• Non ci sono risultati.

Come per il consenso informato, tanto più per le DAT, la legge introduce chiaramente un quid novi rispetto al vigente ordinamento.

Nonostante gli elementi di modernità ed innovatività di cui si è detto, dalla lettura del disegno di legge trapela un residuo garantismo a beneficio degli esercenti

210 C.CASONATO, Una legge più realista del re, cit., p. 3.

la professione sanitaria. In tal senso, in alcuni passaggi del testo, non sono stati esplicitati in modo sufficientemente chiaro i doveri del medico di fronte alle questioni più spinose. In particolare, non si desume univocamente se si ponga un contrasto tra quanto previsto al comma 5, art. 4, e quanto disposto circa i trattamenti nelle situazioni di urgenza o emergenza (comma 7, art. 1).

Allo stesso modo, rispetto ai trattamenti che il paziente non può esigere, e rispetto ai quali il medico non ha obblighi professionali (si veda comma 6, art. 1), sarebbe stato più incisivo sancire un divieto per il medico a prescrivere o sponsorizzare quelli contrari alle buone pratiche e, soprattutto, quelli privi di valido e acclarato fondamento scientifico. Così pure sarebbe stato opportuno specificare le condizioni che rendono un trattamento “inutile e sproporzionato” nell’esplicitazione del divieto di ostinazione irragionevole nelle cure.

In definitiva, a ben guardare, non viene puntualizzato se vi sia un reato, una fattispecie specifica che viene integrata, nel caso del medico che, deliberatamente, non si attenga alla volontà del paziente, sia in termini di consenso informato attuale che di disposizioni anticipate, né in che modo e da chi sia eventualmente perseguibile. Rimangono, pertanto, aperti i problemi sollevati in giurisprudenza e già esaminati con riferimento alle ipotesi di c.d. trattamento medico arbitrario.

Considerazioni dello stesso tenore si possono svolgere in riferimento a quanto stabilito al comma 4 dell’art. 1 sulla registrazione materiale del consenso informato e la sua allegazione alla cartella clinica del paziente, nonché al fascicolo sanitario elettronico. In base alla scarna formulazione del testo di legge, infatti, non è facilmente prospettabile come la quotidianità delle attività clinico-sanitarie delle strutture operanti sul territorio, ma anche dei liberi professionisti nei rispettivi ambulatori medici potranno e dovranno cambiare. La documentazione in forma scritta dell’ottenimento del consenso informato, d’altronde, potrebbe limitarsi ad una formula generica ed onnicomprensiva, magari unilaterale, sbrigativamente annotata, piuttosto che un modulo prestampato semplicemente sottoposto alla firma del paziente.

Infine, criticità sono state espresse con riferimento alle Disposizioni Anticipate di trattamento, che determinerebbero un effettivo impoverimento (se non svuotamento) della finalità propria della doverosa informazione: infatti, se lo scopo

è di mettere il paziente in condizione di decidere scientemente e convenientemente, adottando lo schema previo delle DAT si accredita un livello informativo, e della stessa autodeterminazione terapeutica, decisamente inferiore rispetto a quello di una decisione del paziente consapevolmente “in situazione”212.

Il rischio è di far dipendere il sacrificio di un bene quale la vita umana –può essere ritenuto anche disponibile, ma resta pur sempre primario nella scala dei valori tutelabili213 – da una mera fictio del consenso, da una sua presunzione, iuris ma non de iure, se è vero che, come riportato, il fiduciario ed il medico possono sempre privare di efficacia le DAT se palesemente incongrue o non corrispondenti alla reale condizione clinica del paziente214.

Il principio di autodeterminazione terapeutica sembrerebbe ulteriormente ridimensionato dall’art. 3 della legge in rassegna, relativo a minori ed incapaci. Pur premettendosi “lodevolmente” che hanno “diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione” (al comma 1) e fatto salvo che siano ascoltati, si riconosce al rappresentante legale o all’amministratore di sostegno il potere decisionale in merito ai trattamenti sanitari e si ammette l’intervento risolutore del giudice tutelare solo nel caso di dissidio tra i suddetti soggetti, intenzionati a rifiutare, ed il medico (v. il comma 5). Nessuna disposizione specifica è contemplata per i trattamenti necessari per sopravvivere e la previsione di eventuali DAT, secondo un dettato normativo che non brilla per linearità, è garantita solo all’inabilitato e non anche, ad esempio, al minore non infraquattordicenne215.

L’art. 3, dunque, sancisce la trasfigurazione dell’autodeterminazione terapeutica in eterodeterminazione e ciò, tenendo conto dei casi particolari cui si riferisce, potrebbe anche essere comprensibile. A restare davvero oscuri sono il silenzio su quei trattamenti sanitari che garantiscano al malato minore o incapace di sopravvivere e, inoltre, il ruolo del tutto marginale assegnato al giudice tutelare (coadiuvato dal p.m.) che, invece, dovrebbe disporre di maggiori poteri di controllo

212 A.ESPOSITO, Non solo biotestamento, la prima legge in Italia sul fine-vita tra aperture coraggiose

e prospettive temerarie in chiave penalistica, in Cass. pen., 2018, p. 1815 ss..

213 G. FIANDACA, Art. 27 4° comma, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Zanichelli- Società del Foro italiano, 1991, p. 346.

214A.ESPOSITo, Non solo biotestamento, la prima legge in Italia sul fine-vita tra aperture coraggiose

e prospettive temerarie in chiave penalistica, cit., p. 1820.

e d’intervento proprio in considerazione della peculiare situazione dei diretti (a questo punto indiretti?) interessati e dell’accennata eterodeterminazione delle scelte terapeutiche che li riguardano216.

La normativa ha indubitabilmente subito l’inconveniente che, una volta giunta in Senato, non sia stato possibile dare spazio ad eventuali emendamenti, correttivi sia terminologici che di sostanza, perché avrebbero implicato il ritorno alla Camera del ddl e di fatto, essendo a fine legislatura, la non approvazione e la permanenza nel nostro Paese di un grave vuoto legislativo.

Pertanto, la scelta di non ritoccare il testo può essere stata di non totale soddisfazione, ma ha consentito di effettuare un primo passo importante sancendo nel diritto del nostro Paese la libertà e la responsabilità nell’ambito della cura. Come sostenuto da un interprete, “tutti noi vorremmo probabilmente aggiungere qualcosa al testo, ma un passo indietro può rappresentare un passo in avanti per i cittadini e per i medici non più obbligati a convivere con l’incertezza delle conseguenze delle proprie scelte e del proprio operare in scienza e coscienza”217.

In conclusione, alla luce delle pur esistenti incongruenze che non sfuggono ad un’analisi dettagliata della lettera dell’articolato, non si può che guardare con estremo favore alla novella in esame poiché costituisce un sicuro avanzamento per il nostro ordinamento nella direzione della modernità e della tutela dei diritti dell’uomo218. La nuova legge, più che un punto di arrivo, sembra destinata a porsi quale imprescindibile punto di (ri)partenza nel percorso – intrapreso e ormai non più reversibile – diretto a rendere effettiva, nelle sue declinazioni pratiche, la libertà di

216 Ibidem.

217 L. D’AVACK, Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, cit., p. 208.

218 Contra, D.CARUSI, La legge sul biotestamento: una luce molte ombre, cit., p. 298. L’ A. evidenzia che “un tanto lungo periodo di gestazione farebbe credere a una legge di qualità superiore, non solo tesa a porre riparo a uno storico ritardo del nostro Paese, ma

capace di proporsi agli altri come un modello d’avanguardia, sofisticato e specialmente ponderato. Senonché, raramente il dibattito in sede politica si è elevato, in tutti questi anni, al di sopra di un’esibita e demagogica guerra tra religioni; né la dottrina giuridica - parte eminente della quale occupata a vigilare sul suo monopolistico sacerdozio intellettuale - è stata in grado di ispirare, da un certo punto in avanti, significativi salti di qualità: Il risultato è una legge dai pregi minimali: da salutare come un progresso in quanto destituisce definitivamente

di credibilità - circa il rifiuto di cure – le anticostituzionali pretese proibizioniste; e tuttavia segnata da timidezze e incoerenze, costellata di espressioni inutili e di altre equivoche o senz’altro infelici, e per tutte queste ragioni verosimilmenteforiera, all’atto pratico, di molti perduranti problemi e incertezze”.

autodeterminazione terapeutica anche nelle scelte di fine vita219. Rimane, infatti, solamente “lambito” il delicatissimo tema dell’assistenza al suicidio e dell’eutanasia attiva, lasciandosi un grave vuoto che manifesta la sua drammatica problematicità alla luce delle più recenti vicende processuali e che richiederà verosimilmente - presto o tardi - un nuovo intervento legislativo.

CAPITOLO III

IL RIFIUTO DI CURE NON “LIFE SAVING”