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Per una concezione integrale della ragione e un nuovo orientamento epistemologico

5 La caducità dei sistem

Abbiamo visto che la revisione delle fondamenta epistemologiche a cui lavorano De Sarlo e Aliotta, è opera che non può prescindere dal rinnovamento negli studi critici dei fondamenti, della natura e delle condizioni di validità del sapere scientifico. Partendo da una robusta esperienza negli studi di psicologia sperimentale, De Sarlo e soprattutto il suo più brillante allievo Aliotta, mettono in crisi la concezione meccanicista del mondo.

Anni più tardi, certamente memore dei dibattiti dei primi anni del secolo, Aliotta trarrà conclusioni assai significative sulla rinnovata visione del mondo che veniva fuori dal ripensamento radicale dei fondamenti stessi dell’epistemologia tradizionale:

l’identico ed il diverso, il persistente e il mutevole sono due aspetti entrambi reali della nostra esperienza che possiamo distinguere, non mai separare286

In queste parole rieccheggiano le appassionate battaglie degli anni della Cultura Filosofica sul riconoscimento pieno e schietto del carattere mutevole e complesso della realtà. Su quelle pagine si è andato delineando un realismo epistemologico di nuovo tipo, che aveva come punto di partenza l’attento studio della psicologia sperimentale, il vaglio dei principali risultati delle altre discipline e la convinzione che i principi della logica, (i gangli della ragione umana), non dipendessero da una «convenzione, che si potrebbe anche mettere da parte», imponendosi alla coscienza come «forza irresistibile, che non è certo paragonabile ad una coercizione meccanica, ma che non è meno valida per questo»287. È nel fuoco polemico di quegli anni che queste posizioni vengono fuori e si consolidano.

Restando sempre ad Aliotta, è facile riconoscere come la sua filosofia, anni dopo denominata da lui stesso «sperimentalismo», prenda forma nelle lotte contro le leggerezze del contingentismo, nelle 284 Ibid., p. 191. 285 Ibid. 286

Aliotta, Il Relativismo, l’Idealismo e la teoria di Einstein, Roma, F. Perrella (Tivoli, Tip. A. Chicca), 1948, p. 17 .

65 severe precisazioni sul pragmatismo, nelle polemiche appassionate ma sempre rigorose contro l’idealismo. Del resto basta sfogliare le dense pagine della Reazione idealistica contro la scienza288

per comprendere che nella riflessione aliottiana le preoccupazioni sollevate dalle tendenze irrazionalistiche, e in particolar modo dagli esiti in cui incorrevano idealismo e pragmatismo, coincidevano con la necessità di riformulare l’indagine epistemologica.

Fatta salva l’irriducibilità dei percorsi di ricerca individuali, dobbiamo però tenere presente il fatto che quella di Aliotta e degli altri principali collaboratori della rivista, è una vicenda inconcepibile se isolata dal preciso contesto di discussione in cui si è svolta. Chi credeva nella validità non tanto dei risultati delle scienze eretti a dogma, quanto dei loro metodi, ma percepiva al contempo che era ormai diventato necessario soddisfare — per dirlo con le parole di Enriques — quelle «esigenze che il particolarismo scientifico lascia insoddisfatte»289, comprendeva anche l’urgenza di scendere sul terreno (filosofico) degli avversari della ragione, al fine di «conquistare uno spazio attivo fra il “ritorno” all’idealismo e il positivismo “vecchio e nuovo”»290

. Ciò si dimostrava possibile soltanto a partire dall’esigenza di far recuperare all’impostazione epistemologica un timbro che non è esagerato definire “spiritualistico”, e di avviare un ripensamento della stessa riflessione epistemologica, che passasse attraverso la rivalutazione dei valori e fosse centrato sul ruolo che la

coscienza gioca nella definizione del mondo.

Aliotta e De Sarlo entrano allora con intelligenza nel merito dei problemi posti dai loro avversari, cercando di scavare a fondo nella cultura della crisi e di comprendere le motivazioni del disagio di una generazione intera affrontando le argomentazioni degli avversari a partire dal ripensamento complessivo dell’epistemologia filosofica. Ai «ribelli che abbandonano i laboratori e inseguono il sogno liberatore della speculazione»291 gli autori della Cultura Filosofica rispondono che non c’è verità che unisce gli uomini se la conoscenza viene spezzettata in categorie irriducibili e gli oggetti della ricerca non sono esaminati nella maggiore varietà delle loro relazioni. Ciò dimostra la consapevolezza che soltanto scendendo sul terreno della crisi è possibile debellare il particolarismo e lo specialismo della ricerca e della classificazione del sapere e ritrovare quella «forma superiore d’unità che fu la condizione originaria del pensiero umano»292

.

I movimentatori della rivista non chiudono le porte a quelli che qualcuno ha potuto definire i «distruttori della ragione»293. Del contingentismo, per esempio, apprezzano la messa in mora del meccanicismo e del determinismo, anche se tengono a precisare che ci sono alcuni «fatti», o alcuni «caratteri dei fatti», che si ripetono costantemente. Se i fatti si producessero realmente in maniera autonoma, se venisse infranta ogni relazione causale, non solo la ricerca scientifica perderebbe ogni significato, ma anche la responsabilità morale e ogni ipotesi di un armonico rapporto fra uomo e mondo sarebbero irrimediabilmente compromessi.

288

Aliotta, La reazione idealistica contro la scienza, Palermo, Optima, 1912. In particolare l’analisi sul pragmatismo viene sviluppata nelle pagine 230-261.

289

Enriques, “Presentazione”, Scientia, 1, (1907), pp. 1-3, Bisogna tenere presente che Enriques innanzi tutto, per sua stessa ammissione, non era un filosofo di professione, bensì un matematico, anzi «meglio ancora un geometra algebrico; e una valutazione complessiva del ruolo da lui svolto all’interno della cultura scientifica del nostro tempo non potrebbe in alcun modo prescindere dallo studio del contributo specifico che la sua opera recò allo sviluppo della disciplina che costituì il centro vitale dei suoi interessi e della sua attività», Faracovi, Il caso Enriques, cit., p. 9.

290

Cordeschi, “Il duro lavoro del concetto: neoidealismo e razionalità scientifica”, G.C.F., LVII, 1978, p. 342.

291

Santucci, Eredi del positivismo, cit., p. 150.

292

Ibid.

66 Del pragmatismo i due intellettuali apprezzano l’idea che lo spirito umano sia «attività che si afferma e si svolge anche nel momento conoscitivo» e ne mettono in rilievo l’aspetto creativo rivolto a sottolineare la libertà del sapere contro ogni interpretazione dogmatica del medesimo, ma non lo seguono nel ridurre tutto il reale a questa stessa «attività» e, in fin dei conti, alla «pratica», perché ricordano ad ogni passo che la nostra azione «è uno dei fattori della realtà, ma non è il solo»294. Se la realtà non fosse determinata da una struttura durevole, coerente e autonoma dalle esigenze utilitarie della nostra «pratica», verrebbe inficiata ogni ipotesi di coerenza e certezza di quella stessa pratica. Contro il pragmatismo e il convenzionalismo appare allora necessario «restaurare il concetto di realtà […] e il valore della scienza»295

. Viene perciò riconosciuto il valore critico e sano del convenzionalismo che insiste su «una possibile pluralità di descrizioni empiricamente equivalenti dei medesimi fenomeni osservati» ma esso non dev’essere «inteso (o frainteso)» — mutuando le parole di Parrini — «come una rinuncia al valore cognitivo delle affermazioni scientifiche, ovvero come un abbandono della verità»296.

Dell’idealismo De Sarlo e Aliotta infine apprezzano la valorizzazione del ruolo della coscienza e il richiamo della centralità che essa occupa nell’universo. Ma allo stesso tempo contestano duramente l’idea che la realtà, nel suo svolgimento concreto, possa essere costruita a priori da un soggetto spirituale universale e atemporale, trascendente i singoli soggetti concretamente esistenti. Da qui la critica agli «pseudoconcetti» di Croce e la difesa della validità dei processi ragionativi, (e del metodo), che stanno alla base delle discipline scientifiche. Contro le posizioni dei nuovi idealisti De Sarlo e collaboratori si rendono conto della necessità di avviare una riforma che restituisca coerenza ed integralità alla ragione umana. Essi si basano principalmente sulla convinzione che le categorie in uso nelle discipline sperimentali sono necessarie per «integrare l’esperienza diretta in un contesto più vasto di relazioni» e che «il concetto scientifico astrattamente considerato al di fuori di un qualsiasi contenuto, non ha realtà, ma la sintesi che, mediante il concetto, si attua perennemente nel pensiero ha valore teoretico in quanto fonde la conoscenza dell’individuo con le determinazioni generali proprie della scienza»297. De Sarlo e Aliotta si dimostrano pienamente consapevoli che la negazione del valore conoscitivo della scienza, che ritroviamo in Croce e Gentile, possa sancire il sostanziale fallimento non della mentalità e dell’approccio positivistico, ma al contrario della possibilità di «offrire un’autentica alternativa al positivismo ottocentesco, assecondandone invece l’immagine della scienza e rovesciandola simmetricamente, senza afferrare la fecondità della rivoluzione concettuale che si apriva al cadere del XIX secolo e che sarebbe culminata con la formulazione della teoria della relatività di Einstein»298.

294 Carbonara, “Filosofia e scienza nel pensiero di A. Aliotta”, in Lo Sperimentalismo di Antonio Aliotta, cit. p. 66. 295

Abbiamo preso in prestito la citazione dal lavoro della Faracovi su Enriques, viste le affinità tra la battaglia del matematico livornese e i progetti di De Sarlo sulla questione del pragmatismo e del convenzionalismo. Di seguito la citazione completa della studiosa che sintetizza bene la posizione di Enriques sul pragmatismo e sul convenzionalismo: «contro pragmatismo e convenzionalismo è allora necessario restaurare il concetto di realtà – intesa ancora una volta come rapporto invariante fra gruppi di percezioni e «condizioni volontariamente disposte» – e il valore della scienza, che nella interpretazione degli invarianti attinge elementi di verità, certo approssimati e relativi. Resta convinzione di Enriques che «le conclusioni scettiche a cui ha potuto condurre oggi come nel passato la critica della scienza» nascono dalla nostalgia di un sapere scientifico, dotato di un assoluto valore di verità; orfane dell’essenzialismo scientifico, esse «hanno sempre per base il disconoscimento» del carattere relativo ed approssimativo «del sapere scientifico, e la vana pretesa di conferirgli un valore assoluto, nettamente distinto dalla conoscenza volgare», Faracovi, Il caso

Enriques, cit., p. 73-74.

296

Parrini, Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento, cit., p. 77.

297

Carbonara, “Filosofia e scienza nel pensiero di A. Aliotta”, in Lo Sperimentalismo di Antonio Aliotta, cit., pp. 66-67.

67 Andava in crisi — ed era impossibile del resto negarlo — una certa immagine della scienza, intesa come conoscenza basata su un processo lineare, cumulativo e rettilineiforme. In suo luogo si faceva largo fra gli scienziati e i metodologi più seri, (come Enriques e Vailati per rimanere nell’ambito del panorama italiano), l’esigenza di esprimere in termini nuovi il valore della razionalità scientifica, concentrando la propria attenzione critica sulla storia delle scienze, sul ruolo del linguaggio nell’elaborazione delle teorie scientifiche e sul bisogno di offrire maggiori spazi a questioni ed aspetti che, fino ad allora, la filosofia della scienza aveva ritenuto di dover ignorare.

Spiritualismo, sperimentalismo, realismo critico, sono alcune delle etichette che in molti, a partire

dagli autori presi in esame, dai loro allievi e dalla storiografia, hanno usato per definire efficacemente la natura del progetto della Cultura Filosofica, progetto che si inserisce pienamente in questa prospettiva generale di rinnovamento dei fondamenti e delle aspettative dell’epistemologia. Lo stesso Garin nelle pagine su De Sarlo stese nel 1938, anno della sua scomparsa, non aveva avuto affatto timore di classificare come schiettamente «spiritualistica» la riflessione desarliana e di riconoscere nel suo — certo particolare e innovativo — spiritualismo il raggiungimento di «un più chiaro punto di vista» che gli permetteva di indicare con maggiore lucidità in che cosa consistesse la concretezza di molti oggetti di studio della filosofia. Concreti sono il «mio io concreto, il mio pensiero capace di verità e suscettibile d’errore, il mio sentire», lo spirito «determinato» che può sollevarsi all’eternità, ma che rimane pur sempre «questa individualità che soffre e che pena nella vita del mondo in una sua “situazione” irriducibile e intraducibile»299.

Qui comunque — senza soffermaci eccessivamente sulla critica ai singoli indirizzi e al di là delle etichettature in cui spesso sono ricaduti anche contributi potenzialmente interessanti — è opportuno sottolineare che quella delineata è un’esperienza che, partendo dallo studio della coscienza e della

psiche, si sviluppa in senso epistemologico e mette capo ad una concezione realistica e

spiritualistica che Garin, in un breve ma efficace articolo, riassume così:

il concetto filosofico mi dà il significato universale, l’intuizione il significato proprio di ciascun individuo, ma come questi significati si compongano in quel significato totale, solo il concetto scientifico lo fa intendere300

L’indagine razionale ha le sue forme e nessuna è a rigore più importante dell’altra: l’«intuizione», il «concetto filosofico» e il «concetto scientifico» concorrono ad una visione coerente della realtà alla cui base sta l’idea che un «sistema filosofico» è tanto più organico quanto più oltrepassa i limiti di vedute definite come il realismo e l’idealismo, lo spiritualismo e il materialismo e quanto più giunge a sfidare ed a mettere a dura prova la sagacia e la «pazienza dei classificatori»301.

Il rigore razionale è importante e imprescindibile, ma è anche importante diffidare — prendendo in prestito il vocabolario di Garin — dalle «schiere ordinate di lucidi concetti» e dalle «girandole di ferrei sillogismi»302 che a questa data avevano ormai dimostrato la loro debolezza.

Per De Sarlo e per chi con lui condivide le riflessioni e le battaglie di questi anni, è fuorviante parlare univocamente di «ragione», come fanno appunto gli idealisti, e soprattutto è fuorviante

299

Garin, “Lo spiritualismo di Francesco De Sarlo”, Archivio di storia della filosofia, VII, (1938), p. 309.

300

Ibid., p. 68.

301

De Sarlo, “I tipi di soluzione dei problemi metafisici”, C. F., 9, (1907); contro una certa faciloneria classificatoria, De Sarlo torna a più riprese riprendendo, senza citarle, le esigenze di chiarezza linguista espresse da Vailati soprattutto nel suo breve saggio Alcune

osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura, Fratelli Bocca, 1899, oggi ristampato in Il Metodo della Filosofia, cit.

68 elevare la concreta «ragione» umana ad «Assoluto razionale». La ragione non esiste come principio univoco, al contrario esistono solo i diversi modi in cui la ragione riesce a risolvere problemi specifici, dando vita a sempre nuove negoziazioni fra gli esseri dotati di coscienza su ciò che appare ragionevole. Anche in questo caso non si tratta di note marginali, ma di una precisa idea di che cosa sia l’uomo e del valore della sua facoltà intellettuale. Soltanto tenendo presente la concezione essenzialmente relativistica, relazionale303 e il punto di partenza «psicologistico» dei principali compilatori della rivista è possibile capire in che senso essi potessero porsi domande fondamentali e affrontare i «massimi problemi» della filosofia304.

Le domande che animano il dibattito della rivista soprattutto in campo gnoseologico e metafisico vertono trasversalmente sulla matrice «monistica» o «pluralistica» della realtà, sulla sua origine «spirituale» o «materiale» e sulla costituzione della coscienza, cioè se essa sia qualcosa di «fondamentale» oppure un «epifenomeno». Le domande «che cos’è e come si struttura la realtà» e «che cos’è e come si struttura la coscienza» costituiscono i due pilastri della riflessione attorno a cui si costruisce il dibattito della rivista guidata da De Sarlo.

La filosofia, intesa in senso lato, è interrogazione sul mondo; ma lo svolgimento sereno del suo lavoro è possibile solo tenendo presente alcune premesse di fondo: fra coscienza e realtà esiste un rapporto che nessuno può e deve mettere in discussione; il mondo è costituito da una trama di relazioni e quindi ogni cosa è comunicabile, conoscibile, definibile almeno potenzialmente. Porsi correttamente una domanda e affrontare un’indagine su qualunque aspetto della realtà risulta impossibile se non si utilizza il metodo scientifico.

Ai quesiti canonici del dibattito sembra voler direttamente dare risposta la conclusione di un importante contributo di Aliotta che, sempre dalle colonne della Cultura Filosofica, riflette sul «significato spirituale della scienza»:

Tutto il complesso edificio meccanico non è che una vasta impalcatura eretta dalla mente umana per elevare l’esperienza ad unità di ragione, per intendere attraverso i pochi, sparsi e frammentari segni coi quali la natura si rivela, il Vivente Pensiero che in essa, come nella nostra interiore anima, si esprime. […] Per virtù del sapere scientifico noi sentiamo vibrare all’unisono con la nostra anima la profonda anima delle cose; ed è ciò appunto che ci fa capaci di comprenderle, di cogliere nel nostro io la rivelazione del loro essere verace305

Date simili premesse si spiega il rigore «anti romanticistico» di De Sarlo, la cui attività è costantemente attenta ad evitare il pericolo di scivolare su ipotesi o congetture paradossali. L’indagine filosofica è per lui la punta dell’indagine razionale, la quale però non è univoca, come credono i pensatori metafisici, bensì intuitiva, scientifica, storica, filosofica: in due parole, plurale e diversificata.

Capito questo punto, forse appariranno meno inspiegabili le ripetute accuse alle «stramberie del Croce» e agli altri protagonisti della «reazione» antiscientifica e anti intellettualistica di quegli anni, (anche se la storiografia recente tende a ridimensionare l’immagine di Croce tutto appiattito sulle

303

Cfr., Carbonara, “Il concetto di relazione e la teoria dell’esperimento secondo A. Aliotta”, in Lo sperimentalismo di Antonio

Aliotta, cit.

304

Così si esprime De Sarlo commentando, anni dopo la pubblicazione, il libro di Varisco sui Massimi Problemi: «non s’esclude.. che nell’ambito della scienza filosofica entri anche la discussione di quelli che si è convenuto di chiamare massimi problemi e che formano il contenuto della metafisica presa in senso stretto, come lo formano della religione: ma… non è nella discussione di tali questioni che s’assolve o si può assolvere il principale compito del filosofo», De Sarlo, Esame di coscienza, cit., p. 61.

69 polemiche antiscientifiche e agganciato alla sola tradizione italiana306). Apparirà anche maggiormente comprensibile l’idiosincrasia desarliana verso le filosofie sistematiche:

dopo la dissoluzione dei grandi sistemi metafisici della cosiddetta filosofia classica, non si sono più avute costruzioni nuove perché ad esse sarebbe mancata la base307

Il compito dell’indagine filosofica non può quindi più consistere, come nel passato, nello sfoggio di fantasia speculativa e nella costruzione di sistemi più o meno armonici e seducenti che aspirano a dare fondo a tutta la realtà o ad esaurirla nel proprio seno. De Sarlo condivide con larga parte della cultura del suo tempo — mutuando le recenti parole di Savorelli di omaggio a Garin — «la comune avversione alle “costruzioni sistematiche”, all’intellettualismo astratto, l’accento sull’esperienza come fatto personale, irriducibile (alle categorie logiche, come alle norme morali)»308.

A distanza esatta di un anno dal primo bilancio dell’esperienza editoriale la Redazione tornerà su questi problemi chiarendo definitivamente il senso e la funzione della filosofia e le ragioni della diffidenza verso i sistemi metafisici:

Noi siamo convinti: I° che non sono possibili ipotesi metafisiche nuove, ma che le vedute fondamentali sono già apparse alla mente umana e che compito perenne della filosofia è quello di rimetterle a contatto col sapere e anche con la coscienza contemporanea e determinare quale tra quelle vi trovi più salda conferma e di quali integramenti, se mai, abbia bisogno: ogni annuncio d’una concezione filosofica nuova, originale, ci lascia sempre scettici per principio; II° che questo contatto fra le ipotesi metafisiche, da una parte, e il pensiero scientifico e le correnti spirituali dall’altra, non è qualcosa di accidentale e d’arbitrario, ma risponde da una parte al bisogno che la soluzione dei problemi ultimi della realtà non stia campata in aria, senza un accordo criticamente stabilito con tutto il sapere, e, dall’altra, al movimento stesso necessario del pensiero scientifico, il quale, dacché è conoscenza, non può non contenere in sé la spinta verso quelle soluzioni definitive in cui la conoscenza stessa si compie309

Ciò che si delinea è una sensibilità esplicitamente ostile non solo ai costituendi sistemi di Croce e Gentile, ma alla stessa idea che la filosofia possa consistere in un’autosufficiente comprensione della realtà. Concepirla in questi termini significa possedere una cattiva nozione della sua «autonomia», significa credere cioè che l’indagine filosofica possa ignorare l’intero sistema di cognizioni e metodologie epistemologiche, isolando di fatto il «concetto filosofico» in una torre eburnea del tutto sterile. Altrettanto sterile appare l’esito solipsistico e «mistico» a cui arriva l’idealismo gentiliano che risolve «la realtà tutta quanta» nello spirito, «lo spirito nell’Io, l’Io nell’atto di pensiero o atto di coscienza e questo a rigore nell’atto puro»310

.

A questa concezione fastidiosamente «romantica» — quando non dichiaratamente panlogistica — dell’indagine filosofica, De Sarlo e Aliotta oppongono un’ipotesi di lavoro fondata sull’integralità della ragione umana. Alla filosofia è affidato il compito squisitamente epistemologico di ricomporre