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Come nel caso di Venus Calua, Lattanzio è per noi il più antico testimone del culto della sorella di Caco, celebre antagonista di Ercole del quale parlano diverse fonti di età augustea123:

Colitur et Caca, quae Herculi fecit indicium de furto boum, diuinitatem consecuta quia prodidit fratrem124.

A differenza di Lattanzio, i testimoni antichi dell’episodio di Ercole e Caco, raccontano che a rivelare il furto del bestiame al semidio sarebbe stato uno scambio di muggiti fra i bovini nascosti nella caverna del ladro e quelli rimasti all’eroe, senza che nessuno di loro faccia riferimento alla sorella di Caco.

Poiché l’apologista conosceva il poema virgiliano125 e i Fasti di Ovidio e, dunque, almeno due delle cinque fonti su Ercole e Caco che abbiamo indicato (cf. n.123), si può concludere che egli è deliberatamente portavoce di una versione dell’episodio diversa da quella tràdita dai testimoni di età augustea.

Guardando al passo lattanziano, non è difficile capire per quale ragione l’apologista abbia scelto di riferire una versione diversa del mito.

L’exemplum di Caca, infatti, avrebbe facilmente acuito in chi leggeva l’impressione dell’immoralità del paganesimo romano: una donna che non incorre nel biasimo collettivo per aver tradito il fratello, ma addirittura viene divinizzata proprio per questo suo gesto, non poteva non istillare nei lettori l’idea che le “Romanorum religiones” fossero contrarie ai valori della morale.

Che l’intenzione di Lattanzio fosse proprio quella di screditare il paganesimo romano, lo dimostra il fatto che l’apologista abbia non solo ritratto Caca come traditrice, ma abbia anche evitato di fornire informazioni sul conto del fratello.

123 Cf. VERG. Aen. VIII.184–305, OV. fast. I. 543 e ss., LIV. I.7, PROP. IV.9, D.H. I.39. 124 LACT. inst. I.20.36.

Caco, infatti, il cui nome è legato all’aggettivo greco ‘κακός’, è nelle rappresentazioni più edulcorate un servo impostore e un ladro126, mentre nelle altre testimonianze appare come un mostro assassino127.

Se, dunque, Lattanzio lo avesse chiamato per nome e lo avesse descritto come un mostro terribile o anche solo come un vile furfante, l’azione di Caca sarebbe apparsa molto meno grave o addirittura come un atto degno di lode.

Dopo Lattanzio, l’unico altro testimone del culto di Caca è Servio128. Conviene confrontare, quindi, il testo lattanziano con il passo dell’esegeta che riportiamo di seguito: “Cacus secundum fabulam Vulcani filius fuit, ore ignem ac fumum

uomens, qui uicina omnia populabatur. Veritas tamen secundum philologos et historicos hoc habet, hunc fuisse Euandri nequissimum seruum ac furem. Nouimus autem malum a Graecis κακόν dici: quem ita illo tempore Arcades appellabant. Postea translato accentu Cacus dictus est, ut Ἑλένη Helena. Ignem autem dictus est uomere, quod agros igne populabatur. Hunc soror sua eiusdem

nominis prodidit: unde etiam sacellum meruit, in quo ei peruigili igne sicut129

Vestae sacricabatur”.

126 Cf. D.H. I.39 e LIV. I.7.

127 Cf. VERG. Aen. VIII.184–305 e OV. fast. I. 543 e ss.. 128 SERV. Aen. VIII.190.

129 Thilo e Hagen, editori del commento di Servio, scelgono di mettere a testo la lezione uulgata “per uirgines (Vestae)” e relegano la variante del codex Floriacensis “peruigili igne sicut (Vestae)” in apparato, dove scrivono “quam scripturam uulgatae praestare uidit Prellerus”.

Se Servio avesse scritto davvero “per uirgines Vestae”, vorrebbe dire che fonti diverse da Lattanzio, consultate dal commentatore di Virgilio ma a noi non pervenute, dovevano parlare del culto di Caca, dato che l’apologista non fa parola del ruolo svolto dalle vestali nel culto della dea.

BAYET (1926), tuttavia, fa notare che “si en effet on s’exlique parfaitement le passage de peruigili igne sicut à per uirgines, il est impossible, nous semble-t-il, de passer de per uirgines Vestae à peruigili igne sicut Vestae”, e informa che anche Preller e Preuner sono dello stesso avviso.

Non può passare inosservato che il verbo usato da Servio per descrivere l’azione di Caca (“prodidit”) è identico a quello adoperato da Lattanzio ed assume una decisa connotazione moralistico–polemica, comprensibile nelle Institutiones, ma non nelle pagine serviane.

In Servio, inoltre, proprio come in Lattanzio, la divinizzazione di Caca discende direttamente dal prodidit: se nelle Institutiones leggiamo “diuinitatem consecuta

quia prodidit fratrem”, Servio scrive “Hunc soror sua [...] prodidit: unde etiam sacellum meruit”.

È possibile ipotizzare, dunque, che Servio abbia ripreso proprio da Lattanzio il fatto che fosse stata Caca a riferire del furto a Ercole, e che con questa notizia abbia assimilato suo malgrado anche l’intenzione polemica dell’apologista.

Molto probabilmente, infatti, si è verificato il salto da pari a pari ‘peruigiliigne > peruigne’, con la conseguente cancellazione della sequenza ‘ili’, agevolata dalla somiglianza dei tre grafemi.

Secondo Bayet, poi, si sarebbe passati da ‘peruigne’ a ‘peruirgine’ per “suggestion regressive de lettres”: il grafema < r > che precede < u > avrebbe comportato l’introduzione di un altro < r > (peruir) e il grafema < i > che precede < g > avrebbe determinato l’introduzione di un altro < i > (e, dunque, peruirgine).

È, comunque, più semplice pensare che, una volta avvenuto il salto da ‘ig’ a ‘ig’, si sia divisa la sequenza in maniera errata, intendendo < s > ultimo grafema di ‘peruigne(s)’ e non primo grafema di ‘(s)icut’, e che, di conseguenza, si sia emendato il testo ‘peruignes’ in ‘peruirgines’, con la più ovvia delle correzioni.

Per quel che riguarda, del resto, la cancellazione di ‘icut’, bisogna pensare, anche in questo caso, all’intera sequenza: anche ammettendo che ‘sicut’ non fosse stato espresso da una sigla, ciò che segue è ‘uestae’ e, dunque, nell'insieme avremmo ‘sicut uestae’, dove il salto da < u > a < u >, con omissione di < t >, può avere luogo senza difficoltà. Se, poi, pensiamo a ‘sicut’ espresso dalla sigla ‘su’, la semplificazione da ‘uu’ > ‘u’ appare più che probabile.

Tutte queste considerazioni ci permettono di concludere che, con ogni probabilità, il testo dell’esegeta è “peruigili igne sicut Vestae” e non “per uirgines Vestae”, con l’importante conseguenza che viene meno la partecipazione delle vestali al (presunto) culto di Caca.

L’ipotesi della dipendenza di Servio da Lattanzio è avvalorata dal fatto che il testo serviano non aggiunge informazioni che non fossero già contenute nel testo dell’apologista.

Se, infatti, la parte conclusiva della nota serviana sembra aggiungere il particolare di un peruigil ignis acceso nel sacello di Caca, è possibile dimostrare che non si tratta di un’informazione aggiuntiva, ma di un particolare legato alla rappresentazione del divino in Servio.

L’espressione ‘peruigil ignis’, infatti, ricorre anche in un altro luogo del commento serviano che riportiamo di seguito: “EXCVBIAS DIVUM AETERNAS

definitio est aeterni ignis. Quid est ignis peruigil? Excubiae deorum. Et sciendum non uacare ratione, ut in aliquibus templis sit ignis peruigil: nam potestates aut terrenae sunt, aut aeriae, aut aetheriae: sed quia aether ignis est, ideo in aetheriarum potestatum templis ignis est, ut reddatur eis imago sui elementi. Est autem in templo Iouis, qui aether est, et Mineruae, quae supra aetherem est: unde de patris capite procreata esse dicitur”130.

Questo passo è citato da MOCCI (2015) nella Tesi di Laurea dal titolo “Allegoria e figura nel commento all’Eneide di Servio”, discussa presso l'Università Ca’ Foscari di Venezia.

Mocci riporta la nota serviana e spiega per mezzo di essa e di altri passi in che cosa consista la physica ratio (o allegoria fisica) del commentatore di Virgilio e secondo quali schemi e quali modelli egli interpreti le divinità come elementi naturali.

Servio, in particolare, appare fedele ad una rappresentazione del divino fondata su un sistema allegorico–fisico ben definito, secondo il quale gli dei si dividono in ‘potestates terrenae’, ‘potestates aeriae’ e, infine, ‘potestates aetheriae’.

La distinzione tra potenze ‘aeriae’ e ‘aetheriae’ si basa sul rigido distinguo serviano tra ‘aer’, parte del cielo dove si verificano i fenomeni atmosferici, e ‘aether’, parte alta dell’atmosfera, fatta di fuoco. Da questo schema che non ammette eccezioni deriva che le potenze dell’ ‘aether’ abbiano proprio un ‘peruigil ignis’ nel loro tempio, “ut reddatur eis imago sui elementi”.

130 SERV. Aen. IV.201.

Per tornare, quindi, alla nota serviana relativa a Caca, si può concludere che il

peruigil ignis che per Servio arde nel sacello della dea è da ricondurre al sistema

di rappresentazione del divino cui l’esegeta fa riferimento.

Caca, in effetti, divinizzata come figlia di Vulcano e per questo strettamente legata al fuoco, non poteva che apparire a Servio come una potestas aetheria con un peruigil ignis nel proprio sacello.

Poiché, dunque, Servio non fornisce informazioni sul conto di Caca che Lattanzio già non tramandi, è molto probabile che l’apologista sia la fonte adoperata dall’esegeta di Virgilio.

È lecito chiedersi, a questo punto, se Lattanzio possa essere l’inventore del culto di Caca e, se così fosse, da dove possa aver tratto spunto per elaborare la sua versione dell’episodio di Ercole e Caco.

Le fonti di età augustea non avrebbero avuto motivo di occultare la versione del mito che coinvolgeva Caca, tanto più che il suo gesto era rivolto contro un individuo malvagio. Si può pensare, allora, che i testimoni di età augustea ignorassero la figura di Caca.

Se, in conclusione, è vero che le fonti pagane non avrebbero avuto alcun motivo valido per sostituire a Caca lo scambio di muggiti tra le vacche, è indubbio che Lattanzio ha beneficiato della variante del mito che metteva in luce l’immoralità del paganesimo romano.

Ci sono, dunque, i presupposti per ipotizzare che l’apologista abbia riscritto l’episodio di Ercole e Caco.

Stefano di Bisanzio (VI secolo d.C.), del resto, ci conserva due frammenti di Ecateo di Mileto (VI–V secolo a.C.), relativi al passaggio di Ercole in Sicilia, che possono testimoniare la tradizione dalla quale Lattanzio avrebbe potuto attingere per la sua riscrittura dell’episodio.

Riportiamo di seguito i due frammenti di Ecateo secondo l’edizione di Jacoby: • fr. 76 STEPH. BYZ. s. Μοτύη˙ πόλις Σικελίας ἀπὸ Μοτύης γυναικὸς

µηνυσάσης Ἡρακλεῖ τοὺς αὐτοῦ βοῦς. Ἑκαταῖος Εὐρώπῃ. Φιλίστος (ΙΙΙ) δὲ φρούριον αὐτήν φησι Σικελίας παραθαλάττον.

• fr. 77 – s. Σολοῦς˙ πόλις Σικελίας, ὡς Ἑκαταῖος ἐν Εὐρώπῃ. Ἐκλήθη δὲ ἀπὸ Σολοῦντος κακοξένου, ὃν ἀνεῖλεν Ἡρακλῆς.

Ecateo, dunque, è testimone di una tradizione relativa a un personaggio femminile che, in occasione del passaggio in Sicilia di Ercole con i buoi, riferì al semidio chi gli avesse sottratto il bestiame e, per giunta, colloca ancora una volta in Sicilia un personaggio che in qualità di antagonista inospitale ucciso da Ercole può richiamare alla mente la figura di Caco131.

Si può pensare, allora, che Lattanzio, traendo spunto dalle vicende che la tradizione assegnava ad Ercole di passaggio in Sicilia, abbia alterato, a vantaggio del suo discorso antipagano, la versione su Ercole e Caco, a lui ben nota dalle fonti di età augustea, e abbia introdotto, in questo modo, una divinità minore che i Romani, in realtà, non veneravano. L’apologista, in altre parole, avrebbe fuso insieme la tradizione intorno a Ercole in Sicilia e quella relativa a Ercole in riva al Tevere.

Ammesso e non concesso che le cose stiano in questi termini, non sarebbe comunque l’unico caso in cui Lattanzio fonde tradizioni diverse per denigrare la religione romana, visto che, come si è detto nel primo capitolo, l’apologista trasforma Flora in una meretrice divinizzata, attribuendo alla dea caratteristiche che la tradizione assegnava ad Acca Larentia132.

Se, dunque, Lattanzio non si fa scrupoli a riscrivere il profilo di una divinità di primaria importanza qual è Flora, forse non deve sorprenderci la possibilità che egli, rielaborando alcuni elementi della tradizione, abbia potuto introdurre il culto minore di Caca.

131 L’aggettivo ‘κακόξενος’ può forse ricordare la descrizione di Caco tramandata da Properzio (PROP. IV.9.7–8): “Sed non infido manserunt hospite Caco / incolumis: furto polluit ille Iouem”. Secondo il poeta latino, Caco, infidus hospes, arreca offesa al “Giove ospitale, che assiste i forestieri” (cf. Properzio–Elegie, a cura di P. Fedeli e L. Canali, 462, n.4).

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