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Un poema di 3590 strofe divise in 24 libri che il re di Francia Francesco I commissionò al poeta per celebrare l’eroe nazionale.

111 mentre le rime, ecloghe ed elegie mantengono i versi. Ecco alcuni esempi:

Il testo di Alamanni era l’ecloga «Perché non trai la tua zam- pogna fuore». Millis traduce con una certa libertà, aumen- tando il numero dei versi della citazione originale: tranne il penultimo, sono tutti endecasillabi.

Come si è detto, Millis preferiva tradurre la narrativa in prosa, ma la prima volta che incontra una citazione del Girone il Cortese (canto ii, ottava 135), prova a tradurre in versi:

Anv.98, p. 65. In che modo più facilmente la cattiva fortuna si tolleri.

Essendo domandato Talete Milesio in che mo- do l’huomo possa più facilmente comportare la cattiva fortuna, disse: «Comporteralla se vedrà li nimici suoi in peggior grado di sé». E il gentil Alamanno a questo proposito disse:

Son due veri conforti all’infelice, l’un rimembrarsi il tempo in cui già visse con maggior doglia, e l’altro in mente havere

s’alcun vive di lui più tristo al mondo.

Millis.93, p. 32r. De qué manera se suffre más fácil- mente la fortuna contraria.

Siendo preguntado a Thales Milesio, que de qué manera podría más fácilmente sufrir el hombre su adversa fortuna, respondió: «Considerarla quando viere a sus enemigos en peor estado que el suyo». Y Luys Alamanni dixo a este propósito elegantemente:

Es consuelo muy proprio al desdichado notar bien la miseria en que ha vivido,

si fue mayor en tiempo ya pasado. Y que con esto no pondrá en olvido

si alguno es, o fue, o ha sido con miserias más qu’él atormentado.

Anv.51, p. 39. L’amore causare infiniti errori con dan- no, e vergogna di chi lo segue.

M[esser] Luigi Alamanni, come humanissimo gentilhuomo che egli era, veggendo un suo ami- co fieramente innamorato far infiniti errori con suo gravissimo danno delle facultà e dell’honore e finalmente farsi ridiculo a ognuno, l’ammonì piacevolmente in questo modo dicendo:

È già gran tempo ch’io conosco assai, quanto Amor sia nimico al buon consiglio:

ma tra noi è tal conoscenza homai, che sicurtà come vedete piglio di ricordarvi che sta sempre in guai chi in donna adora il variabil ciglio: e quanto più ne l’huom sormontan gli anni,

più si scema il favor, crescon gli affanni.

Millis.47, p. 16r. El amor es causa de infinitos errores con daño y vergüenza de quien le sigue.

Micer Luys Alemani, que fue un cavallero docto y affable, viendo un amigo suyo que estava en gran manera enamorado, y que con mucha affrenta suya cometía grandes errores y daños assí con- tra su hazienda, como contra su proprio honor, y finalmente dava que reír a quantos sabían lo que hazía, le amonestó graciosamente diziéndole d’esta manera:

Gran tiempo ha que tengo muy sabido qu’es enemigo amor d’el buen consejo, y pues tenemos esto assí entendido, assegurémonos en este claro espejo y veremos, que siempre es afligido el que sirve a muger, sea moço o viejo, pues quanto más augmenta el hombre en años,

Iole Scamuzzi

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Il tentativo non ha però molto successo; dal punto di vista me- trico, riesce a ricreare un’ottava che segue da vicino il testo originale, ma non capisce bene il significato dei versi 3 e 4. Nel testo italiano, l’io lirico ritiene di avere sufficiente confi- denza con l’amico per potergli dire qualcosa che ha appreso a proprie spese, ossia che l’amore ottunde lo spirito e per questo lo deve evitare: siamo così amici, che posso difenderti da te stesso con la mia saggezza. Millis, invece, sembra capire che gli interlocutori si siano già detti così tante volte che l’a- more costituisce un ostacolo all’intelletto, che possono darlo per assodato e proseguire con ulteriori argomenti: sappiamo bene che l’amore non lascia pensare con chiarezza, quindi dobbiamo tenerlo presente e trarne le dovute conseguenze.

Vista la complessità di questo frammento, Millis preferisce tradurre in prosa le occorrenze successive del Girone.

Vicente de Millis si mostra però assai più interessato al- la composizione di versi quando si trova davanti a citazioni di poeti maggiori, che Guicciardini offre con abbondanza. Più volte, si cita la Divina Commedia di Dante Alighieri. Non esisteva, all’epoca di Vicente, una traduzione completa e in versi dell’opera del divino poeta42, ma Vicente non prende nemmeno in considerazione l’eventualità di ridurre in prosa i versi danteschi. Si pone dunque a lavorare con molta cura sui frammenti danteschi. I più estesi sono tre, due dei quali provengono dal Purgatorio, e uno, ancor più ampio, dall’In- ferno.

Il primo proviene dal terzo canto del Purgatorio, vv. 34-39. Ecco l’apologo intero:

42. Cfr. A. Ruffinatto, I. Scamuzzi, Le tre corone in Spagna, con appendici cervantine in Italia, Celid, Torino 2008, cap. 1.

Anv.131, p. 85. La maestà divina esser cosa incom- prensibile ai mortali.

Essendo domandato Simonide filosofo da Hiero- ne tiranno, che cosa o quale fusse Iddio, prese tempo un dì a rispondere. L’altro giorno ne pre- se due. Dipoi ne chiese quattro, così dupplicando sempre il termine. Ierone alla fine il domandò per qual cagione egli non respondesse e sempre più in lunga la mandasse. «Perché quanto più ci penso – disse Simonide – tanto più truovo la cosa oscura e tanto più mi ci confondo dentro». E il nostro penetrantissimo Dante a simil proposito saviamente disse:

Millis.126, p. 43v. La magestad divina es una cosa que los mortales no pueden comprehender.

Siendo preguntado el filósofo Simónides, por Hierón tyranno, qué cosa es o qual era Dios, pi- dió le término de un día para responderle, y ve- nido aquél día, pidió le otros dos, y después pidió le quatro, y así yva siempre doblando el término. Finalmente preguntole Hierón, que porque no le respondía, y porque siempre alargava el término de la respuesta. A lo qual respondió Simónides diciendo: «Porque quanto más pienso en este ne- gocio, tanto más escuro le hallo, y más me con- fundo». Y así escrivió el Dante muy sabiamente:

113 Questo è un brano assai complicato dal punto di vista teolo- gico: è matto, o stolto, colui che spera che la nostra ragione possa ricostruire i percorsi del pensiero e dell’azione dell’Es- sere che è uno e trino, ossia mistero nella sua stessa natura, e quindi del tutto incomprensibile nel suo agire. Millis traduce semplicemente, senza alterare le possibili costruzioni gram- maticali del testo. Capisce bene che si parla di una questione di intendimento, ossia dell’umana comprensione della na- tura e dell’agire divino; non altera l’ordine delle parole, in modo che «sustancia en tres personas» possa fungere sia da soggetto, sia da oggetto del verbo «tiene»: sei uno stolto se vai dicendo che puoi comprendere il cammino infinito del pensiero divino, la cui natura è mistero. Guicciardini citava anche la terzina successiva, che a Millis pare forse di contenu- to rischioso (se voi umani foste in grado di capire tutto non ci sarebbe stato bisogno della nascita di Cristo…) e decide di sopprimerla, ritenendo di aver già reso l’idea che la fonte voleva dare43.

Non rinuncia invece al secondo passo del purgatorio che trova sul suo cammino (Pg. xi, 100-102):

43. Il cattolicesimo controriformista non vedeva di buon occhio la Commedia dantesca,

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