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3.7 Un breve excursus sul tema della solidarietà intergenerazionale e dell’isolamento generazionale nella società

Il tema del rapporto intergenerazionale è oggetto di ampio dibattito, a più livelli e con svariate implicanze, tra gli specialisti. Ancor più ampia è la sua diffusione sugli organi di stampa e nei mezzi di comunicazione, dove però spesso prevalgono toni ideologicamente allarmistici e tutto sommato retorici. Si parla di “conflitto generazionale”, di giovani il cui futuro è negato dagli anziani “avidi” che assorbono tutte le risorse altrimenti destinate a loro, di anziani che distruggono il pianeta, ignorando i “diritti” delle future generazioni, di famiglie all’interno delle quali si vive uno scontro drammatico tra padri e figli, oppure di anziani abbandonanti dai figli al loro destino. Si tratta di idee spesso non fondate su base empirica, semplificatorie o ingigantite rispetto alla realtà, una sorta di “mito” (Arber & Attias Donfut, 2000; Achembaum, 2004), che alimenta una “battaglia simbolica” spesso funzionale alle battaglie politiche in corso nei vari Paesi (relativamente agli Usa, Williamson et al., 2003).

Il problema della comprensione e della valutazione del livello di solidarietà intergenerazionale nella nostra società rimane comunque complesso e di non semplice soluzione perché i parametri valutativi utilizzati per tale analisi sono ancora piuttosto incerti. Se per intergenerazionalità si intende una coesione sociale tra generazioni, occorre poi stabilire che cosa si intende per coesione e che cosa si intende per generazioni. Inoltre bisogna evitare il rischio, nell’affronto del problema, di muoversi nella logica dicotomica dei due estremi: o, da una parte, i rapporti sono improntati sulla solidarietà o, dall’altra, sono improntati sul conflitto. In realtà (Bengtson & Oyama, 2007) queste due dimensioni sono tra loro interconnesse, sono implicite nel “contratto” tra le generazioni (non si dà l’una senza l’altro), e alimentano la dialettica tra innovazione e tradizione che porta alla crescita delle società. Reciprocità e solidarietà sostengono le relazioni tra generazioni, anche se non disgiunte da interessi e utilitarismi (Donati, 2002). Nel conflitto alcuni problemi non saranno mai risolti mentre altri si ricomporranno in una nuova forma di solidarietà, e in ogni caso col tempo la qualità generale delle relazioni è destinata a migliorare (come accade, nella dinamica evolutiva della persona, rispetto al conflitto con gli adulti che caratterizza la fase adolescenziale e che è funzionale alla crescita del ragazzo stesso). Per questo si parla, come nuovo paradigma, di “ambivalenza intergenerazionale” e tale ambivalenza non è più da vedersi come un limite ma come un passo di maturazione verso uno stato migliore di rapporti (Luescher & Pillemer, 1998; Luescher, 2002; 2012). Applicare il paradigma dell’ambivalenza intergenerazionale alle problematiche economiche legate al futuro del welfare (ma anche a quello della sostenibilità ecologica del pianeta: non c’è differenza), porta a spostare l’accento dal tema dell’iniquità generazionale (cioè l’idea che ciò che gli adulti/anziani di oggi consumano è sottratto alle generazioni future per cui il problema è ridistribuire le risorse per riequilibrare la situazione) a quello della

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“interdipendenza generazionale” cioè a vedere le generazioni come gruppi di attori legati tra loro da relazioni di reciprocità per cui i guadagni di un generazione non sono necessariamente raggiunti a spese di altre e che tra le diverse fasce d’età vi sono interessi comuni piuttosto che concorrenti (Williamson et al., 1999). Questo induce a una visione più fiduciosa nell’evoluzione futura della coesione tra le componenti della società sia a livello macrosociale (i rapporti nella società tra coorti di differenti fasce d’età) sia microsociale (i rapporti tra persone di diversa età all’interno di nuclei più piccoli di convivenza quali ad esempio le famiglie) (Bengtson & Oyama, cit.) . È vero che i trend demografici e culturali in corso nelle società avanzate (allungamento della vita, cambiamenti nelle strutture per età delle popolazioni e quindi peggioramento degli indici di dipendenza strutturale degli anziani, cambiamenti culturali che hanno riguardato il modo di concepire la famiglia, immissione sempre più consistente delle donne nel mondo del lavoro) fanno emergere criticità e problematiche nuove che richiedono una maggiore attenzione al problema, ma è altrettanto vero che il conflitto tanto paventato non si presenta nei termini così drammatici con i quali spesso viene enfatizzato e non sembra, dai dati fattuali, che si prospetti per il futuro un significativo scontro generazionale: la solidarietà tra le generazioni rimarrà alta, soprattutto a livello microsociale e il timore di un declino della solidarietà all’interno delle famiglie, con anziani abbandonati al loro destino, è infondato. Molti studi dimostrano che, pur con percorsi diversi e lievi differenze, ad esempio tra Paesi del nord Europa e Paesi di area mediterranea, dove vi sono diverse tradizioni legate a differenti culture riguardo alla co-residenza tra giovani e anziani60, (Billari, 2004; Tomassini, et al., 2004; Hank, 2007; Saraceno, 2008b), la forza delle famiglie come unità di supporto sociale intergenerazionale rimane ancora viva: gli anziani intrattengono ottime relazioni, ricevono e offrono assistenza, ad esempio come nonni nell’accudimento dei nipoti o, nei casi di crisi, con aiuti economici alle famiglie dei figli grazie ai loro redditi pensionistici o ai risparmi accumulati che quasi ovunque sono discreti, anche se va detto che sembra siano le generazioni anziane ad investire più sui giovani che non viceversa e che dimostrino in ciò un maggiore spirito di sacrificio (Giarrusso, et al., 1995). All’interno dei nuclei famigliari il senso di obbligazione famigliare (Finch & Mason, 1990) è ancora molto diffuso; i rapporti sembrano ancora improntati su un mix di pietà filiale, reciprocità, altruismo e interesse personale (aspettative individuali per il proprio futuro) e le persone continuano a credere in un processo ciclico di aiutare ed essere aiutati che investe tutta la vita e questo è predittivo del comportamento di cura nei confronti delle componenti fragili della famiglia (Finley, et al., 1988; Rossi & Rossi, 1990; Lee, et al.,

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La prevalenza di co-residenze di genitori anziani con i loro figli è più bassa nei Paesi scandinavi e nei Paesi Bassi, più alta nei Paesi mediterranei e dell’Europa sud-orientale mentre i Paesi dell’Europa centrale si situano a un livello intermedio (Dykstra, cit.).

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1994; Stein, et al., 1998; Klein Ikkink, et al., 1999; Daatland & Herlofson, 2003; Gans & Silverstein, 2006).

Un’inchiesta promossa dall’UNECE (Dykstra, 2010) mostra che al quesito se i figli devono assumere responsabilità di cura per i genitori nel bisogno, in una scala da zero a quattro come accordo massimo, Paesi come Russia, Bulgaria, Romania e Ungheria si avvicinano al 3,5, mentre i Paesi Bassi si avvicinano al 2,5. Alla successiva domanda se i figli devono adattare il loro lavoro per aiutare i loro genitori, sempre in una scala da zero a quattro, l’Ungheria si avvicina al 3, la Russia supera il 2,5 mentre il dato più basso riguarda la Francia (poco meno di 1). In entrambi i casi non vi sono rilevazioni che riguardano l’Italia. Il tutto con differenze minime nelle risposte tra le fasce 18-54 e 55-80 anni. Anche il trasferimento di soldi, oltre che quello del tempo, tra membri delle famiglie non co- residenti, è a buoni livelli anche se tende ad essere inferiore per i Paesi di area nordica, rispetto a quelli mediterranei (Ogg & Renaut, 2006; Albertini, et al., 2007; Haberkern & Szydlik, 2010).

Se sul piano valoriale, quindi, la solidarietà intergenerazionale non sembra essere messa in discussione dagli attori in gioco (giovani e anziani)61, il problema, per il mondo occidentale e per il nostro Paese in particolare, è piuttosto di natura demografica, in quanto le famiglie tendono ad essere di dimensioni sempre più ridotte e “deprivate verticalmente”; in esse i figli sono sempre di meno e più anziani e il numero dei nipoti si riduce drasticamente. Oppure aumenteranno i problemi legati alla progressiva crisi dell’istituto matrimoniale, con “legami recisi”, famiglie divise e ricomposte, allargate, monoparentali, con figli legati a un solo genitore o, per contrasto, a molteplici figure genitoriali (Saraceno, 2008a; Dykstra, cit.; Pugliese, cit.; De Leo & Trabucchi, cit.). Questo porterà, più che a un conflitto generazionale, a un “isolamento generazionale”, soprattutto riguardo agli anziani. Il rapporto Istat 2018 con dati relativi al 2015 e al 2016 (Istat, 2018) rileva come il 38,3%

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Diverso e più complesso è il caso del mondo del lavoro: qui il problema sembra porsi con più urgenza e gravità, in quanto l’anziano è ancora troppe volte messo ai margini della fase produttiva, a vantaggio di chi è più giovane, perchè ritenuto meno produttivo e soprattutto incapace di aggiornarsi nelle nuove tecnologie; perciò viene licenziato o accompagnato in forme di prepensionamento in caso di esuberi del personale, e la sua competenza tecnica e umana non è sempre valorizzata (Bombelli e Finzi, cit.;Lazazzara & Bombelli, cit.; Pero, cit.; Barabaschi, 2015). D’altro canto però, in altre situazioni e contesti, sono i i giovani che faticano ad immettersi nel mondo lavorativo, occupato da lavoratori anziani. Da questo punto di vista, anziani e giovani sono sulla stessa barca, almeno nel nostro Paese. Per parafrasare il titolo di un celebre film, l’Italia non è un Paese per vecchi, ma neanche per giovani. È a questo livello quindi che può sorgere un problema di conflittualità, è qui che si dovrà operare anche se il compito non sarà facile: quali prospettive di invecchiamento, più o meno attivo, avranno persone che durante la loro vita lavorativa non hanno avuto la possibilità di costruirsi un minimo di sicurezza sul piano reddituale? E come garantire un invecchiamento attivo a persone espulse troppo presto dal mondo del lavoro quando erano ancora nel pieno delle loro risorse?

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ormai degli over 75 nel nostro Paese viva da solo e il 40% di questi non ha parenti e amici a cui riferirsi in caso di bisogno. Saranno questi fattori, soprattutto, a mettere in discussione la persistenza della solidarietà intergenerazionale.

La coesione intergenerazionale rischia di essere messa in pericolo inoltre dalla diffusione del pregiudizio, dalla propaganda retorica, dalla non conoscenza, dalle fake news, dalla mentalità individualistica che sta avanzando. Anche le ricerche empiriche disponibili confermano questo rischio e la necessità di intervenire per sconfiggere i pregiudizi e favorire la conoscenza reciproca tra generazioni. Un’indagine condotta dall’UE nel 2012 in occasione dell’Anno Europeo dell’Invecchiamento Attivo e della Solidarietà tra Generazioni rilevava come circa il 17,7 % della popolazione UE27 ritenesse esserci forti tensioni tra giovani e anziani con punte superiori al 25% in Ungheria, Lussemburgo e Romania (in questa speciale classifica l’Italia si poneva poco sotto al 20% e quindi sopra la media europea). Tuttavia la causa di tali tensioni era ritenuta essere la mancanza di conoscenza reciproca. Quasi due terzi (63,8%) della popolazione dell'UE27 di età pari o superiore a 15 anni, infatti, ha convenuto che giovani e anziani non avessero sufficienti opportunità di incontrarsi e lavorare insieme in associazioni e iniziative della comunità locale e più della metà riteneva che le politiche dei governi potessero fare di più in questa direzione. Lo stesso sondaggio ha rilevato come solo il 13,3% della popolazione dell'UE27 (di età pari o superiore a 15 anni) fosse d'accordo con l’affermazione che gli anziani rappresentano un onere per la società, mentre ben il 61,6% era in forte disaccordo (tra l’altro la percentuale dei concordi sale fino al 25% circa proprio tra gli over 65). Riguardo alla discriminazione in base all’età nell’UE27, più del 50% ritiene che sia inesistente o rara (tra l’altro anche qui significativamente la percentuale sale tra i giovani). La medesima indagine cita un sondaggio relativo al 2007 secondo il quale quasi una persona su dieci (9,6%) di età pari o superiore a 65 anni nell'UE27 si sentiva esclusa dalla società. È significativo il fatto che questa percentuale risultasse solo leggermente superiore ai tassi registrati per le altre fasce di età, anche se la percentuale più bassa, seppur di poco, di persone che si sentivano escluse veniva registrata tra i 18 ei 34 anni (8,0%) (Eurostat, 2012: 113-119). Un’indagine correlata dell’Eurobarometro sui 27 Paesi UE, relativa al 2011, evidenziava come l’89% degli europei dai 15 anni in su sosteneva che fosse giusto creare posti di lavoro per i giovani nel settore dell’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti, mentre il 59% degli intervistati sosteneva la tesi che si dovesse spingere i lavoratori over 60 a rimanere nel mercato del lavoro per trasmettere le proprie conoscenze ai giovani (il 37% si diceva però contraria) (Eurobarometro, 2011: 22). La distanza tra generazioni d’altra parte emerge da un’indagine più recente (Censis, Fondazione HPNR, 2016) in realtà come caratteristica di tutta la società italiana. In questo caso sono i giovani tra i 18 e i 34 anni a rifiutare rapporti con persone di altre generazioni, sia nel tempo libero, che nel lavoro, mentre gli anziani appaiono più aperti al rapporto intergenerazionale nella misura di 9 su 10.

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Questi dati, apparentemente anche contraddittori, pur con tutta la cautela con cui simili indagini vanno prese, rivelano il fatto che semmai il problema delle “barriere generazionali” non riguarda solo uno strato della società o una fascia di popolazione che viene esclusa dal resto, ma sia un rischio diffuso tra più fasce, quasi la “cifra” su cui si sta costruendo la nostra società. Una società in cui le “barriere generazionali” si saldano a un individualismo sempre più diffuso e proposto come valore, come mezzo di autorealizzazione e di successo nella vita (Baumann, 1999; De Leo & Trabucchi, cit., Augé, 2019). Più che un conflitto aperto si rischia di creare una società di persone sole che non dialogano tra loro e non sanno più incontrarsi. Questo è il rischio a cui l’intera società sta andando incontro, una società sempre più chiusa dove vige un ignorarsi a vicenda tra generazioni e gruppi sociali, quasi fossero dei compartimenti stagni, ognuno ripiegato sulla propria identità (Remotti, 2010). E gli anziani rischiano di essere le vittime principali di questa società. Il problema è quindi fondamentalmente quello della mancanza di conoscenza reciproca che si accompagna (causa ed effetto contemporaneamente) alla mancanza di relazioni. E questo genera equivoci, incomprensioni e soprattutto pregiudizi di cui spesso, come detto, gli anziani, più di altre categorie, sono ancora vittime. Questo stato di cose di contro fa emergere la necessità di una cura intergenerazionale dei rapporti come antidoto alla deriva individualistica della società.

“L’intergenerazionalità appare sempre più come uno strumento per ricreare il tessuto sociale, come una forma costruttiva, perché duratura, di solidarietà, a livello di quartiere, di istituzioni, di gruppi di giovani o di pensionati. E’ un percorso che dà significato, che abbatte i pregiudizi e che può essere applicato e sviluppato in ambiti diversi.” (Everarts, 2000: 195)

E di fronte alle difficoltà delle famiglie a svolgere la funzione di integrazione e coesione sociale che ha tradizionalmente svolto, diventa importante la solidarietà intergenerazionale di vicinato, come complemento di quella famigliare (ibid.)

3.8 - L’habitat intergenerazionale come banco di prova della cultura dell’ “arco di vita”