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Il Mediterraneo dei Migranti

3. I confini meridionali

13  www.futurimagazine.it – 14 ottobre 2015.

14  J. Williams, Wall Street Journal, 10 luglio 2018. In: Il Foglio, 16 luglio 2018.

Ma i problemi più seri posti dai disperati che attraversano il Medi-terraneo riguardano i tre Paesi, Grecia, Spagna e Italia, che controlla-no i confini meridionali dell’Unione Europea. Ed è in questi tre Paesi, costretti a fare i conti con la logica del Sistema di Dublino15 – una logica che condanna il migrante sbarcato in Grecia, in Italia o in Spa-gna «a costruire lì il suon futuro»16 – che si concentrano le tensioni e i conflitti maggiori.

Frontex, l’Agenzia Europea della Guardia di Frontiera con sede a Varsavia, che annovera tra i suoi compiti lo scambio di informazio-ni sull’immigrazione clandestina e sulle attività delle orgainformazio-nizzazioinformazio-ni criminali transfrontaliere, e che dovrebbe intervenire nelle situazioni di emergenza, non si è rivelata di particolare utilità per i governi di Grecia, Italia e Spagna. Per greci, italiani e spagnoli l’obiettivo di fon-do resta la revisione della Convenzione di Dublino. Il problema è che qualsiasi tentativo fatto in tal senso non ha prodotto alcun risultato, e ciò per la ferma opposizione degli altri Paesi europei, con quelli del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovac-chia) in testa.

Le conseguenze di tutto questo sono note. La situazione in Gre-cia rimane drammatica malgrado l’accordo del’Unione Europea con la Turchia. Sulle isole «dobbiamo affrontare una crisi umanitaria che non si è mai esaurita», spiega Apostolos Veizis, direttore in Grecia di Medici senza frontiere. Un sistema di accoglienza a lungo termine non esiste. Mancano i medici, gli psicologi, gli operatori sociali neces-sari «per assistere i minori non accompagnati». A Samos – denuncia sempre MSF – «centinaia di persone sono obbligate ad accamparsi nel bosco, senza servizi sanitari né docce [e] le persone vulnerabili non vengono assistite in modo adeguato»17.

Dotata di un peso politico molto diverso, nonché di un potenziale economico e demografico superiore, la situazione della Spagna è di-versa. In Spagna «negli ultimi 25 anni […] c’è stato un flusso costante dall’Africa», con il risultato che «gli immigrati oggi rappresentano cir-ca il 10% della popolazione (4.460.000 su 46 milioni di abitanti)»18. Gli spagnoli, però, non sembrano contagiati dalla sindrome dell’invasio-ne. Infatti, se si deve credere a un recente sondaggio basato su uno

15 Ovvero, l’insieme delle norme e delle disposizioni attuative costituito dalla Convenzione sottoscritta il 15 giugno 1990 da dodici Stati dell’UE (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito), e dal Regolamento noto come ‘Dublino III’, Regolamento (UE) n. 604/2013, entrato in vigore il 1 gennaio 2014. Definiscono la linea di condotta degli Stati dell’Unione in materia di accoglienza agli immigrati.

16  A. Ammirati, Che cosa è il regolamento di Dublino, www.openmigration.org – 27 dicembre 2015.

17  M. Rafemberg, Le Courier des Balkans, www.balcanicaucaso.org.

18  A. Lanni, www.openmigration.org – 2 marzo 2016.

studio della Commissione Europea, l’83% di loro dichiara di essere a proprio agio con gli immigrati19.

La Spagna è stata appena sfiorata dalla grande ondata migrato-ria che nel 2015 e all’inizio del 2016 ha portato più di un milione di migranti in Europa, e questa è una prima spiegazione della tolleran-za degli spagnoli. Non è poi privo di significato che il governo di Madrid, grazie ad un’accorta azione diplomatica, sia stato capace di regolare con sapienza il flusso dei migranti. Scrive Alessandro Lanni:

“L’ottima cooperazione tra Spagna, Senegal, Mauritania e Marocco

«ha ridotto in maniera significativa la pressione sulla rotta che porta verso le isole Canarie e il Sud della Spagna». Così si legge sull’ultimo rapporto Frontex-Afic (dicembre 2015). Una cooperazione – altresì detta esternalizzazione delle frontiere – che in questi anni sta dando i suoi frutti: meno ingresso di irregolari, più rimpatri per coloro che ce l’anno fatta a superare il confine continentale. Accordo quello tra Spa-gna e Marocco che recentemente ha ricevuto il via libera anche dalla Commissione Europea”.

Una diplomazia accorta, ma non solo. La Spagna, infatti, è anche all’avanguardia negli investimenti tecnologici per il controllo delle frontiere.

La gestione spagnola delle frontiere meridionali è un laboratorio politico-tecnologico per la sorveglianza dei confini. Fin dal 2000 è in funzione il SIVE, Sistema Integrado de Vigilancia Exterior, un complesso apparato di controllo che elabora i dati ricevuti costantemente dai ra-dar delle navi che operano nel Mediterraneo e nell’Atlantico, i video delle stazioni lungo la costa, le tracce satellitari e aeree. Una forma di monitoraggio capillare che ha trasformato la Spagna in un esempio per molti.

Una sapienza politico-diplomatica e tecnologica, quella del gover-no di Madrid, che, però, gover-non rinuncia all’uso della forza quando lo ri-tiene necessario. Scrive ancora Alessandro Lanni: “Ceuta e Melilla, le due cittadine spagnole in terra marocchina, sono ormai due fortezze di fatto inespugnabili. Circondate da tre reti alte una decina di metri, da fossati e protette con violenza dalle guardie di frontiera, sono di-ventate l’emblema della chiusura. A più di 10 anni dal tragico giorno in cui 11 migranti rimasero uccisi dal fuoco delle guardie di frontiera mentre provavano a scavalcare le reti, la violenza non è diminuita.

Molte associazioni che si occupano di diritti umani denunciano la violazione dei diritti dei migranti intercettati e respinti direttamente

19  www.panorama.it – 21 aprile 2018.

sul suolo marocchino al di fuori di qualsiasi tutela legale”20.

Va comunque detto, a proposito della Spagna, che anche la politica tesa a collocare fuori dai confini nazionali il controllo dei flussi migra-tori ha i suoi limiti, dato che nel 2017 (in concomitanza con la parziale chiusura della rotta del Mediterraneo centrale che fa capo alla Libia) gli arrivi di migranti sulle spiagge spagnole sono aumentati. Una ten-denza che ha preso via via corpo se è vero che «nei primi sei mesi del 2018 l’aumento degli sbarchi» sulle coste spagnole è stato del 137% e che, secondo l’organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) la Spagna ha superato l’Italia (il cui primato nel biennio precedente era stato assoluto) con 17.781 sbarchi contro 16.41421.

Alla ricerca disperata di soluzioni, in un Paese in cui, – secondo un sondaggio della Commissione Europea – il 40% degli intervistati manifesta il proprio disagio nei confronti degli immigrati, anche l’I-talia, come la Spagna ha cercato di esternalizzare le proprie frontiere.

A questo risultato il governo italiano è arrivato grazie al Memoran-dum di Intesa sottoscritto il 2 febbraio 2017 con il Governo di Tripoli presieduto da Fayez al-Sarraj, il quale, in cambio di aiuti economici e sostegno politico, si è impegnato a bloccare l’esodo dei migranti dalla Libia verso le coste italiane. Accordo cui hanno fatto seguito intese analoghe con le autorità locali libiche e con i governi di Niger e Mali.

Per l’Italia negoziare con il governo di Tripoli non è stato facile come per il governo di Madrid con il Marocco. L’autorità di al-Sarrai non è riconosciuta dai clan e dalle milizie locali che spadroneggiano in alcu-ne zoalcu-ne cruciali per la strategia di contrasto dei trafficanti, mentre la sua stessa legittimità come leader “nazionale” è contestata dal generale Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Tuttavia, non è stato un negozia-to inutile. Secondo Marco Minniti, il ministro degli Interni del governo italiano che quell’accordo ha siglato, lo provano le decine di migliaia di persone salvate in mare «e riportate in Libia» e l’istituzione di una cabi-na di regia, con sede a Tripoli (cabicabi-na di regia di cui fanno parte «i mini-stri degli Interni di Italia, Libia, Ciad, Niger e Mali») grazie alla quale «si sono ridotti drasticamente […] i passaggi dal Sahel attraverso la Libia».

A questo si deve aggiungere che, a seguito di un‘iniziativa italiana, le organizzazioni delle Nazioni Unite che si occupano dei profughi sono ora presenti in Libia e che l’Alto Comitato delle Nazioni Unite per i Ri-fugiati (UNHCR) ha concordato con il governo di al-Saraj un protocollo per l’insediamento a Tripoli di un centro – sotto controllo ONU – nel quale raccogliere i migranti per le operazioni tese a stabilire «chi ha di-ritto e chi no alla protezione in Europa»22.

20  A. Lanni, www.openmigration.org – 2 marzo 2016.

21  F. Fubini, La Repubblica, 4 luglio 2018.

22  M. Minniti, Il Foglio, 2 luglio 2018.

Ma per l’Italia le partenze dalla Libia sono solo uno dei due corni del problema. L’altro è quello dei rapporti con Bruxelles, ossia con gli obblighi imposti dalla Convenzione di Dublino, alla quale si sono ag-giunti quelli previsti da Triton e da Sophia i due programmi dell’Unio-ne europea (il primo, coordinato da Frontex e partito dell’Unio-nel novembre del 2014, il secondo lanciato nel maggio del 2015) predisposti allo scopo di combattere contrabbandieri e trafficanti di esseri umani nel Mediterra-neo23. Obblighi che costringono l’Italia ad accogliere nei propri porti tut-ti i naufraghi salvatut-ti dalle navi dei Paesi impegnatut-ti nelle due missioni.

Tutto questo fino al 1 febbraio 2018, quando il governo italiano, dopo un paio di tentativi falliti24, è riuscito ad ottenere la cancellazione di Tri-ton (ma non di Sophia) e la sua sostituzione con Themis, il cui dispositivo

«stabilisce che i migranti recuperati dalle imbarcazioni impegnate nel programma vengano fatti sbarcare nel porto del Paese più vicino» e, quindi, non necessariamente in Italia25.

Quali che siano i vantaggi che trarrà da Themis, è un fatto che, a par-tire dall’accordo con il governo di Tripoli, l’Italia ha ottenuto risultati non trascurabili come documentano i dati relativi al secondo semestre del 2017 (34.752 sbarchi contro gli 83,167 del primo semestre) e al primo semestre del 2018 (17.426 sbarchi). Un bilancio che, però, non sembra avere convinto quegli italiani che alle elezioni del 4 marzo 2018 hanno manifestato il loro scontento per la politica dell’immigrazione del go-verno in carica.

C’è da dire che l’ostilità degli italiani nei confronti dei migranti non è solo un problema legato alla porosità dei confini. Molto dipende, infat-ti, dal pessimo funzionamento del sistema dell’accoglienza. Un sistema inefficiente, tenuto in piedi da un giro spaventoso di denaro pubblico, inquinato da gravi fenomeni di corruzione, pensato per accogliere uo-mini, donne, bambini con alle spalle esperienze di vita drammatiche, di cui non sembra importare niente a nessuno. Così come non sembra importare niente a nessuno dell’impatto rappresentato dalla presenza sul territorio di questa umanità sofferente sulle condizioni materiali e sugli stili di vita della popolazione autoctona circostante26.