alcune linee lì commentate che evidenziano in modo macroscopico la presa di distanza del traduttore rispetto al testo del Doni, rimandando all’articolo citato per altre conside- razioni: «Quanti ci sono oggi che non fanno profession d’altro che di dir bugie? Quanti sono adulatori e quanti mentiscono di parola in parola che esce loro di bocca? Vadisi nelle corti, cerchisi le religioni e riguardinsi le famiglie e si comprenderà quanto il nimico nostro vi sia per la parte sua» (Baia ii, p. 109 ed. Pierazzo); «¿Quántos se hallan hoy en día
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potrebbe identificare il traduttore come una figura vicina alla Chiesa, se non addirittura un collaboratore di monsi- gnor Della Casa. A tale proposito, si vedano le valutazioni di Pierazzo, la quale, riflettendo sulla consuetudine doniana al riuso di testi già pubblicati in precedenza, dice:
è proprio a partire dalla Zucca che questa modalità di lavoro si afferma con prepotenza, tanto che almeno un terzo del testo è un’auto-antologia. In particolare, numerosi sono i re- cuperi dalle Lettere del 1547, l’opera contenutisticamente più audace della prima parte della produzione doniana, in cui l’autore si spinge numerose volte anche nel terreno dell’ete- rodossia. Nella Zucca confluiscono i testi meno compromessi da un punto di vista religioso, di cui vengono anche smussate le punte polemiche o ‘pericolose’: evidentemente a Venezia la nunziatura del Della Casa e la relativa emanazione di un indice di libri proibiti suggerivano una maggior prudenza rispetto alla Firenze di Cosimo I, ove in quegli anni, protetto o quanto meno tollerato dal potere ufficiale, si manifestava un sottile ma deciso dissenso religioso.36
Si consideri poi la moderazione del traduttore nell’esprimere giudizi e nell’uso di parole malsonanti a cui abbiamo fatto cenno. Tutti questi aspetti concorrono al ritratto di un tra- duttore che ben potrebbe essere intervenuto direttamente per censurare il passo doniano e riportarlo nell’alveo di ciò che era considerato pubblicabile in un’ottica di ortodossia religiosa. Com’è noto, il testo della Zucca fu effettivamente espurgato da Geronimo Gioannini da Capugnano per l’e- dizione del 1589, indubbiamente con maggior severità di quanta ne abbia usato il traduttore.
Circa il suo anonimato, bisogna chiedersi fino a che punto si sia trattato di un atto volontario e non fosse invece legato a circostanze casuali. Intorno alla metà del Cinquecento le traduzioni erano numerose e la maggior parte dei testi giunti fino a noi lascia trasparire il nome del traduttore, se non dal titolo o dal frontespizio almeno dalla dedica, per l’appunto que de ninguna otra cosa hacen profesión sino de mentir y lisonjear? ¿Y quántos son los que mienten en todas las palabras que echan por boca? Muy claro se vee esto en las Cortes delos Príncipes, pues en las Religiones no. Váyanse a las casas y familias donde veerán cuan de veras nuestro enemigo les haze espaldas» (corsivo nostro).
36. Pierazzo, p. 856. Sono quattro, se escludiamo le lettere, dove sono molti di più, i passi riciclati: con il sistema di riferimento che usa Pierazzo si tratta di: ia 21 4-13, ic 4 5-14, ic 5 4-8, ic 16 (la lode dell’ignoranza).
83 Gli ortaggi di settembre e La Zucca del Doni en Spañol
firmata dal suo autore; possiamo dunque a buon titolo affer- mare che l’assenza totale del nome del traduttore costitui- sce un’anomalia. Le molte case editrici veneziane potevano contare su collaboratori che si occupavano dell’intero iter che riguardava l’edizione, talvolta a cominciare dalla scelta dei testi, fino agli aspetti più materiali della sua stampa, per non parlare della stesura dei paratesti o di alcune sezioni dell’opera stessa. Tali figure coincidevano spesso con scrittori conosciuti, come il noto caso dell’Aretino dimostra37, mentre altre volte la fama era una conseguenza dell’attività svolta, come nel caso di Alfonso di Ulloa38. La promozione persona- le non è un fattore da sottovalutare per quanto riguarda la presenza del nome del collaboratore, anche se motivi econo- mici stanno alla base dell’attività nel suo complesso. Stupisce dunque questo silenzio circa il nome del traduttore, tanto più che nella lunga dedica egli fa sfoggio di una buona cultura e presenta un’immagine di sé come di un uomo con un’iden- tità personale definita e uno status sociale di un certo rilievo. S’impone pertanto una riflessione su altri dati che cono- sciamo di questa edizione: intercorrono quattro mesi tra la princeps della sola Zucca e la pubblicazione in lingua spagnola; la velocità con cui il testo è stato tradotto e poi stampato è sorprendente e non va esclusa a priori la presenza di errori o di omissioni durante le fasi di questo processo. Si leggano poi le seguenti linee finali della dedica scritta dall’anonimo traduttore, in cui si palesa un’incoerenza tra le sue paro- le – dove gioca con il titolo dell’opera e la zucca come frutto (che si chiama calabaza in spagnolo) – e la successiva data:
Reciva pues Vuestra Merced este pequeño presente de la
Zucca […] Ella va a buena coyuntura: que según me parece, agora es el tiempo de las calabazas en esta tierra, aunque en otras sea en Setiembre. Pienso que tomará V. M. tanto gusto que
perdonará parte de la deuda en que estoy y acceptará el pre- sente en servicio. Nuestro Señor su Illustre persona guarde, y prospere, por muchos años [corsivo nostro].
37. Se ne potrebbero citare altri meno noti, come Ruscelli, Dolce, ecc.; tra i numerosi studi che si occupano di tali questioni si veda A. Nuovo, C. Coppens, I Giolito e la stampa
nell’Italia del xvi secolo, Droz, Genève 2005.
38. Si vedano A. Rumeu de Armas, Alfonso de Ulloa, introductor de la cultura española en Italia, Gredos, Madrid 1973 e A.M. Lievens, Il caso Ulloa: uno spagnolo irregolare nell’editoria venezia-
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A queste parole fanno seguito il luogo e la data in cui si sup- pone che il traduttore abbia terminato la stesura del testo stesso: «De Venecia a xxv de Settiembre mdli». È evidente che la parola ‘agora’ (cioè, ‘adesso’) indica un mese diverso da settembre, giacché è posta in opposizione, il che significa che la data originale non era il mese di settembre, ma un al- tro. La data fu dunque sostituita in sede di stampa e viene da chiedersi se durante questo processo non sia stato eliminato per errore il nome del traduttore, che normalmente segue la data e chiude la dedica. Si tratterebbe, se così fosse, di un’in- volontaria omissione del suo nome, alla quale non si potè rimediare perché la Zucca spagnola non fu più ripubblicata. Resta aperta, ovviamente, la possibilità che il traduttore non volesse figurare pubblicamente in questa veste per moti- vi personali o professionali, e le informazioni oggi disponibili non permettono di sciogliere questi dubbi. In queste pagine crediamo però di avere fatto un passo in avanti per dilucidare una questione non secondaria per la Zucca en Spañol e per la stessa opera del Doni.
«In qualunque lingua sia scritta»
85 La traduzione di Vicente de Millis delle Hore di Ricreatione di Lodovico Guicciardini, intitolata Horas de recreación, è un episodio minore all’interno del più ampio fenomeno delle traduzioni castigliane antiche dei novellieri italiani del ri- nascimento. Com’è noto1, nella seconda metà del xvi seco- lo, quando in Spagna si affermava la stampa, con un certo ritardo rispetto al resto dell’Europa, e grazie al contributo delle grandi famiglie di stampatori italiani e francesi, gran parte del mercato dei libri si fondava sulla redazione e di- stribuzione di opere italiane tradotte in castigliano. Insieme alle grammatiche, che si esportavano in grandi quantità in America Latina per facilitare l’evangelizzazione delle popo- lazioni indigene, il mercato interno apprezzava la narrativa, che iniziava a costituire il consumo letterario del pubblico alfabetizzato, in particolare femminile. I novellieri italiani erano l’avanguardia di questo nuovo genere letterario. Pro-
1. Per un panorama completo dell’importanza dei novellieri in Spagna si vedano gli studi