, infatti, il gusto dell‟esposizione, maturata attraverso

il confronto dialettico di socratica e platonica memoria, della conversazione

allegra e briosa su temi capitali, eppure sminuiti dalla maestria retorica di

uno stile medio, che non smentisce affatto la cifra più autentica dell‟oratio,

della ratio e della doctrina di Plutarco.

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Si riscontrano, comunque, anche

stralci più sostenuti stilisticamente – si pensi al racconto poetico delle

peripezie di Arione o al discorso sulla nutrizione tra Cleodoro e Solone. In

generale, come acutamente ribadisce Lo Cascio sulla base di un riscontro

morfologico e retorico-stilistico puntuale, Plutarco tende all‟utilizzo di

dicoli, tricoli e tetracoli: diremmo, servendoci di tecnicismi invalsi nella

aristocratica, offesa dalla violazione dei diritti di precedenza a tavola, di un personaggio esagitato ed eccentrico quale Alessidemo, è presente anche in Quaestiones convivales (I, 2,1). La partecipazione delle donne al simposio è topos tipicamente plutarcheo: in

Quaest. conviv. (VII, 8, 4, 712 e) si legge che l‟usanza era attestata ai tempi di Plutarco,

il quale non volle escludere la savia Cleobulina, né la più remissiva Melissa, né la bella “etera” Eumetide – alias Cleobulina - , dello scita Anacarsi ancella ossequiente. Anche la trattazione dialettica del te@rav, religiosa per Diocle, razionalistica per Talete, rinvia all‟interpretazione del portentum dell‟ariete unicorno, da parte di Lampone e di Anassagora, nella Vita di Pericle (6, 2.3). Quando, alla fine del dialogo, per avvalorare la tesi dei delfini salvatori, il poeta Chersia racconta del salvataggio miracoloso di Cipselo che, per riconoscenza, edificò un tempietto a Delfi, e Pittaco coglie l‟input per chiedergli cosa significhino le rane raffigurate ai piedi della palma di bronzo pure offerta per riconoscenza, Chersia sostiene di non voler rispondere prima che gli vengano delucidati altri simboli delfici – mhde#n aògan, gnÈqi sauto@n, eèggu@a pa@ra d è aòta - : ebbene Plutarco ha già in mente i dialoghi pitici (Nel De Pyth. or., 12, 399, affronta la stessa questione delle rane), mentre è probabile che discutesse delle massime delfiche in un trattato a parte, che risulta perduto. Per le abbreviazioni in latino dei Moralia, si veda ZIEGLER 1965, 391-392.

143

Cfr. LOCAS 1997, p. 7. 144

Sostenitori dello stile autenticamente plutarcheo del dialogo furono già WYTTENBACH 1821, 200, e WEISSENBERGER 1994, 79-86.

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prassi glottologica di testi della tradizione letteraria italiana, di sintagmi

frastici bimembri, trimembri e quadrimembri, che coinvolgono, di volta in

volta, diverse categorie lessicali, disposte in funzione di chiasmo o di