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Il c.d “effetto riflesso” degli obblighi e principi sovranazionali sulla legislazione

4.2. Il duty of care in capo allo Stato olandese.

4.2.1. Il c.d “effetto riflesso” degli obblighi e principi sovranazionali sulla legislazione

nazionale di fronte a una questione “glocale”.

Ricostruito il quadro scientifico e le questioni sostanziali ad esso ricollegate, la Corte passa ad esaminare la questione centrale della controversia: la sussistenza o meno, e in caso positivo il contenuto, di un’obbligazione in capo allo Stato nei confronti di Urgenda di perseguire un target di riduzione più alto di quello da esso fissato al momento dell’instaurazione del giudizio.

A tal fine, la Corte richiama anzitutto l’art. 21 della carta costituzionale olandese, la quale stabilisce che «[i]t shall be the concern of the authorities to keep the country

habitable and to protect and improve the environment». Tuttavia, le modalità attraverso

cui tale compito – che presenta importanti ripercussioni per la gestione dell’ambiente – deve essere eseguito sono soggette al potere discrezionale del governo. Ma la natura extraterritoriale del climate change, così come la necessità di un approccio globale per farvi fronte, impone di prendere in considerazione anche la disciplina perfezionata a livello internazionale ed europeo in tema di ambiente e cambiamento climatico. In particolare, «the care and protection of the living environment» deve essere determinato alla luce della Convenzione quadro sul Clima, e relativi strumenti giuridici (protocolli e COP), del principio del “non nuocere”, della politica climatica predisposta dall’Unione Europea e dei rispettivi principi su cui tali discipline si fondano. In sintesi, i principi significativi in tal senso sono quelli previsti dall’art. 3 della Convenzione quadro sul cambiamento climatico nonché quelli stabiliti dall’art. 191, paragrafo 1, del TFUE. Si tratta in primo luogo del principio di fairness, il quale esprime la sua “normatività” sia nello spazio, stabilendo che i paesi industrializzati devono prendere la guida nella lotta ai cambiamenti climatici, sia nel tempo, prevedendo che «the policy should not only start from what is most beneficial to the

current generation at this moment, but also what this means for future generations, so that future generations are not exclusively and disproportionately burdened with the consequences of climate change». Viene altresì in rilievo il principio di precauzione che,

come precedentemente osservato, prevede che le misure da adottare al fine di prevenire o limitare le cause del cambiamento climatico o mitigarne gli effetti negativi non possono essere rimandati in attesa della piena certezza scientifica. Di talché, tali misure – che possono essere valutate secondo un’analisi costi-benefici – devono essere implementate anche qualora non vi è certezza assoluta circa la loro (sufficiente) efficacia nel raggiungimento dello scopo perseguito. Infine, la Corte richiama il principio di

sostenibilità, che, come detto più su, informa tanto la politica climatica a livello internazionale, quanto la politica ambientale dell’UE, la quale, nell’intento di garantire un alto livello di protezione, «expresses that its environmental policy has high priority and

that it has to be implemented strictly» (sezione 4.61).

Secondo la lettura interpretativa tradizionale, accolta anche dalla Corte, tali disposizioni e principi (così come quelle di cui agli articoli 2 e 8 della CEDU) stabiliscono obblighi nei confronti degli stati, ma non hanno efficacia orizzontale nei confronti dei cittadini (persone fisiche e persone giuridiche)125. Conseguentemente, un’obbligazione giuridica dello Stato nei confronti dei cittadini non può essere fondata su tali normative.

Tuttavia, esse assumano una rilevanza indiretta nella determinazione del contenuto e dell’estensione del dovere di protezione che grava in capo allo Stato, determinando il

framework all’interno del quale il potere discrezionale di quest’ultimo deve essere

esercitato, nonché le sue modalità (sezione 4.63). Per cogliere le linee essenziali del ragionamento della Corte, occorre preliminarmente osservare che essa colloca il duty of

care dello Stato all’interno del diritto privato olandese, nell’ambito del quale esso viene

considerato alla stregua di una norma aperta, definita in termini generali e che deve essere calata all’interno delle circostanze concrete del caso specifico. In particolare, tale standard è stato sviluppato dalle Corti civili olandesi in casi in cui una parte, avendo creato una situazione di pericolo, è tenuta a prendere le misure necessarie per ridurre il rischio126. La Corte dunque ritiene che la potenziale situazione di pericolo posta dal climate change sia assimilabile ad altre attività rischiose e, pertanto, occorre accertare se siano state adottate quelle misure che, secondo un canone di ragionevolezza, sono necessarie per diminuire il rischio connesso al climate change. Così calato il duty of care all’interno della disciplina privatistica olandese, la Corte rileva come costituisca un principio generale di diritto che gli standard legali fissate dalle norme nazionali non possano essere spiegati o applicati, in un modo tale che implicherebbe la violazione da parte dello Stato degli obblighi internazionali127.

125 Si veda per approfondimenti: C.C

AMARDI, Certezza e incertezza nel diritto private contemporaneo, cit.. Si veda inoltre: G.TEUBNER, Nuovi conflitti costituzionali, Mondadori, Milano, 2012.

126 Cfr. E.S

TEIN,A.G.CASTERMANS, Case Comment—Urgenda v. the State of the Netherlands: the

“Reflex Effect”— Climate Change, Human Rights, and the Expanding Definitions of the Duty of Care, in McGill Journal of Sustainable Development Law, 2, vol. 13, p. 314.

127 Sezione 4.43: «[…] a state can be supposed to want to meet its international-law obligations. From this

it follows that a national-law standard (a statutory provision or an unwritten legal standard) may not be explained or applied in a manner which would mean that the state in question has violated an international-law obligation». Nella traduzione in inglese della sentenza viene riportato erroneamente il

Sicché gli obblighi internazionali, nonché quelli imposti dalla normativa europea, esercitano un “effetto riflesso” sulla legislazione nazionale: «when applying and

interpreting national-law open standards and concepts, (such as social proprietary, reasonableness and propriety, the general interest or certain legal principles), the court takes account of such international-law obligations».

Considerata la natura del rischio (causa globale) e il conseguente compito da svolgere (gestione comune dei rischi di un pericolo globale che potrebbe comportare un deterioramento del clima in Olanda), tale “effetto riflesso” illumina anche la questione giuridica sottoposta alla Corte nel caso di specie. Più precisamente, gli obiettivi e obblighi imposti dalla politica climatica a livello internazionale ed europea – e i principi su cui essi si fondano – nonché gli articoli 2 e 8 CEDU devono essere presi in considerazione al fine di determinare la portata del duty of care che grava in capo allo Stato e del potere discrezionale di cui esso dispone nell’adempimento (sezione 4.52). Inoltre, gli obiettivi stabiliti in queste norme sono rilevanti per determinare il livello minimo di protezione che lo Stato è tenuto a rispettare.

Posto che, alla luce delle più recenti conoscenze scientifiche e tecniche, risulta che la misura più efficiente per far fronte ai rischi connessi al cambiamento climatico consiste nella adozione di misure di mitigazione e che è più conveniente dal punto di vista economico (“cost-effective”), perché aumentano le probabilità di successo, agire subito anziché posporre tali misure, la Corte ritiene che sussista in capo allo Stato un duty of care di adottare le misure di mitigazione il più rapidamente possibile128. Nella valutazione della discrezionalità del potere dello stato nell’adempiere a tale dovere, a giocare un ruolo determinante sono il principio di fairness e il principio di precauzione. Il primo principio viene invocato dalla Corte per affermare che, sebbene esistano diversi 'percorsi di riduzione”, alternativi tra loro, al fine di raggiungere l’obiettivo di riduzione dell’80% delle emissioni entro il 2050, «the state, in choosing measures, will also have to take

128 Più specificamente, la Corte, poggiando sui dati forniti dall’IPCC, afferma che costituisce un fatto noto

che il percorso di riduzione previsto nel contesto della Convenzione quadro sul clima non sia sufficiente per raggiungere l’obiettivo finale di contenimento della temperatura entro i 2°C e che quindi le probabilità che si verifichi i rischi del cambiamento climatico sono molto elevate, con gravi e irreversibili conseguenze dannose per l’uomo e l’ambiente. Pertanto, lo Stato è obbligato a prendere misure di mitigazione nel proprio territorio per prevenire tali fenomeni, misure che dovrebbero essere adottate il più rapidamente possibile, per aumentare le chance di raggiungere il target prefissato a lungo termine. Altrettanto certo, venendo al punto (iv), è che lo Stato, pur non emettendo direttamente gas serra nell’atmosfera, ha il potere di controllare il livello di emissioni collettive dell’Olanda e che essa ha accettato l’obbligo a livello internazionale di ridurre il livello di emissioni nella misura necessaria a prevenire il rischio di climate change. Sotto questo profilo, è altresì rilevato che il percorso di riduzione indicato dall’IPCC non comporta eccessivi costi per lo Stato olandese (v), che anzi inizialmente aveva optato per tale schema.

account of the fact that the costs are to be distributed reasonably between the current and future generations» (sezione 4.76). Secondo la Corte, in altre parole, l’analisi costi-

benefici, volta a individuare la soluzione più efficiente, deve tenere conto anche dei costi che, posticipando le misure di mitigazione, verrebbero a gravare sulle generazioni future, in contrasto con il principio di fairness. Sicché se dall’analisi dei dati a disposizione emerge che l’azione immediata è più economica nel complesso, lo Stato «has a serious

obligation, arising from due care, towards future generations to act accordingly».

Il secondo principio invece viene utilizzato dalla Corte per superare l’eccezione proposta dalla convenuta e volta ad affermare che la soluzione del problema globale del cambiamento climatico non può dipendere solo dai suoi sforzi, in quanto il livello totale di emissioni prodotti all’interno dello Stato olandese è limitato su una scala globale. Tuttavia, la Corte ribalta tale argomento appellandosi al principio di precauzione: la Corte evidenzia, infatti, come costituisca un dato certo che le emissioni di gas prodotte dallo Stato olandese, e che costituiscono lo 0.5% delle emissioni a livello globale, contribuiscono al cambiamento climatico. Inoltre, il principio di precauzione impone allo Stato di non posporre l’adozione delle misure volte a mitigare tale processo prima che si realizzino i rischi di danni irreversibili per l’uomo e l’ambiente, anche qualora non vi sia assoluta certezza scientifica che tali misure saranno sufficienti. Conseguentemente, la Corte conclude che la singola circostanza che le emissioni di gas a effetto serra dello Stato olandese contribuiscono solo in minima parte alle emissioni a livello globale non altera l’obbligo dello Stato di esercitare la protezione verso terze parti.

Sulla base di tali argomenti, la Corte afferma che, tra lo scenario di riduzione perseguito dallo Stato olandese che prevede la posticipazione delle misure di mitigazione, con una riduzione del 17% fino al 2020 e poi una più drastica riduzione nelle decadi successive, e lo scenario, scientificamente provato, indicato dall’IPCC, che contempla una riduzione nel breve periodo del 25-40%, lo Stato avrebbe dovuto optare per il secondo. Infatti, anche se entrambi gli scenari sono astrattamente idonei a raggiungere il target finale dei 2°C, il primo non è accettabile in quanto provocherà un «effetto cumulativo» che porterà a una maggiore concentrazione di CO2 nell’atmosfera (Sezione 4.87). Tale evento, da attribuirsi allo Stato in virtù della propria responsabilità nel controllo del livello totale di emissioni prodotte dallo stesso, aumenterà notevolmente la possibilità che si verifichino i rischi connessi al cambiamento climatico (sezione 4.85). Di conseguenza, la lesione degli interessi rappresentati da Urgenda è così alta e concreta che, dato il suo duty of care, lo Stato deve contribuire a prevenire il rischio di climate change in modo adeguato, più di

quanto non abbia fatto fino a quel momento (sezione 4.89). Da qui, l’ordine di limitare il livello complessivo delle emissioni del 25% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020 (Sezione 5.1).

Il governo olandese ha proposto appello, su cui la Corte si pronuncerà nei prossimi mesi. Tuttavia, lo Stato olandese ha dichiarato che provvederà a modificare la propria politica climatica al fine di raggiungere l’obiettivo del 25% fissato dai giudici, così come richiesto da Urgenda.