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La dimensione personale del concepito In particolare, il danno da procreazione.

Sezione I. L’idea moderna di soggetto di diritto Una ricostruzione storica.

5.2. La dimensione personale del concepito In particolare, il danno da procreazione.

Le norme e gli istituti analizzati rappresentano certamente ipotesi eccezionali, situate nelle zone marginali del diritto e, pertanto, sono da interpretarsi in senso restrittivo545. Precisamente sulla base di tale argomento si è dapprima negata la possibilità di riconoscere al concepito una tutela di natura non patrimoniale. L’uno e l’altro argomento sono stati superati grazie a una lettura costituzionalmente orientata delle norme del codice civile, che ha consentito di ricostruire una sfera di diritti personali del nascituro, la cui tutela, tuttavia, trova un limite nel diritto all’autodeterminazione, nonché alla salute fisica e psichica della madre546.

Già si è detto della legge n. 40/2004, la quale non si limita alla formale attribuzione della soggettività al concepito ma ne predispone altresì un quadro di tutela, concernente, da un lato, lo status dei nati a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione547 e, dall’altro, il divieto di qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano548, così come delle tecniche di crioconservazione e di soppressione degli embrioni549.

La legge n. 40/2004 costituisce l’esito di un lungo percorso del legislatore speciale, ispirato ad una sempre crescente attenzione per il nascituro durante la fase prenatale: si inseriscono in questo quadro la legge 29 luglio 1975, n. 405, istitutiva dei consultori familiari, che si riferisce alla tutela della salute del “prodotto del concepimento”, estendendo al nascituro il fondamentale diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost., nonché la legge 22 maggio 1978, n. 194550, sull’interruzione volontaria della gravidanza, nella quale si afferma il principio della tutela della vita umana dal suo inizio. Secondo alcuna dottrina, il legislatore avrebbe inteso riconoscere diritti a favore del concepito non subordinati all’evento nascita, ma attinenti precisamente allo statuto del feto/embrione/nascituro durante la fase prenatale, così svuotando di contenuto la previsione di cui al secondo comma dell’articolo 1 c.c.551.

545 Così: Cass., Sez. III, 28 dicembre 1973, n. 3467: «[…] i casi in cui la legge attribuisce una limitata

capacità giuridica al nascituro hanno carattere di eccezionalità e sono quindi di stretta interpretazione […]»

546 Con la sentenza 18 febbraio 1975, n. 27 in tema di aborto terapeutico, la Corte Costituzionale ha

affermato che nel conflitto tra due distinti diritti, quelli del concepito alla vita e della madre alla salute, il conflitto deve risolversi in favore della prima, in quanto soggetto già esistente.

547 Artt. 8 e 9, Capo III – Disposizioni concernenti la tutela del nascituro 548 Art. 13, comma 1, Capo VI – Misure a tutela dell’embrione.

549 Art. 14, comma 1, Capo VI - Misure a tutela dell’embrione.

550 Legge che recepisce le indicazioni pervenute dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 27 del 1975. 551 F. G

IARDINA, Delle persone fisiche, in Commentario del codice civile diretto da E. GABRIELLI, vol. 1, Utet, Torino, 2012, p. 335 ss.

Disposizione che viene in rilievo, anche allorché si tratti di configurare in capo al nascituro una pretesa risarcitoria per il c.d. danno da procreazione, sulla cui ammissibilità si è innescato un dibattito giurisprudenziale ultradecennale che ha investito da vicino la questione della soggettività del nascituro. Si tratta più precisamente della possibilità di configurare in capo al concepito un autonomo diritto al risarcimento nei confronti del medico (e della struttura ospedaliera in cui esso opera) che, somministrando determinati farmaci alla madre ovvero mancando di informarla dell’esistenza di una malformazione o anche dell’affidabilità dei test idonei a rilevarli, abbia rispettivamente determinato o non impedito la nascita di un bambino malformato.

Il tema è spinoso. Esso racchiude al suo interno le molteplici tensioni che pervadono il discorso giuridico attorno al concepito, dalla sua natura (di soggetto di diritto o oggetto di tutela), al momento di acquisto della capacità giuridica, dal contemperamento con i diritti della madre (diritto all’aborto, diritto a nascere sano), sino a questioni più propriamente etiche (diritto a non nascere o a non nascere se non sano). Precisamente per tale motivo, la ricostruzione del dibattito giurisprudenziale può fornire utili strumenti concettuali per risolvere il quesito sopra proposto.

A tal fine, conviene dapprima ripercorrere sinteticamente la sequenza delle decisioni giurisprudenziali rese sul tema, isolando, per comodità, alcune statuizioni riguardanti la configurabilità o meno di un diritto a nascere sano in capo al nascituro e, parallelamente, di una sua autonoma soggettività.

Con la sentenza n. 14488 del 2004552, i giudici di legittimità negano la configurabilità in capo al nascituro di un diritto a non nascere se non sani553: da un punto di vista strutturale, esso sarebbe un diritto adespota, privo di un titolare sino alla nascita, considerato il combinato disposto di cui all’articolo 1 c.c., che pertanto potrebbe esser fatto valere solo in caso di sua violazione; sul piano sostanziale, in ogni caso, l’ordinamento tutela il concepito esclusivamente verso la nascita e non verso la non nascita e non è ammesso l’aborto eugenetico, potendo la madre richiedere l’interruzione della gravidanza solo qualora vi sia un pericolo grave per la salute psichica o fisica della stessa.

Pur tuttavia, lo stesso collegio riconosce in un obiter dictum l’esistenza nel nostro ordinamento di un diritto a nascere sani, in quanto «nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie (con comportamento omissivo o commissivo, colposo o doloso)». Pertanto, «una volta accertata l’esistenza di un rapporto di causalità tra un comportamento

552 Cass. 29 luglio 2004, n. 14488, in Giustizia civile, I, c. 2403. 553 Su cui si veda: Y.T

colposo anteriore alla nascita e il danno a un soggetto che, con la nascita, abbia acquistato la capacità giuridica, deve essere riconosciuto in capo a quest’ultimo il diritto al risarcimento del danno. Ne consegue che il soggetto, che con la nascita acquista la capacità giuridica, può agire per far valere la responsabilità» nei confronti del medico.

Sebbene investita del diverso profilo concernente la responsabilità dei sanitari che abbiano somministrato alla gestante farmaci da cui sia derivata la malformazione del feto, la successiva sentenza n. 10741 del 2009554 conferma la configurabilità di un diritto a nascere sano, quale espressione del diritto costituzionale alla salute, ma da tale assunto sviluppa un ulteriore principio. Richiamando la clausola di centralità della persona, di cui la succitata legge n. 40 del 2004 costituirebbe una peculiare espressione, nonché altre fonti sovra-ordinarie, quali la Dichiarazione dei diritti del fanciullo555, la Corte afferma significativamente che «non si può riconoscere all’individuo-concepito la titolarità di un interesse protetto [il diritto a nascere sano] senza attribuirgli soggettività». Pertanto, provato «il nesso di causalità tra il comportamento dei medici […] e le malformazioni dello stesso nascituro, [questi], con la nascita, acquista l’ulteriore diritto patrimoniale al risarcimento». Il nascituro, dunque, è soggetto di diritto, titolare, tra gli altri, di un diritto a nascere sano, cui corrisponde l’obbligo dei sanitari di risarcirlo; tuttavia, il diritto al risarcimento è condizionato, quanto alla titolarità, all’evento nascita ex art. 1, comma 2.

Nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla domanda di risarcimento proposta iure

proprio dal concepito, la cui nascita malformata sia dipesa dall’omessa informazione

dell’esistenza della malformazione nel feto, la Suprema Corte, con sentenza n. 16754 del 2012556, accoglie la richiesta risarcitoria, ma con un iter motivazionale rovesciato rispetto alla precedente decisione. Il nascituro non è titolare di finti diritti (a nascere sani) sulla base di una finta soggettività (quella, appunto, del nascituro): dall’analisi dell’intero plesso normativo, ordinario come costituzionale, emerge che sino al momento della nascita esiste

554 Cass. Sez. III, 11 maggio 2009, n. 10741, con note di F.G

ALGANO, Danno da procreazione e danno al

feto, ovvero quando la montagna partorisce un topolino, in Contratto e impresa, 2009, p. 537 ss.; M.FEOLA,

Le responsabilità del medico e della struttura sanitaria per il danno prenatale causato dall’inadempimento delle obbligazioni d’informazione (il «diritto a nascere sano»), in Diritto e giurisprudenza, 2010, p. 91 ss.; F.

DI CIOMMO, Giurisprudenza-normativa e “diritto a non nascere se non sano”. La Corte di cassazione in

vena di revirement?, in Danno e responsabilità, 2010, p. 144 ss.

555 Dichiarazione dei diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU del 20 novembre

1959, nel cui preambolo è previsto che «il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica e intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita».

556 Cass., sez. III, sentenza 2 ottobre 2012, n. 16754, in http://dejure.giuffre.it/ e in Guida al Diritto,

solamente «un diritto, quello della madre, e […] un interesse, quello del nascituro, oggetto di tutela da parte dell’ordinamento, alla procreazione cosciente e responsabile».

Oggetto di tutela, dunque, e non soggetto di diritto. Ciò è sufficiente a riconoscere il diritto al risarcimento del concepito – rectius, del nato: in caso di ingiusta lesione del diritto alla procreazione cosciente e responsabile (di cui è titolare la sola madre), si realizza «una propagazione intersoggettiva degli effetti diacronici dell’illecito» che legittima «un soggetto di diritto, quale il neonato, per il tramite del suo legale rappresentante, ad agire in giudizio per il risarcimento di un danno che si assume ingiusto». Sicché non solo l’acquisto del diritto al risarcimento è subordinato alla nascita, come già nella sentenza del 2009, ma anche la stessa lesione inferta al concepito si manifesta e diviene attuale al momento della nascita: «[c]hi nasce malato per via di un fatto lesivo ingiustamente occorsogli durante il concepimento non fa valere […] un diritto alla vita né un diritto a nascere sano né tantomeno un diritto a non nascere». Esso «[f]a valere la lesione della sua salute» che, sebbene originatasi al momento del concepimento, si manifesta nella vita (esistenza) handicappata una volta nato. Non avendo capacità giuridica, in altre parole, il feto non può subire una lesione: solo il nato, in quanto capace e titolare del diritto alla salute, può subire un danno.

E giungiamo così all’ultima sentenza, la n. 25767 emessa dalla Corte di Cassazione a sezioni unite il 22 dicembre 2015557, chiamata a dirimere il contrasto di opinioni sorto in seno alla Suprema Corte. Si termina da dove si era partiti. Ancora una volta, si affronta la tematica della sussistenza o meno, nel nostro ordinamento, del diritto a non nascere se non sani. I giudici, ripercorrendo le decisioni intervenute nell’ultimo decennio, ma anche le linee interpretative emerse negli altri ordinamenti, in particolare francese, tedesco e statunitense, confermano, da un lato, la non configurabilità di un diritto a nascere se non sani e accolgono, dall’altro, l’impostazione emersa nel precedente arresto, così ribadendo la natura di oggetto di tutela del concepito e la conseguente inesistenza di un diritto a nascere sano. Tuttavia, e diversamente da quest’ultimo, si rimarca la ferma necessità, perché la domanda risarcitoria del neonato sia accolta, di accertare l’esistenza di un legame

557 Cass. S. U., 22 dicembre 2015, n. 25767, con note di G.B

ACCHIN, Non esiste il diritto a non nascere –

Cass. 25767/2015, in Persona e Danno, 2016; P.BERNARDI, Esiste un diritto a non nascere se non sani?

Commento alla Sentenza Cassazione Civile, Sezioni Unite, 22 dicembre 2015 n. 25767, in Filodiritto 15

(2016); G. MARINAI, Danno da nascita indesiderata: dal Tribunale di Reggio Emilia una risposta da

rileggere dopo l’intervento delle Sezioni Unite di Natale 2015. Commento a Tribunale Reggio Emilia 7 ottobre 2015 e Cass. SU 22 dicembre 2015 n. 25767, in Questione Giustizia, 1, 2016; F.PIRAINO, «Nomina

sunt consequentia rerum» anche nella controversia sul danno al concepito per malformazioni genetiche. Il punto dopo le Sezioni unite 22 dicembre 2015 n. 25767, in Diritto Civile Contemporaneo, 3-1, 2016.

causale tra la condotta dei sanitari e il danno patito del nascituro, che – ammonisce significativamente la Corte – non può mai consistere «nella vita di un bambino disabile […] sul presupposto implicito che abbia minor valore di quella di un bambino sano». Ne consegue, così concludendo il ragionamento, «l’impossibilità di stabilire un nesso causale (tra la condotta colposa del medico) e le sofferenze psicofisiche cui il figlio è destinato nel corso della vita».

Un’ultima annotazione. Nel configurare il concepito quale mero oggetto di tutela, la sentenza del 2012 e quella del 2015 condividono l’assunto per cui «non è punto indispensabile elevare il nascituro a soggetto di diritto, dotato di capacità giuridica – contro il chiaro dettato dell’articolo 1 cod. civ. – per confermare l’astratta legittimazione del figlio disabile ad agire per il risarcimento di un danno le cui premesse fattuali siano collocabili in epoca anteriore alla sua stessa nascita»558. Infatti, continua la Suprema Corte, «al fondo di tale ricostruzione dogmatica vi è […] il convincimento tradizionale, da tempo sottoposto a revisione critica, che per proteggere una certa entità occorre necessariamente qualificarla come soggetto di diritto»559.

In questa sede, non ci si propone di prendere una posizione all’interno di tale dibattito, ma, più semplicemente, di evidenziare la concezione di soggettività che tale dibattito restituisce.

Prima però una annotazione sulla totale mancanza di effetti giuridici prospettata dalla Suprema Corte, quale conseguenza di una eventuale attribuzione di soggettività al concepito. Limitandosi alle questioni giuridiche oggetto delle decisioni appena richiamate, può notarsi come il nascituro, quale mero oggetto di tutela, non possa essere titolare di diritto alcuno, nemmeno a nascere sano: tale diritto, perpetuandosi nella fase prenatale sino alla nascita, richiederebbe una forma di soggettività del nascituro che non è possibile desumere dall’ordinamento. Il nascituro, pertanto, non gode di alcun diritto alla salute, diritto che per contro è ‘naturalmente’ riconosciuto al neonato e che può essere leso – ma solo dopo la nascita – anche da una condotta avvenuta prima di essa. Tuttavia, la vita handicappata non può essere un danno, in quanto è «improponibile un confronto tra vita con malattia e non vita». Parrebbe dunque che la qualificazione o meno di soggettività al

558 Cass. S. U., 22 dicembre 2015, n. 25767, cit.

559 Cass. S. U., 22 dicembre 2015, n. 25767, cit. Così anche la precedente sentenza n. 16754, nel quale si

afferma che: «[È] tanto necessario quanto sufficiente […] considerare il nascituro oggetto di tutela, se la qualità di soggetto di diritto (evidente astrazione rispetto all’essere vivente) è attribuzione normativa funzionale all’imputazione di situazioni giuridiche e non tecnica di tutela di entità protette».

concepito possa, limitatamente alle questioni affrontate dalla Suprema Corte, condurre a decisioni discordanti.

D’altra parte, il confine tra oggetto e soggetto è labile. In ogni caso, occorre evitare che l’uscita del concepito dall’orbita di questo si traduca nell’ingresso nel dominio di quello, ossia in quel «mondo delle cose»560, le cui «forme di tutela […] postulano una logica «proprietaria», o comunque di «appartenenza reale che non si addice ai valori costituzionali […]»561. In questo senso, la formula «oggetto di tutela» può apparire ambigua: non si tratta di una semplice associazione semantica, che scorre dall’oggetto di

tutela alla tutela di un oggetto, ma del rischio di cedere alla propensione, incoraggiata dalla

legge, a tradurre in cose tutto ciò che non è essere umano562. Il rischio di un siffatto procedere è di istituire tra persone fisiche e entità future, non ancora umane, una relazione soggetto-oggetto che inevitabilmente conduce alla domanda: «di chi è il corpo che

nasce?»563.

Dunque, chi o cosa impedisce al nascituro di essere titolare di un diritto a nascere sano e, insieme, soggetto giuridico? Nella riflessione della Suprema Corte nella sentenza del 2012 è possibile individuare una duplice risposta.

Una prima riposa sulla mancanza di capacità giuridica, la quale può essere acquistata solo con la nascita. D’altronde, – fa notare la Corte – «la soggettività giuridica trov[a] il suo normale svolgimento nella capacità giuridica»564, sicché «è impredicabile una (…) giuridica configurazione [del concepito] al fine di affermare il diritto del nato al risarcimento». Rilievo che suona come l’esatto rovescio di quello svolto dalla Cassazione

560 Il riferimento è alla ben nota suddivisione operata dalle Institutiones di Gaio tra res, personae e

actiones. Per approfondimenti sul punto si veda: P. ZATTI,Quale statuto per l’embrione?, in Rivista critica di diritto privato, 1990, p. 437 ss.; R.ANDORNO, La distinction juridique entre les personnes et les choses, Librairie générale de droit et de jurisprudence, Paris, 1996, p. 119 ss.; P. CATALANO, Diritto, soggetti,

oggetti: un contributo alla pulizia concettuale sulla base di D. 1,1,12 , in Iuris vincula. Studi in onore di M. Talamanca, vol. II, Jovene, Napoli, 2000; C.CASTRONOVO, Eclissi del diritto civile, Giuffrè, Milano, 2015, p. 93, secondo il quale «a prescindere dall’impossibile transustanziazione da oggetto a soggetto, da cosa a uomo, che l’idea di embrione come oggetto che miracolosamente prende le ali al momento della nascita diventando soggetto implica, un assunto simile si candida ad esempio ideale di pensiero cinico, nel quale l’accecamento conoscitivo impedisce di andare oltre l’esistenza: alla stessa maniera di chi non vede, dietro il corpo umano, la persona».

561 F.D.B

USNELLI, Di chi è il corpo che nasce?, in G.DELLA TORRE (a cura di), Studi in onore di Giovanni

Giacobbe, Tomo I: Teoria generale, Persone e Famiglia, Giuffrè, Milano, 2010, p. 334 ss..

562 Si vedano sul punto le acute riflessioni di: P.R

ESCIGNO, Disciplina dei beni e situazione della persona, in Quaderni Fiorentini, 1976-77, p. 879.

563 F.D.B

USNELLI, Di chi è il corpo che nasce?, cit., p. 340.

564 La Suprema Corte fa qui riferimento alla ricostruzione del soggetto di diritto come fattispecie di Angelo

nell’arresto precedente: «non si può riconoscere all’individuo-concepito la titolarità di un interesse protetto [il diritto a nascere sano] senza attribuirgli soggettività»565.

Vi è poi una seconda e, forse, più sofisticata risposta: «al momento stesso in cui l’ordinamento giuridico riconosce alla madre il diritto di abortire, sia pur nei limiti e nei casi previsti dalla legge, si palesa come incontestabile e irredimibile il sacrificio del “diritto” del feto a venire alla luce, in funzione della tutela non soltanto del diritto alla procreazione cosciente e responsabile (art. 1 della legge n. 194 del 1978), ma dello stesso diritto alla salute fisica o anche soltanto psichica della madre. Mentre non vi sarebbe alcuno spatium comparationis se, a confrontarsi, fossero davvero, in una comprovata dimensione di alterità soggettiva, un (superiore) diritto alla vita e un (“semplice”) diritto alla salute mentale»566. In altre parole, se il concepito fosse considerato soggetto di diritto, ossia essere vivente al pari dell’uomo e della donna che li hanno generati, si innescherebbe un cortocircuito logico dal momento che mai se ne potrebbe sacrificare il diritto alla vita con quello alla salute della madre. Il che può anche leggersi: non è possibile riconoscere un diritto a vivere, a chi una vita ancora non l’ha. Si torna a operare sul piano dell’esistenza.

La stessa prospettiva che, a ben vedere, ha guidato la Corte di Cassazione nella stesura della sentenza del 2009, prestando il fianco alle critiche di cui si è appena detto. Il riferimento alla clausola generale della centralità della persona, che troverebbe ulteriore espressione in quel tanto dibattuto articolo 1 della legge n. 40/2004567, quale base su cui fondare la qualità di soggetto giuridico del nascituro, mette a nudo il nodo della problematica: nell’una come nell’altra sentenza, la condizione del nascituro è misurata su quella dell’essere già vivente, ponendo la questione del se la capacità giuridica dovrebbe essere dilatata per far spazio alla vita prenatale. Alla risposta positiva della prima sentenza, fa seguito quella negativa della seconda, in quanto la configurazione del nascituro come soggetto giuridico è percepita ora come l’imposizione di un limite all’assolutezza dei diritti fondamentali della madre, ora come la negazione stessa di tale assolutezza.

In altre parole, la qualificazione giuridica del nascituro come soggetto di diritto viene concepita come attribuzione della capacità giuridica spettante all’uomo, con tutto ciò che il riconoscimento di tale statuto comporta.

565 Cass., Sez. III, 11 maggio 2009, n. 1074, cit.

566 Cass., Sez. III, sentenza 2 ottobre 2012, n. 16754, cit. 567 Su tale impostazione si veda: C.C

ASINI, La legge sulla fecondazione artificiale. Un primo passo nella

Diversamente, si potrebbe sostenere che al concepito possa essere riconosciuto la titolarità di un diritto autonomo, che prescinde l’acquisto della capacità giuridica568 e che si sviluppa fuori delle coordinate temporali dell’esistenza umana.

In questo orizzonte di senso, la capacità giuridica misurerebbe la temporalità del soggetto di diritto solo con riferimento all’essere umano: nascita e morte ne rappresentano i confini, tanto della vita biologica che di quella giuridica. Ma l’uomo non esaurisce il novero dei soggetti di diritto, né vi è limite positivo (costituzionale) alla estensione di tale concetto ad altre entità, anche non umane. Il riconoscimento di diritti e obblighi a enti privi di personalità giuridica ne costituisce un buon esempio569. Esso dunque delineerebbe una sfera di soggettività, che non coincide con la persona, che non presuppone la capacità giuridica, nei termini e tempi espressi dall’art. 1 c.c.

D’altra parte, allorché si è proposto di fare uso della categoria della soggettività nel codice civile, si è inteso adoperarla in modo non esclusivo. Affermava l’articolo 1 del