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Dal problema della coscienza al «primato della ragion pratica»

2 Psicologia come base della filosofia e della scienza

Gli studi psicologici assumono un’importanza decisiva nelle indagini e nelle discussioni filosofiche proposte sulle pagine della rivista. In questo De Sarlo non fa che applicare un suo saldo convincimento teorico, vale a dire che la psicologia sia da porre come base della riflessione 744 Ibid. 745 Ibid., p. 77. 746

Calò, “Per una scienza dell’educazione”, C.F., 1, (1907), p. 15.

747

Ibid.; Calò cita anche un articolo del positivista Marchesini dove viene denunciata l’insufficienza di una tale maniera di concepire la questione pedagogica, Cfr., Marchesini , “Pedagogia sperimentale”, Rivista di filosofia e Scienze affini, 4-5, (1906).

169 filosofica e scientifica in genere. La psicologia, dal suo punto di vista, non è solo lo studio dell’esperienza interna (psichica, mentale) irriducibile all’esperienza esterna, ma è anche il terreno preparatorio di ogni seria indagine filosofica. Il compito di quest’ultima consiste infatti nel prendere ad esame la coscienza in senso lato, utilizzando cioè i materiali, i percorsi e le indicazioni delle singole discipline per porre questioni non esauribili sul terreno della ricerca particolaristica.

Se si parte dal presupposto che il problema principale della filosofia sia la coscienza e il ruolo di primo piano che questa assume nella riflessione moderna e contemporanea, un tale approccio non può che condurre ad una forma di indagine “psicologistica” e “spiritualistica”. L’approccio di De Sarlo e collaboratori non è però affatto corrivo, anzi risulta molto attento quando si tratta di indagini legate al ruolo e alla valenza della coscienza nell’epistemologia e nella gnoseologia o all’importanza del soggetto e dell’individuo all’interno dei sistemi complessi e dell’agire etico- pratico.

De Sarlo si fa portatore di un’idea altissima dell’individualità, a partire dal rifiuto filosofico della «psicologia senz’anima», (per utilizzare una definizione di Lange). Risulta infatti sempre necessario assumere un soggetto, un reale, come costante degli atti psichici. Ma appunto perché si vuole dare una così ampia importanza al ruolo dell’individualità, non solo in psicologia, ma nell’indagine filosofica latamente intesa, appare poco plausibile affrontare una riflessione sulla coscienza senza conoscere e utilizzare i materiali e gli indirizzi della psicologia sperimentale.

La disciplina psicologica attraversa trasversalmente tutta la riflessione sulla gnoseologia, confluisce come strumento insostituibile nei dibattiti sull’epistemologia, rappresenta un punto fermo nella lotta contro idealisti e pragmatisti, eppure non risulta presente come filone di ricerca della Cultura

Filosofica in quanto tale e ad essa vengono dedicate solo poche pagine. Non si tratta di una

contraddizione?

Varisco critica la prefazione scritta da Enrico Morselli ad un libro di Adelchi Baratono748, dove l’autore si scaglia contro la «psicologia filosofica» degli idealisti recuperando concezioni che hanno oramai fatto il loro tempo e che non sono più proponibili. Il proposito di Baratono, avallato da Morselli, di combattere le tesi degli idealisti e di confinare la psicologia sperimentale nell’indistinto regno degli pseudo-concetti (non scientifici), recuperando le tesi di una psicologia materialistica e della sua riduzione alla fisiologia, affonda le sue radici in un errore di fondo del modo di intedere l’indagine psicologica. Ridurre lo studio della psicologia ad un capitolo della fisiologia era il programma di Comte, poi sviluppato da Helmholtz, Fechner e altri celebri studiosi della psicologia sperimentale e in parte anche da Wundt, (che comunque rimane un punto di riferimento ineludibile per De Sarlo). Si tratta di intellettuali che hanno fornito un’accurata analisi delle sensazioni e dei meccanismi psichici, ma non sono riusciti a venire a capo delle difficoltà di principio legate al programma riduzionistico di Comte, alla cui base sta la confusione fra i due tipi di psichicità facilmente riscontrabili da ogni studioso, quella animale e quella umana. La prima resta chiusa nella necessità di fatto, la seconda invece ha la capacità di elevarsi «come coscienza apprensiva del valore alla necessità di diritto o deontologica»749. Morselli e Baratono ignorano tali sfumature dimostrando addirittura un «odio comune a ciò che essi non sono in grado di capire e che

748

Varisco, “Amenità psicologiche”, recensione di Fondamenti di Psicologia sperimentale, di Adelchi Baratono, C.F., 2, (1907), p. 54.

170 battezzano col nome tanto falso quanto per loro terrorizzante di neo-idealismo»750. Il loro è un approccio antistorico che finisce per spianare il terreno all’idealismo e favorirne la diffusione. In particolare il punto di vista di Morselli non è meno giustificato dell’operazione idealistica di ridurre anche la psicologia, (esattamente come nel caso della pedagogia), a filosofia dello spirito:

qui l’originalità semplificatrice raggiunge altezze che non si scorge più che cosa rimanga di tutto ciò che i psicologi del periodo pre-baratoniano erano soliti vedere nell’esperienza psichica751

Al riguardo non è superfluo ricordare che De Sarlo è uno dei massimi protagonisti del fiorire di studi psicologici in Italia ma non solo. Fondatore del primo Laboratorio di Psicologia Sperimentale a Firenze e di una rivista di studi psicologici a larga diffusione752 egli si afferma come uno fra i maggiori esperti in materia firmando significative monografie di psicologia sperimentale753.

La disciplina psicologica di inizio Novecento lotta quindi per affermare il suo carattere di scienza, con un metodo che si risolve nell’osservazione, nell’esperimento e nell’induzione, vale a dire nel classico metodo scientifico. La psicologia ha come obbiettivo quello di formulare leggi capaci di esprimere i rapporti condizionali dei fenomeni psichici. Una scienza che utilizza lo stesso metodo delle altre e che ha gli stessi obiettivi e ambizioni. Dove sta allora la differenza e la polemica che traspare da queste poche pagine contro il progetto di Morselli e i tentativi che ambiscono a ridurre la psicologia a fisiologia della psiche?

La psicologia studia i fatti e i dati della coscienza e, a questo studio, rimane del tutto estraneo il concetto di «valore»: bene e male, vero e falso, bello e brutto sono indifferenti ad essa. Eppure fra questa impostazione e quella dei riduzionisti esiste una differenza abissale. Lo spirito non è una cosa tra le altre cose, ma il mezzo di rivelazione della realtà e ad esso è necessario assegnare una posizione centrale nel mondo.

Ridurre lo spirito a semplice fisiologia, o cogliere solo gli aspetti materialistici dell’attività psichica, è da considerare un clamoroso abbaglio. Risulta ovviamente necessario studiare ed inventariare i fenomeni meccanici dell’attività psicologica, ma è altrettanto necessario mettere in rilievo che la psicologia sta alla base delle scienze dello spirito come la logica, l’etica e l’estetica. Infatti le leggi di queste discipline sono tali in quanto definiscono la natura del pensiero e risultano i principi che costituiscono l’ossatura psicologica della ragione; altrimenti si dovrebbero ridurre anche la pedagogia e l’etica a semplici meccanismi di natura fisiologica e ciò va contro i risultati di queste discipline, oltre che ripugnare profondamente la nostra stessa ragione. De Sarlo, nel corso della sua lunga riflessione ed esperienza diretta nel campo della psicologia, risolve il problema distinguendo nettamente la materia in due campi. Da una parte sta la scienza positiva, intesa come «scienza degli stati» psichici, dall’altra sta la psicologia come scienza filosofica, come «scienza degli atti psichici»754. Eppure negli stessi scritti desarliani resta abbastanza oscuro il rapporto tra le due discipline. Ponzano suggerisce acutamente che le tensioni fra psicologia sperimentale, («scienza degli stati psichici»), e psicologia filosofica, («scienza degli atti psichici»), siano già state risolte

750

Varisco, “Amenità psicologiche”, C.F., 2, (1907), p. 54.

751

Ibid., p. 55.

752

Tra il 1912 e il 1915 De Sarlo è tra gli animatori della rivista fiorentina Psiche, il cui redattore capo era Roberto Assagioli. Insieme a lui vi scrivono A. Gemelli ed E. Bonaventura.

753

Fra tutte ricordiamo: De Sarlo, I dati dell'esperienza psichica, Firenze, Tip. Galletti e Cocci, 1903.

171 virtualmente, dal momento che a più riprese De Sarlo afferma che non c’è altro metodo al di fuori di quello scientifico:

sicché fin da ora possiamo dire che le due considerazioni della vita psichica, la statica e la dinamica, se anche in principio sembravano dovessero essere oggetto di due psicologie separate, sono intimamente unite e collegate tra loro, e da questo non c’è che un passo per affermare che la psicologia morfologica e quella funzionale sono due capitoli, due parti dell’unica e sola scienza psicologica755

La psicologia dunque è una sola, ma può essere studiata e valutata da punti di vista diversi che non si escludono a vicenda. Il punto di vista statico, (naturalistico-morfologico), e quello dinamico (filosofico) sono due prospettive che si integrano e si completano a vicenda. Ogni distinzione netta fra psicologia obiettiva e subiettiva, empirica e speculativa, che si fonda su una differenza e diversità di metodo e di oggetto di studio, risulta allora priva di valore e ripropone le false alternative fra psiche e spirito, io empirico e io puro.

A ben vedere la filosofia di De Sarlo, inclusi tutti i contributi comparsi sulla rivista da lui diretta, è ispirata da una visione psicologista (o “personalista”, come l’abbiamo definita nel corso di questo studio e in particolare nella sezione dedicata al dibattito gnoseologico). L’esperienza interna viene posta a base di ogni ricerca, (pensiamo al dibattito con gli empiriocriticisti), ed è la via d’accesso privilegiata per la risoluzione, (o quantomeno la corretta impostazione), del problema conoscitivo. Essa pertanto sta a fondamento di ogni forma di conoscenza. Per comprendere la reale portata della psicologia all’interno del sistema di conoscenza dell’uomo è utile – suggerisce Ponzano – fermarsi a chiedersi se «è possibile una gnoseologia, senza una accurata analisi dei processi conoscitivi, senza una psicologia come fondamento», se è «possibile un’etica, senza un’accurata analisi della volontà, dei desideri, degli impulsi, delle passioni, delle tendenze, dell’abitudine, senza riferirsi ai dati della psicologia», se infine è possibile «una scienza della religiosità, senza un’analisi degli elementi costitutivi di essa»756, anch’essi di natura psicologica. Queste parole di Ponzano chiariscono la portata che ha l’indagine psicologica nella prospettiva di ricerca desarliana e ci invitano a prendere finalmente atto del fatto che quando si fa filosofia si è sempre costretti a rapportarsi con la psicologia e chi la ignora tenendosene lontano ne fa comunque un uso implicito e magari inconsapevole. Porre la psicologia a base della filosofia e delle scienze normative, significa prendere atto che, senza l’osservazione psicologica, storica e sociale, non si riesce «a dare ragione delle reazioni soggettive della coscienza di fronte a certi valori»757 privandosi degli strumenti necessari alla comprensione del ruolo e della funzione della nostra attività conoscitiva (gnoseologia), dell’importanza dei valori nella nostra attività pratica, (indagine morale), e – in una parola – del materiale preparatorio ad ogni ricerca che si rispetti.

Dovrebbe apparire ormai chiara la ragione per cui sulle pagine della Cultura Filosofica non trova posto alcuna trattazione diretta della “psicologia empirica”, né l’aggiornamento dei risultati di tale disciplina. La scienza descrittiva degli stati psichici sta dietro le quinte a tutte le indagini filosofiche proposte nel corso dei dieci anni di pubblicazioni e risulta essere un presupposto ineludibile per ogni tentativo di analizzare la realtà da un punto di vista più ampio e profondo.

Se è vero che la coscienza coglie il fatto mentre è vissuto, e se è vero che la psicologia studia i lineamenti della coscienza, come è possibile che i filosofi possano permettersi di trascurare «la

755

Ponzano, L’opera filosofica di F. De Sarlo, cit., p. 62.

756

Ibid., p. 66.

172 considerazione quantitativa introdotta dal metodo sperimentale» che ci permette di stabilire «il grado di attenzione, la capacità ritentiva ed evocatrice della memoria, e misurare fino ai millesimi di secondo il tempo che è l’elemento concomitante caratteristico degli eventi psichici»758?

Il pregiudizio che la disciplina psicologica non abbia a che fare con la filosofia, propugnato da positivisti ed idealisti, viene così superato nella pratica di indagini filosofiche informate dei risultati della psicologia e da un «sano contemperamento» dei vari indirizzi:

Dobbiamo liberarci, insisteva De Sarlo, dal pregiudizio positivistico che la psicologia non abbia a che fare con la filosofia. Se la filosofia non può ignorare i dati dell’esperienza interna, la psicologia non saprebbe elaborarli senza riferirsi ai suoi principi, a meno di voler ridurla a una tecnica sperimentale759

3 Per una «ragion pura pratica»

Il discorso si fa più complesso ed articolato in merito alla questione morale, ma anche su questo terreno viene saldamente mantenuta la stessa prospettiva elaborata nelle indagini pedagogiche e psicologiche.

Il nocciolo del ragionamento morale è senza dubbio il concetto di valore. Fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento sul valore riflettono infatti sia il marxismo (riferendosi soprattutto alle prime cento pagine del Capitale di Marx), che il marginalismo austriaco, (in Italia ben rappresentato da Pareto, Pantaleoni e Benedetto Croce il quale affida alla dimensione del valore uno dei quattro momenti del suo sistema).

Ma che cos’è il valore secondo la Cultura Filosofica? È in particolare Giovanni Calò a lavorare su questo punto notando come nessuna indagine possa prescindere dal concetto di valore. Questo è implicito per esempio nelle ricerche psicologiche, dato che il valore si dimostra un fatto essenziale della coscienza. Anche il progresso della scienza economica lo pone come oggetto privilegiato del suo studio e l’indagine morale, lasciandosi alle spalle l’impostazione razionalistica, cerca un contenuto concreto, un sistema appunto di valori, capace di rappresentare una base sicura su cui riflettere.

Per comprendere il progetto morale della Cultura Filosofica è utile la lettura di un significativo articolo di Vidari760, che riesce a sintetizzarne bene i capisaldi. Vidari stende un’indagine storica sullo sviluppo della filosofia morale inquadrandola criticamente nello svolgersi degli «ultimi quaranta anni»761 della storia del pensiero. Anch’egli condivide con gli altri autori della rivista la preminenza del problema gnoseologico; il punto nodale della storia del pensiero europeo recente – scrive l’autore – è una «ridda vertiginosa e incessante di pensieri, di critiche, di elucubrazioni intorno al punto oscuro e attraente insieme della natura del conoscere»762. Ciò ha comportato lo scadere della «vita morale», e in particolare della riflessione morale, accantonata come non prioritaria o addirittura inattuale. Mentre a fianco alle riflessioni gnoseologiche hanno guadagnato terreno gli aspetti essenzialmente esteriori, sociali, empiricamente accertabili della ricerca filosofica, contemporaneamente ha preso piede lo «smarrirsi e l’offuscarsi» dell’indagine morale e

758

Santucci, Eredi del positivismo, cit. p. 184.

759

Ibid., p. 184-185.

760

Giovanni Vidari, “Prammatismo e intellettualismo di fronte alla morale”, C.F., 3, (1910).

761

Ibid., p. 245.

762

Ibid.; infatti secondo Vidari la questione della conoscenza ha focalizzato intorno a sé i migliori ingegni espressi negli ultimi decenni.

173 del «senso della sua interiorità»763. Ciò è accaduto perché si è data preponderanza assoluta alla

scienza e al sapere sulle altre forme di vita spirituale764. Fino alla fine del «secolo scorso» – continua Vidari – si è assistito impotenti alla trasformazione della «coscienza morale» in pura e semplice «coscienza sociale»765. Soltanto recentemente sono apparsi «sulla scia della vita civile energie, elementi, fenomeni e processi»766 finalmente destabilizzanti per la forma mentis che l’«intellettualismo» e il «positivismo» hanno reso canonica. Si tratta di un «fiotto possente di energie spirituali essenzialmente volitive ed etiche»767, capace non solo di scardinare i tasselli della morale dipinta come descrizione sociologica, ma anche di caratterizzare i lineamenti di un’epoca di crisi e di svolte radicali. Vidari descrive quindi un rinascimento complessivo dello spirito contemporaneo di inizio Novecento che si manifesta sotto diversi aspetti: risorge e si rinnova il «sentimento religioso»; la «classe operaia» si afferma come protagonista della vita sociale e con il suo attivismo spezza i vincoli della «mediazione positivistica»768 e socialdemocratica; si affermano le avanguardie artistiche che stimolano la creatività, la fascinazione e la rottura di ogni canone prestabilito. Gli esempi appena elencati sono soltanto alcuni dei punti di rottura individuati da Vidari capaci di capovolgere le esigenze fondamentali che nel corso della seconda metà dell’Ottocento si erano affermate come conquiste durature. L’uomo del Novecento dimostra di avere nuove necessità e priorità, in particolare l’uomo teoretico diventa sempre meno interessante in confronto all’uomo «del fare o dell’azione»769

.

Vidari descrive dunque una situazione completamente capovolta rispetto al vecchio panorama civile e culturale ottocentesco e per niente nostalgica dei vecchi schemi. I nuovi fattori, «vitalità» e «volontà operative e dominatrici»770, risultano «i fatti principali che, sprigionandosi quasi a un tratto dal grembo oscuro della vita sociale, e apparendo insieme, variamente intrecciati e illuminati, sulla scena del mondo, hanno prodotta una violenta scossa nelle coscienze, demolendo quasi dalle fondamenta l’edificio delle convinzioni eretto dall’intellettualismo precedente, e spalancando invece sotto gli occhi il baratro immane, in cui par veramente che si sprofondino le radici della vita»771.

L’impatto con la cultura accademica e con le certezze ottocentesche si manifesta come una violenta scossa alle fondamenta dell’ormai decadente intellettualismo:

così con baldanzoso impeto giovanile irruppero nell’arringo filosofico, lanciando gridi incomposti e confusi di ribellione e di speranza insieme, levando a rumore i campi chiusi e, in vero, un po’ avvizziti o isteriliti della cultura accademica, raccogliendo attorno a sé, come suole accadere intorno a ogni strepitoso agitatore che sembri instauratore

763

Ibid., p. 246.

764 Quando utilizza il lemma «sapere» Vidari intende chiaramente un sapere accertabile scientificamente, il sapere delle

Naturwissenschaften: «la impossibilità di una forma di conoscere diversa da quella strettamente empirica, la applicazione ritenuta

necessariamente generale del determinismo, i principii dell’evoluzione, dell’adattamento all’ambiente, delle reazioni naturali, dell’equilibrio mobile penetrarono nel campo dell’etica escludendo alcuni problemi ritenuti fono allora essenziali», ibid., p. 247.

765 Ibid. 766 Ibid. 767 Ibid. 768

Vidari legge il sorgere di nuove ideologie rivoluzionarie marcatamente volontaristiche ed ostili ai principi del programma socialdemocratico, sia politicamente che teoricamente. Il socialismo tradizionale della seconda Internazionale risultava infatti imbevuto di contaminazioni positivistiche (e non solo nella teoria ma anche nella pratica e nell’estrazione degli stessi dirigenti operai, spesso rappresentanti del positivismo teorico): «l’esperienza dolorosa della scarsa utilità dei compromessi e degli accordi sapientemente calcolati e meditati nell’intento di arrivare alla grande rivoluzione sociale, onde si presentava come necessaria l’azione diretta, tra istintiva e passionale, delle classi soggette contro le dominatrici», ibid., p. 248.

769

Ibid.

770

Ibid., p. 248.

174

di vita, turbe di plaudenti e di facili ammiratori – irruppero, dico, da tutte le parti, dalle Università e dalle Chiese, dai Laboratori scientifici e dai Congressi internazionali le schiere dei prammatisti772

La ribellione antiintellettualistica di inizio secolo ha lasciato immediatamente tracce sulle questioni di ordine morale e pedagogico. Al primato della conoscenza il «nuovo vomere tagliente del pensiero prammatistico»773 ha frettolosamente anteposto quello della vitalità e della praxis, ribaltando una scala gerarchica di valori e credenze che durava da secoli. Per una parte di questi intellettuali “pragmatismo” significa indicare l’importanza del momento volitivo e attivo nell’attività intellettuale e scientifica e in particolare spiegare il maggior valore di alcuni fini rispetto ad altri. Una seconda impostazione si caratterizza per una marcata apologetica cristiana o irrazionalista, e mira cioè a «dimostrare e cogliere nell’azione ciò che nella attività intellettuale scientifica non si coglie, cioè un elemento soprafenomenale e profondo, a cui non possiamo sottrarci»774. La prima forma di pragmatismo è di tipo metodologico, analizza cioè tutti i «giudizi valutativi» in base al «contenuto empirico della azione corrispondente» facendo irrompere l’elemento “pratico” in considerazioni che prima erano sempre state ascritte ad un ordine teoretico-conoscitivo. La seconda specie di pragmatismo fa dipendere invece la verità e il valore del giudizio «da un elemento interiore profondo ed essenzialmente religioso morale che è implicito nell’azione»775. Al di là delle differenze, Vidari sottolinea come in entrambi i casi siamo di fronte ad una reazione all’intellettualismo di marca settecentesca e ottocentesca776

, e che entrambi gli approcci mirano a valorizzare la vita spontanea dell’istinto e del sentimento di fronte a quella del pensiero e dell’intelletto riflesso. Sia il pragmatismo di marca metodologica che quello dai risvolti mistici e religiosi insistono sui bisogni, le intenzioni e le scelte individuali nella «conquista, l’accertamento e la fruizione della verità»777, affossando del tutto ogni aspirazione oggettivista e neutralista. A parere di Vidari sono dunque innegabili i meriti del pragmatismo, a partire dal campo morale, perché qui tale corrente filosofica ha rinverdito e sviluppato esigenze prima cadute in disgrazia con il trionfo della visione etica positivistica778, basata sull’idea di una «catena infinita di cause meccaniche»779 e sull’esclusione più o meno esplicitata della dimensione dei valori e della creatività spirituale. Il

772

Ibid., p. 249; tutto viene messo a soqquadro e chiamato in dubbio: «il criterio logico della verità, le teorie scientifiche più