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Brežnev: affievolimento della propaganda anti religiosa

Con il ritiro forzato di Chruščev dalla scena politica, si registrarono dei mutamenti parziali nella politica in materia di religione. Il controllo dei fedeli e la propaganda atea s’indebolirono, diventando semplici pratiche di routine. Con un decreto del 27 gennaio 1965, O nekotorych faktach narušenija

socialističeskoj zakonnosti v otnošenii verujuščich [Su alcune

violazioni della legge socialista in relazione ai fedeli], si rividero tutti i casi dei prigionieri arrestati nel biennio 1962-1964, sulla base degli articoli 142 e 227, e molti furono rilasciati.

La leadership politica di Brežnev si diresse verso un’ulteriore apertura alla Chiesa. Le azioni anti-religiose su larga scala diminuirono, così come la propaganda ateista. La coscienza di massa ortodossa rimase una rete di comunicazione unica nel suo genere, nelle società rurali, sfuggendo ai tentativi di distruzione imposti dall’alto. Anche con la chiusura di chiese e monasteri, i riti e le espressioni culturali, sebbene in forma semplificata, restarono vivi nelle memorie dei credenti. Certamente, la trasformazione e la crescita demografica, le mutazioni nella suddivisione delle popolazioni nelle varie aree geografiche e l’abbandono definitivo di molti piccoli centri rurali, contribuirono a modificare certi aspetti nella vita religiosa del popolo. Il contadino perse il suo legame con la trasformato la chiesa in una biblioteca e sciolto la parrocchia. E così la domenica, durante la predica, il sacerdote ha detto: “Carissimi fratelli e sorelle, gentili ospiti, qui dicono che Gagarin sia volato nello spazio e non abbia visto nessun Dio! Ma Dio ha visto molto bene Gagarin e, immaginate, lo ha pure benedetto!”. Una risposta simile pare sia stata data anche dall’archimandrita Alipij, ex priore del monastero di Pskov. Durante una visita di alcuni ospiti arrivati dalla Finlandia, un finlandese ripeté la celebre frase di Gagarin. Il priore rispose: “Una cosa del genere è successa anche a voi: siete stati a Helsinki, ma il presidente non lo avete visto”. Pare che l’archimandrita Alipij abbia dato un’altra risposta sulla questione. Alla domanda “Perché gli astronauti che volano nello spazio non vedono Dio?”, l’archimandrita ha risposto: “Nello Stato russo la Chiesa è per decreto isolata dal paese. Noi osserviamo fermamente questo decreto e possiamo dire che nel programma del volo spaziale l’incontro con Dio non era incluso”.

terra, e di conseguenza, molte feste religiose, legate strettamente al raccolto, persero d’importanza. Il concetto di “famiglia patriarcale” cominciò a sfumare; si registrò un aumento nel numero di aborti, e ci furono sempre più coppie che vissero nell’illegalità, con conseguenti figli illegittimi.

Nella seconda metà degli anni ’70 si registrò anche il fenomeno della “rinascita religiosa”. Ciò fu dovuto in parte alla crisi di valori del popolo sovietico, disillusi dall’attesa del “paradiso comunista” promesso sulla Terra, e dalla crisi del “socialismo sviluppato”, che era stato previsto nel 1977 dalla Costituzione dell’URSS. Furono anche gli anni in cui l’attività culturale si espresse per mezzo della circolazione del samizdat249, delle

riunioni negli appartamenti privati e con gruppi di discussione. Iniziarono a trapelare notizie da oltre la cortina di ferro con un conseguente risveglio della coscienza. Un’esplosione di religiosità si registrò tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90. Nel 1988 si festeggiò il millenario della nascita della Chiesa Ortodossa Russa e del battesimo della Rus’, che come detto poco fa, fu un evento di eccezionale importanza e rappresenta un punto di svolta per il ritorno alla vita religiosa di molti cittadini. Nello stesso anno il Presidium del Soviet Supremo e il Consiglio dei Ministri votarono un progetto di legge “Sulla libertà di coscienza e le istituzioni religiose”.

Nonostante la propaganda antireligiosa avesse perso il suo vigore iniziale, la linea di pensiero restò indiscussa fino alla fine delle perestrojka gorbačeviana: luoghi di culto in maggioranza chiusi e attivisti, il cui comportamento fosse in aperta contraddizione con la vita sovietica, picchiati e arrestati.

249 Padre Scalfi, sacerdote che negli anni ’60 varcò la Cortina di ferro per

recarsi in Unione Sovietica. In un’intervista rilasciata ad Antonio Giuliano il 31/03/2010 per il quotidiano “Avvenire”, Padre Scalfi, 50 anni di samizdat, parla del samizdat definendolo «uno dei più grossi miracoli del XX secolo», prova che la Chiesa Ortodossa esistesse ancora e comunicasse ai fedeli. È possibile leggere l’intervista completa al sito https://www.avvenire.it/agora/pagine/padre-scalfi-50-anni-di-

In conclusione, si può asserire che il XX secolo in Russia è stato un’epoca di rivoluzioni in campo storico-politico, ma anche artistico e religioso. I settant’anni di esistenza del potere sovietico hanno costretto la Chiesa a scendere nel “sottosuolo”, assumendo, a volte, anche i connotati di un setta. Ma al suo interno, si è mantenuta viva la necessità di ridare lustro all’icona, che a dispetto di ogni logica, ha continuato a esistere. Anzi, proprio il XX secolo è entrato nella storia come il secolo della riscoperta dell’iconografia. 2.5. Vite di iconografi al tempo del comunismo “Se nel corso del periodo dell'iconoclastia250, la chiesa ha lottato per l'icona, l'icona del nostro tempo è in lotta per la Chiesa251”. Con queste parole, lo storico d’arte Leonid Uspenskij sottolinea il ruolo chiave dell’icona nella rinascita della Chiesa ortodossa tra il XX e il XXI secolo. Questa sua affermazione, però, sembra in qualche misura intessere lo sfondo anche di altri periodi storici, accomunati da un graduale allontanamento dai canoni iconografici, mostrandosi particolarmente interessati, invece, a una tradizione visiva di chiara derivazione occidentale.

Ripercorrendo le tappe della storia russa, certamente, il periodo sinodale inflisse un duro colpo alla tradizione iconografica, ma non fu certo il culmine delle “sciagure” che investì la Chiesa ortodossa. L’avvento del XX secolo cambiò le sorti della storia dell’Impero russo e dell’Europa, modificandone confini, istituzioni, visione del mondo, concezioni teologiche.

250 Le questioni nate dal tentare di definire il concetto d’immagine hanno scosso profondamente la Chiesa dal IV al IX secolo e si sono concluse solo nell’843, con il Concilio di Costantinopoli, che ha sancito l’abolizione definitiva dell’iconoclastia da Papa Gregorio IV, il ristabilimento del culto delle icone e il trionfo dell’Ortodossia, trionfo che la Chiesa celebra ancora oggi la prima domenica di Quaresima.

251 LEONID USPENSKIJ, Bogoslovie ikony v Pravoslavnoj Cerkvi [La teologia dell’icona nella Chiesa ortodossa], Paris, Izdate’stvo Zapadno-Evropejskogo ekzarchata Moskovskogo Patriarchata, 1989, p. 467.

Tornando alle icone, se il XVIII e il XIX secolo furono il tempo dell’oblio, l’inizio del XX secolo segnò una graduale e lenta riacquisizione della grande eredità dell’antica iconografia. Iniziato con grande vigore nei primi anni del secolo, questo processo venne rallentato dall’ascesa del potere sovietico. Rallentato, ma non distrutto. Nelle condizioni di persecuzione, l’icona continuò la propria vita nelle chiese rimaste in piedi, nei sotterranei dei musei, nelle case private e perfino in alcuni istituti artistici, dove in occasione della preparazione di specialisti nel restauro di pittura monumentale, si acquisirono competenze di iconografia e di pittura religiosa. Uno sviluppo costante dell’arte iconografica si registrò all’estero – in Europa, America, Canada e Australia – luoghi di emigrazione del popolo ortodosso prima della rivoluzione russa. A loro venne affidata un’importante missione. Moltissime figure dell’emigrazione furono pittori d’icone.

Tra i personaggi che lavorarono oltre i confini russi, è doveroso ricordare la figura di Dmitrij Semënovič Stelleckij (1875-1947). Membro dell’«Unione degli artisti russi» (1910) e del «Mondo dell’arte» (1912), all’estero si dedicò alla pittura d’icone. Tra i suoi lavori, si cita la chiesa di San Sergio presso l’Istituto teologico ortodosso di Parigi, dove eseguì un’iconostasi a tre registri. Per quanto fosse ispirato dallo stile dell’antica Rus’, i suoi lavori furono un connubio tra canone bizantino e Art

Nouveau. I compatrioti riconoscono gli sforzi fatti, ricordando le

durissime condizioni di vita degli emigrati; tuttavia, i suoi lavori sono considerati dilettantistici e inappropriati per portare in auge lo splendore dell’antica icona medioevale.

Una delle figure che si stagliò risoluta nel panorama dei tragici anni sovietici fu Elizaveta Jur’evna Pilenko252 (1891-1945),

252 Elizaveta Jur’evna Pilenko, detta Liza, nacque a Riga, in Lettonia, nel 1891. Ebbe una personalità anticonformista per l’epoca e i suoi interessi la portarono a partecipare attivamente alla vita artistica e sociale del paese. A San Pietroburgo conobbe molti membri dell’intelligencija, tra cui Andrej Belyj, Anna Achmatova, Vjačeslav Ivanov. Nel 1912 sposò l’avvocato Dmitrij

conosciuta come mat’ (madre) Marija253. La sua fu una delle personalità più sfaccettate del periodo del “secolo d’argento” della letteratura russa, un momento storico che, secondo la definizione di Jurij Lotman, può essere visto come un’“esplosione” culturale254. Si dedicò alla scrittura di poesie e di articoli di teologia e ridiede nuovo impulso alla produzione lirica, dopo un lungo periodo di dominio della prosa255. Si occupò anche di pittura d’icone, di decorazione di pareti e ricamo di paramenti. Tra le sue opere più importanti si ricorda la raffigurazione di San Basilio, il folle in Cristo vissuto all’epoca di Ivan il Terribile, e attualmente conservata nel Monastero della Madre di Dio del Segno, a Mercenat, in Francia. Mat’ Marija morì in una camera a gas di Ravensbruck256.

Kuz’min-Karavaev, ma il matrimonio fu molto breve. L’anno successivo nacque la figlia Gajana. Trascorse parte degli anni della Prima Guerra Mondiale nella città di Anapa. Nel 1918, per avere opposto resistenza all’occupazione bolscevica di Mosca, fu condannata a morte, ma fu salvata da Daniil Skobcov (membro del governo provvisorio) che si innamorò di lei, e l’anno successivo diventò il suo secondo marito. Da qui ebbe inizio una tormentata vicenda che vide Liza spostarsi dalla Georgia, alla Serbia, fino a Parigi. Nel 1932, dopo aver ottenuto il divorzio, prese i voti monacali. La sua scelta destò scalpore nella Russia sovietica, scandalizzata da una donna divorziata due volte e madre di tre figli fattasi monaca. Comincerà un lungo percorso di lavoro e assistenza ai bisognosi, fino al 31 marzo 1945 quando morì nel Jugendlager, pochi giorni prima dell’arrivo degli alleati.

253 Per un approfondimento biografico si vedano: ELENA MIKULINA, Mat’

Marija, Moskva, 1983; ELISABETH BEHR-SIGEL, “Mère Marie Skobtsov (1891- 1945)”, in Le Messager Orthodoxe III, 1989; NINA KAUCHTSCHISCHWILI, Mat’

Marija il cammino di una monaca, Magnano, Edizioni Qiqajon, 1997.

254 JURIJ LOTMAN, Kul’tura i vzryv, Moskva, 1992 [tr. it: CATERRINA VALENTINO (a cura di), La cultura e l’esplosione, Milano Feltrinelli, , 1993].

255 Scrisse le sue opere utilizzando diversi nomi: Elizaveta Jur’evna Kuz’mina-Karavaeva; con lo pseudonimo Jurij Danilov; a partire dal 1929 si firmò E. Skobcova.

256 Tra coloro che si sono dedicati a ricostruire gli anni trascorsi dalla madre nel lager tedesco, ricordiamo Aleksandra Tveritinova, anch’essa deportata in un campo, che nel 1960 pubblicò i suoi ricordi per testimoniare la grandezza fisica e spirituale della monaca, che sopportò sempre il freddo, la fame e l’umiliazione con grande dignità, non dimenticando mai la sua missione di supporto a più bisognosi. Si veda: ALEKSANDRA TVERITINOVA, Vospominanija (Ricordi), in "Zvezda 4", 1960, con il sottotitolo “Fort Romenvil”.

Julija Nikolaevna Rejtlinger (1899-1988) lavorò sia in patria che all’estero. È conosciuta con il nome di Monaca Ioanna, poiché nel 1937 prese i voti monastici. Ebbe modo di avere un contatto visivo con le icone solo nel 1928, quando a Monaco organizzarono una mostra di pittura russa antica dai musei dell’Unione Sovietica. Ioanna utilizzò tutti i suoi risparmi per pagarsi il viaggio e imprimersi nella memoria quelle immagini. I suoi lavori si distinsero perché unirono elementi e tecniche dell’iconografia canonica con una misurata libertà artistica. Infine, si ricorda la figura di Georgij Ivanovič Krug (1908-1969), conosciuto semplicemente come padre Grigorij (in memoria di Gregorio l’iconografo), che è il simbolo della pittura russa dell’emigrazione in Occidente. Studente all’Accademia di Belle Arti di Parigi, si appassionò all’icona e prese le distanze dall’arte contemporanea. Apprese le tecniche dai Vecchi Credenti, ma con gli anni preferì dedicarsi a una vita solitaria e ascetica. Le sue icone furono una rivelazione per l’Occidente, che lo definì «l’ultimo autentico iconografo» e il «secondo Andrej Rublëv»257. Nonostante le persecuzioni, l’iconografia in Russia fu praticata a livelli professionali già dagli anni ’50 con la monaca Iulianija258 (al secolo Mari’ja Sokolova, 1899-1981) e, più tardi, con i suoi allievi. Iulianija, restauratrice, isografa, direttrice del circolo di pittori d’icone della Lavra della Trinità di San Sergio, ammirò Andrej Rublëv, esempio di beatitudine e perfezione per una profonda creazione spirituale, e la Scuola di Mosca del XV secolo. Nel corso della sua vita, nonostante le difficoltà del tempo, custodì la tradizione, lavorò alle immagini dei santi (intercessori per la salvezza della patria), si dedicò alle riproduzioni pittoriche, creò nuove icone e viaggiò per le città medievali – Novgorod, Pskov, Jaroslavl’ – per preservare e trasmettere alle generazioni future l’esperienza spirituale

257 Ivi, pp. 27-46.

dell’arte del passato. Suo padre spirituale fu lo starec Aleksej Mecëv (1859-1923), che celebrava nella Chiesa di San Nicola, in via Marosejka, a Mosca.

Un ruolo particolare nella storia dell’icona nell’ultimo quarto del XX secolo – inizio del XXI appartiene all’archimandrita Zinon (al secolo Vladimir Teodor, 1953), oggi l’iconografo più conosciuto e apprezzato in tutta la Russia. La sua opera segue la via segnata dall’iconografia tradizionale del XV secolo e le sue fonti d’ispirazione sono da rintracciare nella cultura bizantina. Agli inizi degli anni ’90 si poteva già parlare di una sua scuola e di una sua maniera pittorica, che ha segnato la direzione in cui si sta sviluppando tutt’oggi la tradizione iconografica. Come la monaca Iulianija, dedica la sua vita a una profonda missione: la