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Il Mediterraneo dei Migranti

4. Il braccio di ferro con le ONG

Accolto con apparente indifferenza dalla maggioranza degli

ita-23  A Triton partecipano 27 Paesi europei, le cui unità navali operano sotto il comando della guardia costiera italiana.

24  A Tallin, il 7 luglio 2017 nell’incontro informale dei ministri degli Interni dell’Unione e a Varsavia al vertice di Frontex del 17 luglio successivo.

25  S. Cecinini, www.sicurezzainternazionaleluiss.it – 1 febbraio 2018.

26  Sullo stato pietoso del sistema dell’accoglienza in Italia, lo sguardo spietato di M.

Giordano, Profugopoli, Milano 2016.

liani, l’accordo con il governo di Tripoli del 2 febbraio è stato aspra-mente criticato dalle organizzazioni non governative; un’avversione, questa, che si inscrive nella natura dell’impegno profuso dalle ONG nelle acque del Mediterraneo e, come tale, più che comprensibile. I migranti che hanno fatto naufragio non vogliono ritornare in Libia e quelli che vi stazionano in attesa di partire per l’Europa non vogliono rimanervi. Sia gli uni che gli altri conoscono i centri di raccolta dei trafficanti, i soprusi quotidiani e le violenze subite. I volontari delle ONG queste cose le sanno. Stanno dalla parte dei migranti e conside-rano il governo italiano responsabile per ciò che il ritorno o la perma-nenza in Libia significa per loro. La presenza delle Nazioni Unite a Tripoli non li rassicura.

La tensione tra il governo italiano e le ONG non è priva di un suo alto significato. Ha a che fare con l’eterno confronto tra Ethos e Kratos e, quindi, con il diverso modo di intendere il ruolo e il significato del-la politica. Le ONG rifiutano del-la distinzione tra coloro che scappano dalla repressione o dalla guerra e, quindi, hanno diritto all’asilo (i rifugiati) e coloro (i migranti economici) che, invece, fuggono dalla povertà e non hanno diritto ad alcuna protezione. Il loro rifiuto nasce dalla convinzione che le frontiere dell’Europa devono essere aperte, che il diritto dei migranti ad attraversarle è un diritto sacrosanto che deve essere difeso ad ogni costo, anche quando ciò comporta da parte loro una qualche forma di “collaborazione” con i trafficanti; ovvero significa (l’espressione è di uno dei funzionari della Guardia Costiera libica intervistati da Lorenzo Cremonesi) essere «funzionali alla trat-ta»27.

Restii a farsi condizionare dalle scelte di politica estera dei Paesi nei quali i migranti per scelta o per necessità sono destinati a vivere, i volontari delle ONG non guardano in faccia a nessuno. Il mondo che sognano è quello disegnato da Etienne Balibar28 il 13 luglio scorso a Saorge (Francia): un mondo molto più amichevole nei confronti degli

«erranti» grazie a «una rifondazione del diritto internazionale» im-perniata sul «riconoscimento dell’ospitalità come diritto fondamen-tale». Un nuovo, rivoluzionario, diritto internazionale capace di «im-porre i suoi obblighi agli Stati», di negare «l’appartenenza nazionale e la sovranità territoriale [come] l’orizzonte assoluto dei dispositivi di protezione delle persone», di limitare l’arbitrio dei vari poteri statali

«opponendo loro dei contropoteri legittimi internazionalmente rico-nosciuti»29.

Un programma ambizioso che, però, non tiene conto del fatto che

27  l. cremonesi, Corriere della Sera, 18 luglio 2018.

28  Etienne Balibar è filosofo e professore emerito all’Università Paris-Ouest.

29  Le Monde, 17 agosto 2018.

il diritto internazionale è il prodotto della volontà degli Stati, dai qua-li è illusorio attendersi che siano disposti a rinunciare a componenti così significative del loro potere sovrano. Balibar queste cose le sa, ma è convinto che l’affermazione del diritto all’ospitalità abbia «come minimo la stessa portata storica delle grandi dichiarazioni ideali» che all’indomani della seconda guerra mondiale segnarono l’inizio di una nuova era nella vita politica internazionale e che, quindi, sia giunto il momento di iscriverla nell’agenda politica dell’Europa contempo-ranea.

Il problema è che le istituzioni della democrazia rappresentativa che costituiscono l’impalcatura di gran parte dell’Europa contempo-ranea, nell’attuale congiuntura non sembrano compatibili con un’o-perazione del genere. «Il cambiamento della politica europea operato dall’immigrazione dimostra che l’idea di democrazia non può essere

“astratta” a tal punto da diventare completamente disarticolata dal suo contesto nazionale e storico»30. Ciò significa che i governanti sono tenuti ad occuparsi dell’aspirazione al benessere dei governati (il che comprende l’attaccamento agli stili di vita convenzionali), delle loro ansie e nelle loro paure. Sentimenti che, alimentati dalle incertezze legate al rapido progredire della robotica e della tecnologia digitale, alla globalizzazione dell’economia e alla crisi dello Stato sociale, non dovrebbero essere strumentalizzati a fini elettorali, ma dei quali oc-corre tenere conto come componente fondamentale di una pratica di buon governo.

Una pratica di buon governo, tanto più necessaria in quanto i mi-granti che arrivano clandestinamente in Europa e le organizzazioni umanitarie che si schierano dalla loro parte devono fare i conti non solo con l’odio dei partiti o dei movimenti xenofobi o razzisti, loro tradizionali nemici, ma anche con la diffidenza sempre più diffusa in strati della società tradizionalmente rappresentati dai partiti mo-derati; una diffidenza che si manifesta nel rifiuto sempre più netto dell’immigrazione clandestina31. Il che significa che, nella congiuntura

30  A. Michta, America Interest. In: Il Foglio, 2 luglio 2018.

31  In Svezia, dove nel tentativo di «arginare la caduta nei sondaggi e la fuga degli elettori verso l’estrema destra» il leader del partito social-democratico Stefan Lofven «ha cancellato con un tratto di penna la dottrina del suo partito sul diritto di asilo» (A. F. HIVERT, Le Monde, 4 settembre 2018). In Germania dove la sinistra radicale di Die Linke è in crisi a causa dell’incapacità ad arginare l’erosione del suo elettorato «attratto da una estrema destra più dinamica che mai, ritenuta capace di dare risposte convincenti su temi una volta considerati secondari e oggi, invece, ritenuti cruciali, tra i quali in prima linea l’immigrazione», T.

WIEDER, Le Monde, 4 settembre 2018. In Francia, dove non solo il diritto all’accoglienza dei migranti economici (generalmente negato) ma anche il diritto di asilo per i rifugiati politici che in questo paese gode di un’antica e nobile tradizione, oggi viene messo in discussione da un’immigrazione considerata pericolosa perché incontrollata. In Italia, dove nonostante gli appelli del Papa «le chiese appartenenti alla diocesi della Capitale non si sarebbero date troppo da fare sul tema dell’accoglienza» e ciò per le difficoltà che i parroci avrebbe incontrato con i fedeli, G. ALOISI, Il Giornale, 16 maggio 2018. Parroci che in alcuni casi non nascondono

attuale, il vero problema non è la nascita di un nuovo, ipotetico, irre-alizzabile, diritto internazionale dell’ospitalità, ma la costruzione fa-ticosa di una pedagogia civile all’altezza dei tempi, fondata su ciò che Alessandro Barbano ha definito una “un’estetica della complessità”.

La verità è che, da qualunque parte lo si guardi, quella dei migranti non è un’emergenza, ma un dramma collettivo che si iscrive in uno dei grandi cambiamenti della nostra epoca e che, come tale, dovrebbe essere considerato. Un cambiamento che pone ai Paesi europei pro-blemi complessi, per i quali non esiste una soluzione a buon mercato.

La politica di contenimento dei flussi migratori abbozzata dall’Eu-ropa ha un costo umano molto alto. Ma non è difficile prevedere che le frontiere aperte evocate dagli apologeti dell’umanesimo integrale provocherebbero in molte delle democrazie europee gravi problemi di tenuta del tessuto sociale, con un forte aumento delle tensioni e la conseguente proliferazione di endemici regolamenti di conti tra vec-chi e nuovi residenti, di cui sarebbero soprattutto i secondi a fare le spese.