all’apostolato educativo.
San Giovanni Bosco, come vedremo, nacque e
ducatore cristiano. Per questo motivo, accingen
doci a trattare della sua opera pedagogica, pen
siamo di non poter trovare miglior argomento d ’introduzione che il primo formarsi della sua personalità e il precoce germogliare e sviluppar
si in lui di queU’attività, che doveva assorbire tanta parte della sua vita e costituirne la nota caratteristica.
Don Bosco non fu un puro teorico, nè un in
novatore: anziché attardarsi a formulare teorie, s’immerse nell’azione, ispirata a princìpi che af
fondavano le radici nella tradizione cristiana. A dattava bensì le dottrine perenni alle esigenze dei nuovi tempi, e qui sta il merito suo; ma sen
za mai sacrificare l’eterno al contingente,
qua-si abbandonandoqua-si alle correnti politiche e so
ciali di quegli anni burrascosi.
E se alcuno ritenesse che Don Bosco sia sta
to troppo avaro di enunciazioni teoretiche, dire
mo, e non sarà difficile dimostrarlo, che quanto più si studia il suo operare nel campo educativo, tanto più si scoprono tesori di sapienza pedago
gica, i quali hanno solo bisogno di venire raccol
ti e ordinati, perchè se ne apprezzi tutto il valore anche di fronte alle esigenze scientifiche.
È quello a cui miriamo col presente lavoro, nella speranza di recare un modesto contributo a una migliore comprensione di Don Bosco educa
tore.
Gioverà intanto soffermarci a posare di prefe
renza lo sguardo sulla giovinezza di questo Gran
de: una giovinezza che fu aurora, o, se si vuole, primavera, stracarica di promesse non smentite.
Don Bosco non ebbe facile la preparazione alla vita, a quella vita che più propriamente fu sua. Questo era necessario, affinchè egli teso
reggiasse esperienze, delle quali avrebbe avuto bisogno nell’esercizio della sua missione. Giac
ché, se la Divina Provvidenza lo insignì di doti superiori, lasciò poi a lui l’onere, e diciamo an
che l’onore, di rendersi abile a tradurle debita
mente in atto.
Colui che è salutato Padre degli orfani, in
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cominciò presto a sperimentare l’orfanezza e le sue conseguenze.
Rimasto, a due anni, privo di padre, lo creb
be un miracolo di mamma, il cui nome suona oggi come un simbolo; ma ciò non valse a salvare Giovannino dalle angustie dell’indigenza e dalle vessazioni del fratellastro, alle quali soltanto l’au
torità paterna avrebbe potuto mettere riparo.
Sopra un punto molto delicato cadevano le angherie. Tormentato, con l’aprirsi dell’intelligen
za, dalla brama di studiare, il fanciullo veniva costretto dal fratellastro a star lontano dalla scuo
la e a deporre i libri per sacrificare tempo e for
ze a rudi occupazioni campestri, senza che la buona madre avesse modo di temperare un sì esoso trattamento.
Le cose giunsero al punto che Mamma Marghe
rita con indicibile strazio del suo cuore si vide costretta a staccarsi dal suo caro figliuolo, invian
dolo presso suoi conoscenti perchè lo impiegassero in lavori di campagna. E Giovannino « si allon
tanava dalla casa materna con un involto sotto il braccio... e qualche libro di religione > (1). Ma certamente portava con sè anche il ricordo del sogno fatto all’età di nove anni, nel quale — co
me udremo poi da Don Bosco medesimo — gli era stata rivelata la sua futura missione a prò dei giovanetti.
E d e c c o d u n q u e il p ic c o lo a n d a re ra m in g o lu n g i d a l n id o d om e stico e a g u zza re l ’in g eg n o p e r tro v a re ch i g li offrisse la m a n iera d i v iv ere.
Girò, picchiò, incontrò chi lo assunse quale servitorello di campagna. D u e anni di vita ser
vile, per quanto alla dipendenza di padroni cri
stiani, avrebbero potuto invelenirgli l’esistenza od almeno farlo disperare dell’avvenire: invece con
tribuirono a renderlo umile, forte e robusto, co
me i Personaggi del sogno avevano raccomandato.
Il senso crescente del dominio di sè, ispiratogli dalla pietà cristiana che l’impareggiabile mamma aveva saputo con la parola e con l’esempio in
fondergli nell’anima, lo mantenne superiore all’av
versa fortuna, irrobustendogli la volontà e rasso
dandogli il carattere, in modo da essere poi te
tragono ai colpi della sventura.
Q u a n d o fin a lm en te il p r o v v id o in terv en to di u n o z io m a tern o lo sottrasse a q u e ll’a v v ile n te c o n d iz io n e e M a m m a M a rgh erita , fa tta la d iv isio n e leg a le d e ll’esig u o p a trim o n io p a te rn o , indusse a v iv e r e a ltrov e c o lu i ch e era la cau sa d e lla gu erra d o m e stica , e g li fu lib e ro d i la n cia rsi co n tu tto l ’a rd o re a ll’a cq u isto d el sa p e re : co n ta v a g ià ben 14 anni.
Non si smarrì quegli che a suo tempo avrebbe confortato tanti a non perdere la fiducia nelle proprie forze. Un generoso sacerdote, Don Giu
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seppe Calosso, preso già per l’innanzi dalle sue rare qualità intellettuali e morali, si profferse a impartirgli l’insegnamento.
Parve allora a Giovanni di toccare il cielo col dito. Ma la sua gioia fu di breve durata. Una morte subitanea gli rapì l’amato precettore, che egli pianse amaramente e del quale portò fino alla tomba impresso nel cuore il riconoscente ricordo.
Imparò presto ad apprezzare il valore dei be
nefìci e a serbarne grata memoria.
Intanto bisognava incominciare da capo. Ma come? Ma dove? Sul nativo colle dei Becchi vi
veva tra campagnoli pressoché tutti analfabeti;
la borgata più vicina, detta Morialdo, non aveva scuola. Eravi a Castelnuovo d’Asti una scuola ginnasiale, ma essa era troppo lontana.
Non importa: si assoggetta alla via crucis di percorrere quattro volte al giorno cinque chilo
metri, finché gli arride la possibilità di prendere stanza a Castelnuovo nella casa di un sarto, an
che capo-cantore della Parrocchia.
Per sdebitarsi deH’ospitalità impara quel me
stiere e si inizia alla musica, al che, per guada
gnare qualche cosa, aggiunge il maneggio del mar
tello e della lima nell’officina d ’un fabbro: tre cose che — unite a una sufficiente pratica nel lavorare la terra e nei mestieri di muratore, le
gatore di libri, barbiere, cuoco e confetturiere (2)
—: egli non immaginava dovessero un giorno ve
nirgli a taglio non meno del latino.
Ma che gran latino poteva imparare nella cao
tica classe di Castelnuovo? A 16 anni d ’età il suo scarso corredo d’istruzione ben poco s’arric
chiva a quella scuola. Però, con l’esperienza per
sonale, misurava le difficoltà che i figli del p o
polo avrebbero incontrato per applicarsi a studi, ai quali i tempi avrebbero ognora più sospinto anche i figli dei meno favoriti dalla fortuna: espe
rienza preziosa che gli sarebbe stata in avvenire stimolo a fare molto di quello che operò.
Che fare adunque? Aveva sentito tanto par
lare del Collegio di Chieri, come si chiamavano allora gli Istituti governativi. L ’idea di venire ammesso a scuola con l’insegnamento regolare e con autentici professori lo assillava: invidiava la sorte degli abitanti del contado che potevano re
carsi a frequentarla, mentre egli, privo di mezzi, doveva tenere oziosi i talenti ricevuti dalla Prov
videnza, la quale gli ispirò di affrontare qualun
que sacrificio pur di arrivare anche lui ad abbe
verarsi alle fonti del sapere.
Primo sacrificio fu quello dell’amor proprio nel dover mendicare il necessario. Disse più tardi quanto gli costasse picchiare alle porte dei be
nestanti.
Non stentiamo a credergli: un giovane di alto
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sentire non sopporta facilmente l’umiliazione di dover chiedere per sè. Egli tuttavia vide in quel
l’umiliazione, non solo l’unico espediente per rag
giungere il suo ideale, ma anche un mezzo prov
videnziale per l’acquisto di un inestimabile te
soro. Confesserà candidamente, nelle Memorie del- ΓOratorio (3), che l’orgoglio gli aveva messo pro
fonde radici nel cuore; seppe quindi cogliere l’oc
casione propizia per estirparlo e sostituirgli il germe di quella umiltà che 1’avrebbe reso assai gradito a D io e agli uomini.
Quanto agli uomini, ne ebbe subito la prova.
Gli si voleva bene, e nessuno fu sordo alle sue domande: anzi i più generosi gli risparmiarono il domandare. D io poi, facendolo passare per tale crogiuolo, lo temprava per quando la necessità l’avrebbe costretto a stendere la mano per gli al
tri; e intanto lo benedisse negli studi.
Orientandosi subito nell’ambiente cittadino e studentesco, interamente nuovo per un figlio dei campi, non s’impressionò delle prime burle dei compagni, tra i quali in verità faceva la figura di un gigante: non vedeva altro che i suoi doveri scolastici e religiosi.
Sulle magre e sconnesse nozioni di Castel
nuovo venne crescendo un corredo di conoscenze letterarie, che gli permisero di scavalcare, nel breve giro di un anno, tre classi, la prepara
toria, la prima e la seconda ginnasiale, e quel che è più, senza invidie e malevolenze, anzi por
tato ognora dai condiscepoli in palma di mano.
Ma l’avanzare così a gonfie vele non fu sen
za sacrifici, più che penosi, umilianti. Pazienza per l’affaticarsi in ripetizioni che gli rubavano tempo, ma fruttavano qualche utile alla sua vita di stenti; quel rassegnarsi però a fare da garzone di caffè, quel rannicchiarsi a dormire sopra il vano di un forno, quell’accettare la carità di chi lo aiutava a sfamarsi, dovettero pur saper amaro a uno studente d ’intelligenza come la sua.
Non di meno anche questa trafila di prove, lente e difficili, egli volse a mortificazione delle passioni e ad eroico esercizio di virtù.
Giovanni Bosco terminò il ginnasio nel 1835:
aveva dunque 20 anni suonati, ma era moral
mente ed intellettualmente maturo per varcare la soglia del santuario, sogno della sua vita e pre
mio dei suoi sacrifici.
La vocazione al sacerdozio si confondeva in lui con la voce della coscienza. Poteva dirsi egual
mente della chiamata alla forma di apostolato, che lo attendeva nel futuro?
Se avesse compreso subito quello che arcane manifestazioni continuavano a fargli balenare nella mente, dovremmo rispondere di sì; ma b i
sognò aspettare che i fatti venissero a chiarirgli
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le cose misteriosamente rappresentate al suo spi
rito, quando non era ancora in grado di affer
rarne il significato.
Tuttavia un impulso interiore lo spinse ben presto in una direzione precisa e continua, nella quale l’adolescente avanzava verso la mèta fis
satagli dalla Provvidenza, come a suo tempo ca
pì. È innegabile infatti che l’attività di Don Bo
sco educatore riveste il carattere di una missione provvidenziale.
Il crescente prevalere delle aspirazioni demo
cratiche, mirando all’elevamento civile e politico delle masse, faceva sorgere sotto aspetti nuovi, e con nuovi postulati, il problema dell’educazio
ne. Non si eleva una classe di uomini a un gra
do superiore di vita senza cominciare dall’intel
ligenza: di qui la necessità dell’istruzione p op o
lare e della scuola aperta a tutti, resa anzi obbli
gatoria dalla legge.
Se non che quest’arma potente, maneggiata dal laicismo, diventava una minaccia sempre più for
midabile contro quello che si aveva di più sa
cro: la tradizione della civiltà cristiana. Soffocare a poco a poco nelle anime giovanili la Fede con l’indifferenza religiosa, allontanare insensibilmen
te i fanciulli dalle sorgenti della vita spirituale, insinuare negli adolescenti la sfiducia nel Clero e l’avversione alla Chiesa: ecco lo spirito al quale
si sarebbe informato il pubblico insegnamento primario e secondario. Ed intanto con la soppres
sione delle Congregazioni insegnanti crollava un argine opposto alla marea travolgente.
Ed ecco che, mentre le cose pigliavano una piega che riempiva di apprensione gli uomini sol
leciti del vero bene comune, si levava sull’oriz
zonte l’astro destinato a irradiare di sua luce be
nefica la pedagogia nel Piemonte, in Italia e nel mondo.
Non si è forse misurata abbastanza l’impor
tanza e l’estensione delFattività pedagogica di Don Bosco. Mentre la pedagogia teorica e scien
tifica rimaneva pressoché isolata nel dominio dei libri, Don Bosco, silenziosamente, ma intensamen
te, metteva in azione una pedagogia che, da p o chi ma saldi princìpi, veniva operando un mondo di bene nel campo pedagogico pratico.
Centodieci anni dell’Opera iniziata da lui e continuata dai Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice non sono trascorsi invano: i metodi da lui introdotti hanno contribuito non poco a modificare l’arte dell’educare e istruire i fanciul
li, democratizzandola senza abbassarla, e destando anche l’attenzione dei governanti. Senza dire tut
to quello che si potrebbe, basta osservare che gli insegnanti usciti dalle sue scuole hanno porta
to un p o ’ dappertutto il lievito (iella pedagogia
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salesiana; e dove non sono arrivati gli uomini si è imposto l’esempio, accentuando un movimento dei più salutari.
Movimento tanto più degno di nota, se si con
sidera che Don Bosco lo attuò andando a ritro
so dei tempi: educatore moderno fin che si vuo
le, pronto cioè a far proprio quanto la moder
nità ha escogitato di utile e di sano, egli non si scostò un apice dalla tradizione cristiana, che certe nuove teorie pedagogiche avrebbero voluto sopraffare. Ecco nei suoi semplici e veri termini la missione provvidenziale di Don Bosco.
Ritorniamo ora a lui fanciullo e adolescente, quando si preparava inconscio alla sua missione.
Chi studia i suoi andamenti fin da quell’età, deve concludere che egli era nato a fare il mae
stro. Lo costatava egli stesso quando, verso il tra
monto della vita, confidava che radunare i fan
ciulli per fare loro il catechismo gli era brillato alla mente fin da quando aveva solo cinque anni;
ciò formava il suo più vivo desiderio, ciò sembra- vagli l’unica cosa che dovesse fare sulla ter
ra (4).
Onde ci spieghiamo come, ragazzetto ancora proferisse espressioni nella loro ingenuità rivela
trici. La mamma non voleva più che si mesco
lasse coi monelli, dai quali nulla di buono aveva da imparare. < Se mi trovo in mezzo ad essi, — le
osservò — fanno come voglio io e non rissano più » (5). Ed incontrando per la strada Sacerdoti, e avvicinandosi loro per salutarli festosamente, e non ricevendone che qualche segno d’attenzione grave e contegnosa senza una buona parola: « Se io fossi prete, — diceva — vorrei avvicinarmi ai fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare dei buoni consigli » (6).
Qui sarebbe inutile ripetere cose che tutti sanno: come, trasportato quasi da naturale istin
to, s’ingegnasse, egli così piccolo, di cattivarsi pic
coli e grandi con mille industrie proprie di pro
vetti ed esperti educatori, i quali posseggono l’ar
te sommamente educativa del saper unire l’uti
lità al diletto.
E questo, non solo fra la gente sua che lo co
nosceva, ma anche durante il biennio in cui, sba
lestrato lontano dalla casetta nativa, lavorava sotto padroni. In breve si amicò i contadinotti delle case coloniche di quei dintorni, sicché nelle ore di libertà se li conduceva ovunque volesse, al
lettandoli a imparare volentieri, da scolaretti, ciò che Fimprovvisato maestrino avrebbe esposto e spiegato.
Non basta. La cascina era nel territorio di Moncucco, dov’egli si recava ogni domenica a compiere le sue divozioni. Ebbene, anche là i fanciulli non tardarono ad affollarglisi intorno. Lo
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aspettavano all’uscire di chiesa, gli tenevano com
pagnia, si lasciavano da lui condurre nell’aula delle scuole comunali, ed ivi ascoltavano docili, non solo i suoi piacevoli racconti, ma anche l’e
sposizione delle verità della Fede e le esortazioni al bene.
Venne il periodo di Castelnuovo: a poco a poco la gioventù della scuola e del paese fu tutta sua e l’influenza di lui su di essi era così salutare che i genitori ne gioivano, vedendo i figli tornare a casa migliori.
Nella quaresima il Parroco gli affidò la scuo
la di Catechismo. Il Card. Cagliero, Castelno- vese, narrava che da ragazzo sentiva ancora de
cantare nelle famiglie i buoni esempi del giova
netto Bosco.
A Chieri il tenore della vita intellettuale si elevò, gli orizzonti spirituali si allargarono, e la santa passione per la gioventù si venne raffor
zando. Furono quattro anni di vittorie individuali e di trionfi collettivi, preludenti in modo sempre più manifesto alle grandi conquiste pedagogiche ancora lontane.
Ecco alcuni esempi di vittorie individuali.
Il discoletto figlio della signora che per la prima lo ospitò, svogliato nello studio e amante solo del giuoco, benché appartenente a una clas
se superiore, subì dal suo contatto una
trasforma-/
zione così radicale da essere irriconoscibile.
Il distinto giovane israelita, per quanto mon
dano, nei suoi frequenti incontri con lui im prov
visato garzone di caffè, prese tanto amore alla Religione cristiana, che finì col volere il battesimo a dispetto di tutte le opposizioni dei parenti e dei correligionari.
Non vi fu anche il campanaro al quale G io
vanni Bosco allenò il cervello, fino ad invogliar
lo a studiare da prete?
Tre brevi miracoli pedagogici germinati con la spontaneità dei fenomeni di natura.
Ed ora, alcuni esempi di trionfi collettivi.
D on Bosco, nella maturità degli anni e del
l’esperienza, insegnerà ai suoi Figli ad amare quello che i giovani amano, se vogliono far loro amare quello che da essi desiderano ottenere. Eb
bene, lo studente Bosco mette già in pratica que
sto sapiente assioma pedagogico prima assai di saperlo formulare.
Poco ci volle per richiamare su di sè l’atten
zione generale nella scuola e fuori.
Prima della scuola aiutava tutti nelle diffi
coltà scolastiche, financo gli israeliti: ai quali fa
ceva i compiti il sabato, affinchè non agissero contro coscienza facendoli essi stessi contro il di
vieto della loro legge.
Dalla scuola il favore dei condiscepoli lo se
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guiva fuori e, per mezzo loro, si propagava; onde la sua popolarità crebbe a segno che egli si vide circondato e quasi obbedito da una numerosa clientela, avida di partecipare alle sue liete ri
creazioni, curiosa di ascoltare i suoi racconti, e unanime nell’applaudire, in convegni da lui pre
parati, ai suoi saggi ginnastici.
Studiandone i gusti, li teneva tutti allegri, ma sempre con in fondo il dolce; ed il dolce era na
turalmente ciò che tornava a bene deH’anima.
Del quadriennio chierese l’episodio più signifi
cativo fu « La Società dell’Allegria ». Il futuro creatore di associazioni mondiali consacrate alla educazione della gioventù, organizzava ora, sem
plice studente di ginnasio, una unione giovanile che promovesse il bene dei soci e li esercitasse nel
l'apostolato fra i coetanei. E la nominava proprio dall’allegria, elemento non secondario del suo si
stema educativo. La giocondità delFanimo gli si affacciava fin d’allora alla mente quale mezzo in
dispensabile per elevare la coscienza giovanile.
Per ottenere pienamente l’effetto bramato, il giocoliere, il ginnasta, l’acrobata dei Becchi a f
finò l’arte sua e arricchì il suo repertorio in modo che si confacesse al nuovo ambiente. Quaran
tanni dopo descriveva così le svariate industrie da lui usate in quel tempo: « Carte, tarocchi, pal
lottole, piastrelle, stampelle, salti, corse, erano tut
ti divertimenti di mio sommo gusto, in cui, se non ero celebre, non ero certamente mediocre... Se nei prati di Morialdo ero piccolo allievo, in quel
l’anno ero divenuto un compatibile maestro » (7).
Nè i soci dell’« Allegria » formavano intorno a lui un circolo chiuso: erano piuttosto il suo Stato Maggiore, e chiamavano quanti più potevano a godere dei suoi trastulli per riceverne i salutari influssi. Egli poi, pur occupandosi degli studenti, non perdeva di vista i ragazzi popolani, frequen
tassero o no le scuole inferiori. Li cercava per piazze e strade, li allettava, e, bel bello, li con
duceva al Catechismo e alla chiesa. D ove solevano riunirsi in molti per giocare, egli compariva in mezzo a loro, si divertiva con essi e se li tirava dietro.
Insomma l’ascendente acquistato da Giovanni Bosco sulla gioventù a Chieri era quello di un do
minatore. Di questo dominio morale il fatto più interessante era senza dubbio la sagacia con la quale sapeva prendere ognuno per il suo verso, per ottenere che tutti facessero a modo suo.
minatore. Di questo dominio morale il fatto più interessante era senza dubbio la sagacia con la quale sapeva prendere ognuno per il suo verso, per ottenere che tutti facessero a modo suo.