• Non ci sono risultati.

La storia completa dell’opera e della sua immensa fortuna si può leggere nella base dati dell’Università di Glasgow «Alciato at Glasgow», che fornisce anche le riproduzion

in formato immagine delle trascrizioni di tutte le edizioni recuparate, in tutte le sue traduzioni. Alciato at Glasgow - Alison Adams, Brian Aitken, Graeme Cannon, Stephen Rawles, Joanna Royle, Gillian Smith, David Weston, University of Glasgow, The British Academy, http://www.emblems.arts.gla.ac.uk/alciato/index.php [Consultato: 22 mag- gio 2014].

riconoscibile e permettendo ai lettori di trovare corrispon- denze precise tra gli emblemi nelle diverse lingue. Nel pa- ratesto dell’edizione castigliana, Daza assicura che ha avuto accesso a un’edizione latina con appunti dell’autore e che per questo la sua traduzione non è letterale. La differenza fra testo italiano e testo spagnolo è evidente quando si al- lineano gli apologhi in cui Guicciardini citava l’Alciato di Marquale, e Millis quello di Daza.

Millis si comporta, in relazione ad Alciato, come aveva fat- to per Ariosto: Guicciardini cita Alciato senza menzionare il luogo, ma Millis conosce l’opera tanto bene che rintraccia la citazione e la ripropone con le parole, e le libertà, di Daza: così, in questo caso, invece di un emblema di otto versi ne troviamo uno di sei. Per di più, in molti casi Millis si prende la libertà di aggiungere agli apologhi di Guicciardini citazio- ni di Alciato non presenti nel testo di partenza, quando gli pare che un emblema non menzionato dall’autore italiano sarebbe coerente con il tema trattato. Introduce le sue inter- polazioni con una glossa del tipo “y el famoso Andrea Alciato, en sus Emblemas…”. Ecco un esempio:

Anv.344, p. 226. Le umane operazioni da una

banda esser degne di riso, dall’altra di pianto. Millis.332, p. 128v. Las obras de los hombres por una parte son dignas de risa, y por otra de llanto.

Heraclito e Democrito erano due filosofi famosissimi: questo, considerando le pazzie de gli huomini, sempre rideva; quello, considerando le lor miserie, piangeva. Or a questo proposito, volendo il grande Alciato dimostrare che la vita umana se ne va sempre di male in peggio, fece sopra ciò questi piacevoli versi.

Più dell’usato Heraclito ti veggio Pianger gli affanni dell’humana vita: per ch’ella se ne va di mal’in peggio, et la miseria homai fatta è infinita. Te Democrito ancor più rider veggio, che non solevi, e la tua man m’addita; che le pazzie son maggiori intanto, che non è pari il riso, e meno il pianto.

Heráclito y Demócrito fueron dos famosos filósofos, y este considerando las locuras de los humanos se reýa siempre dellos, y el otro considerando sus miserias llorava a la contina. Y a este propósito queriendo Alciato mostrar que la vida humana va siempre de mal en peor, hizo estos elegantes versos.

Llora Heráclito, si llorar solías,

Que más hay que llorar hora en la vida. Demócrito, si alguna vez reías,

Ahora ríe, que más está perdida.

Mientras más miro, más con vos barrunto Como podré reír y llorar junto.

129 Anv.304, p. 200. Numero, forma e natura delle grazie.

Gli antichi Greci fingevano le Gratie essere tre, Aglaia, Thalia e Euphrosine, e le dipingevano nu- de, per dimostrare che i benefici deono essere puri e semplici senza insidie o speranza di mag- gior profitto. Contrafacevanle giovani, perché la memoria del beneficio dee esser sempre fresca e non invecchiare. Apparivan ridenti, perché si dee dare e beneficare il prossimo allegramen- te. Dipingevanle tre, dicendo che l’una porge, l’altra riceve e la terza rende. Due voltavano col viso verso di noi e una con la collottola, volendo significare che per una gratia che si riceva, se ne deve rendere due. Congiugnevanle strettamente insieme, dimostrando che le Gratie deono esse- re indissolubili e l’un beneficio preparar sempre l’altro e così far l’amicitia perpetua.

Millis.292, p. 112. Número, imagen y naturaleza de las gracias.

Los antiguos fingieron que las Gracias eran tres, llamadas Aglaya, Thalía, y Euphrosina, las qua- les pintavan desnudas, dando a entender que las buenas obras han de ser limpias y simples, sin ninguna doblez, o esperança de mayor provecho. Y pintavan las moças de poca edad, porque la memoria de la buena obra recebida ha de estar siempre fresca, y no se ha de envejezer. Parecía que se estavan riendo, porque la buena obra que se haze al próximo se ha de hazer con alegría. Y pintavan tres, diziendo que la una da, la otra reci- be, y la tercera restituye. Las dos tienen los rostros bueltos hacia nosotros, y la otra está de espaldas, queriendo con esto mostrarnos y enseñarnos que por una buena obra que se rezibe se han de bol- ver y tornar a dar dos. Y allende de esto las atava- van [sic] muy estrechamente juntas, queriendo significar, que las gracias, no se han de poder dessatar, y asimismo que una buena obra ha de apercibir siempre a otra, y que assí se ha de hazer entre los que quisieren tener amistad perpetua. Y Alciato en sus Emblemas, dixo, en vn diálogo entre él y el Lector:

A: Tres gracias son que a Venus ayuntadas sirven,y ninguna se le alexa,

deleite y otras cosas regaladas, de servirla alegría jamás dexa Eufrosine, y la tez le trae Aglaya, Thalía persuasión y blanda queja. L: ¿Porqué desnudas son? A: Para que aya Gracia, menester es que aya clareza, o porque la merced perdida vaya

que se haz al hombre, e assí va en pobreza quien mucho da, quedándose desnudo? A: Porque dos vezes dio quien presto pudo dar lo que avía de dar, que el don que tarda poco se estima por ser tardo y rudo. L. Porqué buelta de espaldas se reguarda la una dellas? A. El agradecido

de aquello que agradece más aguarda que aquello que en pagar ha despendido Las otras dos que quedan se lo pagan que no dexan qu’l bien vaya en olvido. el padre destas gracias que así alagan fue Jupiter y Euronime la madre las quales no a quien bien satisfagan Y no ay alguna que a todas no quadre».

Iole Scamuzzi

130

È interessante notare che, in tutti i casi in cui Millis interpola un emblema non menzionato da Guicciardini, quell’emble- ma non si trovava nella versione di Marquale, ma solo in quella di Daza, e che quindi Guicciardini non avrebbe potuto citarlo neanche volendo, perché non lo conosceva. L’apolo- go citato nell’esempio descrive la rappresentazione topica delle Grazie, e Millis non può evitare di vedere, nelle parole del suo autore, l’emblema Las Graçias; quindi lo inserisce, co- me avrebbe fatto Guicciardini, se l’avesse conosciuto. Questo fatto singolare dimostra che Vicente de Millis aveva raggiunto un’eccellente sintonia con il suo autore, condivideva con lui risorse culturali e testuali, e si impegnava a conoscere il suo intertesto ancor meglio di lui.

Conclusioni

Da questo lungo lavoro di analisi dei documenti d’archivio sulla famiglia Millis e delle pubblicazioni curate da Vicente, ho potuto trarre conclusioni di varia natura, che contribui- scono a disegnare un ritratto biografico e culturale del tra- duttore ed editore salamantino fin’ora mai raggiunto, oltre a rendere giustizia delle sue competenze linguistiche e let- terarie, mai prese in seria considerazione. Già Menéndez y Pelayo aveva colto l’importanza dei documenti raccolti da Pérez Pastor per ricostruire il percorso editoriale dei Millis, ma si era fermato a un breve riassunto degli spostamenti geo- grafici della famiglia e ai loro legami con i Junta, pronuncian- do sull’attività letteraria di Vicente un giudizio sommario di scarsa stima53. Solo integrando questi dati con quelli relativi 53. «A las Horas de recreación, que es una de tantas colecciones de anécdotas y facecias, cupo traductor más humilde, el impresor Vicente de Millis Godínez, que las publicó en Bilbao en 1580. […] Aunque la voluminosa colección del obispo de Agen, que comprende nada menos que doscientas catorce novelas, fuese continuamente manejada por nuestros drama- turgos y novelistas, sólo una pequeña parte de ella pasó a nuestra lengua, por diligencia del impresor Vicente de Millis Godínez, antes citado, que ni siquiera se valió del original italiano, sino de la paráfrasis francesa de Pedro Boaistuau (por sobrenombre Launay) y Francisco de Belleforest, que habían estropeado el texto con fastidiosas e impertinentes adiciones. De estas novelas escogió Millis catorce, las que le parecieron de mejor ejemplo, y con ellas formó un tomo, impreso en Salamanca en 1589. […] Presumía de cierta literatura, puesto que además de las obras de Guicciardino y Bandello llevan su nombre Los ocho libros de los

inventores de las cosas, de Polidoro Virgilio». M. Ménendez y Pelayo, in Estudios y discursos de crítica histórica y literaria, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, Santander 1943,

vol. III: Cuentos y novelas cortas - La Celestina, pp. 33ss. L’affermazione dell’erudito spagnolo non è completamente esatta in quanto in realtà Vicente de Millis si limitò a tradurre le prime quatordici novelle del volume francese, senza alcuna scelta né criterio.

131 Le Horas

de recreación

di Vicente de Millis

alle compravendite di libri e materiali da parte di Vicente e con quelli forniti, tra le righe, dalle sue opere, ho potuto dar forma a un ritratto più completo.

I documenti, se analizzati in profondità, permettono di ri- costruire che Vicente de Millis nacque fra il 1535 e il 1539 da una famiglia di stampatori originari di Trino vercellese. Suo padre, Guillermo, aprì la sua attività a Medina del Campo negli anni trenta del Cinquecento e vi lavorò fino alla mor- te, alla fine degli anni cinquanta. Rimasto orfano, Vicente rimase sotto la tutela dello zio paterno Jacobo de Millis, dal quale chiese di essere emancipato nel 1560. L’anno seguente comprò da suo zio la stamperia e tutti i libri che contene- va, indebitandosi assai. Si sposò con Ana Godínez prima del 1566, e con lei cercò di mantenere a galla la stamperia, che però fallì dopo il 1572. Vicente andò dunque a lavorare per i Junta a Salamanca, e poi a Madrid. Ebbe un figlio, Juan, che all’inizio degli anni ottanta lavorava già come libraio, e chiese la licenza per stampare le traduzioni del padre. Nonostante la bancarotta, la famiglia di Vicente potè, in alcune occasioni, tornare a stampare libri con l’antico sigillo di Guillermo de Millis, grazie all’aiuto delle altre famiglie di stampatori italia- ni, come i Junta o i Portonari, che li sostennero nei periodi più difficili.

I paratesti e i testi stessi delle opere stampate e curate da Vicente, invece, la dicono lunga sulla cultura tutt’altro che superficiale del traduttore di Bandello: senza dubbio, sapeva il francese, l’italiano e il latino a sufficienza per dedi- carsi a traduzioni letterarie da tutte queste lingue. Del testo di Guicciardini, aveva a disposizione un’edizione veneziana leggermente purgata, edita da Zanetti nel 1572, alla quale sono risalita grazie alla collazione fra la traduzione e le edi- zioni italiane dell’opera allora esistenti. Le numerose cita- zioni di poeti italiani presenti nel testo di Guicciardini mi hanno permesso di sondare quali fossero le conoscenze dei Vicente de Millis nella nostra letteratura, e queste sono ri- sultate significative: conosceva la traduzione dell’Inferno di Dante compiuta da Pedro Fernández de Villegas nel 1515; conosceva alla perfezione la traduzione di Urrea dell’Orlando Furioso, della quale aveva curato un’edizione commentata nel 1583; si orientava con agio nei Trionfi di Petrarca, che leggeva nella traduzione di Hoces pubblicata da suo padre nel 1554; conosceva, anche meglio di Lodovico Guicciardini, gli Em-

Iole Scamuzzi

132

blemata di Alciato, nella loro versione castigliana: in alcuni casi, interpolava nella traduzione frammenti di quest’opera. Infine, operava sul testo di Guicciardini una censura propria, eliminando gli apologhi che avevano a che fare col sesso, che si scagliavano con troppa veemenza contro il malcostume del clero, o che mancavano di rispetto alla Casa Reale.

Ne emerge il ritratto di un uomo colto, appartenente al mondo del mercato e non a quello dell’università, com’era invece il caso di altri traduttori di novellieri (come Truchado, traduttore delle Piacevoli notti di Straparola)54. Era inoltre pie- namente inserito nella rete di solidarietà degli stampatori ita- liani in Spagna, condizione che gli permise di non andare in rovina per debiti e di sviluppare quello che si rivelò essere il suo talento principale: tradurre e curare le edizioni spagnole dei classici italiani, diventando un mediatore indispensabile per la condivisione di forme e contenuti letterari nell’Europa del Cinquecento.

Outline

Documenti correlati