• Non ci sono risultati.

L’Islam tra due sponde: antagonismi e dialoghi giuridici nel Mediterraneo

5. Nuovi spazi per la shari‘a

Il comparatista è avvezzo a guardare il diritto non solo come un prodotto tecnico dell’attività di giuristi professionali, siano essi il le-gislatore o un giudice, un accademico o un avvocato, ma anche nella sua portata di prodotto sociale, elemento che, nel corso della storia umana, accomuna tutte le realtà antropologiche. Attraverso le persone che, da sempre, si muovono partendo dalle proprie particolari realtà culturali, il diritto circola, comunica, contamina, si evolve. La circola-zione delle persone, e con esse delle merci, dei capitali, delle idee, por-ta con sé la circolazione di segmenti delle diverse culture e dei diritti che esse esprimono26.

25  Si v. W.M. Ballantyne, The States of the GCC: Sources of Law, the Shari’a and the Extent to which it applies, in Arab Law Quarterly, 1986, p. 3-18 e C. Mallat, Islam and Public Law: classi-cal and contemporary studies, Graham & Trotman, London-Dordrecht-Boston, 1993; C. Benner Lombardi, Islamic Law as a Source of Constitutional Law in Egypt: The Constitutionalization of the Sharia in a Modern Arab State, in Columbia Journal of Transnational Law, 1998, p. 81-123.

26  Cfr. Prakash Shah, W. Menski (ed.s), Migration, Diasporas and Legal Systems in Europe, Routledge-Cavendish, 2006.

Il processo migratorio in atto dal sud al nord del Mediterraneo sta ridisegnando gli spazi riservati storicamente all’applicazione di rego-le giuridiche islamiche ben oltre quelrego-le derivanti dalrego-le esigenze del culto, da tempo praticate dalle minoranze musulmane anche in con-testi non islamici. Nell’Europa multiculturale, con un certo ritardo ri-spetto ad altre aree dell’occidente (USA e Canada), il dibattito sulla tutela dei cd. diritti culturali e delle identità culturali delle minoranze si sviluppa in particolare negli ultimi due decenni del secolo scorso.

L’attenzione è posta sull’insieme di «pratiche e comportamenti lega-ti a un’appartenenza culturale, etnica, religiosa» e a quegli «elemenlega-ti che determinano l’identità di una persona in riferimento ad una col-lettività»27.

«L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica» af-ferma l’art. 22 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Nizza, 2000), richiamata dall’art. 6 Trattato sull’Unione Europea del 2007 (Trattato di Lisbona). La complessità del multiculturalismo ren-de necessario iren-dentificare la natura ren-dell’elemento iren-dentitario che una data minoranza intende conservare e di cui chiede rispetto. Con rife-rimento alla comunità musulmana, infatti, non è possibile identificar-la esclusivamente sotto il profilo etnico o linguistico o genericamente culturale. La comunanza confessionale è, almeno teoricamente unita-ria, e proprio l’identità religiosa diviene l’elemento principale da tute-lare (nei limiti di cui all’art. 9, 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo)28. Inoltre, la diversa provenienza geografica dei musulma-ni richiede di giungere a delimitare le varianti culturali che non sono necessariamente riconducibili ad un’origine propriamente islamica, ma che sono presentate come peculiari dell’identità etnico-religiosa di un dato gruppo che, con molta probabilità, non coincide con i confini politici di un determinato Stato.

27  Cfr. F. Belvisi, I diritti fondamentali nella società multiculturale, in Diritto e società, n. 1, 2012; p. 3 ss. Si veda inoltre J. Habermas – C. Taylor (a cura di), Multiculturalismo: lotte per il riconoscimento, Milano, 2005; G. Famiglietti, Diritti culturali e diritto della cultura, Giappichelli, Torino, 2010. Con riferimento ad un’area distinta rispetto a quella di cui qui ci stiamo occu-pando, ma di estremo interesse per il dibattito sul multiculturalismo al di fuori del contesto occidentale, si veda D. Amirante, Lo Stato multiculturale: contributo alla teoria dello Stato dalla prospettiva dell’Unione indiana, Bologna, 2014.

28  Si veda R. Mazzola, Diritto e religione in Europa: rapporto sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di libertà religiosa, Il Mulino, Bologna, 2012; J. Pasquali Cerioli, La tutela della libertà religiosa nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 01-2011 (https://www.statoechiese.it/contributi/la-tutela-del-la-liberta-religiosa-nella-convenzione-europea-dei-diritti-del); e da ultimo cfr. S. Moyn, Too Much Secularism? Religious Freedom in European History and the European Court of Human Rights, in N. Bhuta (ed.), Freedom of Religion, Secularism, and Human Right, Oxford University Press, 2019, p. 95-124.

Nella difficoltà degli ordinamenti positivi di dare una risposta alle concrete istanze delle comunità musulmane (a questo punto, conse-guentemente scritte al plurale), le pratiche giuridiche informali diven-tano uno strumento di risoluzione delle controversie e di conserva-zione di istituti in forme che i sistemi giuridici ufficiali difficilmente consentirebbero29.

Questa richiesta di tutela dell’elemento giuridico culturale è alla base di una circolazione “volontaria” di istituti e norme che oramai non sono una conseguenza solo del processo migratorio più recente, ma soprattutto della crescente consapevolezza delle comunità musul-mane di essere una parte costituente e inscindibile del quadro (mul-ti)-culturale e giuridico europeo.

Alan Watson individua tre principali categorie di trapianti giuridici volontari: a) la mobilità di una persona verso un territorio con una ci-viltà non comparabile, portando con sé il proprio diritto; b) la mobilità delle persone verso un territorio con una civiltà comparabile, portan-do con sé il proprio diritto; c) l’accettazione volontaria, da parte di una persona, della maggior parte del sistema di un altro o di altri popoli30.

Ritroviamo in queste categorie utili ragioni per comprendere la co-struzione di nuovi spazi di applicazione della legge religiosa dell’I-slam (shari‘a), a livello formale e informale, nonché della richiesta di riconoscimento formale di istituti giuridico-religiosi che in quella tra-dizione hanno le proprie radici31. Osservando il dibattito che nei paesi europei è andato svolgendosi sulle diverse istanze poste dalle comu-nità islamiche (dall’alimentazione halal al velo – higab o burqa che sia – dalla famiglia al diritto patrimoniale) l’antagonismo tra i due livelli ha diretta influenza sull’inevitabile processo di ridefinizione dell’ambito di ‘possibile’ applicazione delle norme sciaraitiche. La maggiore o mi-nore integrazione culturale, nelle diverse generazioni e nei differenti contesti, ha un impatto diretto su tale processo32.

Dovremmo considerare, per una migliore consapevolezza di fron-te a questa realtà, se ci troviamo piuttosto di fronfron-te a un processo di ridefinizione del concetto stesso di shari‘a. Pur se teoricamente impro-ponibile in quanto essa partecipa della stessa eternità ed autorità divi-na, non possiamo negare come storicamente tale processo sia di fatto

29  T.J. Röder, Informal Justice Systems: Challenges and Perspectives, Jan. 2013 consulta-bile all’indirizzo: https://worldjusticeproject.org/news/informal-justice-systems-challeng-es-and-perspectives.

30Legal Transplants. An Approach to Comparative Law, University of Georgia Press, 1993, p.

29-30.

31  Per un approfondimento comparativo delle questioni giuridiche dei rapporti tra si-stemi afro-asiatici e occidente, cfr. W. Mensky, Comparative Law in a Global Context: The Legal Systems of Asia and Africa, Cambridge University Press, 2006, p. 59 ss.

32  Cfr. M.S. Berger (ed.), Applying Shari´a in the West: Facts, Fears and the Future of Islamic Rules on Family Relations in the West, Leiden, 2013.

avvenuto all’interno di ogni contesto con il quale l’Islam storicamente è venuto a contatto. Individuate le differenze tra gli Islam arabo, afri-cano, asiatico, nulla impedisce che l’integrazione dell’Islam nei paesi occidentali veda nascere un nuovo disegno interpretativo del dirit-to religioso che possa avere caratteri compatibili con la Western Legal Tradition e peculiarità coerenti con i singoli ordinamenti nazionali. Lo stesso percorso, di fatto, è riscontrabile nella maggior parte dei paesi arabo-islamici, anche oltre il Mediterraneo, le cui specificità legislative e giurisprudenziali si innestano sul common core di quella che abbiamo indicato sopra come la Islamic Legal Tradition. Al di fuori degli aspet-ti legaaspet-ti alla libertà religiosa, però, la più stretta integrazione tra gli aspetti “civili” del diritto musulmano e i laici diritti europei richiede che vi siano le condizioni di progressiva de-ideologizzazione di quella parte delle comunità musulmane che oggi rivendicano un’applicazio-ne radicale della shari‘a secondo una lettura fortemente integralista e letterale secondo schemi salafiti e integralisti.

Se volessimo individuare due specifici settori nei quali verificare l’antagonismo tra l’esigenza di attenersi rigorosamente ai dettami re-ligiosi dell’Islam e l’esigenza del loro adeguamento ai sistemi giuridi-ci europei, dovremmo considerare da un lato l’istituzionalizzazione di meccanismi islamici di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) e, dall’altro, il ricorso a istituti economico patrimoniali nell’am-bito delle cd. banche islamiche. Si tratta, è vero, di ambiti che seguono percorsi evolutivi molto diversi e che difficilmente possono essere ri-portati a unità, ma in questa sede possono fungere da sintetica esem-plificazione del processo in atto.

Nel Regno Unito il dibattito sul multiculturalismo ha avuto una svolta importante quando, nel 2008, l’allora Arcivescovo di Canterbury Rowan Wiliams si espresse a favore della accommodation di organismi che potessero risolvere le controversie di famiglia tra musulmani sul-la base del diritto issul-lamico. Variamente denominati, Sharia Councils, Muslim/Islamic Tribunals, questi organismi si sono rapidamente dif-fusi in tutto il paese, ovunque risiedessero comunità di musulmani.

Ben pochi (soltanto quattro) operano secondo criteri stragiudiziali formali, molti (forse oltre settanta gran parte dei quali solo nomina-li) hanno scelto il campo della giustizia informale33. Le Sharia Courts (cosi nominate nel dibattito pubblico generatosi attorno a loro), hanno competenza formale in materia di divorzio tra musulmani, sia per la certificazione preliminare alla pronuncia di divorzio da parte delle Corti di famiglia in caso di matrimonio registrato, sia come corti tipi-camente religiose in caso di matrimonio tradizionale non registrato34.

33  Cfr. D. McEoin, Sharia Law or ‘One Law for All’?, London, 2009, p. 69.

34  Prevalente l’attribuzione di certificati di divorzio religioso, su istanza delle donne, al termine di una procedura caratterizzata da sessioni di mediazione finalizzate alla

riconcilia-Esse sono altresì chiamate a prestare consulenza alle corti ordinarie su questioni riguardanti l’applicazione del diritto musulmano secondo le regole del diritto internazionale privato Il Muslim Arbitration Tribunal funge da camera arbitrale in materia civile e commerciale.

La richiesta di applicazione del diritto musulmano classico, peral-tro secondo canoni interpretativi che oggi non riperal-troviamo più nella maggior parte dei paesi di provenienza dei musulmani britannici, è tacitamente accompagnata dalla pretesa di poter e voler risolvere su tale base tutte le controversie tra i membri della comunità, siano essi cittadini o meno. Si è aperto, per questa ragione, un conflitto giurisdi-zionale (ove il termine giurisdizione non può essere inteso in senso stretto quale funzione pubblica di esclusiva pertinenza dello Stato) che mette in concorrenza la tutela offerta dalle corti ordinarie e quella, di natura privata e conciliativa, proposta dalle Sharia courts. L’anta-gonismo che ne deriva, in questo caso, non si limita alla possibilità o meno di adeguamento del diritto religioso al contesto giuridico ingle-se, ma si allarga specificamente alla legittimità dell’applicazione di un tale diritto all’interno di un ordinamento laico.

Il percorso compiuto, invece, dalle cd. banche islamiche per appro-dare in occidente inizia nei primi anni ’70 con la costituzione in alcuni paesi del Golfo dei primi istituti bancari operanti in conformità con i dettami coranici. Già nel decennio successivo, l’enorme surplus finan-ziario derivante dall’aumento dei prezzi del petrolio, accompagnato dalla coscienza crescente di un comune fondamento identitario del mondo islamico, ha consentito un rapido sviluppo e la competizione competere sui mercati internazionali. Gli assets globali dell’industria finanziaria islamica sono stati calcolati intorno a 2.000 miliardi di dol-lari nel 2016 con una previsione di crescita di oltre il 5%35.

Il sistema è stato progressivamente messo a punto intorno a due principi coranici fondamentali: il divieto delle usure (che compren-de anche gli interessi bancari nell’interpretazione tradizionale compren-dei giuristi religiosi) e il divieto di trarre profitto da situazioni aleato-rie. Anche grazie al recupero di alcuni istituti contrattuali in uso nel mondo islamico sin dai tempi del Profeta Muhammad e all’adozione di un modello operativo di tipo prevalentemente societario, si sono resi credibili gli obiettivi di compliance con la shari‘a in settori sempre più ampi: dalla raccolta e gestione del risparmio al credito bancario, alle assicurazioni (takaful), alle operazioni di equity in borsa, alle for-me di cartolarizzazione degli investifor-menti (sukuk)36. Questa continua

zione delle parti.

35  Cfr. Islamic Finance Outlook 2018 Edition, Standard & Poor’s Global Ratings, 2018, p.

8-13, consultabile all’indirizzo: https://www.spratings.com/documents/20184/4521646/Islam-ic+Finance+2018+Digital-1.pdf.

36  G.M. Piccinelli, The Provision and Management of Savings: the Client-partner Model, in M.

espansione, d’altro canto, ha reso necessario uno sforzo importante di adeguamento dei principi alle condizioni fissate dalle legislazioni bancarie finanziarie nazionali e ai criteri di trasparenza e operatività che sono vincolanti in base agli accordi internazionali in materia (ad es. gli Accordi di Basilea).

Nell’Unione Europea, la situazione rimane sostanzialmente fram-mentata. Alcuni paesi (UK, Francia, Lussemburgo, Irlanda e Germa-nia) hanno portato avanti una specifica politica di promozione del-la finanza isdel-lamica in prospettiva nazionale. I governi dell’Eurozona sono, infatti, generalmente preoccupati dalla carenza di risorse suffi-cienti per consentire una efficace competizione tra le banche islamiche e gli istituti convenzionali. Ma è da considerare anche una ragione di conflitto geo-politico in atto connesso alla richiesta di uso del cd.

Islamic label (quindi anche l’implementazione di espressioni coerenti con l’elemento religioso dai loghi bancari fino ai contratti) che impatta sull’idea di laicità dello spazio europeo. Ragioni di politica estera e scelte economiche nazionali, ma anche politiche di integrazione delle comunità musulmane, sono alla base dell’apertura che, invece, è stata compiuta singolarmente da alcuni stati e che potrebbero aprire pro-gressivamente le porte dell’Europa a quegli istituti che accetteranno di adeguarsi alla comune regolamentazione (questioni aperte: garan-zia sui depositi; patrimonializzazione e bilancio integrato; gestione del rischio; corporate governance; operazioni bancarie retail; adozione di standard uniformi di controllo e trasparenza).

L’adattamento al sistema europeo richiederebbe anche l’esplorazio-ne delle opportunità operative in settori di investimento socialmente responsabile, evidenziando il carattere etico degli obiettivi operativi degli istituti islamici e rendendo possibile anche una maggiore vici-nanza alle esigenze socio-economiche di integrazione delle comunità musulmane.

Senza dubbio, gli esempi su cui ci siamo soffermati sono solo alcuni dei complessi e numerosi aspetti che compongono il quadro del con-tinuo adeguamento e delle ininterrotte contaminazioni tra le culture mediterranee. La loro specificità giuridiche, sociali ed economiche, se le leggiamo alla luce del processo di globalizzazione, appaiono talora sfumare ed omologarsi rapidamente. Le parallele aspirazioni identita-rie, viceversa, sembrano oggi allontanare le due sponde da un dialogo possibile. La vera sfida futura per gli ordinamenti del Mediterraneo – che in sé è da sempre un ineludibile paradigma di incontro tra culture – è la complementarietà. La capacità di restare “comunicanti” e

inter-Fahim Khan and M. Porzio (eds.), Islamic Banking and Finance in the European Union, E. Elgar Publ., Cheltenham, 2010, pp. 23-39; G.M. Piccinelli, Development and Perspectives of Islamic Economics in the West, in R. Tottoli (ed.), Islam in the West, Routledge, London, 2014, pp. 411-424.

dipendenti in funzione dello sviluppo e del bene comuni. Se guar-diamo al nostro contesto europeo, mantenere aperto il dialogo con la tradizione giuridica del mondo islamico, nel rispetto dei reciproci sistemi di valori, contribuirà all’integrazione delle comunità musul-mane in una prospettiva di cittadinanza plurale e multiculturale: un modello per la società globale.