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Brevi cenni sulla preparazione di Don Bosco

Nel documento DON BOSCO EDUCATORE (pagine 27-85)

all’apostolato educativo.

San Giovanni Bosco, come vedremo, nacque e­

ducatore cristiano. Per questo motivo, accingen­

doci a trattare della sua opera pedagogica, pen­

siamo di non poter trovare miglior argomento d ’introduzione che il primo formarsi della sua personalità e il precoce germogliare e sviluppar­

si in lui di queU’attività, che doveva assorbire tanta parte della sua vita e costituirne la nota caratteristica.

Don Bosco non fu un puro teorico, nè un in­

novatore: anziché attardarsi a formulare teorie, s’immerse nell’azione, ispirata a princìpi che af­

fondavano le radici nella tradizione cristiana. A ­ dattava bensì le dottrine perenni alle esigenze dei nuovi tempi, e qui sta il merito suo; ma sen­

za mai sacrificare l’eterno al contingente,

qua-si abbandonandoqua-si alle correnti politiche e so­

ciali di quegli anni burrascosi.

E se alcuno ritenesse che Don Bosco sia sta­

to troppo avaro di enunciazioni teoretiche, dire­

mo, e non sarà difficile dimostrarlo, che quanto più si studia il suo operare nel campo educativo, tanto più si scoprono tesori di sapienza pedago­

gica, i quali hanno solo bisogno di venire raccol­

ti e ordinati, perchè se ne apprezzi tutto il valore anche di fronte alle esigenze scientifiche.

È quello a cui miriamo col presente lavoro, nella speranza di recare un modesto contributo a una migliore comprensione di Don Bosco educa­

tore.

Gioverà intanto soffermarci a posare di prefe­

renza lo sguardo sulla giovinezza di questo Gran­

de: una giovinezza che fu aurora, o, se si vuole, primavera, stracarica di promesse non smentite.

Don Bosco non ebbe facile la preparazione alla vita, a quella vita che più propriamente fu sua. Questo era necessario, affinchè egli teso­

reggiasse esperienze, delle quali avrebbe avuto bisogno nell’esercizio della sua missione. Giac­

ché, se la Divina Provvidenza lo insignì di doti superiori, lasciò poi a lui l’onere, e diciamo an­

che l’onore, di rendersi abile a tradurle debita­

mente in atto.

Colui che è salutato Padre degli orfani, in­

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cominciò presto a sperimentare l’orfanezza e le sue conseguenze.

Rimasto, a due anni, privo di padre, lo creb­

be un miracolo di mamma, il cui nome suona oggi come un simbolo; ma ciò non valse a salvare Giovannino dalle angustie dell’indigenza e dalle vessazioni del fratellastro, alle quali soltanto l’au­

torità paterna avrebbe potuto mettere riparo.

Sopra un punto molto delicato cadevano le angherie. Tormentato, con l’aprirsi dell’intelligen­

za, dalla brama di studiare, il fanciullo veniva costretto dal fratellastro a star lontano dalla scuo­

la e a deporre i libri per sacrificare tempo e for­

ze a rudi occupazioni campestri, senza che la buona madre avesse modo di temperare un sì esoso trattamento.

Le cose giunsero al punto che Mamma Marghe­

rita con indicibile strazio del suo cuore si vide costretta a staccarsi dal suo caro figliuolo, invian­

dolo presso suoi conoscenti perchè lo impiegassero in lavori di campagna. E Giovannino « si allon­

tanava dalla casa materna con un involto sotto il braccio... e qualche libro di religione > (1). Ma certamente portava con sè anche il ricordo del sogno fatto all’età di nove anni, nel quale — co­

me udremo poi da Don Bosco medesimo — gli era stata rivelata la sua futura missione a prò dei giovanetti.

E d e c c o d u n q u e il p ic c o lo a n d a re ra m in g o lu n g i d a l n id o d om e stico e a g u zza re l ’in g eg n o p e r tro v a re ch i g li offrisse la m a n iera d i v iv ere.

Girò, picchiò, incontrò chi lo assunse quale servitorello di campagna. D u e anni di vita ser­

vile, per quanto alla dipendenza di padroni cri­

stiani, avrebbero potuto invelenirgli l’esistenza od almeno farlo disperare dell’avvenire: invece con­

tribuirono a renderlo umile, forte e robusto, co­

me i Personaggi del sogno avevano raccomandato.

Il senso crescente del dominio di sè, ispiratogli dalla pietà cristiana che l’impareggiabile mamma aveva saputo con la parola e con l’esempio in­

fondergli nell’anima, lo mantenne superiore all’av­

versa fortuna, irrobustendogli la volontà e rasso­

dandogli il carattere, in modo da essere poi te­

tragono ai colpi della sventura.

Q u a n d o fin a lm en te il p r o v v id o in terv en to di u n o z io m a tern o lo sottrasse a q u e ll’a v v ile n te c o n ­ d iz io n e e M a m m a M a rgh erita , fa tta la d iv isio n e leg a le d e ll’esig u o p a trim o n io p a te rn o , indusse a v iv e r e a ltrov e c o lu i ch e era la cau sa d e lla gu erra d o m e stica , e g li fu lib e ro d i la n cia rsi co n tu tto l ’a rd o re a ll’a cq u isto d el sa p e re : co n ta v a g ià ben 14 anni.

Non si smarrì quegli che a suo tempo avrebbe confortato tanti a non perdere la fiducia nelle proprie forze. Un generoso sacerdote, Don Giu­

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seppe Calosso, preso già per l’innanzi dalle sue rare qualità intellettuali e morali, si profferse a impartirgli l’insegnamento.

Parve allora a Giovanni di toccare il cielo col dito. Ma la sua gioia fu di breve durata. Una morte subitanea gli rapì l’amato precettore, che egli pianse amaramente e del quale portò fino alla tomba impresso nel cuore il riconoscente ricordo.

Imparò presto ad apprezzare il valore dei be­

nefìci e a serbarne grata memoria.

Intanto bisognava incominciare da capo. Ma come? Ma dove? Sul nativo colle dei Becchi vi­

veva tra campagnoli pressoché tutti analfabeti;

la borgata più vicina, detta Morialdo, non aveva scuola. Eravi a Castelnuovo d’Asti una scuola ginnasiale, ma essa era troppo lontana.

Non importa: si assoggetta alla via crucis di percorrere quattro volte al giorno cinque chilo­

metri, finché gli arride la possibilità di prendere stanza a Castelnuovo nella casa di un sarto, an­

che capo-cantore della Parrocchia.

Per sdebitarsi deH’ospitalità impara quel me­

stiere e si inizia alla musica, al che, per guada­

gnare qualche cosa, aggiunge il maneggio del mar­

tello e della lima nell’officina d ’un fabbro: tre cose che — unite a una sufficiente pratica nel lavorare la terra e nei mestieri di muratore, le­

gatore di libri, barbiere, cuoco e confetturiere (2)

—: egli non immaginava dovessero un giorno ve­

nirgli a taglio non meno del latino.

Ma che gran latino poteva imparare nella cao­

tica classe di Castelnuovo? A 16 anni d ’età il suo scarso corredo d’istruzione ben poco s’arric­

chiva a quella scuola. Però, con l’esperienza per­

sonale, misurava le difficoltà che i figli del p o­

polo avrebbero incontrato per applicarsi a studi, ai quali i tempi avrebbero ognora più sospinto anche i figli dei meno favoriti dalla fortuna: espe­

rienza preziosa che gli sarebbe stata in avvenire stimolo a fare molto di quello che operò.

Che fare adunque? Aveva sentito tanto par­

lare del Collegio di Chieri, come si chiamavano allora gli Istituti governativi. L ’idea di venire ammesso a scuola con l’insegnamento regolare e con autentici professori lo assillava: invidiava la sorte degli abitanti del contado che potevano re­

carsi a frequentarla, mentre egli, privo di mezzi, doveva tenere oziosi i talenti ricevuti dalla Prov­

videnza, la quale gli ispirò di affrontare qualun­

que sacrificio pur di arrivare anche lui ad abbe­

verarsi alle fonti del sapere.

Primo sacrificio fu quello dell’amor proprio nel dover mendicare il necessario. Disse più tardi quanto gli costasse picchiare alle porte dei be­

nestanti.

Non stentiamo a credergli: un giovane di alto

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sentire non sopporta facilmente l’umiliazione di dover chiedere per sè. Egli tuttavia vide in quel­

l’umiliazione, non solo l’unico espediente per rag­

giungere il suo ideale, ma anche un mezzo prov­

videnziale per l’acquisto di un inestimabile te­

soro. Confesserà candidamente, nelle Memorie del- ΓOratorio (3), che l’orgoglio gli aveva messo pro­

fonde radici nel cuore; seppe quindi cogliere l’oc­

casione propizia per estirparlo e sostituirgli il germe di quella umiltà che 1’avrebbe reso assai gradito a D io e agli uomini.

Quanto agli uomini, ne ebbe subito la prova.

Gli si voleva bene, e nessuno fu sordo alle sue domande: anzi i più generosi gli risparmiarono il domandare. D io poi, facendolo passare per tale crogiuolo, lo temprava per quando la necessità l’avrebbe costretto a stendere la mano per gli al­

tri; e intanto lo benedisse negli studi.

Orientandosi subito nell’ambiente cittadino e studentesco, interamente nuovo per un figlio dei campi, non s’impressionò delle prime burle dei compagni, tra i quali in verità faceva la figura di un gigante: non vedeva altro che i suoi doveri scolastici e religiosi.

Sulle magre e sconnesse nozioni di Castel­

nuovo venne crescendo un corredo di conoscenze letterarie, che gli permisero di scavalcare, nel breve giro di un anno, tre classi, la prepara­

toria, la prima e la seconda ginnasiale, e quel che è più, senza invidie e malevolenze, anzi por­

tato ognora dai condiscepoli in palma di mano.

Ma l’avanzare così a gonfie vele non fu sen­

za sacrifici, più che penosi, umilianti. Pazienza per l’affaticarsi in ripetizioni che gli rubavano tempo, ma fruttavano qualche utile alla sua vita di stenti; quel rassegnarsi però a fare da garzone di caffè, quel rannicchiarsi a dormire sopra il vano di un forno, quell’accettare la carità di chi lo aiutava a sfamarsi, dovettero pur saper amaro a uno studente d ’intelligenza come la sua.

Non di meno anche questa trafila di prove, lente e difficili, egli volse a mortificazione delle passioni e ad eroico esercizio di virtù.

Giovanni Bosco terminò il ginnasio nel 1835:

aveva dunque 20 anni suonati, ma era moral­

mente ed intellettualmente maturo per varcare la soglia del santuario, sogno della sua vita e pre­

mio dei suoi sacrifici.

La vocazione al sacerdozio si confondeva in lui con la voce della coscienza. Poteva dirsi egual­

mente della chiamata alla forma di apostolato, che lo attendeva nel futuro?

Se avesse compreso subito quello che arcane manifestazioni continuavano a fargli balenare nella mente, dovremmo rispondere di sì; ma b i­

sognò aspettare che i fatti venissero a chiarirgli

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le cose misteriosamente rappresentate al suo spi­

rito, quando non era ancora in grado di affer­

rarne il significato.

Tuttavia un impulso interiore lo spinse ben presto in una direzione precisa e continua, nella quale l’adolescente avanzava verso la mèta fis­

satagli dalla Provvidenza, come a suo tempo ca­

pì. È innegabile infatti che l’attività di Don Bo­

sco educatore riveste il carattere di una missione provvidenziale.

Il crescente prevalere delle aspirazioni demo­

cratiche, mirando all’elevamento civile e politico delle masse, faceva sorgere sotto aspetti nuovi, e con nuovi postulati, il problema dell’educazio­

ne. Non si eleva una classe di uomini a un gra­

do superiore di vita senza cominciare dall’intel­

ligenza: di qui la necessità dell’istruzione p op o­

lare e della scuola aperta a tutti, resa anzi obbli­

gatoria dalla legge.

Se non che quest’arma potente, maneggiata dal laicismo, diventava una minaccia sempre più for­

midabile contro quello che si aveva di più sa­

cro: la tradizione della civiltà cristiana. Soffocare a poco a poco nelle anime giovanili la Fede con l’indifferenza religiosa, allontanare insensibilmen­

te i fanciulli dalle sorgenti della vita spirituale, insinuare negli adolescenti la sfiducia nel Clero e l’avversione alla Chiesa: ecco lo spirito al quale

si sarebbe informato il pubblico insegnamento primario e secondario. Ed intanto con la soppres­

sione delle Congregazioni insegnanti crollava un argine opposto alla marea travolgente.

Ed ecco che, mentre le cose pigliavano una piega che riempiva di apprensione gli uomini sol­

leciti del vero bene comune, si levava sull’oriz­

zonte l’astro destinato a irradiare di sua luce be­

nefica la pedagogia nel Piemonte, in Italia e nel mondo.

Non si è forse misurata abbastanza l’impor­

tanza e l’estensione delFattività pedagogica di Don Bosco. Mentre la pedagogia teorica e scien­

tifica rimaneva pressoché isolata nel dominio dei libri, Don Bosco, silenziosamente, ma intensamen­

te, metteva in azione una pedagogia che, da p o ­ chi ma saldi princìpi, veniva operando un mondo di bene nel campo pedagogico pratico.

Centodieci anni dell’Opera iniziata da lui e continuata dai Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice non sono trascorsi invano: i metodi da lui introdotti hanno contribuito non poco a modificare l’arte dell’educare e istruire i fanciul­

li, democratizzandola senza abbassarla, e destando anche l’attenzione dei governanti. Senza dire tut­

to quello che si potrebbe, basta osservare che gli insegnanti usciti dalle sue scuole hanno porta­

to un p o ’ dappertutto il lievito (iella pedagogia

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salesiana; e dove non sono arrivati gli uomini si è imposto l’esempio, accentuando un movimento dei più salutari.

Movimento tanto più degno di nota, se si con­

sidera che Don Bosco lo attuò andando a ritro­

so dei tempi: educatore moderno fin che si vuo­

le, pronto cioè a far proprio quanto la moder­

nità ha escogitato di utile e di sano, egli non si scostò un apice dalla tradizione cristiana, che certe nuove teorie pedagogiche avrebbero voluto sopraffare. Ecco nei suoi semplici e veri termini la missione provvidenziale di Don Bosco.

Ritorniamo ora a lui fanciullo e adolescente, quando si preparava inconscio alla sua missione.

Chi studia i suoi andamenti fin da quell’età, deve concludere che egli era nato a fare il mae­

stro. Lo costatava egli stesso quando, verso il tra­

monto della vita, confidava che radunare i fan­

ciulli per fare loro il catechismo gli era brillato alla mente fin da quando aveva solo cinque anni;

ciò formava il suo più vivo desiderio, ciò sembra- vagli l’unica cosa che dovesse fare sulla ter­

ra (4).

Onde ci spieghiamo come, ragazzetto ancora proferisse espressioni nella loro ingenuità rivela­

trici. La mamma non voleva più che si mesco­

lasse coi monelli, dai quali nulla di buono aveva da imparare. < Se mi trovo in mezzo ad essi, — le

osservò — fanno come voglio io e non rissano più » (5). Ed incontrando per la strada Sacerdoti, e avvicinandosi loro per salutarli festosamente, e non ricevendone che qualche segno d’attenzione grave e contegnosa senza una buona parola: « Se io fossi prete, — diceva — vorrei avvicinarmi ai fanciulli, vorrei dire loro delle buone parole, dare dei buoni consigli » (6).

Qui sarebbe inutile ripetere cose che tutti sanno: come, trasportato quasi da naturale istin­

to, s’ingegnasse, egli così piccolo, di cattivarsi pic­

coli e grandi con mille industrie proprie di pro­

vetti ed esperti educatori, i quali posseggono l’ar­

te sommamente educativa del saper unire l’uti­

lità al diletto.

E questo, non solo fra la gente sua che lo co­

nosceva, ma anche durante il biennio in cui, sba­

lestrato lontano dalla casetta nativa, lavorava sotto padroni. In breve si amicò i contadinotti delle case coloniche di quei dintorni, sicché nelle ore di libertà se li conduceva ovunque volesse, al­

lettandoli a imparare volentieri, da scolaretti, ciò che Fimprovvisato maestrino avrebbe esposto e spiegato.

Non basta. La cascina era nel territorio di Moncucco, dov’egli si recava ogni domenica a compiere le sue divozioni. Ebbene, anche là i fanciulli non tardarono ad affollarglisi intorno. Lo

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aspettavano all’uscire di chiesa, gli tenevano com­

pagnia, si lasciavano da lui condurre nell’aula delle scuole comunali, ed ivi ascoltavano docili, non solo i suoi piacevoli racconti, ma anche l’e­

sposizione delle verità della Fede e le esortazioni al bene.

Venne il periodo di Castelnuovo: a poco a poco la gioventù della scuola e del paese fu tutta sua e l’influenza di lui su di essi era così salutare che i genitori ne gioivano, vedendo i figli tornare a casa migliori.

Nella quaresima il Parroco gli affidò la scuo­

la di Catechismo. Il Card. Cagliero, Castelno- vese, narrava che da ragazzo sentiva ancora de­

cantare nelle famiglie i buoni esempi del giova­

netto Bosco.

A Chieri il tenore della vita intellettuale si elevò, gli orizzonti spirituali si allargarono, e la santa passione per la gioventù si venne raffor­

zando. Furono quattro anni di vittorie individuali e di trionfi collettivi, preludenti in modo sempre più manifesto alle grandi conquiste pedagogiche ancora lontane.

Ecco alcuni esempi di vittorie individuali.

Il discoletto figlio della signora che per la prima lo ospitò, svogliato nello studio e amante solo del giuoco, benché appartenente a una clas­

se superiore, subì dal suo contatto una

trasforma-/

zione così radicale da essere irriconoscibile.

Il distinto giovane israelita, per quanto mon­

dano, nei suoi frequenti incontri con lui im prov­

visato garzone di caffè, prese tanto amore alla Religione cristiana, che finì col volere il battesimo a dispetto di tutte le opposizioni dei parenti e dei correligionari.

Non vi fu anche il campanaro al quale G io­

vanni Bosco allenò il cervello, fino ad invogliar­

lo a studiare da prete?

Tre brevi miracoli pedagogici germinati con la spontaneità dei fenomeni di natura.

Ed ora, alcuni esempi di trionfi collettivi.

D on Bosco, nella maturità degli anni e del­

l’esperienza, insegnerà ai suoi Figli ad amare quello che i giovani amano, se vogliono far loro amare quello che da essi desiderano ottenere. Eb­

bene, lo studente Bosco mette già in pratica que­

sto sapiente assioma pedagogico prima assai di saperlo formulare.

Poco ci volle per richiamare su di sè l’atten­

zione generale nella scuola e fuori.

Prima della scuola aiutava tutti nelle diffi­

coltà scolastiche, financo gli israeliti: ai quali fa­

ceva i compiti il sabato, affinchè non agissero contro coscienza facendoli essi stessi contro il di­

vieto della loro legge.

Dalla scuola il favore dei condiscepoli lo se­

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guiva fuori e, per mezzo loro, si propagava; onde la sua popolarità crebbe a segno che egli si vide circondato e quasi obbedito da una numerosa clientela, avida di partecipare alle sue liete ri­

creazioni, curiosa di ascoltare i suoi racconti, e unanime nell’applaudire, in convegni da lui pre­

parati, ai suoi saggi ginnastici.

Studiandone i gusti, li teneva tutti allegri, ma sempre con in fondo il dolce; ed il dolce era na­

turalmente ciò che tornava a bene deH’anima.

Del quadriennio chierese l’episodio più signifi­

cativo fu « La Società dell’Allegria ». Il futuro creatore di associazioni mondiali consacrate alla educazione della gioventù, organizzava ora, sem­

plice studente di ginnasio, una unione giovanile che promovesse il bene dei soci e li esercitasse nel­

l'apostolato fra i coetanei. E la nominava proprio dall’allegria, elemento non secondario del suo si­

stema educativo. La giocondità delFanimo gli si affacciava fin d’allora alla mente quale mezzo in­

dispensabile per elevare la coscienza giovanile.

Per ottenere pienamente l’effetto bramato, il giocoliere, il ginnasta, l’acrobata dei Becchi a f­

finò l’arte sua e arricchì il suo repertorio in modo che si confacesse al nuovo ambiente. Quaran­

tanni dopo descriveva così le svariate industrie da lui usate in quel tempo: « Carte, tarocchi, pal­

lottole, piastrelle, stampelle, salti, corse, erano tut­

ti divertimenti di mio sommo gusto, in cui, se non ero celebre, non ero certamente mediocre... Se nei prati di Morialdo ero piccolo allievo, in quel­

l’anno ero divenuto un compatibile maestro » (7).

Nè i soci dell’« Allegria » formavano intorno a lui un circolo chiuso: erano piuttosto il suo Stato Maggiore, e chiamavano quanti più potevano a godere dei suoi trastulli per riceverne i salutari influssi. Egli poi, pur occupandosi degli studenti, non perdeva di vista i ragazzi popolani, frequen­

tassero o no le scuole inferiori. Li cercava per piazze e strade, li allettava, e, bel bello, li con­

duceva al Catechismo e alla chiesa. D ove solevano riunirsi in molti per giocare, egli compariva in mezzo a loro, si divertiva con essi e se li tirava dietro.

Insomma l’ascendente acquistato da Giovanni Bosco sulla gioventù a Chieri era quello di un do­

minatore. Di questo dominio morale il fatto più interessante era senza dubbio la sagacia con la quale sapeva prendere ognuno per il suo verso, per ottenere che tutti facessero a modo suo.

minatore. Di questo dominio morale il fatto più interessante era senza dubbio la sagacia con la quale sapeva prendere ognuno per il suo verso, per ottenere che tutti facessero a modo suo.

Nel documento DON BOSCO EDUCATORE (pagine 27-85)