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Genesi dell’immagine sacra nella Rus’ kieviana

Per avere un quadro più completo, mi permetto di cominciare questo primo capitolo con un’introduzione sintetica, essenziale e forzatamente lacunosa per chiarire uno dei fenomeni principali della cultura medioevale, l’icona, essenza fondamentale dietro la quale si sviluppa questo progetto di ricerca. Ritengo che partire dal suo significato, dalla tradizione religiosa, culturale ed estetica a essa connessa sia necessario per affrontare, nel capitolo successivo, il tema della persistenza della matrice iconografica nell’arte del XX e XXI secolo. A seguire sarà fornito anche un quadro storico per analizzare gli sviluppi della produzione di icone alla luce dei cambiamenti politici, sociali, istituzionali e culturali che hanno portato

permesso l’evolversi “dalla Santa Russia all'Unione Sovietica e ritorno53”.

Il termine “icona” deriva dal greco eikon (immagine) e indica una rappresentazione sacra su tavola di legno di origini bizantine. Si vuole rintracciare la matrice dell’icona nei ritratti funerari degli antichi egizi scoperti nelle necropoli del Fayum. Nella Rus’ di Kiev le icone bizantine furono importate quasi alla soglia dell’XI secolo, quando il paese ricevette il battesimo da Bisanzio. Infatti, come descritto nel Manoscritto Nestoriano, ancora nel X secolo la Rus’ si presentava come orientata al paganesimo. La cristianizzazione, compiuta in più fasi, risale al 988 circa, quando il principe Vladimir si convertì al cristianesimo e fu battezzato a Cherson54 nelle acque del Dnepr. La conversione dei popoli slavi al Cristianesimo aprì un nuovo capitolo storico. La Rus’ entrò nell’orbita culturale bizantina, ereditando la base teologica e i fondamentali canoni dell’arte ortodossa, cristallizzati in eccellenti forme artistiche, ma sviluppando una propria liturgia in lingua slava 55 . Costantinopoli fu per secoli il riferimento culturale dei vari principati russi, ma dopo la sua caduta (1453) Mosca, diventata nel XV secolo centro effettivo del poter, assunse il ruolo di “Terza Roma” nella protezione della fede ortodossa.

Nella tradizione ortodossa l'icona occupa un posto fondamentale. I padri della Chiesa chiamavano l’icona “Vangelo per gli analfabeti”. L’icona è un racconto visivo di avvenimenti miracolosi. Tuttavia, non si può certamente intendere l’icona

53 Titolo di una mostra inaugurata il 2 agosto 2014 presso il Museo delle Icone e della Tradizione Bizantina di Frascineto (CS).

54 Città dell’Ucraina meridionale.

55 Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si veda: ALEXIS VLASTO, The

Entry of the Slavs into Christendom, Cambridge, Cambridge University Press,

1970; GIOVANNI CODEVILLA, Chiesa e Impero in Russia. Dalla Rus' di Kiev alla

Federazione Russa, Milano, Jaca Book, 2011; GEORGE VERNADSKY, Kievan

come una semplice illustrazione del Vangelo o degli avvenimenti della Chiesa.

“L’icona non raffigura nulla, si manifesta”, afferma l’archimandrita Zinon56. Essa manifesta al mondo un Dio Invisibile, un Dio che, secondo le parole di Giovanni l’evangelista, “nessuno ha mai visto”, ma che si fa visibile al mondo nel volto del Figlio Gesù Cristo (Gv. 1:18). Nella tradizione isografica russa la rappresentazione di Cristo ha lo scopo di svelare all’uomo la sua bellezza spirituale, lo splendore della sua divinità attraverso la sua perfezione fisica. Ma è all’immagine del volto di Cristo, che si definisce Spas

nerukotvornyj (Acherotipo, cioè “non fatto da mano umana”),

che la tradizione attribuisce origini miracolose. Indica l’icona del volto di Gesù Cristo che raffigurerebbe le sue reali fattezze umane57.

La Chiesa ortodossa attribuì all’icona un valore di sacralità, di presenza attiva, poiché l’icona assicura come reale ciò che essa

56 ARCHIMANDRITA ZINON (TEODOR), Becedy ikonopisca [Conversazioni di un iconografo], Novgorod, Russkaja provincija, 1993, p. 19.

57 L’origine della tipologia iconografica del “Salvatore non dipinto da mano umana” è legata a due narrazioni apocrife. Diverse, infatti, sono le versioni occidentali e orientali della leggenda. In Russia si diffuse la leggenda della guarigione miracolosa del re di Edessa Abgar V Ukama, che malato gravemente di lebbra, inviò il suo servo Anania a fare un ritratto del volto di Cristo. Cristo, impietosito dai tentativi del servo di riprodurre su tela la sua effige, si deterse il viso, lo asciugò su un fazzoletto e lasciò la sua impronta. Il re guarì grazie a questa immagine che fu considerata miracolosa e divenne il prototipo per le successive raffigurazioni di Cristo. Questo racconto si trova per la prima volta nei testi di Eusebio, storico della Chiesa del IV secolo, ma si diffuse e venne ripreso anche in altri scritti successivi. Papa Gelasio con un decretò bollo questi racconti che furono esclusi dai testi canonici.

Nelle icone bizantine il volto di Cristo viene dipinto senza lo corona di spine, poiché la guarigione del re Abgar avvenne prima della crocifissione. Nella versione occidentale, invece, la leggenda narra che durante la salita al monte Golgota, una donna, Veronica, asciugò il sudore dal volto di Cristo con il suo velo. Sul telo rimase l’impronta del volto coronato di spine. Questa raffigurazione è nota con il nome di “Velo di Veronica”.

Se nelle raffigurazioni più antiche veniva raffigurato solo il volto di Gesù Cristo, dal XVI secolo la composizione si complica con l’aggiunta di angeli ai lati.

raffigura, e dunque il Divino, il Dio-logos fattosi uomo. I veneratori di icone a tale proposito rimandano alla prima impronta di Gesù, il sacro Mandylion58.

È nel dogma dell’incarnazione che si trova il significato più profondo dell’icona. Cristo – umano e divino, carne e spirito – funge da intermediario tra i due mondi. In questo senso, l’immagine iconografica cattura oltre la mente, anche il cuore dello spettatore, ha lo scopo di aiutare, attraverso la contemplazione dell'immagine, l’avvicinarsi al Prototipo. Gli occhi percepiscono la visione delle cose fisiche, ma l’intelletto raggiunge la pace celeste. Come affermava Vladimir Losskij è “uno dei modi per conoscere Dio, una delle vie per unirsi a lui59”. In altri termini, essa ha lo stesso significato dogmatico, liturgico e pedagogico assegnato alle Sacre Scritture; e di conseguenza, come il Vangelo, è fondata su dati concreti e precisi e non sull’invenzione umana.

L’icona è parte integrante del servizio religioso e dello spazio liturgico. Essa è mistica, essa è indissolubilmente legata con la vita spirituale del cristiano, con la sua esperienza di comunione con Dio, esperienza di contatto con il mondo celeste. Allo stesso tempo, rappresenta l’esperienza mistica della pienezza della Chiesa. Attraverso la contemplazione dell'icona, l’uomo si avvicina all’esperienza orante dei santi e impara a pregare, e la preghiera, anche la più semplice, è mezzo di comunione con Dio.

58 Per approfondire si veda: GERHARD WOLF, COLETTE DUFOUR BOZZO, ANNA ROSA

CALDERONI MASETTI (a cura di), Mandylion. Intorno al Sacro Volto da Oriente a

Occidente, catalogo della mostra (Genova, Museo Diocesano, 18 aprile - 18

luglio 2004), Milano, Skira, 2004; DOMENICO MONTALTO, Il velo della veronica, Cologno Monzese (MI), Silvia Editrice, 2006; MASSIMO CENTINI, MARIA LUISA MONCASSOLI TIBONE, I volti di Cristo, Torino, Ananke, 2010; GAETA SAVERIO, L'

enigma del volto di Gesù. L'avventurosa storia della Sindone segreta, Milano,

Rizzoli, 2010.

59 VLADIMIR LOSSKIJ, Očerk mističeskogo bogoslovija Vostočnoj Cerkvi.

Dogmatičeskoe bogoslovie [Saggio sulla teologia mistica della Chiesa

d’Oriente. Teologia dogmatica], in Bogoslovskie trudy. Sbornik vos’moj,

posvjaščennyj Vladimiru Losskomu [Lavori teologici. Raccolta ottava, dedicata