• Non ci sono risultati.

Le interviste alle persone anziane, pur con alcune difficoltà, presentano indubbi vantaggi soprattutto riguardo alla spontaneità e sincerità delle risposte. Molto spesso infatti, nel tipo di inchiesta condotta mediante interviste (ma anche questionari) (Bailey 2, cit.: 37-38) vi è negli adulti intervistati una sorta di diffidenza che li porta a dare risposte non del tutto sincere e spontanee: ad esempio rispondono “normativamente” cioè dicendo quello che

157 Va detto che, ad una prima impressione dello scrivente che ha potuto entrare nella struttura a distanza

di alcuni mesi, è parso che il lockdown dovuto alla pandemia Covid 19, abbia lasciato un certo strascico negativo sul piano psicologico soprattutto nei caregivers famigliari (riguardo agli ospiti non c’è stata possibilità di incontrarli). Sebbene, grazie alle rigide misure precauzionali adottate dalla Direzione, non vi siano state vittime, si è potuto notare un certo clima di sfiducia, di dismissione, quasi di rassegnazione nel guardare a questa vicenda e alle prospettive future. Per una prima analisi dell’effetto pandemia sulle strutture residenziali per anziani si veda: Gori, C. & Trabucchi, M. (2020).

185

pensano l’intervistatore si aspetti da loro e non quello che effettivamente loro pensano; oppure temono di fare brutta figura, di apparire poco intelligenti o poco istruiti e quindi danno risposte “pilotate” (social desiderable answers) per “salvare la faccia” (è il

management impression di cui parlano Potter e Hepburn, 2005); temono che dietro le

interviste ci sia qualche trucco o inganno (magari la solita pubblicità) oppure ritengono il loro tempo troppo prezioso per dedicarlo a tali faccende. Tutto questo non accade o accade in misura minima per gli anziani, i quali si accostano all’intervista senza preconcetti e quindi in modo molto spontaneo. Così è accaduto anche nelle presenti interviste, salvo forse un caso in cui una persona si è mostrata preoccupata di esporre critiche. Le persone anziane, non avendo nulla da perdere né freni inibitori di tipo sociale, hanno parlato “a ruota libera”, dando spazio ai loro pensieri e sentimenti reali.

5.3.2 - Condizione reale e condizione percepita: un dualismo inevitabile

Un’altra considerazione preliminare riguarda la differenza tra la condizione reale dell’anziano e quella da lui “percepita”158. Scegliere di effettuare interviste semi- strutturate indirizza la comprensione verso le condizioni percepite. Questo vale per ogni tipo di indagine condotta con questo strumento e, nel caso in oggetto, è il metodo più adeguato. Si tratta infatti di valutare se una struttura destinata a garantire il “benessere” degli anziani fa realmente percepire questo stato di benessere a chi la usa. Strutture come questa che si sta esaminando non devono solo funzionare bene ma devono anche far percepire nell’anziano ospite un senso di soddisfazione nell’invecchiare “bene”. E il benessere è innanzitutto una condizione soggettiva (“sentirsi bene”).

Tuttavia, nel caso degli anziani la percezione ed il livello di gradimento della loro condizione sono a volte legati a fattori, sicuramente ineliminabili, che risiedono nel profondo dell’animo, pescano nelle esperienze vissute e interiorizzate, accumulate nella loro vita, anche in età giovanile. Il livello di percezione della condizione presente da parte dell’anziano dipende anche da tutto il “vissuto” della sua vita passata, dalla personalità che si è andata costruendo nel tempo e che incide sul suo modo di giudicare l’esperienza presente. Come si è detto nel corso del lavoro (vedi supra 3.6) la vita è un “arco”, un

158

Il problema delle condizioni reali e delle condizioni percepite torna spesso alla ribalta del dibattito pubblico: si pensi, ad esempio, riguardo alla diffusione della criminalità, alla differenza tra l’insicurezza reale e l’insicurezza percepita dai cittadini (Furti, rapine e omicidi: la mappa della criminalità nelle regioni italiane – Il sole 24 ore del 5 maggio 2015 su https://www.infodata.ilsole24ore.com/2015/05/05/furti-e- omicidi-la-mappa-della-criminalita-nelle-regioni-italiane/?uuid=8ZtZsYrh), oppure rispetto all’immigrazione a quella tra presenza reale degli immigrati nella nostra società e presenza percepita (ricerca Immigrazione in Italia tra realtà e percezione - Istituto Cattaneo, 2018 su http://www.cattaneo.org/wp- content/uploads/2018/08/Analisi-Istituto-Cattaneo-Immigrazione-realt%C3%A0-e-percezione-27-agosto- 2018-1.pdf ). Spesso a determinare la differenza tra il reale e il percepito sono i pregiudizi diffusi, i mass media, i social con le loro fake news. Evidentemente questi fattori non entrano in gioco nel caso degli anziani, dove subentrano però altri fattori determinanti legati alla loro condizione.

186

percorso dove ogni fase è collegata inestricabilmente all’altra. La partecipazione dell’anziano alle reti relazionali tende a riflettere i modelli e i livelli di partecipazione acquisiti e vissuti prima dell’epoca dell’invecchiamento. In altri termini, per esemplificare, una persona dal carattere schivo e riservato, che ha sempre vissuto in questo modo, tende a mantenere la sua riservatezza anche all’interno della residenza e quindi magari a vivere con maggiore fastidio i momenti di promiscuità che tale vita offre rispetto ad una persona che in passato ha vissuto molte esperienze di socialità e si è formata un carattere aperto. Vi sono anziani che hanno uno spirito attivo e che quindi valutano positivamente certe proposte di attività ed altri pervasi da un senso di “dismissione dalla vita” e che perciò non riescono più a provare attrattiva per le stesse attività (Cumming & Henry, cit; Erikson, cit.; Bowlby, cit.) e hanno uno sguardo passivo e rassegnato rispetto al proprio futuro e al senso del loro essere al mondo; a volte il senso di sconfitta o di fallimento che accompagna taluni quando guardano indietro al loro passato determina anche il loro modo di vedere il presente e il futuro. Tutto questo può creare nelle persone anziane uno stato d’animo negativo che tende poi a proiettarsi su tutte le esperienze che vivono (il cibo non va mai bene, le persone che li avvicinano sono sempre fastidiose ecc.). Per quanto una struttura pensata per garantire il benessere degli anziani faccia di tutto per ovviare a tali situazioni di disagio e stress, queste non saranno mai del tutto eliminabili proprio perché risiedono nel profondo della persona. Pertanto in una ricerca che intende valutare il valore e la qualità di un’esperienza di assistenza non si può tener conto solo del giudizio espresso dagli ospiti nelle loro interviste. Occorre che l’esame si estenda ai punti di vista di altre persone implicate (caregivers, operatori) ma anche che tenga conto di dati quantitativi reperibili da altre fonti di carattere statistico (qualche esempio fra i tanti possibili: la durata della vita indipendente nei vari tipi di strutture, l’incidenza del livello di istruzione nella vita attiva e di relazione ecc.). Si tratta di test di verosimiglianza (Becker, 1998) che danno consistenza veritativa ai contenuti riferiti dagli intervistati. Integrare e armonizzare questi vari livelli di osservazioni per giungere a una sintesi interpretativa valida è il compito arduo del ricercatore.

5.3.3 - Il “filtro” della memoria e l’importanza del “raccontare”

Bisogna inoltre tener conto che nel giudizio sulla propria vita passata e presente ha un ruolo decisivo e complesso la memoria che interagisce col racconto e che opera, a volte, come un filtro. I ricordi emergenti sono il risultato dell’azione creativa e trasformativa della memoria sul materiale codificato e immagazzinato (Bartlett, 1932). Ciò può dipendere da meccanismi di costruzione di memoria collettiva (Halbwachs, 1925; 1950) ma soprattutto dal fatto che la memoria opera al servizio dell’identità della persona, lavora al servizio del sé, cercando di mantenere e preservare il senso dell’identità personale che l’uomo si è costruito nella vita (Fivush, 1991; Conway & Pleydell-Pearce, 2000; Wilson & Ross, 2003). Per questo la persona tende a ricordare più facilmente fatti che sono coerenti con la

187

costruzione della propria identità rispetto a fatti più “neutri”, oppure tende a dimenticare i ricordi negativi, incoerenti col sé, infine può manomettere, alterare o distorcere fatti del passato per renderli accettabili nell’ambito di questa prospettiva (Greenwald, 1980).

D’altra parte:

“Un uomo senza memoria non sarebbe in grado di comunicare correttamente con il mondo circostante, né di comprenderlo. Allo stesso tempo, un sistema di memoria che non dimenticasse risulterebbe estremamente inefficiente e richiederebbe una capacità di immagazzinamento illimitata con enormi problemi di recupero. Dobbiamo, quindi, pensare che un sistema efficiente di memoria debba operare dialetticamente tra processi di dimenticanza e di ricordo, ricordando e dimenticando selettivamente” (Cesa Bianchi & Cristini, 2009: 102)

Come avvenga questa selezione, se è processo del tutto cosciente oppure no, è problema

complesso anche per la psicologia159. Tuttavia appare evidente che tale selezione opera nel

profondo dell’animo anche delle persone anziane. La prova è che nel racconto della loro vita passata molto spesso esse si soffermano su pochi episodi che ripetono a più riprese, cancellandone altri, come se fossero stati appunto questi i momenti salienti della loro esistenza, e magari, ad un’analisi oggettiva e distaccata, non risultano esserlo stati nella stessa misura e intensità. Per l’anziano la memoria è lo strumento col quale ricostruisce e rimodella oggi la sua identità, dà un senso al percorso della propria vita, reinterpretandone il passato:

“In età anziana […] la memoria rappresenta la possibilità di ripercorrere di ricapitolare il passato personale e collettivo dandovi un significato, rappresenta un’opera di ricostruzione, un’operazione di selezione e di continuo rimodellamento dell’esperienza passata vista con l’occhio di oggi” (Giuni & Stoico, 2007: 242)160. La tendenza ad arroccarsi in un proprio passato, filtrato dalla memoria, e accompagnato dalla cancellazione dei fatti recenti, può essere anche una sorta di fuga rispetto alla difficoltà di stare di fronte al presente. Vi è a volte la tendenza ad idealizzare in qualche modo il passato (frequente è l’uso di espressioni come “ai miei tempi” all’inizio di un confronto col presente che, rispetto al passato, risulta quasi sempre perdente), ma questo avviene non perché il passato fosse oggettivamente migliore, ma perché è l’ambito in cui si è vissuti e si è costruita la propria avventura umana, rispetto al presente dove vince ormai la passività.

159

Cesa Bianchi (cit.: 103- 104) cita studi recenti nel campo della ricerca psicologica, nei quali si parla di intentional forgetting e d’altra parte è pure evidente che l’esercizio favorisce la conservazione della memoria ed esistono tecniche in tal senso.

188

“Spesso le persone anziane dimenticano gli episodi recenti, mentre conservano e talora accentuano il ricordo di quelli remoti. La capacità di memorizzare nuovi contenuti si riduce con l’invecchiamento, ma non per un’intrinseca difficoltà a ricordare, bensì per un certo disinteresse che gli anziani manifestano per quei contenuti che non rientrano in uno spazio vitale che si va progressivamente restringendo” (Cesa Bianchi & Cristini, cit: 92).

D’altro canto è anche vero che la persona anziana, libera da certi condizionamenti sociali, si sente talvolta spinta a formulare giudizi più liberi e spregiudicati.

Tutto questo fa capire la complessità della dimensione del raccontare e rende difficile interpretare questo “racconto” degli anziani. Il carattere selettivo della memoria può interferire con il significato referenziale e veritativo delle risposte date (Potter & Hepburn, cit.) e renderle “meno attendibili” e chiede pertanto un’attenzione ed un esame critico dei loro contenuti, e non un’accettazione ingenua degli stessi, secondo una “celebrazione romantica dell’intervista” per cui essa sarebbe una sorta di “macchina della verità” (Atkinson & Silverman, 1997). D’altra parte però, questa dialettica tra il detto e il non detto, tra il ricordato e il non-ricordato, che si gioca nella mente e nel discorso dell’intervistato, se opportunamente e criticamente ricostruita apre a una comprensione complessiva del suo vissuto e della sua personalità, comprensione che non si raggiungerebbe prescindendo dalla dimensione del racconto e puntando esclusivamente su interviste strutturate con domande mirate, univoche e in qualche modo stereotipate (Cardano, cit.). Nella semplice ed immediata risposta a domande di questo tipo gli anziani vivrebbero ancora in una dimensione di passività mentre nel racconto del loro passato possono dire chi sono oggi, si sentono vivi, riaffermano il loro essere nel mondo, difendono la loro personalità, affermano il loro progetto di vita (Giuni & Stoico, cit; Cucurachi, 2007)161.

5.3.4 - La percezione del declino della vita e del venir meno della progettualità per il futuro Infine è inevitabile nella percezione che della loro condizione hanno gli anziani il fatto che sono ben consapevoli che la loro vita ha iniziato una fase inevitabile e inarrestabile di declino e che il loro futuro si presenta in gran parte privo di progettualità. Senza un progetto di futuro, la vita dell’anziano tende per così dire (emerge tantissimo in alcune interviste) a “lasciarsi andare” e quindi ad avere una percezione ormai rassegnata e passiva della vita (una sorta, come detto, di “dismissione dalla vita”). Si verifica nell’anziano un progressivo distacco affettivo nei confronti della realtà circostante, e i suoi atteggiamenti e

161

Nel corso della mia ricerca mi sono imbattuto anche nel racconto dell’esperienza del “giardino della memoria” con la quale Massimo Mattei, Direttore di una residenza a Firenze, ha valorizzato la dimensione narrativa della comunicazione degli anziani, raccogliendo e pubblicando i loro racconti come antidoto alla spersonalizzazione e consolidamento della loro autoconsapevolezza (Mattei, cit.).

189

le sue valutazioni di conseguenza diventano sempre più dipendenti dalle condizioni personali e ambientali. Anche questa è una condizione quasi inevitabile e che nessuna struttura, per quanto ottimamente organizzata e pensata a misura di anziano, potrà mai del tutto eliminare. Qui si entra in un campo che non è più strettamente scientifico ma attiene alle scelte valoriali, filosofiche e religiose.

“Il modo in cui si muore dipende in non poca misura anche dalle possibilità che un individuo ha avuto di porsi, e raggiungere, delle mete durante la sua vita. Dipende da quanto una persona, in punto di morte, sente d’aver trascorso una vita piena e sensata, o vuota e senza senso. Le ragioni di tale sentire non sono sempre chiare, ed anche questo è un problema a cui si deve ancora trovare una risposta. Ma, quali che siano le ragioni, è facile supporre che la morte sia meno dura per colui che pensa di avere fatto il proprio dovere e più difficile invece per chi pensa di aver mancato allo scopo della propria esistenza, per non dire poi di colui che, appagato o

no, sente il suo stesso modo di morire come insensato”(Elias, 1985: 77-78).

5.4 - Le interviste agli ospiti ed ai caregivers famigliari