Sebbene strettamente ancorati alla disciplina legale locale, e quindi differenti a seconda del paese in cui sono stati instaurati, le azioni promosse all’interno dei confini europei presentano alcuni profili di identità, per quanto concerne tanto la base scientifica quanto la base normativa sovranazionale su cui essi poggiano. Conviene dunque muovere brevemente da tali profili, i quali, peraltro, sono tra loro strettamente correlati, dal momento che il primo si pone a fondamento del secondo.
Per quanto attiene alla base scientifica, tutti i casi in materia di climate change si basano sulle analisi e sui risultati elaborati dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento
climatico (IPCC), istituito nel 1988 dalla Organizzazione Meteorologica Internazionale e
dal Programme delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). L’IPCC è costituito da un gruppo di esperti, ai quali è demandato il compito di monitorare a livello internazionale lo stato della scienza relativa al cambiamento climatico, il suo impatto e i rischi ad esso connessi, nonché di fornire raccomandazioni in merito all’elaborazione di strategie di intervento pubblico. Il suo metodo e le sue procedure hanno natura ibrida, in quanto
93 Lliuya v RWE AG [2015] Az 2 O 285/15 (2015), su cui si veda M. B
URGER, J. GUNDLACH, A. KREILHUBER,L.OGNIBENE,A.KARIUKI,A.GACHIE, The Status of Climate Change Litigation, cit. Si veda inoltre: M.-C.GRUBER, Escaping the Epistemic Trap. An Ecological Analysis of Law and Economics, in K. MATHIS, B.R. HUBER (eds.), Environmental Law and Economics, Springer, Dordrecht/Heidelberg/London/New York, 2017, p. 107 ss.
costituiscono la risultante dell’intreccio tra letteratura scientifica specializzata e negoziazioni intergovernative94. Conseguentemente, i lavori del panel sono volti a offrire al circuito politico, economico e giuridico un vasto consenso scientifico sulle cause e gli effetti del cambiamento climatico, che consenta di superare le difficoltà imposte dalla mancanza di assoluta certezza scientifica e di garantire un apparato di conoscenze condivise e fruibili ai decisori pubblici. Da quando è stato istituito, l’IPCC, suddiviso in diversi gruppi di lavoro95, ha prodotto cinque Assessment Reports, nel cui ultimo96 si afferma, con il 95% di confidenza, che il cambiamento climatico è in atto e che le sue cause sono da attribuirsi principalmente all’aumento di concentrazione di gas serra prodotti dalla mano dell’uomo, a partire dalla grande trasformazione iniziata intorno 1750: «It is
extremely likely that more than half of the observed increase in global average surface temperature from 1951 to 2010 was caused by the anthropogenic increase in GHG concentrations and other anthropogenic forcings together»; «The atmospheric concentrations of carbon dioxide, methane, and nitrous oxide have increased to levels unprecedented in at least the last 800,000 years. Carbon dioxide concentrations have increased by 40% since pre-industrial times, primarily from fossil fuel emissions and secondarily from net land use change emissions»97.
In estrema sintesi, la concentrazione di particelle di tali gas influisce sulla quantità di energia totale presente nell’atmosfera, determinata dalla differenza tra l’energia che la terra assorbe per effetto delle radiazioni solari e quella che essa espelle nello spazio (radiative
forcings). In stato di equilibrio, i due valori, in entrata e in uscita, si bilanciano, sebbene
l’energia in uscita sia irradiata a una temperatura più bassa. Grazie alla loro capacità di assorbimento delle radiazioni, la presenza di particelle dei greenhouse gas nell’atmosfera, molti dei quali si trovano in natura, riduce l’efficienza con cui il sistema atmosfera-terra restituisce nello spazio l’energia ricevuta dal sole, mantenendo la temperatura delle terra di
94 L.B
ERNSTEIN et al., Climate Science and Policy: Making the Connection, Cambridge: European Science and Environment Forum, 2002, p. 16.
95 Gli esperti che compongono il panel sono divisi in tre gruppi di lavoro – Working Group I: the Physical
Science Basis; Working Group II: Impacts, Adaptation and Vulnerability; Working Group III: Mitigation of Climate Change – e la Task Force on National Greenhouse Gas Inventories (TFI). L’IPCC si compone
anche di un Task Group on Data and Scenario Support for Impact and Climate Analysis (TGICA) che ha il compito di facilitare la distribuzione e applicazione dei dati e scenari relative al climate change.
96 Il primo Working Group ha pubblicato il proprio report, nel settembre 2013: Intergovernmental Panel on
Climate Change (IPCC), Climate Change 2013: The Physical Science Basis 4, 15 (2013), consultabile al seguente indirizzo web: http://www.climatechange2013.org/images/report/WG1AR5_SPM_FI- NAL.pdf. Nel 2014 sono stati pubblicati i reports prodotti dalWorking Group II e III, rispettivamente Climate Change
2014: Impacts, Adaptation, and Vulnerability and Climate Change 2014: Mitigation of Climate Change. Tali
documenti compongono l’IPCC’s Fifth Assessment Report (AR5).
circa 30°C più alta di quanto non sarebbe altrimenti98. Tuttavia, negli ultimi duecento anni, le attività umane, e principalmente la combustione di combustibili fossili, la deforestazione e l'allevamento di bestiame, hanno determinato un notevole innalzamento delle concentrazioni di tali gas e, dunque, della quantità di energia in uscita assorbita dall’atmosfera, così alterando l’equilibrio stabilito dall’effetto naturale del greenhouse gas
99 (c.d. effetto serra).
La correlazione tra l’aumento delle concentrazioni di gas a effetto serra e quello della temperatura della superficie terrestre era già stata messa in evidenza da alcuni studi scientifici condotti a partire dall’inizio del secolo scorso, ma è solo nel 1990 con il primo Report Assessment dell’IPCC che le Nazioni Unite, e la gran parte degli stati membri, hanno preso atto della minaccia che le cause antropogeniche del cambiamento climatico ponevano per la comunità internazionale100. In particolare, il quarto report del 2007 (Fourth Assessment Report – AR4/2007) ha stabilito che un aumento della temperatura globale di 1- 2°C rispetto ai livelli del 1990 (1.5-2.5° C oltre i livelli pre-industriale del 1850) crea il rischio di cambiamenti climatici pericolosi e irreversibili101. Tali minacce sono oggetto di dettagliata analisi all’interno dei reports: la scomparsa di ecosistemi naturali non-rinnovabili, quali la foresta pluviale tropicale e la riduzione di biodiversità, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento dei livelli del mare nonché la loro progressiva acidificazione sono alcuni dei mutamenti che conseguono al cambiamento climatico, mettendo in dubbio la capacità del pianeta di fornire le risorse e i servizi necessari per sostenere la civiltà umana nel lungo periodo.
Ed infatti, secondo quanto riportato dagli studi condotti dall’IPCC, le conseguenze prodotte della collisione tra Uomo e Terra colpiranno prevalentemente le generazioni future. Le particelle di gas responsabili dell’assorbimento dell’energia in uscita dal sistema
98 E.D
I GIULIO, Le esternalità ambientali, in Enciclopedia degli idrocarburi, Treccani, Vol. IV (Economia, politica, diritto degli idrocarburi), Roma, 2009, p. 225 ss., consultabile al seguente indirizzo web:
http://www.treccani.it/export/sites/default/Portale/sito/altre_aree/Tecnologia_e_Scienze_applicate/encicloped ia/italiano_vol_4/225-238_x3.3x_ita.pdf ..
99 IPCC, Sintesi decisori politici ENG, p. 13. 100 E. A. P
AGE, Climate Change, Justice and Future Generations, Edward Elgar, Cheltenham, UK, Northampton, MA, USA, 2006, p. 24.
101 Synthesis Report, Fourth Assessment Report, 2007, pp. 64-65, consultabile al seguente indirizzo web:
http://www.ipcc.ch/pdf/assessment-report/ar4/syr/ar4_syr.pdf; Synthesis Report, Fifht Assessment Report, 2014, p. 56, consulatabile al seguente indirizzo web: http://www.ipcc.ch/pdf/assessment-
report/ar5/syr/AR5_SYR_FINAL_All_Topics.pdf. In particolare, l’IPCC afferma che: «Continued emission
of greenhouse gases will cause further warming and long-lasting changes in all components of the climate system, increasing the likelihood of severe, pervasive and irreversible impacts for people and ecosystems. Limit- ing climate change would require substantial and sustained reductions in greenhouse gas emissions which, together with adaptation, can limit climate change risks».
terra-atmosfera, infatti, rimangono nell’aria per decine, se non centinaia di anni. La durata media delle molecole di CO2 è di circa 20-200 anni, con alcune molecole che rimangono
nell’aria per millenni. E lo stesso vale per altri agenti inquinanti, quali il tetrafluorometano, clorofluorocarbone, ecc.102
Il ritardo con cui si realizzano i processi atmosferici103 determina una scissione temporale tra il momento dell’emissione nell’aria di tali gas e gli effetti negativi, soprattutto quelli indiretti104, sull’ecosistema e sulla popolazione umana. Ciò dipende in particolar modo dal grado di resilienza che presentano i vari sistemi ecologici. Alcuni organismi longevi, come gli alberi, sono in grado di sopravvivere per decenni sotto un mutato regime climatico; tuttavia, nel lungo termine, essi perderanno la propria capacità rigenerativa. Il cambiamento climatico, compresi i cambiamenti nella frequenza degli eventi estremi, possono portare alla distruzione degli ecosistemi come conseguenza della differenza nelle risposte temporali delle varie specie105. Vi sono, dunque, alcuni effetti del
climate change che sono destinati a saltare la generazione presente, per manifestarsi solo
sulle persone di là da venire106. Per fare alcuni esempi, si pensi all’innalzamento del livello del mare come conseguenza dell’espansione termica degli oceani o ai cambiamenti nella composizione degli strati di ghiaccio che contribuiranno anch’essi all’innalzamento dei mari e di altri bacini idrici, nonché all’aumento della temperatura per migliaia di anni107. Ma i riflessi intergenerazionali del cambiamento climatico e del declino ecologico sono destinati a manifestarsi anche in campo economico e sociale, limitando le capacità di sviluppo e imponendo costi destinati a ridurre le forme di garanzia sociale108. Gli stessi costi connessi alle misure di mitigazione, se addossati sulle generazioni future, potranno incidere sulle opportunità e capacità di queste ultime di realizzare nel tempo l’impianto
102 M.S
PITZER,B.BURTSCHER, Liability for Climate Change: Cases, Challenges and Concepts, in Journal
of European Tort Law, 2, 2017, p. 139.
103 A.J.M
CMICHAEL et al., Human population health, in R.T.WATSON,R.C.ZINYOWERA,R.H.MOSS,D. J. DOKKEN (eds.), Climate Change 1995: Impacts, Adaptations, and Mitigation of Climate Change, Cambridge University Press, Cambridge, 1996, p. 561 ss.
104 IPCC, 2001, Summary for policymakers, p. 17. 105 Ibidem.
106 E.A.P
AGE, Climate Change, cit., p. 36.
107 Synthesis Report, Fifht Assessment Report, cit., p. 63: «Warming caused by CO2 emissions is effectively
irreversible over multi-century timescales unless measures are taken to remove CO2 from the atmosphere».
108 Sinthesis Report, Fourth Assessment Report, cit., p. 64: «Continued high emissions would lead to mostly
negative impacts for biodiversity, ecosystem services and economic development and amplify risks for livelihoods and for food and human security».
istituzionale promosso dal principio dello sviluppo sostenibile, nonché limitare la possibilità di adottare le misure necessarie a far fronte a tali cambiamenti109.
Pur avvertendo che alcuni di tali cambiamenti potrebbe già trovarsi in uno stadio di non reversibilità, l’IPCC evidenzia come la risposta al climate change richieda una “iterativa” gestione del rischio, che include due principali strategie di intervento: le misure di mitigazione e quelle di adattamento110. Le prime mirano a diminuire l’impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi ecologici, aumentando la capacità di questi ultimi di assorbire le emissioni di gas e/o riducendo le fonti delle greenhouse gas emissions. In ogni caso, tali misure, anche qualora perseguite in modo significativo/aggressivo, dovranno essere affiancate da quelle di adattamento, le quali sono dirette a intervenire sui comportamenti e abitudine umane, per renderli maggiormente conformi al mutando regime climatico. Vi rientrano misure di carattere istituzionale, sociale, tecnologico, comportamentale, quali, per fare qualche esempio, il rafforzamento delle infrastrutture volte a contenere le alluvioni, il miglioramento di quelle destinati al deposito d’acqua o ancora la rimozione degli insediamenti umani lungo le aree direttamente interessate da rischi di alluvioni. L’IPCC rileva inoltre che nella elaborazione delle strategie di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico occorre adottare una prospettiva di lungo termine, nel contesto dello sviluppo sostenibile: le scelte compiute oggi, infatti, influenzeranno le opzioni delle generazioni future, nonché la capacità di ridurre le emissioni, limitare il cambiamento della temperatura e adattarsi al nuovo regime climatico111.
La crescente consapevolezza scientifica circa gli effetti esterni di lungo periodo provocati dall’azione tecnica dell’uomo, e la griglia di connessioni che lega i primi alla seconda, ha costituito il piedistallo su cui sono state erette le politiche di mitigazione a livello internazionale e che hanno preso forma attraverso una serie di trattati e convenzioni internazionali. Il più importante di tali documenti è la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC)112, adottata durante la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 ed entrata in vigore il 21 marzo 1994. Tale trattato internazionale è stato concluso al fine di istituire un
109 Sinthesis Report, Fourth Assessment Report, cit., p. 65. Taking a longer-term perspective, in the con-
text of sustainable development, increases the likeli- hood that more immediate adaptatio
110 Sinthesis Report, Fourth Assessment Report, cit., p. 64. 111 Synthesis Report, Fifht Assessment Report, cit., p. 79.
112 United Nations Framework Convention on Climate Change, FCCC/INFORMAL/84 GE.05-62220 (E)
framework di cooperazione a livello internazionale per combattere il cambiamento
climatico, riducendo la concentrazione di greenhouse gas nell’atmosfera entro un livello capace di prevenire i rischi connessi alle interferenze antropogeniche nel sistema climatico della terra. Tale livello, secondo quanto stabilito dall’articolo 2 della UNFCCC, deve essere raggiunto entro un periodo di tempo sufficiente per permettere agli ecosistemi di adattarsi naturalmente al cambiamento climatico, per assicurare che la produzione di cibo non sia messa a rischio e per consentire che lo sviluppo economico proceda secondo i dettami della sostenibilità. A tal fine, la Convenzione – che nel suo preambolo annuncia lo scopo di proteggere il sistema climatico a beneficio delle generazioni – presente e future – generazioni «del genere umano» – richiede a tutti gli stati membri di adottare misure di mitigazione e adattamento a livello nazionale. La convenzione ha portato alla formulazione di numerosi protocolli, il più famoso dei quali è il Protocollo di Kyoto, con il quale sono stati imposti ai paesi membri sviluppati obiettivi di riduzione, attraverso l’introduzione del sistema del mercato delle emissioni. A oggi, la Convenzione conta 197 Parti e il Protocollo di Kyoto 192. Sempre nell’ambito della Convenzione Quadro sul Clima, è stato istituito un organo – la Conferenza delle Parti (COP) – con il compito di monitorare l’applicazione della Convenzione e il raggiungimento degli obiettivi in essa stabiliti, attraverso la predisposizione di reports. Nell’ambito di tali conferenze, la COP può altresì emettere decisioni, basate sul consenso. Nel contesto dell’ultima di tali Conferenze, tenutasi a Parigi nel 2015, gli stati hanno fissato l’obiettivo di rafforzare «the global response to the
threat of climate change by keeping a global temperature rise this century well below 2 degrees Celsius above pre-industrial levels and to pursue efforts to limit the temperature increase even further to 1.5 degrees Celsius»113.
Anche la disciplina in tema di cambiamento climatico è innervata dal principio di sostenibilità, il cui linguaggio e i cui principi corollari – quali quello di precauzione114 e di equità115 – ricorrono non solo nella Convenzione clima, ma anche nei protocolli e documenti che trovano in essa origine.
Gli stessi principi informano altresì la politica climatica dell’Unione Europea, che poggia sugli artt. 191-192-193 del TFUE, dei quali si è detto più su. Per quanto concerne
113 Si veda per approfondimenti: S. N
ESPOR, La lunga marcia per un accordo globale sul clima: dal
protocollo di Kyoto all’accordo di Parigi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1, 2016, p. 81 ss.; M.
MONTINI, L’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, in Rivista giuridica dell’ambiente, 4, 2015, p. 517 ss.; M.-C.GRUBER, Escaping the Epistemic Trap, cit..
114 I
D. Art. 3.3.
115 I
specificamente la disciplina delle emissioni, l’Unione Europea, seguendo in parte il Protocollo di Kyoto e sulla base dei rapporti dell’IPCC, ha stabilito i propri obiettivi e priorità attraverso l’istituzione del Sesto programma di azione per l’ambiente116, il quale fissa l’obiettivo a lungo termine di limitare l'aumento globale massimo della temperatura entro i 2° C rispetto ai livelli del periodo preindustriale e di mantenere la concentrazione di CO2 al di sotto di 550 ppm117. Al fine di raggiungere tale obiettivo, l’UE ha emanato una serie di direttive, tra le quali particolare importanza riveste la direttiva che introduce il sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (Emission Trading System - ETS UE)118. Tale sistema, che rappresenta uno dei pilastri della regolamentazione dell’UE in tema di cambiamento climatico, ha istituito il primo (e a oggi più esteso) mercato mondiale per le emissioni di CO2, al fine di limitare – in modo conveniente ed economicamente
efficiente119 – le emissioni prodotte dagli impianti ad alto consumo energetico, che interessano il 45% delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE. Il sistema a diritti trasferibili di inquinamento messo a punto dall’UE si inscrive all’interno dei modelli di tutela dell’ambiente a base di mercato120 e prevede l’allocazione di tali diritti ai soggetti che saranno disposti a pagare di più per ottenerli, attraverso la fissazione preventiva degli obiettivi da raggiungere. La direttiva, infatti, fissa un tetto massimo alla quantità totale di alcuni gas serra (anidride carbonica - CO2, ossido di azoto – N20, perfluorocarburi –PFC)
che gli impianti soggetti alla disciplina possono emettere. Al di sotto di tale soglia, destinata a essere aggiornata al ribasso nel tempo, le imprese ricevono o acquistano quote di emissione. La limitazione del numero totale di emissioni consente di attribuire loro un valore e di essere scambiate sul mercato. Alla fine di ogni anno, le imprese devono restituire un numero di quote sufficiente a coprire le loro emissioni, altrimenti saranno soggette a pesanti sanzioni. Qualora l’impresa avanzi delle quote, queste possono essere cedute sul mercato ovvero trattenute al fine di usufruirne negli anni successivi. Tale sistema dovrebbe dunque favorire una maggiore flessibilità nel processo di diminuzione
116Decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002 che istituisce il
sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, GUCE, L 242/1, 2002.
117 Art. 2, Comma 2, Sesto programma di azione per l’ambiente, cit.
118 Si veda la Direttiva 2009/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 che
modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra, GUUE, L 140/63, 2009.
119 Art. 1 Direttiva 2009/29/CE, cit. 120 Cfr. sul punto U.M
ATTEI, I modelli nella tutela dell’ambiente, in Rivista di diritto civile, II, 1985, p. 389 ss.
delle emissioni e consentire di ridurre i costi nonché di favorire gli investimenti in tecnologie pulite.
Quanto ai settori non inclusi nel sistema di ETS – in particolare edilizia, agricoltura, rifiuti, trasporti (ad eccezione dell’aviazione), che contano il 55% delle emissioni totali – i paesi membri dell’UE sono sottoposti a obiettivi vincolanti annuali, previsti dalla "decisione sulla ripartizione degli sforzi"121.
In questo quadro ancipite, l’obiettivo generale promosso dal Sesto Programma per l’Ambiente e volto a contenere l’aumento della temperatura entro i 2°C rispetto ai livelli preindustriale è perseguito dall’UE attraverso lo spacchettamento degli obiettivi di riduzione per singole decadi.
Con il Pacchetto clima-energia approvato nel 2008, l’UE aveva fissato l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai livelli del 1990, oltre a portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili entro il 2020. Nel 2014, sulla base dei nuovi risultati prodotti dall’IPCC, i leaders dei paesi membri dell’UE hanno elaborato un piano per il 2030 (2030 Climate & Energy
Framework), il quale prevede in particolare la riduzione dell’emissione del 40% rispetto ai
livelli preindustriali e che richiederà la revisione della regolamentazione a oggi in atto. Ciò al fine di raggiungere l’obiettivo di lungo termine già indicato nel 2011 dalla Commissione Europea nel Roadmap for moving to a competitive low-carbon economy in 2050122, nel quale si stabilisce che il contenimento dell’aumento della temperatura entro i 2°C necessita la riduzione delle emissioni all’interno dei singoli stati di almeno l’80% entro il 2050123, con un ulteriore obiettivo intermedio del 60% entro il 2040.
Le disposizioni giuridiche sin qui richiamati costituiscono la base normativa sovranazionale di tutti i casi citati, i quali poggiano altresì sulle disposizioni normative relative alla politica ambientale dell’Unione Europea, con particolare riguardo ai principi di sostenibilità, solidarietà intergenerazionale e al principio di precauzione, nonché, in
121 Regolamento (UE) 2018/842 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 relativo alle
riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra a carico degli Stati membri nel periodo 2021-2030 come contributo all’azione per il clima per onorare gli impegni assunti a norma dell’accordo di Parigi e recante modifica del regolamento (UE) n. 525/2013, GUUE, L 156/26, 2018.
122 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e