L’Islam tra due sponde: antagonismi e dialoghi giuridici nel Mediterraneo
3. Colonizzazioni e decolonizzazioni
La continuità dei rapporti e della comunicazione tra le civiltà giuri-diche del Mediterraneo può essere compresa nella sua pienezza solo tenendo conto anche dell’acculturazione realizzatasi nel mondo mu-sulmano a partire dal XIX secolo a contatto con il diritto europeo i cui formanti sono andati rapidamente diffondendosi con l’esperienza coloniale.
Il processo di acculturazione giuridica, attraverso la recezione di modelli normativi privatistici e pubblicistici, ha determinato la con-trapposizione tra lo Stato e il diritto islamico tradizionale, con i suoi
carattere tribale, sia pur con una connessione universale attraverso la umma islamica, l’acco-glimento dei nuovi adepti alla religione proclamata da Muhammad avviene attraverso uno strumento molto (se non del tutto) simile al patronato che a Roma collegava il liberto alla famiglia che lo affrancava. Sarebbe da individuare proprio in questa specifica esperienza l’i-stituto cerniera che offre una sostanziale continuità tra diritto romano e diritto islamico.
canoni collegati alla sostanziale sacralizzazione del potere costituito (sia politico, sia religioso), e lo Stato moderno a tradizione islamica. È in questo momento che bisogna collocare l’inizio di una necessaria distin-zione tra “diritto islamico” e “diritto dei paesi islamici”, quest’ultimo divenendo il fondamento (teorico ed operazionale) per delimitare con-cretamente i limiti della Islamic Legal Tradition a cui ricondurre in tutto o in parte i variegati ordinamenti positivi che ad essa si riferiscono.
Il governo dell’Islam (locuzione che esprime più correttamente la funzione storica di ciò che oggi tende ad essere identificato con lo “Sta-to islamico”), assume nel tempo e nello spazio forme diverse: dal calif-fato elettivo al califcalif-fato dinastico (comunque simbolicamente rappre-sentativo dell’unità politica della umma) alla monarchia variamente denominata (sultanato, emirato, ecc., comunque territorialmente limi-tata). La progressiva frattura dell’unità politica ideale è stata segnata da evidenti soluzioni nella continuità del governo della comunità. Il Califfato “ben guidato” si è chiuso con il grande scisma tra sunniti e sciiti, mentre la conquista mongola di Baghdad nel 1258 ha posto fine all’esperienza del califfato legittimo marcando definitivamente l’irre-versibilità della frammentazione politica.
Il modello di Stato moderno, nazionale e unitario, affermatosi nel corso del periodo coloniale, sostituisce rapidamente le forme statua-li di tipo feudale preesistenti. Una recezione che non riguarda solo i modelli organizzativi dello Stato (lo Stato di diritto moderno, a base costituzionale, fondato sul principio di legalità) ma anche i modelli di produzione normativa, le leggi, i codici, la dottrina e la giurispru-denza. Una fase che dura oltre un secolo e valica ampiamente gli anni della decolonizzazione, confermando la non reversibilità del processo e i nuovi equilibri tra tradizioni islamiche (necessariamente al plurale) e ordinamenti giuridici.
Inoltre, la discontinuità rispetto allo sviluppo del diritto classico (fiqh come metodo interpretativo della shari‘a in quanto legge divina rivelata) si manifestata in questa fase attraverso la radicale sostitu-zione di nozioni, categorie concettuali, schemi ordinanti, modelli nor-mativi, singole regole con altrettanti elementi, talora raccolti in forma codificata, frutto degli sviluppi illuministici e positivisti del diritto in Europa, soprattutto in Francia. Ciò ha portato con sé la lenta, ma ine-sorabile, esclusione del giurisperito musulmano dai processi di pro-duzione normativa, tradizionalmente affidati in modo quasi esclusivo alla dottrina giuridico-religiosa la quale continua a riferirsi alle ca-tegorie classiche7. Mentre si assiste, ad esempio, all’allentamento dei vincoli derivanti dall’appartenenza – sia pur teorica – di tutti i
musul-7 Cfr. F. Castro, Le pouvoir du Faqih, in Rapports Nationaux Italiens au XI Congrès Internatio-nal de Droit Comparé (Caracas 1982), Milano 1982, p. 12 ss.
mani alla umma universale e all’affermarsi di entità parziali (ad es. la umma araba), l’innovazione principale che i legislatori introducono è la categoria della cittadinanza come elemento coesivo di un popolo nella comune appartenenza allo Stato attraverso il territorio8.
L’aspetto conflittuale che lo Stato coloniale e post-coloniale porta con sé risiede nel conferimento al legislatore del potere generale di fare norme e di modificarle, e, quindi, nell’applicazione del diritto per via autoritativa. Un potere che, teoricamente, per la shari‘a, solo Dio può esercitare. Se il conflitto tra i due modelli di Stato, a livello teori-co, appare radicale e diviene la base per un significativo antagonismo geo-giuridico (basti tenere presente le pretese di islamizzazione del-lo “Stato” che nasce dall’applicazione della visione salafita-jihadista), molteplici soluzioni conciliative si riscontrano nella prassi costituzio-nale dei paesi islamici. Gli stati musulmani indipendenti, conclusa la fase coloniale, hanno continuato ad attingere all’esperienza giuridica dell’Europa e ai suoi sistemi compiuti di istituzioni procedendo pro-gressivamente ad adattare queste al proprio contesto interno.
L’eterogeneità dei risultati del processo di adattamento può essere analizzata attraverso due principi che fondano il moderno costituzio-nalismo: il principio di legalità, da un lato, e il principio di democrazia e di sovranità popolare, dall’altro.
Il principio di legalità richiede che l’esercizio del potere politico, quale sistema di cooperazione politica, sociale ed economica a legit-timazione costituzionale, debba essere esercitato in conformità e at-traverso un sistema generale di principi, regole e procedure. La «co-stituzione» diviene la chiave di volta essenziale in questo sistema di principi, regole e procedure che sostiene la coerenza delle altre leggi, delle istituzioni e degli organi amministrativi. Essa stessa opera da filtro verso altri sistemi di principi, esterni e meta-positivi, che influ-iscono direttamente sul fondamento ideologico-culturale che sta alla base delle azioni del legislatore, del governo, dei giudici e dei cittadi-ni. Con il principio di legalità si modifica il sistema tradizionale delle fonti: la superiorità della rivelazione divina (a partire dal Corano e per esso la shari‘a) è soppiantata dalla primazia della legge positiva (qa-nun). Mentre per il diritto privato il confronto avviene tra i contenuti dei codici europei e del fiqh, nel diritto pubblico lo Stato moderno con molteplici forme premoderne di organizzazione amministrativa che utilizzano l’Islam come fonte di legittimazione del potere politico9.
8 Cfr. tra gli altri, S. Zubaida, Islam and the Politics of Community and Citizenship, in Middle East Report, XX, 2001, p. 221 e, soprattutto, G.P. Parolin, Dimensioni dell’appartenenza e citta-dinanza nel mondo arabo, Jovene, Napoli, 2007. Sulla dialettica tra umma e Stato moderno, cfr.
A.A. An-Na’im, Islam and the Secular State: Negotiating the Future of Shari‘a, Harvard University Press, Cambridge (USA), 2010.
9 Non ritroviamo un modello storico di “Stato islamico” che, se mai esistito, si è esaurito con l’esperienza califfale e che, pertanto, assume connotati fortemente ideologici nel momento
Il principio di sovranità popolare – consustanziale rispetto alla democrazia nel modello occidentale – pone i cittadini al centro del sistema costituzionale operando, attraverso il meccanismo della rap-presentanza e il sistema delle libertà democratiche, sullo sviluppo dei principi, delle regole e delle procedure conformanti l’agire dei singoli individui e dello Stato.
Il tentativo di recupero dell’ideale coranico della shūrā (o consulta-zione) è stato evidenziato di recente in numerosi stati con riferimento anche al dibattito sulla necessità di riaprire gli spazi di interpretazione e adeguamento (iğtihād) del diritto religioso alla modernità, accettan-do nel contempo la produzione di regole giuridiche autoritative da parte del legislatore statale. Questa nuova prospettiva appare accolta non solo nei segmenti modernisti e laici delle società musulmane, ma anche all’interno di alcuni gruppi più radicali10. Gli islamisti in Paki-stan, Bangladesh, Malesia, Indonesia, Iran, Egitto, Giordania, Algeria, Tunisia, Marocco, ecc. hanno oramai accettato la legittimità, su base islamica, delle elezioni popolari a suffragio universale, del processo elettorale, del multipartitismo e della elezione di rappresentanti del popolo. In questi casi non è l’esistenza, ma l’estensione della sovranità popolare ad essere discussa. Secondo alcuni, l’esigenza di trovare una via di conciliazione tra i principi della tradizione islamica e le richieste della modernità è più viva all’interno di quei gruppi moderati per i quali il conflitto tra i due opposti integralismi, laico e religioso, pena-lizza fortemente lo sviluppo delle società musulmane11.
Da qui, la discussione circa la necessità di un’evoluzione nella in-terpretazione della shari‘a per far fronte ai mutamenti sociali, econo-mici, tecnologici e ambientali in atto per effetto della globalizzazione, ponendo i principi fondamentali dell’Islam quale pietra angolare nel-la costruzione di società musulmane moderne.