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Nell’esaminare il testo degli 8 articoli che compongono la legge, ci si rende subito conto di come il legislatore abbia sentito l’esigenza di far precedere all’intervento mirato sul “fine-vita”, un chiarimento normativo, o, per meglio dire, una primaria statuizione sul nodo Gordiano del consenso informato. Di questo il legislatore si fa apertamente carico, già nel titolo di rubrica assegnato all’articolato che riporta il consenso informato stesso come contenuto primario e preliminare. Il legislatore comprende che per la regolamentazione della questione del fine-vita è imprescindibile una normazione del consenso informato sulla scorta dei principi costituzionali.

Come già si è ampiamente affermato, non mancano riferimenti al consenso informato in molte leggi e decreti di area sanitaria, ma tra tutti non si esprime mai una definizione generale globalmente applicabile né una adeguata caratterizzazione, ed in ciascuno di essi il concetto resta rigorosamente limitato allo specifico contesto di riferimento, che si tratti di trapianto d’organo, emotrasfusione, procedure di procreazione medicalmente assistita o altro.

Nonostante il consenso informato costituisca il momento fondamentale di legittimazione dell’attività medica, non aveva ancora trovato - fino al più recente intervento- una collocazione codicistica o normativa privilegiata all’interno del sistema giuridico italiano, supplendo in tal senso gli artt. 2,13 e 32 della Costituzione e l’art. 3 della Carta di Nizza, nonché la Convenzione di Oviedo.

Proprio a questi principi rimanda esplicitamente il comma 1, art. 1, che intende colmare il vuoto normativo di cui si è detto richiamandosi ad un filone giurisprudenziale ormai consolidato: “La presente legge, nel rispetto dei princìpi di cui agli articoli 2,13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1,2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. Nel suddetto comma viene affermata la necessità del consenso informato affinché un trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito, ad eccezione dei

casi in cui la legge prescriva l’obbligatorietà, come previsto, appunto, nella carta costituzionale. La conferma di questa precipua concezione giuridica, ovvero dell’affermazione del consenso libero e informato come principio piuttosto che come atto stricto sensu, si ritrova nel comma successivo, nell’ambito del quale gli è attribuita la valenza fondativa della “ relazione di cura tra paziente e medico”138. La relazione tra medico e paziente è definita come una relazione di cura e di fiducia che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano, da un lato, l’autonomia decisionale del paziente e, dall’altro, la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico di esercitare liberamente la professione. A tale relazione contribuiscono, in base alle rispettive prerogative, gli eventuali esercenti una professione sanitaria che compongono un’équipe e, qualora il paziente lo desideri, i familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo a tale relazione contribuiscono, in base alle rispettive prerogative, gli eventuali esercenti una professione sanitaria che compongono un’équipe e, qualora il paziente lo desideri, i familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo.

È opportuno soffermarsi sulle scelte lessicali di questo passaggio per sottolineare come il legislatore abbia voluto dichiaratamente prendere posizione nell’evoluzione storica e sociologica del rapporto medico-paziente. Si riconosce non solo come anacronistica ma giuridicamente illegittima una condotta professionale paternalistica, e, pur nella paritarietà del rapporto, si preferisce nominare primariamente il paziente proprio a rimarcare, apparentemente, la sua focalità, per non dire centralità o preponderanza nella cura. Nella relazione, infatti, devono trovare adeguata rappresentazione le autonomie di ciascuno, quella decisionale, generica, del paziente, e quella professionale, specifica, del medico139.

La scelta del legislatore in tema di consenso informato è ricaduta sulla stessa dizione di “relazione medico-paziente” piuttosto che di “alleanza terapeutica”,

138 R.LA RUSSA , R.V.VIOLA , N.DI FAZIO ,V.FAZIO, A. QUATTROCCHI, D.LISI,P. FRATI ,V. FINESCHI, Consenso informato e DAT (Disposizioni anticipate di trattamento): momento legislativo

innovativo nella storia del biodiritto in Italia, in Resp. Civ. prev., 2018, p. 355.

locuzione mutuata dalla psicoterapia, come era previsto, invece, in alcune proposte esaminate dalle Commissioni140. Con “alleanza terapeutica”, termine introdotto nel 1979 dal Prof. Edward Bordin, si vuole indicare una dimensione interattiva riferita alla capacità di paziente e terapeuta di sviluppare una relazione basata sulla fiducia, il rispetto e la collaborazione e finalizzata ad affrontare i problemi e le difficoltà del paziente141. Al riguardo alcuni commentatori hanno ipotizzato che il legislatore abbia “rigettato tale visione per non escludere totalmente la sua stessa funzione dal campo di interesse. Quasi che un assetto di ‘alleanza’ implicasse necessariamente la presenza di un’avversità esterna che, nel contesto di una legiferazione sui diritti intorno al fine-vita, non fosse rappresentata dalla malattia ma dai vincoli che lo Stato si riserva il diritto di fissare per impedire una deriva del tutto libertaria”142.

Il comma 3 dell’art. 1, esplicita il diritto del paziente d’essere informato in modo esauriente e comprensibile, assumendo rilievo il diritto del paziente ad avere piena contezza dei termini in cui la relazione con il sanitario è orientata alla ricerca della migliore opzione terapeutica a favore della sua salute. In particolare, si forniscono le specifiche del contenuto dell’informazione alla base del consenso. L’informazione che il medico deve fornire all’assistito, affinché ne sia garantito un suo diritto, deve essere completa, aggiornata e comprensibile in quanto solo in questo modo il consenso fornito dal paziente può essere detto consapevole e libero. L’informazione che il medico fornisce all’assistito deve riguardare ogni aspetto del suo quadro clinico, quindi la diagnosi, la prognosi, i benefici e i rischi del trattamento indicato, le possibili alternative, e le conseguenze di un eventuale rifiuto di curarsi.

Il paziente, di fatto, nell’essere edotto circa il suo stato, rimane inevitabilmente “passivo” in questo momento dell’informazione, ma conserva tutta la centralità in quanto destinatario unico e privilegiato, per cui è soprattutto fine della

140 Proposte di legge 26 luglio 2013, n. 1432; 26 marzo 2014, n. 2229; 30 marzo 2015, n. 2996; 27 gennaio 2016, n. 3561; 4 febbraio 2016, n. 3584; 4 febbraio 2016, n. 3586; 9 febbraio 2016, n. 3596; 7 aprile 2016 n. 3730. Proposte di legge 26 luglio 2013, n. 1432; 26 marzo 2014, n. 2229; 30 marzo 2015, n. 2996; 27 gennaio 2016, n. 3561; 4 febbraio 2016, n. 3584; 4 febbraio 2016, n. 3586; 9 febbraio 2016, n. 3596; 7 aprile 2016 n. 3730.

141 E. BORDIN, The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance, in

Psychotherapy: Theory, research & practice, 16/3, 1979, 252:260.

142 R.LA RUSSA , R.V.VIOLA , N.DI FAZIO ,V.FAZIO, A. QUATTROCCHI, D.LISI,P. FRATI ,V. FINESCHI, Consenso informato e DAT (Disposizioni anticipate di trattamento, cit., p. 557.

comunicazione piuttosto che oggetto. Per questo motivo si specifica che la modalità di trasferimento delle informazioni, oltre che completa e aggiornata, deve essere comprensibile al paziente stesso. Non appare questa una puntualizzazione superflua se si considera che il medico avverte naturalmente il bisogno tecnico-scientifico di instaurare una comunicazione efficace con il paziente nel momento dell’indagine diagnostica e della prescrizione terapeutica, mentre non si fa carico spontaneamente del diritto a conoscere tout court del paziente143.

È stato però criticamente osservato che proprio in questo comma se da un lato si afferma il diritto del paziente, dall’altro non viene mai nominata apertamente la figura del medico così che il suo dovere rimane formalmente non esplicitato. Nella stessa sede, inoltre, si è inteso regolare il diritto del paziente di non sapere, prevedendo - con quella che è stata definita “somma nonchalance” - che l’interessato possa “rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricata di riceverle”144.

Il quarto comma, infine, declina la gestione del consenso informato sia nelle modalità di acquisizione (“nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente”), che in quelle di documentazione (forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, anche videoregistrazione o dispositivi che consentono alla persona con disabilità di comunicare, con inserimento nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico).

In definitiva, la questione del consenso è complessa e si articola in tre direzioni che sono distinte ma che non possono essere separate, perché sono “modi di una sola consensualità relazionale”: il consenso o rifiuto al/del trattamento, la pianificazione condivisa di cure, le dichiarazioni anticipate145. Si deve procedere, dunque, all’esame di ciascuna.

143 Ibidem.

144 D.CARUSI, La legge sul biotestamento: una luce molte ombre, in Corr. Giur., 2018, p. 294. 145 P.ZATTI, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 248.

3. La libertà di autoderminazione terapeutica: il rifiuto e