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Lasciando ad un momento successivo l’analisi delle implicazioni della nuova impostazione precauzionale sul diritto civile delle generazioni future60, conviene ora brevemente osservare in che misura e secondo quali modalità il principio in esame, calato dall’alto delle istituzioni comunitarie per guidare la mano del legislatore di fronte a una tecnologia che «non riesce più a controllare sé stessa»61, sia penetrato nella giurisprudenza civile. Si tratta di un tema lungo e complesso, cui, a partire dall’inizio del nuovo Millennio, sono stati dedicati numerosi studi62.

In questa sede, e sempre con l’occhio rivolto alle generazioni future, preme più semplicemente osservare quali siano le conseguenze civilistiche dell’applicazione del principio in questione nei casi in cui i danni non si siano ancora prodotti e in quelli in cui, per contro, si siano già prodotti, ma come esito di rischi che, allorché assunti, non davano certezza scientifica circa i loro effetti negativi. Gli uni e gli altri vanno esaminati allo scopo di valutare se tale principio, nell’anticipare la soglia di tutela di beni primari quali la salute e l’ambiente, abbia anche conformato il concetto stesso di rischio, in connessione a quello di pericolo e danno tradizionalmente accolti nel codice civile.

a) Tutela inibitoria e principio di precauzione. Il danno da esposizione alle onde

elettromagnetiche.

60 Si veda il Capitolo I, § 5 e Capitolo II, § 7. 61 D.A

MIRANTE, Il principio di precauzione fra scienza e diritto. Profili introduttivi, in Diritto e gestione

dell’ambiente, 2001, p. 20 ss.

62 Cfr. M. G. S

TANZIONE, L’incidenza del principio di precauzione sulla responsabilità civile negli

ordinamenti francese e italiano, in Comparazione e diritto civile, 2016, p. 1 ss.; ID., Principio di precauzione

e diritto alla salute. Profili di diritto comparato, in Comparazione e diritto civile, 2016, p. 1 ss.; E.AL MUREDEN, Uso del cellulare e danni alla salute: la responsabilità del produttore tra dannosità

“tollerabile”, principio di precauzione e nuovi obblighi informativi, in Il corriere giuridico, 2013, 3, pp. 330

– 341; ID., Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità civile, Libreria Bonomo, Bologna, 2008; C.M.NANNA, Principio di precauzione e lesioni da radiazioni ionizzanti, Esi, Napoli, 2003, p. 172 ss.; L.FOLLANI,A.DOVAL PAIS,D.CASTRONUOVO (a cura di), La sicurezza agroalimentare nella prospettiva

europea. Precauzione, prevenzione, repressione, cit.; U.IZZO, La precauzione nella responsabilità civile,

cit.; F.PLEBANI, Il danno da onde elettromagnetiche: tutela legislativa e giudiziaria, in G.PONZANELLI (a cura di), La responsabilità civile. Tredici variazioni sul tema, Cedam, Padova, 2003, p. 119 ss.; B. BERTARINI, Tutela della salute, principio di precauzione e mercato del medicinale. Profili di regolazione

La vicenda del danno da esposizione alle onde elettromagnetiche, che ha interessato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sin dagli anni Novanta del secolo scorso63, risulta di particolare interesse ai fini della presente ricerca, sotto un duplice profilo. Da un lato, essa costituisce un esempio di quei nuovi danni connessi al progresso tecnologico della società, i cui effetti negativi sono suscettibili di verificarsi nel lungo periodo; dall’altro, e proprio in ragione della sua «novità», non vi è (ancora) certezza scientifica circa gli effetti negativi per la salute umana derivanti dall’esposizione a tali onde, i quali effetti peraltro costituiscono non di rado la risultante dell’intreccio di fattori causali plurimi, così rendendo assai ardua la ricostruzione di un preciso nesso di causalità.

Prima di analizzare le decisioni giudiziali rese in materia, converrà brevemente richiamare i termini della questione, da un punto di vista fattuale e normativo. Il problema si riconnette alle onde prodotte dal campo magnetico che viene generato, insieme a un campo elettrico, dal passaggio della corrente lungo i conduttori delle linee elettriche aeree per il trasporto e la distribuzione dell’energia elettrica (c.d. elettrodi). Gli studi scientifici mostrano, sulla base di valutazioni statistiche che non sono validate dall’intera comunità scientifica, evidenze dell’associazione tra l’esposizione a radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti, peraltro non facilmente schermabili, e alcune patologie (ad es. leucemie infantili), i cui effetti sono destinati a comparire molto tempo dopo l’esposizione medesima.

La materia è disciplinata dalla Legge quadro 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) e dal DPCM 8 luglio 2003, emanato in attuazione della legge n. 36 del 2001 e recante i limiti di esposizione ai suddetti campi. Tale normativa, ispirata all’esigenza di tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini, nonché dell’ambiente, e fondata sul contesto normativo europeo sopra analizzato64, fissa tre diverse soglie: i limiti di esposizione assoluti, il cui superamento

63 Quanto alla giurisprudenza, ex multis, si vedano le sentenze: Trib. Como, ord. 30 novembre 2001, in

Foro italiano, 2003, I, c. 1608; Trib. Modena, ord. 6 settembre 2004, in Responsabilità civile e previdenza,

2004, p. 1087 ss.; Trib. Bologna, ord. 31 luglio 2006, in Danno e responsabilità, 2007, n. 12, p. 1249 ss.; Trib. Venezia, 19 febbraio 2008, n. 441, in www.giust.it.

64 In particolare, l’art. 1 della legge richiamata fissa le finalità della legge nel dettare i princìpi fondamentali

diretti a:

«a) assicurare la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione;

b) promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell’Unione Europea;

fonda una presunzione assoluta di pericolosità delle medesime; i valori di attenzione che, fondati sul principio di precauzione, sono diretti a fungere da parametri di cautela finalizzati alla protezione da possibili effetti a lungo termine e che, pertanto, non possono essere superati in ambienti soggetti a esposizione particolarmente prolungata, quali quelli abitativi e scolastici; gli obiettivi di qualità, che impongono una progressiva riduzione delle esposizioni, da raggiungere nei tempi e secondo le modalità stabilite dalla legge regionale.

Così delineato, sebbene sinteticamente, il quadro fattuale e normativo in cui si inserisce il contenzioso civile, è possibile ora estrapolare dalle sentenze i profili giuridici che qui maggiormente interessano. In questa prospettiva, la prima questione rilevante verte sulla funzione da attribuire alla normativa secondaria che fissa i limiti di esposizione, per rilevare se la presunzione di pericolosità che si è vista discendere dal superamento delle soglie limite implichi, secondo un ribaltamento logico, una presunzione di innocuità con riferimento alle esposizioni inferiori a tali limiti. La risposta al primo quesito è perfezionata direttamente dalla Corte di Cassazione che, anticipando alcune delle vicende sotto esame, ha statuito, con sentenza n. 9893 del 2000, che la legge si propone di impedire attività che determinino il superamento della soglia-limite, ma non anche quella di rendere lecita una condotta che vi si uniformi: «[q]ueste discipline ritraggono il fondamento della

loro legittimità dall'essere adeguate allo stato delle conoscenze circa i possibili effetti negativi dei fenomeni presi in considerazione ed è la stessa legge primaria a prevedere che debbano essere oggetto di periodica revisione.

Dunque, la presenza di tali discipline costituisce conferma del fatto che alla protezione costituzionale del diritto alla salute inerisce sul piano sostanziale il diritto dell'individuo a che sia impedito agli altri consociati, ma anche alla pubblica amministrazione, di tenere condotte, che possono ingenerare il sorgere di patologie, come risultato dell'immissione nell'ambiente di fattori inquinanti»65.

c) assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio e promuovere l’innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l’intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie disponibili».

65 Cass. Civ., sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893 in Danno e responsabilità, 2001, p. 37. In senso contrario:

Cass. Civ. sez II, 23 gennaio 2007, n. 1391, in Foro italiano, 2007, 7-8, I, 2124, in cui i giudici di legittimità affermano che «[n]on si comprende quale principio giuridico dovrebbe autorizzare quella "tutela avanzata" richiesta, cosi intensa da consentire il riconoscimento di un danno del tutto ipotetico. La corte territoriale, con ampie ed esaustive argomentazioni ha spiegato che le misurazioni effettuate in più occasioni hanno dimostrato che le emissioni elettromagnetiche degli impianti in discorso non superano mediamente il limite di cui al D.M. n. 387 del 1998, e tale limite è assistito da una presunzione di non pericolosità»; Cass. Civ., sez. III, 28 luglio 2015, n. 15853, in Giustizia civile massimario, 2015, che stabilisce quanto segue: «Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, al quale in questa sede va data continuità, in tema di immissioni di onde elettromagnetiche sussiste la presunzione di esclusione dell'illiceità

Spetta dunque al giudice ordinario accertare se, sulla base delle conoscenze scientifiche disponibili al momento del giudizio e considerate le specificità del caso concreto, l’esposizione al fattore inquinante, sebbene rientrante nei limiti definiti dalla normativa di ordine secondario, determini l’insorgere di un pericolo per la conservazione dello stato di salute dell’attore66. In questo senso, dunque, il principio di precauzione può esser chiamato a guidare non solo il giudizio – politico – del legislatore, nel momento in cui si tratta di operare “a monte” un bilanciamento tra interessi contrapposti in assenza di certezza scientifica, ma anche il giudizio “a valle” dell’autorità giudiziaria, laddove la scelta legislativa, per il trascorrere del tempo e l’accumulo di sapere scientifico, debba essere oggetto di revisione.

Ma il principio di precauzione si impone – o potrebbe imporsi – come strumento interpretativo delle norme67, anche codicistiche, allorché si tratti di mettere in moto i rimedi civilistici a tutela del diritto costituzionalmente protetto alla salute, in una fase precedente alla sua compromissione, ossia ove esista anche solo il pericolo per la stessa. È attorno a tale tema che si appunta la seconda questione qui di interesse. Si tratta di ipotesi in cui la lesione per la salute umana è solo potenziale, in quanto, seppur supposta e temuta, non è comprovata in modo certo e assoluto con riferimento alle esposizioni a bassa frequenza sul lungo periodo, necessitando a tal fine di ulteriore analisi scientifica.

Sotto questo secondo profilo, il discorso si biforca, essendo necessario distinguere tra tutela inibitoria e tutela risarcitoria. Quanto alla prima, in particolare quella apprestata ai sensi dell’art. 844 c.c.68, nella sua lettura ampia, volta a proteggere il soggetto-proprietario e non solo l’oggetto-proprietà69, l’anticipazione della soglia di tutela a un momento

delle propagazioni immesse e della loro non pericolosità, se rispettose dei limiti stabiliti dalle norme di settore, generali e speciali».

66 Cass. Civ, sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893, cit. 67 Così Trib. Venezia, 19 febbraio 2008, n. 441, cit.

68 Ma il Trib. Bologna, ord. 1 agosto 2006, lo riferisce anche all’articolo 700 c.p.c.

69 Come noto, a partire dalla fine degli anni Settanta un filone giurisprudenziale, seguendo la tesi della

prevalente dottrina civilistica, ha prospettato un utilizzo dell’articolo 844 in termini di tutela del fondamentale diritto alla salute, inteso in senso lato come diritto a vivere in un ambiente salubre, sulla base del presupposto dell’insufficienza del solo rimedio riparatorio ad assicurare una piena tutela di tale diritto.

L’opera di reinterpretazione dell’articolo 844 è da attribuirsi in particolar modo al Tribunale di Vigevano (Pret. Vigevano, ord. 6 aprile 1978, in Giur. merito, 1978, p. 167 ss.) che ha aperto la strada ad una lettura estensiva della norma sulle immissioni, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, e non, ad alcuni soggetti che avevano subito delle immissioni di rumori da un vicino opificio.

Tale orientamento giurisprudenziale, peraltro successivamente alimentato da una serie di sentenze della giurisprudenza sia di merito che di legittimità (Trib. Vigevano, 9 febbraio 1982, in Giurisprudenza italiana, 1983, I, 2, p. 398; Cass. Civ., Sez. II, 6 aprile 1983 n. 2396 in Giur. it. 1984, I 1, 537, con nota di F. MASTROPAOLO, Tutela della salute, risarcimento del “danno biologico” e difesa dell’immissioni; Pret. Verona ord. 29 giugno 1984, in Foro it., 1984, I, p. 2906; Trib. Vigevano, 25 gennaio 1985, in Foro it., 1986,

precedente al verificarsi della sua lesione, ricorrendone i presupposti, è stata ritenuta ammissibile, in un primo momento, dalla giurisprudenza in base al principio dell’effettività della tutela70. Secondo la giurisprudenza prevalente, qualora la condotta che si assume lesiva si concretizzi in atti suscettibili di provocare il danno, il titolare del diritto potrà reagire, senza che sia necessario che il danno si sia verificato.

Evidenzia la Corte di Cassazione, nella richiamata sentenza n. 9893 del 2000, che «[…]

la protezione apprestata dall'ordinamento al titolare di un diritto si estrinseca prima nel vietare agli altri consociati di tenere comportamenti che contraddicano il diritto e poi nel sanzionare gli effetti lesivi della condotta illecita obbligando il responsabile al risarcimento del danno». In questa prospettiva, pertanto, si pone «l’esigenza di adattare la categoria di danno alla salute includendovi sempre il pericolo quando la situazione giuridica di rango costituzionale è esposta ad agenti lesivi ambientali e non riconducibili ad un singolo atto o pratica definibile esattamente sul piano materiale e cronologico»71. In altre parole, secondo questo orientamento, la tutela inibitoria può dare copertura anche a quelle fattispecie in cui la lesione del diritto alla salute non sia già in atto, ma costituisca l’oggetto di un mero rischio – purché esistente e oltre una certa soglia – connesso alla circostanza per cui determinati fattori sono produttivi – già oggi – di un pericolo concreto che – domani – può perfezionarsi in danno, generando una lesione72.

Diverso il discorso nell’ambito della responsabilità civile. L’assimilazione – rectius, l’inclusione – del pericolo all’interno della categoria del danno alla salute e, di riflesso, alla salubrità ambientale a fronte di un fattore inquinante non verificabile in tempi brevi si inceppa quando ad essere invocata è la tutela risarcitoria. Da questa angolatura, il problema che si presenta a ridosso dei confini dogmatici dell’istituto della responsabilità civile concerne l’impossibilità di conciliare l’accertamento del pericolo per la compromissione

I, c. 2872; Pret. Roma, ord. 13 luglio 1987, in Foro it., 1988, I, c. 2027), si è spinto fino al punto di negare, in una sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 1985 (App. Venezia, 31 maggio 1985, in Giur. it., 1987, 2, c. 494 ss.), il presupposto stesso dell’azionabilità della norma, ritenuta applicabile a prescindere dalla titolarità di un diritto reale di godimento sul fondo soggetto al fenomeno immissivo.

La ragione principale dell’imponente dibattito che ha visto protagonista la norma richiamata riguarda l’attribuzione, al soggetto che subisce l’attività immissiva, del potere di chiedere al giudice competente un provvedimento di cessazione dell’attività lesiva: in sostanza tale orientamento mira ad un’applicazione in via analogica dell’inibitoria ex art. 844 a tutela della salute. Per approfondimenti: U.MATTEI, Immissioni, in

Digesto delle Discipline Privatistiche, Torino, 1982, p. 1220; V.SCALISI, Immissioni di rumore e tutela della

salute, in Rivista di diritto civile, 1982, I, p. 127 ss.;. In senso contrario si veda tra gli altri: C.SALVI, Le

immissioni industriali, Giuffrè, Milano, 1979; E. PELLECCHIA, Brevi note in tema di disciplina delle

immissioni, tutela della salute e rimedio inibitorio, in Giustizia Civile, 6, 1995, p. 1663 ss.

70 Trib. Venezia, 19 febbraio 2008, n. 441, cit. 71 Trib. Bologna, ord. 1 agosto 2006, cit.

psico-fisica derivante dall’incidenza di fattori operanti sul lungo periodo con una «rilevazione meccanicistica del nesso causale congelato all’attualità»73. In altri termini, ogniqualvolta un lasso di tempo molto lungo separa gli effetti pregiudizievoli dall’azione che li ha determinati, il nesso di causa si annacqua e la responsabilità si cancella74.

b) Responsabilità civile e principio di precauzione.

Il problema da ultimo accennato si è riproposto negli ultimi anni in numerosi ambiti della responsabilità civile, sollevando un dibattito tutt’altro che sopito75. Ci si è chiesti, in particolare, se il principio di precauzione sia suscettibile di essere applicato direttamente nei rapporti inter-privatistici, con l’effetto di plasmare le regole alla base dell’istituto risarcitorio. Ciò con particolare riferimento al nesso di causalità e al contenuto del dovere di cautela su cui viene parametrata la responsabilità in alcune ipotesi speciali, quali quella concernente la responsabilità del produttore, disciplinata dal Codice del Consumo agli artt. 114-127, e la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose di cui all’art. 2050 c.c.

Sotto quest’ultimo profilo, il problema si è posto nelle ipotesi in cui il rispetto delle norme di carattere pubblicistico, volte a indicare precisi standards di sicurezza e, dunque, a parametrare ex ante la liceità della condotta pregiudizievole, non sia sufficiente a evitare la produzione di un danno, realizzativo di un rischio che, al momento in cui è stata posta in essere la condotta rilevante, risultava scientificamente incerto76. In tali casi, il diritto deve decidere su chi allocare i costi connessi al danno, ossia se tradurlo in un rischio – inteso

73 Trib di Bologna, ord. 1 agosto 2006, cit. 74 N.D

E SADELEER, Gli effetti del tempo, cit., p. 590.

75 Si vedano in particolare: F. D.B

USNELLI, Il principio di precauzione e l’impiego di biotecnologie in

agricoltura, in M. GOLDONI, E. SIRSI (a cura di), Regole dell'agricoltura, regole del cibo: produzione

agricola, sicurezza alimentare e tutela del consumatore. Atti del convegno, Pisa, 7-8 luglio 2005, Edizioni il

Campano, Pisa, 2005, p. 115 ss.; M. ARBOUR, A proposito della nebulosa. Principio di precauzione –

responsabilità civile, in Liber amicorum per Francesco D. Busnelli, Il diritto civile tra principi e regole, I,

Giuffrè, Milano, 2008, p. 513 ss.; E.DEL PRATO, Il principio di precauzione nel diritto privato: spunti, ivi, p. 545 ss.; ID, Precauzione e obbligazione, in Rivista del diritto commerciale e delle obbligazioni, 2012, p. 1 ss.; F.DE LEONARDIS, Il principio di precauzione nell’amministrazione del rischio, Giuffrè, Milano, 2005; M.G.STANZIONE, L’incidenza del principio di precauzione sulla responsabilità civile, cit.; E.AL MUREDEN,

Uso del cellulare e danni alla salute: la responsabilità del produttore tra dannosità “tollerabile”, principio di precauzione e nuovi obblighi informativi, in Il corriere giuridico, 2013, 3, p. 330 ss.; Id., Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità civile, Libreria Bonomo, Bologna, 2008; R.MONTINARO,

Dubbio scientifico e responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2012; F.DEGL’INNOCENTI, Rischio di impresa e

responsabilità civile. La tutela dell'ambiente fra prevenzione e riparazione dei danni, Firenze University

Press, Firenze, 2012; B.BERTARINI, Tutela della salute, principio di precauzione e mercato del medicinale.

Profili di regolazione giuridica europea e nazionale, Giappichelli, Torino, 2016.

76 Cfr. E.D

EL PRATO, Il principio di precauzione nel diritto privato, cit.; E.AL MUREDEN, Il danno da

qui in senso economico – di cui debbono farsi carico, mediante la propria organizzazione imprenditoriale, rispettivamente il produttore o l’esercente attività pericolosa ovvero in un

pericolo da lasciare a carico dei terzi.

Il dibattito non è stato ancora risolto dalla dottrina, che ha espresso orientamenti divergenti al riguardo. Secondo l’orientamento prevalente, il principio di precauzione non è applicabile in relazione all’istituto della responsabilità civile, in quanto esso esprimerebbe la sua efficacia applicativa solo con riferimento alle scelte politiche da esercitarsi da parte delle autorità pubbliche. Da un punto di vista tecnico, inoltre, esso non aggiungerebbe nulla sul piano della responsabilità civile: il principio, infatti, non potrebbe intervenire ex post a modulare il giudizio circa la pericolosità di un prodotto immesso in commercio, quando questa non era conosciuta e dunque prevedibile al momento dell’immissione medesima e il produttore abbia rispettato gli standards previsti dalla normativa secondaria77; né potrebbe determinare un upgrade del livello di diligenza comunemente richiesto alle imprese e agli operatori commerciali (anche con riferimento alle attività tipizzate come pericolose) che non possono essere chiamati ad adottare misure volte a prevenire danni imprevedibili. L’esimente del rischio da sviluppo, nell’un caso, e la prova liberatoria di cui all’art. 2050 c.c., nell’altro, opererebbero quali limiti all’applicazione diretta della precauzione. Al più, il principio potrebbe incidere “a monte” sulla qualificazione giuridica di un’attività come rischiosa o meno e dunque far passare una determinata attività, prima ritenuta non rischiosa, tra quelle tipizzate che importano l’applicazione del 2050 c.c.78; o, ancora, sui doveri di informazione gravanti sui produttori, allorché gli studi scientifici in relazione a un determinato prodotto mostrino evidenze sempre più solide di possibili o probabili danni alla salute.

Diverso è il discorso quanto al profilo del nesso di causalità79. Alcuna dottrina ritiene che l’introduzione del principio di precauzione possa incidere sui metodi classici di

77 Si pensi, per fare un esempio, al caso dei telefoni cellulari e alle preoccupazioni che riguardano la salute

dei soggetti esposti alle emissioni di onde elettromagnetiche da esse provenienti. In questo caso, la circostanza per cui le compagnie produttrici di telefoni cellulari abbiano rispettato gli standards di sicurezza previsti dalla legge, sicché il prodotto risulta conforme, induce la dottrina a escludere la configurabilità di una responsabilità ex. art. 114 e ss. del Codice del Consumo in capo alle imprese. Per approfondimenti si