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A più di trent’anni dai primi progetti ufficiali in tema di “eutanasia passiva”127 e dignità della vita nel suo “stadio terminale”, ha finalmente visto la luce la prima legge italiana sul fine vita: la l. n. 219 del 22 dicembre 2017, recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.

Nel corso delle legislature precedenti, infatti, si erano registrate iniziative parlamentari finalizzate ad introdurre una normativa sul tema del fine-vita. Il primo tentativo di legiferazione in materia di rifiuto di cure è stato il progetto Fortuna, rubricato “Norme sulla tutela della dignità della vita e disciplina dell’Eutanasia Passiva”, presentato alla Camera il 19 dicembre 1984. L’anno successivo, il 15 novembre 1985, fu presentato un disegno di legge da parte del deputato Del Donno, intitolato “Norme per la difesa della vita nel suo stadio terminale”. Nel 1987 le due proposte di legge vennero presentate nuovamente ma non ebbero sorte migliore. Nell’ultimo ventennio numerose sono state le proposte di legge affini, senza che tuttavia nessuna venisse approvata; tra queste iniziative quella che si avvicinò maggiormente al traguardo della promulgazione fu il progetto Calabrò, rubricato “Alleanza Terapeutica, il Consenso Informato e le DAT”, approvato dal Senato il 26

127 T. CHECCOLI, Profili costituzionali dell'eutanasia, in Atti di disposizione del proprio corpo, Napoli, 1983, p. 302: “all'interno dell'eutanasia terapeutica, si distingue solitamente fra eutanasia

attiva e passiva, definizione che, peraltro, pone diversi problemi, dal momento che essa stessa può essere intesa in più modi: si può fare riferimento all'attività del medico che causa la morte del paziente, o alla passività del medico che non impedisce il verificarsi della morte stessa; può però farsi riferimento, in modo ben diverso, anche alla condotta attiva o passiva del paziente stesso, che in un caso subirà la pratica eutanasica e nell'altro caso l'attuerà con le proprie forze”.

marzo 2009 ma emendato dalla Camera il 21 luglio 2011 e mai ulteriormente ratificato128.

Si tratta dunque di un provvedimento lungamente atteso, che unifica le molteplici proposte d’intervento su consenso informato, alleanza terapeutica e disposizioni anticipate di trattamento presentate nel corso della scorsa legislatura, segnando - anche nella prospettiva penalistica - una tappa rilevante nel cammino di valorizzazione della libertà di autodeterminazione nelle scelte terapeutiche.

Nell’ambito della discussione parlamentare hanno rivestito un ruolo decisivo da una parte la volontà di consacrare, per via legislativa, principi ormai consolidati nell’elaborazione giurisprudenziale, dall’altra il clamore mediatico che ha accompagnato i recenti casi di drammatica attualità e soprattutto la mutata sensibilità di gran parte del mondo cattolico, testimoniata da ultimo dalle parole pronunciate da Papa Francesco nel messaggio ai partecipanti al meeting regionale europeo della World medical association sulle questioni del fine-vita del 16 novembre. L’attenzione dei media si è polarizzata sullo “storico” riconoscimento per legge del c.d. “biotestamento”, eppure, esaminandone più analiticamente il testo, non si può non rilevare come vada ben oltre. La legge, infatti,- accolta per i suoi indubbi meriti dagli interpreti come "una buona legge buona"129- disciplina in modo chiaro ed efficace i diversi profili della relazione di cura130.

Segnatamente, il testo si compone di otto articoli e mira a disciplinare modalità di espressione e di revoca, legittimazione, ambito e condizioni del consenso informato e delle disposizioni anticipate di trattamento (di seguito anche DAT), di quelle disposizioni cioè con le quali il dichiarante enuncia, in linea di massima, i propri orientamenti sul "fine vita" nell’ipotesi in cui sopravvenga una perdita irreversibile della capacità di intendere e di volere.

E’ opportuno ricordare come prima di questa normativa non esisteva alcuna disposizione vigente nell’ordinamento italiano in merito al rapporto medico- paziente

128 D. CARUSI, Tentativi di Legiferazione in materia di “Testamento Biologico”. Contributo a un

dibattito da rianimare, Torino, 2016, 17

129 S.CANESTRARI, Consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento: una buona legge

buona, in Corr. giur., 2018, p. 302.

130 S.CANESTRARI, Una buona legge buona (ddl recante "norme in materia di consenso informato e

per ciò che concerne l’alleanza terapeutica e la possibilità del paziente di rifiutare o di chiedere al medico l’interruzione di un trattamento sanitario, anche “salva vita”. Altresì non veniva dato un valore legale alle c.d. “dichiarazioni anticipate di trattamento” in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi131. Una tale carenza normativa aveva reso particolarmente complesso il compito di ogni giudice che si fosse trovato ad esercitare il proprio ufficio in questioni bio- giuridiche così delicate. La giurisprudenza nell’ambito di tali fattispecie ha fatto ricorso ad un’attività ermeneutica dei principi costituzionali, delle norme civili e penali, delle Carte e Convenzioni internazionali, senza tuttavia riuscire a fornire una soluzione uniforme per i comportamenti attivi o omissivi posti in essere dal medico o dalla struttura medica al fine di attuare i desideri consapevoli del malato all’atto medico. La giurisprudenza è stata oscillante, essendo chiamata a ricercare il difficile equilibrio tra la rilevanza del bene vita e il pieno rispetto della libertà di autodeterminazione, ivi inclusa la possibilità di scegliere se sottoporsi o meno ai trattamenti sanitari.

I due fondamentali leading cases italiani in materia di decisioni sul fine vita sono rappresentati da un lato, dalla vicenda di Piergiorgio Welby, che ha affrontato il problema della richiesta, da parte dello stesso paziente, di interrompere i trattamenti sanitari deputati al suo mantenimento in vita; dall’altro lato, dal lungo e controverso iter giudiziario che ha infine portato la Cassazione ad autorizzare il distacco dei

131 Per le tematiche circa l'introduzione delle direttive anticipate di trattamento nell'ordinamento italiano cfr. G. IADECOLA, Note critiche in tema di testamento biologico, in RIML, 2003, 482 ss.; G. SPOTO, Direttive anticipate, testamento biologico e tutela della vita, in EDP, 2005, 192 ss.; G. ALPA, Il principio di autodeterminazione e le direttive anticipate sulle cure mediche, in RCDP, 2006, 94 ss.; L. EUSEBI, Note sui disegni di legge concernenti il consenso informato e

le dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, Criminalia, 2006, 251; C.CASINI-M. CASINI-DI PIETRO, Profili storici del dibattito italiano ed esame comparato dei disegni di legge

all'esame della XII Commissione (Igiene Sanità del Senato), in MMo, 2007, I, 19-60; TASSINARI, Gli

attuali progetti di legge sul così detto «testamento biologico»: un breve sguardo d'insieme, in Criminalia, 2006, 265-289; SESTA, Riflessioni sul testamento biologico, in FD, 2008, 407 ss.; AA.VV., Testamento biologico. Riflessione di dieci giuristi, a cura della Fondazione Veronesi, Milano, 2006; STANZIONE-SALITO, Testamento biologico, cure mediche e tutela della vita, I, 2007, 43; DE TILLA-MILITERNI-VERONESI, Il testamento biologico, Milano, 2007; FERRETTI-BELLOMO- GRATTAGLIANO, Il «contratto di Ulisse» considerazioni bioetiche in fatto di «direttive anticipate» e

psichiatria, RIML, 2008, 1009; CALÒ, Il testamento biologico tra diritto e anomia, Milano, 2008; PAONESSA, La disciplina delle direttive anticipate di trattamento: uno sguardo all'esperienza

presidi di sostegno vitale su richiesta del padre-tutore di Eluana Englaro, del tutto impossibilitata ad esprimersi, a causa del proprio stato vegetativo permanente132. Il presupposto di partenza, comune alle due sentenze che ad esso dedicano

ampio risalto, è costituito dal diritto di rifiutare le cure.

La Cassazione nel Caso Englaro richiama a tale proposito, come “legittimazione e fondamento del trattamento sanitario”, il consenso informato, la cui assenza rende l’intervento del medico “sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del pazient" e la cui necessità, discendente dagli artt. 2, 13 e 32 Cost. , trova riconoscimento nell’ art. 33 l. 23 dicembre 1978, n. 833, nell’art. 5 della Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina (Oviedo, 4 aprile 1977), nell’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Nizza, 7 dicembre 2000) e nell’art. 35 del codice di deontologia medica, i quali tutti confermano che “il consenso informato ha come correlato non solo la facoltà di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”133.

Analogamente si esprime il G.u.p. del Tribunale di Roma nel caso Welby, che attraverso i medesimi richiami normativi, nonché della giurisprudenza della Corte costituzionale, desume “con chiarezza che l’individuo può rifiutare trattamenti medici e la sua volontà consapevole deve essere rispettata anche quando il rifiuto riguardi terapie salvavita e tutto ciò vale non solo nel rapporto tra Stato e cittadini,

132 In entrambi i casi è da segnalare l'iniziale resistenza, da parte delle Corti di merito coinvolte, rispetto al riconoscimento del diritto all'autodeterminazione laddove fosse messa in pericolo la vita del paziente. A proposito del caso Englaro, si possono ricordare il decreto del Tribunale di Lecco nel quale si afferma che "l'art. 2 della Costituzione tutela il diritto alla vita come primo fra tutti i diritti

inviolabili dell'uomo, la cui dignità attinge dal valore assoluto della persona e prescinde dalle condizioni, anche disperate, in cui si esplica la sua esistenza"; e, ancora, nella pronuncia del luglio

2002, sempre il Tribunale di Lecco richiama il principio di "totale difesa della vita umana che non

concede spazio alla legittimità di contegni che, di fatto, portano alle conseguenze mortali. Per quanto

riguarda la vicenda processuale che ha coinvolto l'anestesista Mario Riccio nel caso Welby, può riportarsi il provvedimento, ampiamente criticato in dottrina, che rigetta la richiesta di archiviazione, con contestuale imposizione dell'imputazione contro il medico, sul presupposto che "il diritto alla vita,

nella sua sacralità, inviolabilità e indisponibilità, costituisca un limite per tutti gli altri diritti che, come quello affermato dall'art. 32 Cost., siano posti a tutela della dignità umana”.

ma anche tra privati ovvero tra il paziente e il suo medico, che dovrà attenersi alla volontà del malato come regola generale”134.

Tale enunciazioni sono condivisibili: se nessun trattamento sanitario può essere imposto "se non per disposizione di legge" ( art. 32, comma 2, Cost. ), ciascun individuo ha il diritto di rifiutare le cure e correlativamente l’obbligo giuridico incombente sul medico si determina solo in presenza e nei limiti del consenso prestato dal malato, salva la presumibilità di esso in situazioni di emergenza e in mancanza di una contraria manifestazione di volontà. Dinanzi all’alternativa tra un diritto di vivere e un dovere di curarsi, non possono dunque ammettersi esitazioni: in un sistema laico e pluralistico, a chiunque deve essere permesso di scegliere da sé la qualità della propria esistenza e la negazione di tale libertà, in nome di un’assoluta indisponibilità del bene della vita, rinvia a visioni integralistiche incompatibili con l’ispirazione personalistica posta a base della Costituzione e tendenti ad una strumentalizzazione dell’essere umano per l’affermazione di valori superiori135.

Né, al fine di contrastare la tesi appena enunciata, appare corretto il richiamo dell’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente), la cui interpretazione deve assumere come

134 Trib. Roma, 16.12.2006, in Corr. del merito, 2007, p. 461.

Vale la pena di ripercorrere, sia pure brevemente, alcuni passaggi fondamentali della sentenza con la quale il g.u.p. di Roma ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti dell'anestesista accusato di omicidio del consenziente per aver proceduto, su richiesta di Piergiorgio Welby, al distacco del ventilatore artificiale e ad un immediato intervento di sedazione.

Innanzitutto, una volta ribadita l'esistenza di un diritto di rango costituzionale all'autodeterminazione consapevole del paziente capace, il giudice ha affermato che tale diritto non può essere frustrato dall'esistenza di "disposizioni normative di fonte gerarchica inferiore a contenuto contrario", quali gli art. 5 cod. civ. e gli artt. 579 e 580 cod. pen., dal momento che esso "è ascrivibile tra i valori supremi

destinati a costituire la matrice di ogni altro diritto della persona, alla stregua del diritto alla vita".

Diritto all'autodeterminazione e diritto alla vita, quindi, "contribuiscono, entrambi e ognuno per la sua

parte, a costituire il nucleo fondamentale dei diritti della persona che il nostro ordinamento riconosce e tutela". È pur vero che, come ricorda il provvedimento, vengono comunemente attribuiti al diritto

alla vita i caratteri dell'inviolabilità e della indisponibilità: il primo inteso come limite verso l'esterno e il secondo come limite verso l'interno.

In particolare, nella sentenza si specifica che "l'inviolabilità costituisce quella tenace difesa che

l'ordinamento pone all'aggressione del diritto che possa provenire da persone diverse dallo stesso titolare - vengono, pertanto, sanzionate tutte le forme di soppressione della persona da parte di terzi nell'intera gamma contemplata negli artt. dal 575 al 580 del codice penale -; l'indisponibilità, invece, rappresenta quella difesa avanzata che l'ordinamento appronta anche contro lo stesso titolare del bene protetto". Allorquando, però, l'atto di rifiutare una terapia, suscettibile di provocare la morte,

viene effettuato nell'ambito del diritto all'autodeterminazione terapeutica, esso deve ritenersi consentito, in ossequio alle disposizioni costituzionali che attribuiscono alla persona la facoltà di scegliere in che modo disporre della propria salute e, di conseguenza, della propria vita, salvo il caso dei trattamenti sanitari obbligatori”.

limite "tacito" il precetto ex art. 32, comma 2, Cost. ovvero dell’art. 593 (omissione di soccorso) o dell’art. 54 c.p. (stato di necessità), essendo l’uno e l’altro preclusi dal dissenso dell’interessato, che vale a negare la sussistenza, nell’un caso, del dovere di prestare "l’assistenza occorrente" e, nell’altro caso, di una "necessità di salvare"136. In queste due fondamentali pronunce la giurisprudenza ha superato i tentennamenti e le ambiguità che hanno a lungo caratterizzato l’elaborazione dottrinale: il diritto di rifiutare le cure comprende il diritto di lasciarsi morire, mentre ogni sua esclusione o compressione - fermi restando i doveri sociali di assistenza e solidarietà - si risolve in un’inammissibile coercizione a curarsi e a vivere137.

In definitiva, il problema del riconoscimento del diritto a rifiutare le cure, investendo beni personali e di rango primario, si concretizza almeno in due diversi interrogativi con ricadute giuridiche distinte a seconda della prospettiva da cui ci si pone: quella del paziente o quella dell’operatore sanitario. Per quanto concerne la posizione del primo emerge la domanda se la sua richiesta libera ed informata avanzata al medico di rifiutare o di essere aiutato a porre termine ad una terapia, anche salva vita, sia legittima e abbia un valore vincolante. Per quanto concerne la posizione del secondo se, come non esiste un dovere del medico di non curare una persona contro la sua volontà, sia altrettanto possibile ritenere che non si ravvisi una sua responsabilità personale (o dell’équipe medica), nel momento in cui rimuove una terapia medica, anche salva vita, consapevolmente e liberamente non più accettata dal paziente.

La nuova legge cerca di fornire risposta a tali interrogativi, muovendosi nel perimetro già tracciato dalla giurisprudenza e codificando, pertanto, alcuni importanti principi già sanciti nelle aule di giustizia.

136 Si fa riferimento, in particolare, alla dottrina penalistica, della quale dà conto in senso critico E. PALERMO FABRIS, Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale, cit.. Cfr., tra gli altri, G. IADECOLA, Note critiche in tema di «testamento biologico», cit., p. 477; G. IADECOLA – F. FIORI,

Stato di necessità medica, consenso del paziente e dei familiari, cosiddetto diritto di morire, criteri per l'accertamento del nesso di causalità, in Riv. it. med. leg., 1996, 314; L. EUSEBI, Sul mancato

consenso al trattamento terapeutico: profili giuridico-penali, cit., p. 35.

137 S.SEMINARA, Le sentenze sul caso Englaro e sul Caso Welby: una prima lettura, in Dir. pen. proc., 2007, p. 1561.