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Iole Scamuzzi

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Il testo di partenza di Vicente de Millis: un terminus post quem

È ora necessario collocare la traduzione di Vicente de Millis nella tradizione che abbiamo delineato, e individuare qua- le fu il suo testo di partenza fra i molti disponibili. È utile iniziare dalle indicazioni fornite dal paratesto dell’edizione castigliana, e in particolare dalla censura:

Por mandado de los señores d’el Real Consejo he visto este libro intitulado Horas de Recreación de Ludovico Guicciar-

dino, traduzidas de Italiano en Español y le he conferido con

su original impresso en Venecia, y hallo que no tiene cosa contra la fe, ni contra buenas costumbres, ni deshonesta, antes para que vaya más casta la lectura le he testado algunas cosas que van señaladas, y emendado otras, sin las quales lo demás puede passar, por ser lectura apacible, y al fin son to- das apotegmas y dichos gustosos, y de buen exemplo para la vida humana, y puestas en un breve y compendioso tratado, y assí me parece se le deve dar al author la licencia y privilegio que pide. En Madrid, a cuatro de Iulio. 1584.

Lucas Gracián L’edizione che Millis aveva consegnato insieme alla sua tra- duzione all’incaricato della censura religiosa, perché ne ve- rificasse la conformità, era veneziana, il che esclude sia che si trattasse della princeps delle Hore, Anversa 1568, sia che si trattasse della revisione del 1583, che peraltro era appena uscita quando Millis stava finendo il suo lavoro. Un breve confronto dell’ordine dei racconti mostra che Millis non leg- geva i Detti, bensí le Hore. Di conseguenza, il testo di partenza della traduzione doveva essere un’edizione veneziana della versione autorizzata dell’opera, e il candidato ideale è la za- nettiana del 1572.

Collazionando Venezia 1572 con la traduzione si trovano alcuni errori significativi congiuntivi, che confermano che fu questa il testo di partenza di Millis. In Venezia 1572 tre racconti risentono di un intervento censorio, che separa il testo veneziano dalle altre edizioni. In due casi, vengono eli- minate considerazioni derisorie o denigratorie dei frati. Nel terzo caso si elimina la menzione di Erasmo. Propongo in tabella i testi allineati di Anversa 1568 e di Venezia 1572, in modo che risulti chiara l’entità e natura di questi interventi, varianti o, insomma, errori.

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Nel caso di Anv.114, l’intervento è tanto pesante da stravol- gere lo spirito del testo: fra Bernardo da Lovano lascia il saio e si trasforma in un cittadino qualunque, e la satira si spo- sta dal clero a una generica classe di uomini ingrati. Questo apologo sembra aver preoccupato gli editori fin dall’inizio: già le prime edizioni della serie dei Detti proponevano una

Anversa 1568 Venezia 1572

Anv.114 (p. 75). Tenacità dei frati extraordinaria. Fra Bernardo da Lovano essendo solito, si come è quasi tutta la generation fratesca, a prender sempre e a non dar mai, fu tanto tenace, che egli stette tre giorni continui in una fossa, per non dare la mano a quelli che di quella il volevano trarre.

(p. 83) Tenacità d’alcuni straordinaria.

Essendo Bernardo da Lovano solito, si come è quasi tutta la generation d’alcuni, a prender sem- pre e a non dar mai, fu tanto tenace, che egli stet- te tre giorni continui in una fossa, per non dare la mano a quelli che di quella il volevano trarre Anv.125 (p. 81). Di quali cose convenga poco, o niente

fidarsi.

Luigi Pulci, huomo piacevole e acuto, usava fa- cetamente queste gratiate et approvate sententie, dicendo:

Di sei cose mi fido poco, o nulla, o di rado:

non di volta di dado, vecchia prosperitate, il nugol della state, il verno del sereno e d’un’ altra ancor meno,

ch’è di chierica rasa: la sesta c’è rimasa, di lealtà di donna.

(p. 89) Di quali cose convenga poco, o niente fidarsi. Luigi Pulci uomo piacevole, e acuto, usava face- tamente queste gratiate et approvate sententie, dicendo:

Di cinque cose mi fido Poco, o nulla, o di rado:

non di volta di dado, vecchia prosperitate, il nugol della state, il verno del sereno, et d’un’altra ancor meno.

La quinta c’è rimasa, di lealtà di donna.

Anv.359 (p. 236). Differenza che a giudizio de savi si trova tra il dotto e l’ignorante.

Essendo domandato Platone che differenzia fus- se dall’huomo dotto all’ignorante, rispose quan- to è dal medico all’infermo. Et Socrate essendo addimandato del medesimo (Erasmo attribui- sce ciò ad Aristippo), rispose: «Manda l’uno e l’altro ignudo a gente che non gli conoscano, e il vedrai». Aristippo disse esser tanta differenza da l’uno all’altro, quanta è da un cavallo domo a uno indomito. Aristotile parlando più seve- ramente disse: «Tanta differenza è dall’huomo dotto all’ignorante quanta è da’ vivi a’ morti». E Orazio espresse la sua sentenzia in questo modo dicendo:

L’huom che non ha dottrina vive al buio, né si può comparar al litterato, che vede più ’n un dì che l’altro in cento.

(p. 264) Differenza che a giudizio de savi si trova tra

il dotto e l’ignorante.

Essendo domandato Platone che differenzia fus- se dall’uomo dotto all’ignorante, rispose quan- to è dal medico all’infermo. Et Socrate essendo addimandato del medesimo (un dotto attribu- isce ciò ad Aristippo) rispose: Manda l’uno e l’altro ignudo a gente che non gli conoscano, e il vedrai. Aristippo disse esser tanta differenza da l’uno all’altro, quanta è da un cavallo domo a uno indomito. Aristotile parlando più seve- ramente disse: «Tanta differenza è dall’uomo dotto all’ignorante quanta è da’ vivi a’ morti». E Orazio espresse la sua sentenzia in questo modo dicendo:

L’uom che non ha dottrina vive al buio, né si può comparar al litterato, che vede più ’n un dì che l’altro in cento.

Iole Scamuzzi

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lezione alternativa in cui Bernardo da Lovano prende i panni di un turco:

Tenacità de’ turchi extraordinaria:

Ser Bernardo da Lovano essendo solito, si come quasi tutta la generation turchesca, a prendere sempre, e a non dar mai, fu tanto tenace, che egli stette tre giorni continui in una fossa per non dar la mano a quelli, che di quella lo volevano trarre.

Il traduttore francese delle Hore, François de Belleforest, si era tratto d’impiccio eliminando completamente l’apologo. La versione di Millis sembra invece ricalcare la variante ve- neziana, tornando a presentare, semplicemente, un uomo ingrato. Stoyle14 nota che la lezione di Venezia è poco chiara quando sostituisce “generazion fratesca” con “generazion d’alcuni”. Millis cerca di chiarire il testo, senza però cono- scerne la versione integra, e introduce l’inciso “como algunos lo usan” per tradurre la frase probematica: “si come è quasi tutta la generation d’alcuni”:

Millis.109. Porfía fuera de orden en algunos

Siendo acostumbrado uno llamado Bernardo de Lovano (como algunos lo usan) a recibir siempre, y a nunca dar, fue tan porfiado, que estuvo tres días arreo en un silo, por no dar la mano a los que para sacarle del se la ofrecieron. Al Guicciardini del 1583, invece, dovette sembrare che il “quasi” anteposto a “tutta la generazion fratesca” fosse una limitazione sufficiente alla generalizzazione che faceva sulla classe dei frati, e tornò a proporre il racconto nella sua ver- sione iniziale.

Il racconto Anv.125 contiene la citazione di un frammento delle Frottole di Luigi Pulci nel quale, di nuovo, fra le cose di cui non fidarsi, appaiono i frati. Le cose infide sono sei, ma Venezia le riduce a cinque, senza curarsi della metrica del ver- so che, variando da «di sei cose mi fido» a «di cinque cose mi fido», perde la sua regolarità; cancella poi completamente il verso «ch’è di chierica rasa» 15. Di conseguenza, può sembrare 14. Ivi, p. 115.

15. È interessante notare che nell’esemplare di Anversa 1568 conservato nella Biblioteca

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