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E’ arbitrario il trattamento compiuto contro la volontà, ossia l’intervento avvenuto senza il consenso o nonostante il rifiuto espresso del paziente. Infatti, “la mancanza del consenso (opportunamente ‘informato’) del malato o la sua invalidità per altre ragioni, determina l’arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza penale, in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo”87.

La qualificazione penalistica del trattamento medico-chirurgico arbitrario è oggetto di una vexata quaestio, in ragione dalla mancanza di una fattispecie incriminatrice ad hoc nell’ambito della quale ricomprendere le condotte del professionista sanitario, con conseguenti torsioni ermeneutiche delle fattispecie esistenti che si pongono in contrasto con il principio di stretta legalità. Il dibattito dottrinale e i contrasti giurisprudenziali88 sono di perdurante interesse anche dopo

86 F.GIUNTA, Diritto di morire e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 90; A.MANNA,

Trattamento sanitario arbitrario, in Ind. pen., 2004, p. 449; F.MANTOVANI, Diritto penale, Parte

speciale, cit., p. 56; A. VALLINI, Rifiuto di cure salvavita e responsabilità del medico, in Dir. pen.

proc., 2008, p. 68; F.VIGANÒ, Decisioni mediche di fine vita e attivismo giudiziale, in Riv. it. dir. proc.

pen., 2008, p. 1594.

87 Cass. pen., Sez. IV, 11 luglio 2001, Firenzani, in Cass. pen., 2002, p. 2041 s.; una presa di posizione così netta rappresenta il punto di approdo di un percorso iniziato dalla Cassazione già nel 1992 con la sentenza Massimo, nella quale già si riconosceva che «soltanto il libero consenso del paziente, quale manifestazione di volontà di disporre del proprio corpo, può escludere in concreto, in assenza di altre cause di giustificazione codificate, l'antigiuridicità della lesione procurata mediante trattamento medico-chirurgico». Concetto poi ripreso ed anzi evidenziato ancor più nella sentenza Barese del 2001 (Sez. IV, 9 marzo 2001, Barese, cit., p. 517), ove si rimarcava come «la mancanza del consenso (opportunamente "informato") del malato o la sua invalidità per altre ragioni determina l'arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e la sua rilevanza penale, in quanto compiuto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo», precisandosi altresì in motivazione che alla regola del necessario consenso della persona che deve sottoporsi al trattamento sanitario, fanno eccezione le ipotesi di trattamenti obbligatori ex lege, ovvero quelle in cui il paziente non sia in condizione di prestare il proprio consenso o si rifiuti di prestarlo e l'intervento medico risulti urgente e indifferibile. 88 La giurisprudenza - sia di merito che di legittimità - chiamata a pronunciarsi in materia di trattamento medico arbitrario è, infatti, pervenuta, nel corso del tempo relativamente a casi simili, a decisioni giudiziarie assolutamente difformi e contraddittorie.

Per un'analisi esaustiva delle principali soluzioni prospettate dalla giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità professionale in ambito sanitario, si rinvia a F. VIGANÒ, Profili penali

del trattamento chirurgico, cit., 141 s. Ci si limita, in questa sede, a ricordare che le tappe fondamentali

l’intervento a Sezioni Unite della Corte di Cassazione89, con cui la Suprema Corte ha escluso la rilevanza penale del trattamento senza consenso con esito fausto, per assenza di tipicità del fatto rispetto ai delitti di lesione personale e di violenza privata.

Sulla riconducibilità del trattamento sanitario arbitrario alla fattispecie di lesioni personali ex art. 582 c.p. si sono formati tre diversi orientamenti.

Secondo una prima tesi, un trattamento chirurgico eseguito leges artis non può mai configurare un fatto tipico di lesioni personali, indipendentemente dall’esito fausto o infausto del medesimo sulla base della c.d. autolegittimazione dell’attività medico chirurgica esercitata nel rispetto delle leges artis90.

Un secondo orientamento afferma la necessità di distinguere tra le ipotesi in cui il trattamento abbia avuto in concreto esito fausto o un esito infausto, ossia si sia risolto ex post in un miglioramento dello stato di salute del paziente, ovvero abbia cagionato un evento avverso consistente in un peggioramento dello stato preesistente o comunque un nuovo processo morboso o, addirittura, la morte del paziente.

In caso di esito fausto, una responsabilità per lesioni personali a carico del medico sarebbe in ogni caso da escludere già per difetto dell’estremo oggettivo della causazione di una malattia, a prescindere dunque da una verifica del rispetto delle leges artis o dei presupposti di liceità del trattamento in relazione alle ragioni di tutela dell’autodeterminazione del paziente91.

In caso di esito infausto, invece, il medico avrebbe effettivamente cagionato una malattia (o aggravato la malattia preesistente), realizzando gli estremi oggettivi dei

di trattamento medico arbitrario con esito infausto sono rappresentate dalle note pronunce Cass., Sez. V, 21 aprile 1992, (ric. Massimo), in Cass. pen., 1993, 63-69, con nota di G. MELILLO, Condotta

medica arbitraria; in Riv. pen., 1993, 42-47; Cass., Sez. IV, 9 marzo 2001, (ric. Barese), in Cass. pen.,

2002, 517-533, con nota di G. IADECOLA, Sulla configurabilità del delitto di omicidio

preterintenzionale in caso di trattamento medico con esito infausto, praticato al di fuori dell'urgenza e senza consenso del paziente, cit.; Cass., Sez. IV, 11 luglio 2001, (ric. Firenzani), in Cass. pen., 2002,

2041, con nota di G. IADECOLA, Sugli effetti penali della violazione colposa delle regole del consenso

nell'attività chirurgica, cit.; Cass., Sez. I, 29 maggio 2002, (ric. Volterrani), in Riv . it. dir. e proc. pen,

2003, 604, con nota di G. IADECOLA, Intervento chirurgico con esito infausto: non ravvisabilità

dell'omicidio preterintenzionale nonostante l'assenza di un consenso informato, cit.; in Cass. pen.,

2003, 2659-2668, con nota di G. IADECOLA, Ancora in tema di rilevanza penale del consenso (e del

dissenso) del paziente nel trattamento medico chirurgico.

89 Cass. pen., S.U., 18-12-2008, n. 2437, cit., , chiamata ad esprimersi su di un caso di salpingectomia con asportazione della tuba sinistra della paziente che prestava il consenso al solo intervento di laparoscopia operativa (pur senza manifestare dissenso ad eventuale intervento più invasivo). 90 V. nota 44.

91 M. PELLISSERO, L’intervento medico in assenza di consenso: riflessi penali incerti e dilemmi etici, in Dir. pen. proc., 2005, p. 372.

delitti di lesioni personali o, nell’ipotesi letale, dell’omicidio. Il problema della responsabilità penale deve risolversi, in questi casi sul piano dell’elemento soggettivo. Più in particolare si ritiene che un addebito dell’evento a titolo di dolo (o di preterintenzione nel caso dell’omicidio) sia senz’altro da escludere, sin tanto che il medico abbia agito con una finalità terapeutica (e dunque con l’intento di giovare alla salute del paziente); mentre la sua responsabilità a titolo di colpa dipenderà dalla possibilità, secondo i principi generali, di ravvisare una qualche violazione delle leges artis92.

L’impostazione in parola, pertanto, giunge ai medesimi risultati pratici cui perviene la prima tesi, sia pure in forza di un diverso inquadramento sistematico: il trattamento eseguito in conformità alle leges artis è sempre penalmente irrilevante (perché non produttivo di una malattia o perché l’evento avverso cagionato dal medico non è da lui voluto, né gli è rimproverabile a titolo di colpa), indipendentemente dalla presenza o assenza dei presupposti di liceità del trattamento e, segnatamente, dal consenso informato del paziente o del suo legale rappresentante i quali non giocano alcun ruolo nella valutazione penalistica del fatto.

Secondo una diversa impostazione, invece, si ritiene che in caso di esito infausto il medico debba rispondere per lesioni personali colpose (o eventualmente di omicidio colposo), non solo nell’ipotesi in cui abbia violato le regole tecniche dell’arte medica, ma anche in quella in cui abbia agito in assenza dei presupposti di liceità del suo intervento e, segnatamente, in assenza del consenso informato del paziente. L’aver agito in assenza di tali presupposti sarebbe, dunque, sufficiente a fondare una responsabilità per colpa anche laddove non sia possibile formulare alcun rimprovero di imprudenza, negligenza o imperizia a carico del medico93.

La tesi viene motivata con l’ausilio della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento: il rispetto della regola che impone al medico l’acquisizione del consenso informato del paziente delimiterebbe, assieme al rispetto delle leges artis, un’area di

92 G. CANZIO, Trattamenti terapeutici e responsabilità penale, in Dir. pen. proc., 2001, p. 667; F. GIUNTA, Il consenso informato all'atto medico, cit., 401. Verosimilmente in questo senso Cass. pen., 9 marzo 2001, ric. Barese, nella quale la S.C. confermò una condanna per omicidio colposo a carico di un medico che aveva cagionato la morte di un paziente attraverso una condotta operatoria eseguita in violazione delle leges artis.

93 P.VENEZIANI, I delitti contro la vita e l'incolumità individuale, Tomo II, in Trattato Marinucci-

rischio consentito inerente al legittimo esercizio della professione medica, che coprirebbe anche le conseguenze avverse e indesiderate del trattamento. Laddove invece il trattamento venga praticato al di fuori di quest’area di rischio consentito – come per l’appunto nell’ipotesi in cui venga violata la regola della previa acquisizione del consenso informato, in assenza delle situazioni eccezionali che consentano al medico di prescinderne- l’evento avverso derivato dal trattamento dovrebbe essere imputato al medico sul piano oggettivo: non potendosi peraltro ritenere che il medico abbia voluto produrre tale evento, il titolo di imputazione soggettiva non potrà che essere la colpa, fondata sulla violazione alternativamente, delle leges artis ovvero degli ulteriori presupposti di liceità del trattamento94.

Secondo il terzo e ultimo orientamento, variamente sostenuto in dottrina e in giurisprudenza, dovrebbe ritenersi che ogni trattamento medico, in specie chirurgico, dal quale scaturisce un’apprezzabile alterazione funzionale dell’organismo integri gli estremi oggettivi e soggettivi del delitto di lesioni personali dolose, anche laddove il medico abbia rispettato le leges artis e a prescindere dalla circostanza che abbia avuto esito fausto o infausto95.

Sul piano oggettivo, la tesi ritiene che gli effetti della quasi totalità dei trattamenti medici sull’organismo del paziente integrino di per sé la nozione di malattia ai senso delle norme in materia di lesioni personali. Sul piano soggettivo, d’altra parte, il medico sa perfettamente che il proprio intervento produrrà tali risultati e vuole che si producano, sia pure in vista di un miglioramento della salute del paziente.

La responsabilità penale del medico è - secondo tale tesi - esclusa dalla presenza della causa di giustificazione del consenso informato del paziente o del suo legale rappresentante, o comunque dalla presenza di uno degli ulteriori presupposti di liceità funzionali alla tutela del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica, che assicurano la liceità dell’agire del medico anche nell’ipotesi in cui dal trattamento

94 Ibidem. Contra, in dottrina R.BLAIOTTA, Profili penali della relazione terapeutica, in Cass. pen., 2004, p. 3599; G.FIANDACA, Luci e ombre nella pronuncia a Sezioni Unite sul trattamento medico

chirurgico arbitrario,cit.; F.VIGANÒ, Profili penali del trattamento medico-chirurgico eseguito senza

il consenso del paziente, cit., p. 184.

95 R.BLAIOTTA, Profili penali della relazione terapeutica, cit., p. 3608; E. PALERMO FABRIS, Diritto

alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale, cit., p. 73; F. VIGANÒ, Profili penali del trattamento chirurgico eseguito senza il consenso del paziente, cit., p. 189; ID., Omessa acquisizione

del consenso informato del paziente e responsabilità penale del chirurgo: l’approdo (provvisorio?) delle sezioni unite, in Cass. pen., 2009, p. 1811. Nel medesimo senso in giurisprudenza la sentenza

conseguano eventi avversi indesiderati, salva una sua eventuale responsabilità per colpa nel caso di violazione delle leges artis. Nell’eccezionale ipotesi, però, in cui il medico non sia coperto da alcuna giustificazione, questi dovrà risponderne penalmente a titolo di lesioni personali dolose. Si configurerebbe, invece, una mera responsabilità per lesioni personali colpose ex art. 59 comma 4, allorché il medico si rappresenti erroneamente e colposamente la sussistenza di tali presupposti di legittimità, ovvero ritenendo per errore dovuto a colpa di avere fornito tutte le informazioni rilevanti al paziente che abbia espresso, in realtà, un consenso invalido, o ancora, ex art. 55 c.p., allorché il medico ecceda colposamente dai confini segnati al suo intervento dai presupposti di liceità in concreto ricorrenti96.

È evidente come, rispetto ai precedenti orientamenti, quest’ultimo assegna ai fini della responsabilità penale del medico un rilievo decisivo alla presenza o assenza di presupposti di liceità del trattamento e, segnatamente, del consenso informato del paziente o del suo legale rappresentante: né il rispetto delle leges artis, né l’esito fausto del trattamento potrebbero di per sé escludere la responsabilità del medico per il delitto di lesioni personali dolose, i cui estremi ricorrono ogniqualvolta sia posto in essere un trattamento dotato di un apprezzabile impatto sull’organismo del paziente.

In realtà, con riferimento al delitto di lesioni personali, il reale nodo del contendere concerne la sussumibilità del trattamento chirurgico eseguito leges artis entro la stessa fattispecie oggettiva descritta dall’art. 582 c.p. Posto che la norma in questione non si accontenta della causazione di una mera lesione, intesa etimologicamente quale “taglio”, “rottura” dei tessuti (evento, questo, che secondo l’interpretazione unanime non è nemmeno necessario a costituire il delitto, ma richiede altresì la verificazione di un evento finale descritto in termini di “malattia nel corpo o nella mente”, è evidente che il vero problema consiste nel valutare se l’intervento chirurgico produca o non - sul piano oggettivo- un evento suscettibile di essere definito, per l’appunto, in termini di “malattia”97.

La possibilità di sussumere il trattamento sanitario eseguito senza o oltre il consenso del paziente sotto l’art. 610 c.p., sostenuta da parte della dottrina penalistica,

96 R.BLAIOTTA, Profili penali della relazione terapeutica, cit., p. 3612.

97 F.VIGANÒ, Omessa acquisizione del consenso informato del paziente e responsabilità penale del

muove, invece, dal presupposto secondo cui la condotta arbitraria del medico non offende tanto l’integrità fisica della persona, quanto piuttosto la sua libertà morale98.

Variegate anche in questo caso sono le posizioni degli interpreti che ammettono tale possibilità: se, all’inizio del secolo scorso, sotto la vigenza del codice Zanardelli, autorevole dottrina prospettava come rilevante solo la condotta del medico che praticasse l’anestesia, avendo previamente deciso di eseguire sul paziente un trattamento diverso da quello acconsentito99; in tempi relativamente recenti si è affermato che già integri l’art. 610 c.p. la condotta del chirurgo che, senza necessità, muti in itinere il programma operatorio stabilito, essendo irrilevante il momento in cui si colloca la decisione di modifica100.

Con riferimento, in particolare, al requisito della violenza richiesto dalla fattispecie, differentemente da quanto avviene nella minaccia (idonea ad alterare la capacità decisionale della persona), la condotta del soggetto attivo non si porrebbe in relazione con la sfera volitiva della vittima, ma direttamente con il fare, tollerare, omettere alla stessa imposti; più precisamente, il tollerare, cioè il comportamento indotto nel malato dalla violenza del chirurgo, non richiederebbe soggettivamente la cosciente coartazione della volontà, dovendosi intendere il pati della vittima, in senso oggettivo, come il soggiacere al fatto altrui arbitrario101. Il dolo della violenza, infine, sarebbe integrato, nei suoi elementi di rappresentazione e volizione, ogniqualvolta il

98 Così già F. GRISPIGNI, La responsabilità La responsabilità penale per il trattamento medico-

chirurgico "arbitrario", estratto da La Scuola Positiva nella dottrina, giurisprudenza, legislazione,

1914, n. 8-10, p. 12; G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, p. 263; di recente, tra gli altri, L. EUSEBI, Sul mancato consenso, cit., 729; G. IADECOLA, Sugli effetti penali, cit., p. 2050.

99 Cfr. F. GRISPIGNI, La responsabilità, cit., in particolare pp. 38-39, ove si esclude che la modifica dell'intervento decisa dal medico in fase esecutiva integri la violenza privata, dal momento che il soggetto passivo già si trova in stato di incapacità. L'Autore scrive sotto la vigenza del codice Zanardelli, ove il delitto de quo era previsto all'art. 154.

100M. MANTOVANI, Violenza privata, in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, pp. 951-952, aderisce alla tesi del Grispigni, ma ritiene che vi sia violenza privata anche nel caso in cui il medico decida senza necessità terapeutica di modificare l'intervento in corso d'opera. L. EUSEBI, Sul mancato consenso, cit., p.p. 729-730, normalmente considerato un sostenitore dell'applicabilità dell'art. 610 c.p., più che sposare la tesi della violenza privata, critica la decisione della Cassazione “Massimo” del 1992 e, nel fare ciò, afferma che il trattamento arbitrario sarebbe eventualmente qualificabile come violenza privata, pur sussistendo difficoltà nell'interpretazione del concetto di violenza e di violenza impropria. A proposito dell'applicabilità dell'art. 610 c.p., in termini meno problematici, cfr. G. MELILLO,

Condotta medica arbitraria e responsabilità penale, in Cass.pen, 1992, pp. 65-68, 67 e G. IADECOLA,

Sugli effetti penali, cit., pp. 2049-2050.

101 S. MARRA, Ritorno indietro di dieci anni sul tema del consenso del paziente nell'attività medico-

chirurgo imponga consapevolmente al paziente un trattamento privo di consenso102; ove da quest’ultimo sia derivata morte o lesione del paziente, si applicherebbe l’art. 586 c.p..

Rispetto alla fattispecie di violenza privata si sono posti agli interpreti fondamentalmente due problemi.

Il primo concerne l’individuazione della condotta violenta. Si potrebbe anzitutto ipotizzare che lo stesso atto operatorio in sé considerato (l’incisione dei tessuti, la resezione della parte malata) valga come condotta “violenta”103: e ciò sulla base di una nozione per così dire “naturalistica” di violenza, intesa come esplicazione di energia fisica sul corpo104. Il problema è però che, nell’economia della fattispecie di cui all’art. 610 c.p., la “violenza” e la “minaccia” sono connotati alternativi di una condotta che deve atteggiarsi a mezzo per la realizzazione di un evento ulteriore: la costrizione della vittima a (fare, omettere o) tollerare qualcosa. Ma questo “qualcosa”, nell’ipotesi in esame, non potrebbe essere che la stessa operazione; onde condotta violenta ed evento di “costrizione a tollerare” verrebbero qui a coincidere105. La condotta violenta potrebbe allora essere identificata, secondo alcuni interpreti, nella previa narcotizzazione del paziente: la causazione di uno stato di incapacità del paziente, comunque realizzata, possa essere qualificata come condotta “violenta”106; e ciò anche se, come di regola avviene nei casi all’esame, il paziente abbia previamente consentito a tale condotta. Ciò in quanto la nozione di “violenza” non sembra necessariamente presupporre, come invece opinano la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria nel nostro Paese, alcun necessario momento coattivo: una violenza, intesa come fatto offensivo della vita o dell’integrità fisica della vittima, resta tale anche se consentita da quest’ultima107.

L’ostacolo principale, però, rispetto all’applicazione del delitto di cui all’art. 610 c.p. è stato individuato non tanto nel requisito della violenza, quanto nell’altro requisito di fattispecie, rappresentato dall’evento di costrizione. Un problema

102L. EUSEBI, Sul mancato consenso, cit., p. 730. 103 M. MANTOVANI, Violenza privata, cit., p. 952.

104 Sul complesso e controverso concetto di violenza, si rinvia a F. VIGANÒ, La tutela penale della

libertà individuale, I. L'offesa mediante violenza, Milano, 2002.

105 F.VIGANÒ, La tutela penale, cit., p. 21 ss. 106 Ibidem, p. 281 ss..

“classico” in tema di delitti contro la libertà è se essi possano essere commessi nei confronti di una persona che versi in stato di completa incoscienza108.

A fronte di un tale ginepraio di orientamenti, per dirimere il contrasto tra le opzioni interpretative che aveva a sua volta generato contrapposti orientamenti nella giurisprudenza sia di legittimità che di merito, sono intervenute nel 2008 le Sezioni Unite109. Il Supremo Collegio ha enunciato due principi: l’evento “malattia” deve essere interpretata in termini funzionali, mentre il concetto di “violenza” deve essere inteso come “aggressione fisica”, e consistere in una condotta logicamente distinguibile dall’evento costrittivo che ne consegue.

Più nello specifico, con riferimento al reato di lesioni, le Sezioni Unite hanno precisato che la “malattia” di cui all’art. 582 c.p. non può più essere intesa al modo di “qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo, ancorché localizzata e non influente sulle condizioni organiche generali”.

Difatti, con l’introduzione dell’art. 32 Cost., l’oggetto giuridico del reato in parola deve essere individuato nel bene dinamico della salute e non più in quello statico dell’integrità fisica, la quale peraltro mal si presta a essere adoperata in caso di malattie che abbiano a che fare con la psiche dell’offeso. Si opta dunque a favore della nozione medico legale di malattia, intesa quale “processo patologico evolutivo necessariamente accompagnato da una più o meno rilevante compromissione dell’assetto funzionale dell’organismo”110.

Più articolato, invece, è il ragionamento effettuato sulla violenza privata. Rispetto a tale fattispecie sono due le acquisizioni fondamentali raggiunte delle