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I brani soppressi da Venezia 1572 sono i seguenti: Anv.57, p 42: «Quando sarà la più

grande confusione fra gli uomini: Essendo domandato il dottissimo e famoso Guglielmo

Budeo, quando sarebbe la maggior confusione che potesse essere fra gli uomini, rispose prontamente: “Il dì della resurrezzione de’ morti, che ciascuno ricercherà le sue mem- bre”». Anv.291, p. 190: «Quanto i frutti di Venere siano dolci e soavi infino alle persone continen-

za e castità profitenti: È dato da natura che animali d’ogni sorte rationali e irrationali sono

incitati dal diletto di Venere, dal quale se alcuni uomini s’astengono (che sono forse più rari che li bianchi corvi) si truova che spesso caggiono in gravi malattie. Fu adunque un eremita, il quale seppe sí bene opprimere gli stimoli carnali, che infino alli ventisei anni casto si condusse. Ma caduto poi in gravissima malattia, i medici riferirono, che non sapevan altro rimedio per la sua salute, se non che egli usasse alquanto Venere. Ricusava ostinatamente l’eremita dicendo, voler più tosto morire che perdere la verginità tanto preclara, e tanto grata a Dio. Vinto nondimeno dall’asprezza del male, e dalla dolcezza del vivere, si lasció finalmente dalli amici persuadere. Cosí essendogli condotta una bella giovane, si congiunse seco con tanto suo piacere, che si venne quasi manco. Ma riavutosi si cominciò a dolere, e a gittar tanta abbondanza di lacrime, che ne veniva pietà a tutti i circunstanti, li quali pensando al certo che s’affliggesse per parergli aver mal fatto, il confortavano, e dicevano che egli stesse di buona voglia, perché Dio clementissimo padre gli perdonava, sapendo che egli ciò aveva fatto per ricuperare la sanità, e non per offenderlo: “Ehimé – disse l’eremita – che io non mi dolgo di cotesto, ma mi dolgo, e piango perché io ho indugiato tanto a provar sí grande, e singular dolcezza”». Anv.376, p. 246: «Quelli che son d’intelletto savi commendar molto il matrimonio: Ma veggiamo un poco quel che dice il sapientissimo Socrate, in favor delle donne e come l’intende l’Ariosto medesimo, quando egli scrive a suo senno, acciò che noi dimostriamo la fallacia, per non dir malignità delle opinioni di sopra. Socrate adunque, essendogli domandato consiglio da un giovane suo amicissimo se si doveva maritare o no, rispose, che la più piacevole, la più onesta e la più giusta cosa che possa far l’uomo per sodisfare a Dio, alla natura e alla patria, è di prender moglie onesta. E l’Ariosto scrivendo al suo fratello il conferma con lungo proposito e con molte ragioni, ma particularmente con queste appresso, dicendo: Io fui di parer sempre, e così detto / l’ho più volte, che senza moglie a lato / non puote l’uomo in bontade esser perfetto / né senza si può star senza peccato. / Che chi non ha del suo, fuor accatarne, / mendicando o rubandolo, è forzato. / Et chi s’usa a beccar dell’altrui carne, / diventa ghiotto e oggi tordo o quaglia, / diman faggiani, un altro dì vuol starne. / Non sa quel che sia amor, non sa che vaglia / la caritade e quindi avvien che preti / sono sì ingordi e sì crudel canaglia».

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de recreación

di Vicente de Millis

Benché Millis disponesse di una versione del testo già pur- gata, continua a trovare apologhi che non lo convincono, e opera una censura autonoma che si sovrappone a quella del testo di partenza. Elimina completamente alcuni racconti e interviene leggermente su altri. In due sole occasioni Millis decide di escludere racconti che erano stati soppressi anche da Belleforest, e in entrambi si trovavano chiari riferimenti alla sfera erotica:

Anv.154 (p. 100). Brutto costume, ma pur usato da diversi, di far mercanzia delle mogliere18.

Anv.289 (p. 188). L’uomo maneggiando la donna, svegliar fa- cilmente la concupiscenza19.

I due racconti sono chiaramente improponibili a una cen- sura spagnola, e quasi sorprende che Zanetti li avesse lasciati passare. Lo stesso Guicciardini, nell’edizione del 1583, sop- presse il secondo. Però Millis è più sensibile degli altri censori al tema del sesso, ed elimina per questa ragione ulteriori racconti, come Anv.263 (p. 172):

Singulare esemplo di continenza

xenocrate discepolo di Platone, fu giovane di maravigliosa continenza. Intanto che havendo Frina meretrice bellis- sima, vantandosi, fatto gaggiura che ella alli suoi amoro- si congiugnimenti il potrebbe allettare, introdottolo nel suo letto, non potè mai per qualunche incitamento, o ar- te d’amore, che essa piacevolmente li usasse, muoverlo a risentirsi. Laonde quei giovani che seco havevan giocato, domandavano il guadagno della scommessa, ma ella rispo- se loro prontamente che aveva parlato d’un uomo e non d’una statua.

Sarà perché il racconto parla di una prostituta, o perché la dignità del filosofo era messa in dubbio da un sospetto di impotenza, Millis preferisce tralasciare questo racconto e procedere con qualcosa di più innocuo. La sensibilità con-

18. «Cippo stando nel letto con la moglie, quando egli sentiva qualche innamorato che la venisse a trovare, faceva sembiante di dormire e di russare, acciò che l’adultero gli potesse più facilmente far le corna». (p. 100)

19. «Un medico d’Arezzo, esendo stato chiamato per curare una bella giovane, la quale danzando s’era svolto un ginocchio, nel maneggiarla e trovarla tanto dolce e delicata gli si drizzò gagliardamente quel fatto, talché appena poteva tener in man le fasci salde, pur finí l’opera, e se ne levò sospirando; intanto la giovane gli domandò quel ch’egli aveva avere: niente, rispose il medico, imperoché in questa cura noi siamo del pari, io vi ho dritto un membro, e a voi a me n’avete drizzato un altro». (pp. 188-189)

Iole Scamuzzi

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troriformista di Millis si manifesta poi in tutti quei luoghi – e sono numerosi – in cui il buon nome del clero è messo in dubbio. Un esempio abbastanza chiaro è il seguente:

Anv.230 (p. 148) Parabola dimostrante che la malvagia è buona

per tutto il pasto.

Il Piovano Arlotto fiorentino era prelato, ma molto piace- vole e humano. Costui andando a un tratto a desinare con Francesco Dini, honorato cittadino, e postisi a mensa, Fran- cesco gli disse: «Piovano, io ho della malvagia, vogliamola noi innanzi desinare o dopo?» A cui il Piovano rispose per parabola dicendo: «La beata Maria fu vergine avanti il parto, nel parto, e dopo il parto». Però Francesco, intesolo, non volle, come huomo magnifico, che a desinare si avesse altro, che malvagia.

Nulla si dice in modo diretto, ma la satira si trova quasi in ogni parola: un prelato amante del vino, e di un vino dolce il cui nome, oggi malvasía, suona quasi malvagio; corona il tutto una metafora blasfema sulla verginità di Maria. Per Mil- lis fu troppo20, e anche per Guicciardini, che non ripropose il racconto nel 1583.

Ci sono infine due casi in cui Millis non ritiene necesario eliminare tutto l’apologo, ma solo aggiungere o sostituire alcune parole. Il primo caso è un racconto sul gioco d’azzar- do, tema che impegnava abbastanza la letteratura moralistica castigliana dell’epoca21. Millis sente la necessità di aggiungere al testo una breve chiosa:

20. Non lo fu per Belleforest, che mantiene il racconto, come faceva anche per Anv.263. 21. Per esempio, l’erudito Luque Fajardo, nel 1603, pubblicava un trattato contro il gioco d’azzardo: Fiel desengaño contra la ociosidad y los juegos (Miguel Serrano de Vargas, Madrid). Anv.397, p. 260

(uguale in Venezia 1572) Millis.384 p. 148v.

Un bel motto salvar talora altrui da danno e da ver- gogna

Francesco da Seminara, fatto prigione per haver giocato a dadi le sue sustanzie, dolendosi disse: «Questo podestà mi mette in prigione perché io ho giocato il mio, che farebbe egli s’io havessi giocato il suo?». Il podestà, udita quella piacevo- lezza, il fece subito trar di prigione e perdonogli.

Un buen dicho libra alguna vez a otro de daño y de vergüenza.

Como estuviesse preso en la cárcel pública Fran- cisco Seminara, porque avía jugado y perdido toda su hazienda a los dados, dixo quexándose: «Este governador me mandó prender, porque he jugado mi hazienda ¿Qué me hiziera si uviera jugado la suya?». Y como el gobernador uviesse entendido esta gracia, le mandó luego sacar de la prisión en que estaba y le embió libre, aunque no con lo que avía perdido.

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de recreación

di Vicente de Millis

Millis aggiunge alla storiella una frase che sottolinea l’irrime- diabilità dei danni compiuti dal gioco d’azzardo, almeno dal punto di vista economico, perché alla funzione umoristica si accompagni quella esemplare. Più interesante è il suo inter- vento in un altro apologo: Anv.431, nel quale opera una vera e propria censura civile:

Ai tempi degli Austrias, eredi delle corone unite di Isabella e Fernando, qualsiasi satira interna fra la corona di Aragona e quella di Castiglia doveva suonare inaccettabile a Millis, che decide di lasciare indefinita l’identità del re che difendeva l’ignoranza della nobiltà.

Per concludere questa prima parte di considerazioni sulla storia del testo, torno a proporre lo stemma codicum, integrato con le traduzioni di Millis e di Belleforest.

Anv.443, p. 297 (Venezia coincide) Millis.431 p. 171r.

Le lettere apprezzarsi molto dalli uomini savi

Alfonso re d’Aragona, di Napoli e di Sicilia, ha- vendo inteso che un certo re di Castiglia have- va detto che non si conveniva la dottrina delle lettere alli huomini nobili e generosi, esclamò dicendo: «Queste sono parole d’un bue e non d’un huomo».

Las letras son muy preciadas por los hombres sabios.

Don Alonso rey de Aragón, de Sicilia y de Nápo- les aviendo oýdo que un cierto rey de su tiempo avía dicho que las letras no eran cosa que per- tenecían ni convenían a los hombres nobles y generosos, dixo que aquellas palabras no eran de Rey sino de buey.

Iole Scamuzzi

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Vicente de Millis Godínez: ritratto di un intellettuale del Rinascimento a partire dalle sue opere

Uno dei tratti più affascinanti di questa ricerca è poter rico- struire, almeno in parte, la vita e la cultura di intellettuali quasi dimenticati dalla storiografia come Vicente de Millis e la sua famiglia. È difficile fornire una vera e propia biografia o disegnare un preciso albero genealogico di questi piccoli imprenditori della cultura italiana in Spagna nel xvi secolo, ma si può mettere ordine fra le poche notizie disponibili nei documenti d’archivio e nelle opere che pubblicavano e scri- vevano, per tracciare il profilo delle loro attività professionali e culturali. Ciò che sappiamo è che i Millis avevano origini italine, nella città di Tridinum, oggi Trino Vercellese. Guiller- mo, padre di Vicente, nel 1530 aveva già una sua stamperia a Medina, e nel 1539 l’aveva trasferita a Salamanca22. A partire dai documenti raccolti da Pérez Pastor nel suo immenso volu- me La imprenta en Medina del Campo23 si possono ricostruire le vicende degli eredi di Guillermo. Vicente nacque dal primo matrimonio di Guillermo, con Lorenza de Maldonado. Non si conosce con precisione la sua data di nascita, però alla morte del padre era minorenne e venne nominato quale suo tutore un fratello di Guillermo, Jacobo de Millis. Nel 1559, Vicente chiese e ottenne una licenza per amministrare i suoi beni, con l’unica limitazione di non poter vendere o impegnare l’attività senza l’autorizzazione di Jacobo24. Nella lettera che concede la licenza, si dice che Vicente ha un’età compresa fra i 20 e i 25 anni, che significa che nacque fra il 1535 e il 1539. Nel 1560, Vicente comprò da suo zio una grande quantità di libri già stampati, fra i quali si trovavano le grammatiche del Nebrija, del Navarro e di Ayala, titoli molto richiesti nelle colonie americane, con la licenza di venderli in completa autonomia. Acquistò anche da alcuni banchie- ri francesi certe lettere di cambio, e tutto per una enorme quantità di denaro, che si aggirava intorno ai duemila ducati.

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