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6. I c.d “diritti infelici” approdano alla Corte Costituzionale

6.1 La parola alla Consulta

Con la questione sollevata, nonostante le criticità espresse in dottrina279, la Corte costituzionale ha dinanzi a sé finalmente l’occasione di confermare il suo ruolo di garante della Costituzione anche nell’ambito dei diritti legati alle scelte di fine vita, in cui sinora, per ragioni diverse, delle quali in questa sede non è possibile dare conto, non è mai entrata280.

Nonostante il riconoscimento del diritto al consenso informato alle cure, proclamato in termini molto solenni e netti nella sent. n. 438 del 2008281, abbia posto in risalto la matrice comune agli artt. 13, sulla libertà personale, e 32, che sancisce il diritto di autodeterminarsi nelle scelte sanitarie, manca infatti una decisione costituzionale che porti a compimento l’attuazione di tali norme costituzionali anche nel caso di soggetti che, per circostanze di fatto legate alla loro malattia, non siano in

278 M.D’AMICO, Scegliere di morire degnamente e aiuto al suicidio, cit., p. 743.

279 In particolare, critici sono i due illustri costituzionalisti come Roberto Bin e Giovanni Maria Flick i quali, nel sottolineare l’importanza di un intervento del Legislatore sul punto, hanno manifestato una certa perplessità sull’opportunità di rimettere la questione alla Corte Costituzionale. Il primo ha avuto modo di scrivere che, ferma restando la diversità (anche in termini di gravità) tra le condotte sanzionate dall’art. 580 c.p., la soluzione più probabile è che la Corte risponda che “spetta al giudice penale

distinguere le due ipotesi e valutare la gravità dell’“aiuto” prestato al suicida” e che, trattandosi di

questione squisitamente politica, “cambiare la legge penale, così come è scritta, spetta al legislatore,

che di scrivere le leggi ha appunto il compito” (R.BIN, Cappato, il Governo, la Corte Costituzionale

e le false notizie, in www.lacostituzione.info, 4 aprile 2018). Il secondo, nel corso di un’intervista, ha

esplicitamene fatto proprie le critiche prima sintetizzate affermando che “i giudici potevano tentare di

interpretare come è già successo altre volte, ad esempio a Vincenza il 2 marzo 2016. In quella occasione i giudici dissero che accompagnare una persona in Svizzera è una semplice assistenza in nome della solidarietà. Accompagnare non integra quindi la condotta, penalmente rilevante, dell’agevolazione. Ecco perché dico che quel vuoto deve essere colmato dal Parlamento che ripeto, deve chiarire una volta per tutte il problema di se e come coinvolgere una terza persona. Le norme si dichiarano incostituzionali solo quando non consentono un’interpretazione conforme alla Costituzione; non quando consentono una interpretazione in contrasto con essa” (G.M.FLICK, Serve

una legge per chi vuole suicidarsi e non può farlo da solo, in www.gmflick.it).

280 In merito all'assenza della Corte costituzionale nel noto caso Englaro sia consentito rinviare a M. D'AMICO, I diritti contesi, cit..

grado di attuare autonomamente la volontà di porre termine alla loro vita e rimangano dunque prigionieri di una situazione di fatto incompatibile con la loro concezione di “vita degna”.

In realtà, l’intervento della Corte costituzionale in questo delicatissimo terreno potrebbe prestare il fianco alla critica di invadere la intangibile sfera di discrezionalità spettante al Parlamento nelle scelte di politica criminale.

La Corte costituzionale, sarà quindi chiamata a definire se il dato legislativo possa essere interpretato conformemente alla Carta fondamentale e ai suoi principi o se si scontri, proprio alla luce di questi ultimi, con la configurazione di un diritto di morire, la cui tutela effettiva dovrà essere rimessa (come è avvenuto nel caso della desistenza terapeutica) al legislatore.

Secondo parte della dottrina una riforma del testo dell’art. 580 c.p. nella fattispecie agevolativa appare indispensabile per il superamento dell’evidente irragionevolezza di equiparazione sanzionatoria con le condotte di determinazione e rafforzamento dell’intento suicidario, irragionevolezza che appare non superabile praticando l’iter adottato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 236/2016 dichiarativa della illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 567 c.p. con riferimento alla alterazione di stato per la manifesta irragionevolezza di cui al comma 1282, in quanto nell’art. 580 c.p. manca il tertium comparationis sanzionatorio cui la Consulta aveva potuto fare riferimento, sicché si impone un intervento legislativo. E soprattutto una riforma dell’art. 580 c.p. si impone sia per differenziare la posizione del malato rispetto a quella di qualsiasi altro soggetto che viene protetto dalle norme a tutela della vita con riferimento ad una scelta suicidaria sostenuta da motivi non sanitari (economici, sentimentali, politici, ecc.), sia per assicurare ai terzi non medici, esclusi dalle guarentigie degli artt. 1, comma 6 e 4, comma 5, della legge 219/2017 espressamente riservate ai soli medici che si adoperano per aiutare il paziente nell’esercizio del suo diritto di autodeterminazione terapeutica, un

282 Dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell’art. 567, comma 2, c.p., nella parte in cui prevede per “chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false

certificazioni, false attestazioni o altre falsità” la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque a un massimo di quindici anni, anziché la pena edittale della reclusione da un minimo di tre a un massimo di dieci anni prevista dal comma 1 per “chiunque, mediante la sostituzione di un neonato, ne altera lo stato civile”.

riferimento normativo inequivoco in punto di conseguenze eventualmente penali del proprio operato283.

Secondo un diverso orientamento, un’ulteriore soluzione ipotizzabile “in via interpretativa” è quella che, anziché dirigersi al concetto di suicidio, si rivolga direttamente alla condotta di aiuto: la Corte costituzionale potrebbe ritenere infondata la questione interpretando restrittivamente l’espressione “ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione”: non si tratterebbe, cioè, di qualsiasi contributo materiale offerto al progetto suicidario, ma solo di quelle condotte direttamente e strumentalmente connesse all’attuazione materiale del suicidio, come del resto sostenuto già dalla giurisprudenza di merito284.

La clausola generale “in qualsiasi modo”, in effetti, si riferisce pur sempre all’esecuzione del suicidio, lasciando fuori la fase che potrebbe definirsi meramente preparatoria: a quest’ultima sarebbero riconducibili, per esempio, la ricerca e la raccolta di informazioni sulle soluzioni cui l’aspirante suicida potrebbe fare ricorso, condotte che, nella vicenda relativa alla morte di Fabiano Antoniani, sono state poste in essere anche dalla fidanzata Valeria Imbrogno, che pure si era adoperata per dissuadere il compagno dal suo proposito. Nella fase meramente preparatoria, inoltre, potrebbero collocarsi anche quelle condotte che, come il materiale accompagnamento in Svizzera dell’aspirante suicida, la già citata giurisprudenza di merito ha definito “essenzialmente neutre, perché del tutto fungibili”, in quanto, lungi dal facilitare l’esecuzione “in senso stretto” del proposito suicidario, si collocano in una fase (anche cronologicamente) precedente e risultano quindi prive di quel nesso di diretta strumentalità rispetto al suicidio. 285

Con una sentenza interpretativa di rigetto, dunque, la Corte costituzionale potrebbe sbarrare la via a letture troppo ampie dell’art. 580 c.p., senza però giungere a dichiararlo costituzionalmente illegittimo nella parte relativa alle condotte di mero aiuto materiale.

283 P. FIMIANI, Le responsabilità penali nelle scelte sul fine vita in attesa della Corte Costituzionale

nel Caso Cappato, cit.

284 Trib. Vicenza, 2 marzo 2016, cit.

285 A.MASSARO, Il caso Cappato di fronte al giudice delle leggi: illegittimità costituzionale dell’aiuto

Si tratta di una lettura che non realizzerebbe in maniera completa quel cambio di prospettiva relativo al bene giuridico tutelato (dalla vita alla libertà di autodeterminazione) auspicato dall’ordinanza di rimessione. Neppure possono negarsi le evidenti difficoltà che deriverebbero dalla distinzione tra la fase meramente preparatoria e quella strettamente esecutiva del suicidio286, come del resto dimostra la lunga esperienza relativa al delitto tentato. La lettura restrittiva, nondimeno, avrebbe il pregio di assicurare una lettura della fattispecie più conforme ai principi di determinatezza e di offensività287.

In definitiva, la vicenda di Marco Cappato mostra le difficoltà che gli interpreti si trovano ad affrontare nell’applicazione di una norma di cui difficilmente si riesce oggi a individuare una ratio coerente con i principi e con l’evoluzione del quadro valoriale di riferimento, e dovrebbe costituire monito per il legislatore a intervenire per riportare a razionalità un aspetto cruciale dell’intero sistema di tutela della vita umana, per ora solamente lambito e rimasto al margine anche del più recente intervento normativo.

286 Le criticità relative a una soluzione di questo tipo sono chiaramente evidenziate da R.OMODEI,

L’istigazione e aiuto al suicidio tra paternalismo e utilitarismo: una visione costituzionalmente orientata dell’art. 580 c.p., in dirittopenalecontemporaneo.it, p. 147. Contrario alla lettura in questione

anche F.MANTOVANI, Suicidio assistito: aiuto al suicidio od omicidio del consenziente?, cit., pp. 38- 39, secondo il quale, più che a un’interpretazione restrittiva, si sarebbe di fronte a un’interpretazione abrogativa.

287 A.MASSARO, Il caso Cappato di fronte al giudice delle leggi: illegittimità costituzionale dell’aiuto

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

La l. 219/2017 rappresenta un passo necessario nell’evoluzione della regolamentazione del rapporto medico-paziente che, soprattutto con riferimento alla complessa questione del rifiuto di cure e delle scelte legate al fine vita, deve sottrarsi a polemiche e dubbi giuridici, in ossequio al principio di certezza del diritto.

Dopo decenni di tentativi, caratterizzati da aspri conflitti giuridici ed etici, sembrava dunque indispensabile per il nostro Paese l’introduzione di una legge che offrisse delle risposte alle richieste di una società moderna in materia di cure, ponendosi alla pari con le normative comunitarie e codificando i principi già espressi a livello giurisprudenziale.

Tuttavia, la novella, pur apprezzabile per i significativi passi in avanti compiuti con l’introduzione delle D.A.T. e il riconoscimento normativo del diritto a rifiutare le cure “salvavita”, con conseguente esenzione da ogni responsabilità per il medico, lascia prive di un’adeguata regolamentazione ipotesi in cui il rifiuto non riguardi cure “quoad vitam”.

Un tale vuoto normativo non appare - a parere di chi scrive - ragionevole in quanto realizza un’ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti a discapito di chi si trovi a vivere la propria vita sopportando atroci sofferenze e non sia in grado di “lasciarsi morire”, se non con l’aiuto di terzi. D’altra parte, però, non si può non evidenziare come la tipizzazione dell’intervento del terzo per finalità umanitarie possa rischiare di aprire la porta ad una forma di eutanasia generale, aprendo la strada

ad interventi sulla vita del singolo animati da altri tipo di ragioni: famigliari, ereditari o di economia generale.

Il tema, pertanto, come tutti quelli che afferiscono alla “bioetica” è estremamente complesso e, sicuramente, richiederà un nuovo intervento del legislatore. Nell’attesa, però, non appare inopportuno il coinvolgimento della Corte Costituzionale, il cui intervento non risulta in contrasto con i principi che regolano le questioni di legittimità costituzionale sollevate in via incidentale e si è reso ormai non più procrastinabile, alla luce della perdurante inerzia del Parlamento in materia.

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