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Contrariamente al caso Urgenda, il secondo caso analizzato si inserisce in quel filone di azioni legali che si rivolgono direttamente contro le imprese responsabili del rilascio di emissioni di gas a effetto serra nell’atmosfera. L’azione prende le mosse dall’iniziativa di un contadino e guida di montagna, Saúl Luciano Lliuya, co-proprietario di una residenza situata nella città di Huaraz, nella zona delle Ande peruviane. Tale città, situata a un’altitudine di 3000 metri, sorge ai piedi del lago glaciale Palcacocha, a sua volta sottostante il ghiacciaio Palcaraju. Già in passato la città di Huaraz aveva subito pesanti inondazioni, per effetto dell’aumento di volume del lago glaciale causato da eventi naturali, quali principalmente terremoti (vedere traduzione in inglese). Da quel momento sono state adottate misure preventive artificiali, quali drenaggi e dighe, volte a contenere il volume di acqua del lago in modo permanente. Tuttavia, nel corso dell’ultimo decennio, il livello dell’acqua è risalito vertiginosamente, ponendo nuovamente a rischio la città e i suoi abitanti. Ritenendo tale fenomeno diretta conseguenza del cambiamento climatico e vedendo la propria proprietà minacciata dall’inondazione, nel novembre 2014 il cittadino di Huaraz Saúl Luciano Lliuya ha intentato un’azione legale contro la compagnia elettrica tedesca RWE presso il tribunale distrettuale di Essen, la Corte tedesca della regione dove ha sede legale la società convenuta. Secondo l’attore, all’aumento del volume d’acqua del lago, registratosi nonostante l’adozione delle misure di prevenzione già adottate, avrebbero contribuito le emissioni di gas a effetto serra prodotte dalla compagnia tedesca che, contribuendo al riscaldamento globale, hanno determinato il progressivo scioglimento del ghiacciaio, così mettendo a rischio la sua proprietà nonché la sua stessa famiglia. Più precisamente, l’attore ritiene che il convenuto abbia contribuito all’aumento del volume del lago nella misura dello 0.47%, proporzionalmente alla sua quota nelle emissioni globali di gas a effetto serra. Per questi motivi, l’attore ha proposto un’azione volta ad accertare la

responsabilità del convenuto, in proporzione alla quota di gas da esso emesso al fine di coprire le spese necessarie ad adottare misure protettive adeguate ad evitare il danno. La richiesta è fondata sulla disposizione in tema di turbative contro la proprietà di cui al paragrafo 1004 del BGB. Tale norma stabilisce che:

“If property is interfered with by means other than removal or retention of possession,

the owner may require the disturber to remove the interference. If further interferences are to be feared, the owner may seek a prohibitory injunction.

The claim is excluded if the owner is obliged to tolerate the interference”.

La corte di primo grado ha rigettato l’istanza, ritenendo non sussistente il nesso di causalità tra la condotta del convenuto e il rischio di danno per l’attore. Il problema della causalità ruota attorno a due questioni: la complessità della catena causale e la moltitudine di co-responsabili di tale cambiamento. Sotto il primo profilo, la Corte regionale di Essen ha evidenziato che la complessità del climate change e delle sue conseguenze non consente di tracciare con precisione il nesso di causalità, secondo i criteri della più probabile che non o condicio sine qua non, tra le emissioni di CO2 prodotte dagli impianti della

compagnia elettrica RWE e il rischio per la proprietà dell’attore. Anche senza le emissioni della convenuta, infatti, persisterebbe il rischio di inondazione come conseguenza del cambiamento climatico. Quanto al secondo profilo, la Corte di primo grado evidenzia che in ogni caso il contributo causale del convenuto al cambiamento climatico non consente di superare il “test di adeguatezza” a causa degli innumerevoli altri soggetti che contribuiscono al climate change.

Tali argomenti sono stati rigettati dai giudici di seconda istanza, la Corte d’Appello regionale di Hamm, i quali hanno rilevato che sebbene la compagnia elettrica RWE non sia responsabile per l’intero rischio di inondazione, è sufficiente che le emissioni da essa rilasciate siano parzialmente responsabili per il rischio presente e attuale.

Pertanto, la Corte, nel novembre 2017, ha ordinato la raccolta dei dati necessari a provare che in conseguenza dell’espansione del volume del lago Palcacocha, vi è un serio pericolo per la proprietà dell’attore situata sotto il lago medesimo. In particolare, le risultanze probatorie dovranno essere tali da dimostrare: (a) che le emissioni rilasciate dagli impianti del convenuto salgono nell’atmosfera e, in base a leggi fisiche, aumentano la densità dei gas a effetto serra nell’intera atmosfera terrestre; (b) che la compressione delle molecole di greenhouse gas determinano una riduzione della radiazione di calore globale e un aumento della temperatura globale; (c) che l’aumento – anche a livello locale – della temperatura contribuisce ad accelerare il processo di scioglimento del ghiacciaio Palcaraju

e che, la perdita di dimensione del ghiacciaio determina un aumento del volume del lago Palcacocha a un livello tale che non può essere arginato dalle morene naturali; (d) che il contributo causale del convenuto alla catena causale di cui ai precedenti punti (a) e (c) possono essere misurati e calcolati.

6. Prime riflessioni conclusive.

L’analisi della casistica giurisprudenziale in tema di climate change sollecita alcune prime osservazioni rispetto al tema che ci occupa.

Un primo dato attiene alle modalità attraverso cui i giudizi riguardanti i danni o rischi provocati dal cambiamento climatico sono incardinati, tanto in relazione ai soggetti che si sono fatti promotori di tali iniziative, quanto allo strumentario giuridico utilizzato. Partendo da quest’ultimo profilo, occorre segnalare come la scelta di adire le corti civile mostra come i dispositivi del diritto privato offrano uno strumentario utile per mettere in moto quel processo di solidarietà intergenerazionale posto a fondamento del quadro istituzionale elaborato a partire dagli anni Settanta, ogni qual volta il pubblico non sia in grado di rispettarne i fondamenti. Ciò, in particolar modo, perché consente di fuoriuscire dai confini della legislazione posta in essere dagli stati (è il caso dei giudizi incardinati sul diritto amministrativo) e perseguire la tutela di interessi non ancora formalizzati, quali quelli inerenti alle generazioni future. Le aule di tribunale divengono così veri e propri fori

di protesta, in cui le generazioni future canalizzano e comunicano la propria sofferenza

mediante le iniziative poste in essere da associazioni e collettività, variamente formalizzate, la cui attività è volta alla protezione dell’ambiente in una prospettiva di lungo periodo. Già si è detto della Fondazione Urgenda, tesa a guidare un processo di transizione verso una società sostenibile, in grado di proteggere tanto la generazione presente che quelle future, così dando attuazione al principio di solidarietà. Ma quest’ultimo si pone alla base di numerose altre iniziative, volte a garantire protezione anche alle generazioni a venire, come testimoniato dal meccanismo di crowdfunding attraverso cui molte di tali iniziative sono state finanziate e rese possibili (si vedano, ad esempio, i casi instaurati in Belgio e in Svezia).

Un secondo dato riguarda l’utilizzo che la giurisprudenza in esame ha fatto dei principi in ambito ambientale, al fine di superare le criticità che l’utilizzo dello strumentario civilistico incontra allorché messo di fronte alle peculiari modalità con cui si manifesta e realizza il rischio connesso al cambiamento climatico.

Sotto questo profilo, una prima osservazione attiene all’utilizzo del principio di precauzione per affrontare i problemi di causalità connessi alla numerosità dei danneggianti. Si è già osservato, infatti, che gli effetti del cambiamento climatico, quando attribuibili alla mano dell’uomo, costituiscono la risultante di una pluralità di azioni (o omissioni) non sempre facilmente identificabili e distinguibili. Le emissioni di greenhouse

gas, infatti, viaggiano nell’aria, attraversano i confini nazionali e acquistano la loro forza

distruttiva quanto si combinano con particelle provenienti da altre parti del globo. Da un punto di vista giuridico, ciò rende assai difficoltosa l’attribuzione di una responsabilità individuale: il contributo causale di un soggetto, preso individualmente, non è mai sufficiente a produrre gli effetti dannosi o la creazione del rischio cui si intende rimediare o eliminare attraverso l’azione legale. Sicché in tal caso potrebbero trovare applicazione solo regole e sanzioni pubblicistiche.

Infatti, molte delle cause in tema di climate change non hanno avuto buon esito proprio sotto tale profilo. Le corti hanno accolto gli argomenti delle parti convenute secondo cui il problema del climate change è un problema globale, per cui il singolo evento dannoso o rischioso non dipende solo dagli sforzi delle parti chiamate in giudizio. Non a caso, lo si è detto, lo Stato olandese ha tentato di difendersi, argomentando che le emissioni da esso provenienti sono limitate se considerate su una scala globale e, dunque, la soluzione ai problemi causati dal climate change non possono dipendere solo dai propri sforzi.

La corte, tuttavia, ha affermato che tale circostanza non altera «the State’s obligation to

exercise care towards third parties». Spostando il fuoco del principio di precauzione

dall’incertezza scientifica del rischio di danno grave e irreparabile, alla necessità – che lo accompagna – di non ritardare l’adozione delle misure necessarie per evitarlo, i giudici dei casi più su richiamati hanno giustificato l’attribuzione di responsabilità ai convenuti, nonostante la loro azione non fosse la causa esclusiva del danno (o pericolo).

Quasi a dire che l’incertezza insita nel principio di precauzione non riguarda solo il rischio di danno grave o irreversibile, ma anche l’effettiva capacità dell’obbligo imposto in sede giudiziaria, e conseguente all’accertamento della responsabilità, di evitare che quel danno grave e irreparabile si produca (simili valutazioni possono essere svolte per il secondo caso richiamato).

Un secondo rilievo emerge poi dall’utilizzo del principio di sviluppo sostenibile per garantire locus standi alle generazioni future. Come si è osservato, la corte del caso Urgenda affronta la questione prima di entrare nel merito del giudizio, confermando la legittimazione della Fondazione Urgenda a perseguire l’interesse volto a prevenire che

l’Olanda causi danni all’ambiente (in misura più che proporzionale) attraverso le attività svolte nel proprio territorio. Sulla base del richiamo statutario al principio di sviluppo sostenibile, la corte riconosce che tale interesse si appunta tanto sulla generazione presente che su quelle a venire, le quali, in tal modo, entrano nel giudizio come soggetti legittimati ad agire. Ma un’attenta lettura della sentenza suggerisce come il riconoscimento di legittimazione attiva costituisca il punto nodale della decisione, consentendo l’attribuzione di responsabilità allo Stato olandese. Come è stato osservato, il fatto lesivo che la corte riconduce allo Stato consiste nell’accumulo eccessivo di emissioni di greenhouse gas che, senza l’adozione di ulteriori misure, si verificherà all’interno dello Stato olandese tra la data del giudizio (2015) e il 2020.

Tuttavia, le conseguenze negative di tale accumulo per gli uomini non si manifesteranno nell’immediato: la maggior parte degli agenti inquinanti indicati come i

drivers del cambiamento climatico, come l’anidride carbonica, rimangono nell’aria per

decine o centinaia di anni e gli effetti negativi sui beni ambientali si produrranno, in prevalenza, nel lungo periodo, secondo tempi dettati dalla diversa capacità di resilienza dei diversi beni ambientali o sistemi ecologici. Ne consegue che il fatto lesivo è stato legato causalmente al pericolo o danno futuro che dovranno fronteggiare le generazioni future, la cui legittimazione attiva ha consentito la condanna dello Stato olandese.

CAPITOLO II