Dall’impiego giurisprudenziale e dottrinale del principio di precauzione e dall’analisi delle strategie argomentative che su di esso hanno fatto leva, è possibile constatare che la precauzione può imporsi nelle strutture del diritto privato, al livello della tutela decentrata affidata alle Corti, come strumento interpretativo capace di orientarne le decisioni, nel senso di anticipare la soglia di tutela, sia con riferimento alla compromissione del bene tutelato, sia con riferimento al grado di certezza scientifica di cui si colora il relativo rischio. Se quest’ultimo profilo investe, conformandole, entrambe le tutele – inibitorie e risarcitoria –, diverso è il modo di atteggiarsi del principio in parola con riguardo alla soglia temporale che ne determina l’attivazione. Da questa angolatura, occorre rilevare come l’anticipazione della soglia di tutela – promossa dal principio di precauzione e concretizzata dall’inclusione del pericolo all’interno del danno – ben si sposa (nonostante le fratture sul punto createsi in seno alla giurisprudenza di legittimità) con il rimedio inibitorio, consentendo di orientarne il limite elastico imposto dalla normale tollerabilità e di realizzare una tutela preventiva del diritto alla salute86. Non altrettanto può dirsi con riferimento ai meccanismi della responsabilità civile, dove il principio si afferma esclusivamente in chiave retrospettiva, nella misura in cui rafforza, in senso oggettivo e soggettivo, il dovere di cautela rispetto all’azione prodotta dal soggetto agente, entrando in moto allorché siffatto pericolo o rischio si sia materializzato in danno87. In questa prospettiva, i riferimenti dottrinali e giurisprudenziali consentono una prima risposta alla domanda dalla quale si era partiti, ossia la capacità del principio in esame di conformare il concetto di rischio. Da una prima sommaria analisi, infatti, risulta che il principio in parola sia in grado di conformare (ex post) il «rischio causale» del verificarsi di un evento dannoso, intervenendo nel processo di ricostruzione del canale di collegamento che lega giuridicamente l’evento lesivo alla condotta del soggetto agente, ma non anche il «rischio
decisionale», non avendo la capacità di incidere (ex ante) sul contenuto della
determinazione che conduce l’impresa a considerare se produrre e, in questo caso, secondo quali livelli di produzione e con quali cautele.
In questo senso, esso pare tradire l’esigenza che lo sorregge, quella di «prestare attenzione prima» che le conseguenze dannose di determinate azioni si verifichino, e il nucleo temporale che lo assiste, quello che volge lo sguardo alle generazioni future. In
86 M.G.S
TANZIONE, L’incidenza del principio di precauzione sulla responsabilità civile, cit., p. 29.
87 U.I
altre parole, lungo il percorso che conduce il principio dello sviluppo sostenibile a penetrare, mutando veste e forma, tra i vari livelli ordinamentali sino a intercettare i rapporti inter-privati, esso sembra perdere buona parte della sua carica rivoluzionaria, legata alla particolare proiezione temporale di cui si fa portatore, finendo per appiattirsi sui concetti e sulla temporalità della tradizione privatistica.
Una prospettiva diversa, tuttavia, parrebbe aprirsi nell’ambito della casistica giurisprudenziale sorta negli ultimi anni in relazione ai rischi e danni connessi al climate
change, cui pertanto occorre ora rivolgere l’analisi.
3. Il (nascente) modello di responsabilità fondato sul principio di precauzione. Il climate change litigation.
Nel corso dell’ultima decade, le questioni inerenti la tutela delle generazioni future hanno trovato spazio all’interno delle aule dei tribunali – di paesi europei e non – presso le quali sono state avanzate azioni legali in relazione ai cambiamenti climatici. Ciò, in particolare, grazie all’effetto domino provocato dalla storica decisione del caso Urgenda v.
The Kingdom of Netherlands88, in cui la District Court di Hague ha condannato il governo olandese a rafforzare – al fine di garantire maggiore tutela alle generazioni future – la politica di mitigazione dei cambiamenti climatici.
La scia provocata da tale storica sentenza ha alimentato, soprattutto in ambito europeo, la strategia del climate litigation, un fenomeno che ha trovato terreno particolarmente fertile negli Stati Uniti d’America a partire dal nuovo millennio. Alcune di tali azioni sono state intentate contro attori privati (per lo più grandi imprese multinazionali), considerate responsabili per aver direttamente contribuito ai rischi e effetti negativi connessi al cambiamento climatico; altri – in modo simile al caso Urgenda – sono state avanzate contro gli stati nazionali, la cui responsabilità sarebbe da ricollegarsi alla mancata adozione delle misure di mitigazione necessarie a contrastare il processo di cambiamento climatico. Secondo uno studio condotto dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente sullo status della casistica giurisprudenziale in tema di cambiamento climatico89, a marzo dello
88 Urgenda Foundation v. The Kingdom of the Netherlands (Ministry of Infrastructure and Environment)
[2015] Verdict, The Hague District Court C/09/456689/HA ZA 13-1396 (2015), documenti consultabile al seguente indirizzo web http://www.urgenda.nl/documents/VerdictDistrictCourt-UrgendavStaat- 24.06.2015.pdf.
89 M.B
URGER,J.GUNDLACH, A.KREILHUBER,L.OGNIBENE,A. KARIUKI,&A. GACHIE, The Status of
Climate Change Litigation: A Global Review (UNEP & Sabin Center for Climate Change Law at Columbia
scorso anno si registravano azioni legali in 24 paesi del mondo, con 654 casi incardinati negli Stati Uniti d’America e oltre 230 nei restanti paesi, la maggior parte dei quali presentati nel corso dell’ultima decade.
Per fare alcuni esempi, rimanendo all’interno dei confini europei, azioni legali contro i governi nazionali sono state intentate: in Norvegia (Greenpeace Nordic Association et al v
Norway Ministry of Petroleum and Energy [2016])90, in cui due organizzazioni ambientaliste non governative hanno chiesto ai giudici della Corte Distrettuale di Oslo di emettere una sentenza dichiarativa, volta ad accertare la violazione, da parte del Ministro del Petrolio e della Energia, della carta costituzionale norvegese – e in particolare dell’art. 112 che riconosce a ogni persona il diritto alla salubrità dell’ambiente, le cui risorse «should be managed on the basis of comprehensive long-term considerations whereby this
right will be safeguarded for future generations as well»– per aver rilasciato un blocco di
licenze per l'estrazione di petrolio e di gas in alto mare da siti del Mare di Barents; in Svezia (PUSH Sweden v Government of Sweden in Burger et al)91, in cui due associazioni giovanili svedesi (PUSH Sweden and Fältbiologerna), finanziariamente supportate attraverso un sistema di crowdfunding hanno contestato – come una violazione dell’obbligo di protezione che grava sul governo svedese di proteggere il diritto dei propri cittadini a un clima non dannoso – la vendita, conclusa da un’impresa di energia (Vattenfall), di cui il governo svedese detiene una partecipazione di controllo, attraverso cui sono stati cedute diverse centrali elettriche a carbone e il relativo patrimonio minerario alla filiale tedesca di una holding ceca; in Belgio (VZW Klimaatzaak v. Kingdom of
Belgium & Others), un’azione collettiva volta a forzare lo stato a rispettare gli impegni
assunti in materia di politica climatica; e ancora in Svizzera, (Swiss Senior Women for
Climate Protection v Swiss Federal Council et al, 2016)92 in cui una associazione fondata da anziane signore per la protezione del clima (Senior Women for Climate Protection
Switzerland - KlimaSeniorinnen Schweiz) ha agito per via legale contro il governo
https://wedocs.unep.org/bitstream/handle/20.500.11822/20767/climate-change- litigation.pdf?sequence=1&isAllowed=y, p. 10.
90 Greenpeace Nordic Association et al v. Norway Ministry of Petroleum and Energy [2016] Oslo District
Court, consultabile al seguente indirizzo web:
http://www.greenpeace.org/norway/Global/norway/Arktis/Dokumenter/2016/legal_writ_english_fi nal_20161018.pdf>
91 PUSH Sweden v. Government of Sweden, su cui si veda M.B
URGER,J.GUNDLACH,A.KREILHUBER,L. OGNIBENE,A.KARIUKI,&A.GACHIE, The Status of Climate Change Litigation, cit.
92 Swiss Senior Women for Climate Protection v. Swiss Federal Council et al, 25 October 2016, documento
in inglese consultabile al seguente indirizzo web: <http://klimaseniorinnen.ch/wp- content/uploads/2017/05/request_KlimaSeniorinnen.pdf>
svizzero, sostenendo che l’inadeguata politica climatica da esso pone a rischio la propria salute fisica. E ancora, da segnalare il caso tedesco (Lliuya v RWE AG, 2015)93 che ha visto un cittadino peruviano, Saúl Luciano Lliuya, che vive in Huaraz, Peru, agire contro la più grande impresa produttrice di energia della Germania (RWE), per ottenere il pagamento delle misure di contenimento necessarie a far fronte all’accresciuto rischio di inondazione che minaccia la sua proprietà, in conseguenza dell’innalzamento del livello del vicino lago, conseguente allo scioglimento del ghiacciaio da ricollegarsi alla emissioni di gas anche della impresa convenuta. Di quest’ultimo caso si tratterà nel paragrafo 5, mentre il caso Urgenda occuperà il paragrafo 4. Prima di procedere, tuttavia, occorre svolgere alcune preliminari considerazioni in ordine al complesso di conoscenze scientifiche, nonché alla legislazione internazionale e europea in tema di climate change, da cui tali azioni prendono le mosse.
3.1. Profili di convergenza. Il sapere scientifico e la normativa internazionale alla base del