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Pur con le criticità e le fluidità definitorie ancora presenti, soprattutto sul piano della diagnosi e della pratica clinica, questi modelli teorici consentono tuttavia di mettere a fuoco alcuni punti fermi. Innanzitutto esiste un rapporto di correlazione tra fragilità e disabilità. La fragilità rappresenta uno stato d’instabilità e di rischio di perdita o di riduzione funzionale, una sorta di “equilibrio precario” delle condizioni di vita che aumenta la vulnerabilità della persona esponendola al rischio di una progressione sfavorevole verso la disabilità; la disabilità indica invece la vera e propria perdita di una funzione (Campbell & Buchner, 1997). Tra queste due condizioni può esistere un rapporto biunivoco di causa- effetto: l’una è al tempo stesso causa ed effetto dell’altra (Fried et al., 2004). In ogni caso la persona fragile presenta un maggiore rischio di disabilità o addirittura di morte in conseguenza di eventi stressanti anche di lieve entità. In secondo luogo, e questo emerge da ricerche anche in ambito psicosociale e della psicologia dell’invecchiamento, occorre guardare alla fragilità non solo dal punto di vista sanitario e clinico, ma anche dal punto di vista della condizione globale della persona, risultante da molteplici fattori anche di ordine psico-sociale (Markle-Reid & Browne, 2003)47. Il concetto di fragilità ha in questo caso il merito di allargare l’approccio all’invecchiamento dalla dimensione esclusivamente

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In ambito psico-sociale e in particolare nella psicologia dell’invecchiamento e della teoria del ciclo di vita (Life Span Developmental Psychology) la letteratura evidenzia non solo la presenza nelle condizioni di fragilità di una riduzione delle risorse fisiche e psichiche ma anche “una continuità di esperienza e di sviluppo conoscitivo” e di strategie di adattamento (coping) in modo attivo alle condizioni imposte dalla vita quotidiana (Fonzi, 2008; Cristini & Cesa-Bianchi, 2008).

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sanitaria, quindi dall’accertamento delle disabilità sul piano medico-organico, a quella della qualità complessiva della vita, della salute in senso ampio, ed anche del contesto sociale in cui l’anziano è inserito. L’importante innovazione introdotta da questa classificazione è infatti che essa analizza lo stato di salute degli individui ponendolo in relazione con

l’ambiente circostante48 e giungendo alla definizione di disabilità, intesa come una

condizione di salute all’interno di un ambiente più o meno sfavorevole49. Pertanto, ciò che

sembra sempre più evidente oggi è che la fragilità non rappresenta più una pertinenza dei soli geriatri ma invece richiede nella definizione e nella gestione dei piani di cura il coinvolgimento di specialisti di una sempre più ampia gamma di specialità mediche e sociali.

Il passaggio da un approccio centrato sulla malattia, cioè sul sintomo al momento della sua manifestazione, ad uno centrato sulla persona nella sua globalità consente non più soltanto di curare il sintomo ma di prendere in carico l’anziano nella sua totalità aiutandolo ad attivare tutte le risorse che possono essere messe in campo per prevenire la disabilità o rallentarne l’avanzamento (Bergman et al., 2007; Barbani, 2014). Studiare e mappare la fragilità degli anziani nel loro contesto permette di intervenire tempestivamente sulle singole situazioni che possono mettere a rischio la persona e di fronteggiare preventivamente gli eventi critici, programmando interventi di gestione o di trattamento anticipato del soggetto fragile con azioni proattive, multidisciplinari, incentrate sia sulla persona sia sull’ambiente circostante e aventi l’obiettivo di rafforzare le capacità individuali di self care, così da ridurre la fragilità e il ricorso a servizi sanitari e assistenziali più costosi (Falasca, P. et al., 2011). La fragilità è infatti una condizione dinamica che, a differenza della disabilità, non è irreversibile. Può essere prevenuta, ritardata, attenuata, accompagnata, addirittura “curata”. Tende ad aumentare con il passare del tempo, ma la sua evoluzione può essere suscettibile di interventi prima dell’inizio di esiti avversi, perciò è importante individuare i possibili fattori modificabili sottesi alla fragilità ed attivare azioni

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Appare infatti chiaro che, estremizzando il discorso, una persona definibile fragile in un determinato contesto, lo è in misura minore se collocata in un altro contesto (Giunco, cit.).

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La definizione di non autosufficienza adottata anche dal nostro Ministero della Salute si basa su quanto espresso con la certificazione International classification of functioning, disability and health (ICF), approvata nel 2001 dall’OMS, che afferma che “disabilità e non autosufficienza sono le definizioni più comuni per indicare la condizione delle persone che presentano gravi difficoltà a interagire con il proprio ambiente a causa della perdita permanente, totale o parziale, delle abilità fisiche, psichiche, sensoriali, cognitive o relazionali necessarie a svolgere le azioni essenziali della vita quotidiana senza l’aiuto di altri”. (Ministero della Salute, 2013, Assistenza a persone disabili e non autosufficienti, disponibile online:

http://www.salute.gov.it/portale/salute/p1_5.jsp?id=163&area=Servizi_per_persone_o_situazioni_speciali Si veda anche: https://www.who.int/classifications/icf/icfbeginnersguide.pdf?ua=1

E anche: https://www.who.int/classifications/drafticfpracticalmanual2.pdf?ua=1 Per la checklist si veda https://www.who.int/classifications/icf/icfchecklist.pdf?ua=1)

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preventive e proattive (più utili rispetto a semplici interventi riparativi e reattivi). Fra i fattori che sono stati associati alla fragilità e sui quali si può intervenire preventivamente giocano un ruolo chiave, come detto, la malnutrizione (Dominguez Liga & Barbagallo, 2017; Veronese et al., 2018), la scarsa attività fisica, (Taylor et al., 2004; Turner et al., 2017; Capodaglio et al., 2018; Rodriguez-Gomez et al., 2018; Hopewell et al., 2018; Ayenigbara,

2020)50, la scarsa stimolazione cognitiva anche connessa all’attività fisica (Kraft, 2012; Ng

et al., 2015; Gajewski & Falkenstein, 2016; Lan et al., 2019), l’isolamento sociale (Pinquart & Sörensen, 2000; Jones at al., 2003; Charles & Carstensen, 2009; Cacioppo et al., 2010; Cacioppo & Cacioppo, 2014; De Leo & Trabucchi, 2019; Ardemagni et al., 2020). Una precoce identificazione di questi fattori è fondamentale per massimizzare le opportunità di intervento. Ad esempio un anziano con problemi di malnutrizione può essere aiutato da diete adeguate, uno con difficoltà di deambulazione o a rischio cadute può vincere queste difficoltà se inizia a vivere in una casa priva di ostacoli e barriere o se dotato di mezzi meccanici di movimento ecc. Comprendere le dimensioni di ordine biologico e quelle di ordine psico-sociale può favorire quindi l’attivazione di interventi socio-sanitari integrati, nei quali, tra l’altro, la persona anziana non è più un target solo passivo da accudire e assistere ma, al contrario, può assumere un ruolo attivo e di protagonista. In sostanza si passa da un accostamento all’invecchiamento inteso in funzione prevalentemente accertativa del deficit a uno imperniato sulla funzione preventiva.