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Dal problema della coscienza al «primato della ragion pratica»

4 La centralità dei valor

Un punto condiviso e difeso con passione da tutti i redattori e collaboratori della rivista a riguardo dell’indagine etica è certamente l’affermazione della validità e realtà dei valori umani. Ogni ipotesi di fondazione eteronoma dell’etica appare una violazione palese della stessa dignità dell’esistenza umana, della sua storia e, in fin dei conti, una contraddizione ripugnante la ragione. La riflessione sui «valori» è una delle linee che caratterizzano la strategia culturale della rivista e ha alla sua base l’idea che il comportamento etico dell’individuo muti a seconda dell’oggetto che ha di fronte. Su questo aspetto fa luce Ponzano che ricorda come l’indagine di De Sarlo suggerisca di considerare il rapporto fra soggetto e oggetto non più in maniera rigida o meccanica. Su questa linea di ricerca si aprono dunque nuovi spazi nella riconsiderazione dei rapporti fra i diversi momenti

rappresentativo, conoscitivo e pratico del soggetto umano:

se c’è interesse puramente rappresentativo [il soggetto] è diretto alla produzione di complessi e sistemi rappresentativi, se c’è interesse conoscitivo è diretto all’accertamento dell’esistenza, e alla sistemazione di tutte le cognizioni; se c’è interesse pratico è diretto alla realizzazione di beni e di valori. Queste forme differenti di attività spirituale, poi, non si esplicano l’una isolata dalla altra, ma sono tutte in necessaria connessione organica tra loro796

Riflettere sulla natura del soggetto senza pregiudizi ci porta a considerarlo non solo come soggetto conoscitivo, ma anche come persona e agente morale. Ragionare significa quindi anche svolgere attività pratica e non (come invece volevano i razionalisti) ridurre tutto alla pura dimensione del concetto. Ovviamente De Sarlo si guarda bene dal ridurre tutta la filosofia a «filosofia dei valori». Questa posizione presuppone l’idea articolata del rapporto fra l’uomo e il suo ambiente, rapporto che include fra i suoi aspetti fondamentali la capacità e l’attitudine umana ad assegnare valori e significati ad alcuni oggetti, (materiali o immateriali), piuttosto che ad altri. L’attribuire valore è una funzione primitiva dello spirito, un’attitudine originaria, esattamente come lo è l’attitudine conoscitiva che abbiamo analizzato nei precedenti capitoli. L’attitudine a distinguere ciò che ha valore da ciò che non ne ha, a produrre senso, è una forma di vita psichica che ha molta affinità con la capacità di provare sentimenti. In entrambi i casi l’attività pratica è quella peculiare maniera di comportarsi del soggetto di fronte all’oggetto per cui quest’ultimo è valutato in un certo modo. Ciò che suscita emozione o dignità di valore in noi non dipende dall’elaborazione concettuale o dalla formazione teorica di una nozione di valore, presente alla mente, che rende possibile la valutazione.

794

Ibid., p. 262.

795

Ibid.

178 L’idea filosofica e teorica del «valore» giunge in un secondo tempo e consiste nella semplice concettualizzazione di una pratica spontanea, irriducibile e non sempre razionale. È questo l’equivoco in cui sono spesso caduti molti filosofi che hanno preteso di lavorare ad un’etica razionalista, pensando di costruire improponibili «geometrie delle passioni». Per De Sarlo e gli altri moralisti che collaborano con la rivista è invece chiaro che prima vengono gli atti di valutazione e soltanto in secondo momento le riflessioni teoriche che rendono possibile la formazione dell’idea di

valore.

Passando sul versante opposto del razionalismo etico, i movimentatori della Cultura Filosofica devono fare i conti con i filosofi del valore, come per esempio il neokantiano assiologico Heinrich Rickert. Essi pongono un problema legittimo e cioè proiettano il «valore» su tutto l’arco delle cognizioni e delle attività umane sviluppando le idee morali e gnoseologiche kantiane, ma commettono due errori fondamentali: innanzitutto sbagliano quando non distinguono fra «conoscenza» e «coscienza valutativa» e poi separano il «bene» (il valore) dall’«essere», rinunciando in tal modo ad ogni fondazione metafisica del «bene» nell’«essere». Essi commettono quindi un errore uguale e contrario a quello dei naturalisti. Mentre questi ultimi consideravano la coscienza un semplice fenomeno tra gli altri fenomeni non accorgendosi che tutto ciò che si conosce, (compresa la conoscenza scientifica), è in rapporto alla coscienza e all’attività di significazione e valorizzazione di cui l’uomo è capace, i filosofi del valore si spingono troppo oltre e negano la specificità di alcuni beni rispetto ad altri capaci di richiamare la nostra attenzione e stimolare la nostra attività etica797.

È impossibile negare che i «valori» possiedono una loro realtà, ma in un senso molto diverso dall’oggettivismo etico di alcuni filosofi e, in particolare dei cattolici oggettivisti come, per esempio, dei polemisti che intervengono in questi stessi anni sulle pagine della Civiltà Cattolica. I valori umani possiedono una loro realtà, ma non esistono come reali, ossia come realtà ontologicamente fondate ed extra-umane. Non è neppure corretta la soluzione di Kant che li concepisce nei termini di enti di ragione tratti dalla «ragion pratica», dal momento che quest’ultima «non può dire cosa è valore morale e cosa non lo è. La sua funzione e le sue possibilità sono altre; essa può e deve confrontare, ridurre, subordinare o unificare»798, ma non può in alcun modo individuare i fini etici ed operare una scelta fra essi.

Non si tratta di un paradosso. De Sarlo e i suoi collaboratori, (per esempio Vidari), polemizzano contro il pragmatismo etico perché questo declina il discorso morale in strumentalismo, ma condividono con un tale indirizzo l’interesse ad una fondazione dell’etica nell’uomo, perché convinti che cercare la fonte degli ideali e dei valori al di fuori di esso non sarebbe una via praticabile. L’indagine morale sta costantemente al centro dell’attenzione della rivista e costituisce uno snodo strategico della sua manovra riformatrice.

A questa data trattare il tema dell’etica significa porsi la questione del valore. In che cosa consiste però il valore? Cosa vogliamo dire quando, nella vita di tutti i giorni, giudichiamo come «bene» e «male» la realtà in cui siamo immersi? È un fatto indiscutibile che certi soggetti sono percepiti come «beni» o «fini». Nel corso della nostra vita questi beni vengono considerati come meritevoli

797

Cfr., Josef Seifert, Essere e persona: verso una fondazione fenomenologica di una metafisica classica e personalistica, Milano, Vita e Pensiero, 1989.

798

Maurizio Viroli, “Il problema dell’etica razionale in Erminio Juvalta”, in Studi sulla cultura filosofica italiana fra Ottocento e

179 di essere amati e ricercati e si presentano a noi con il carattere della legittimità e della giustezza. Ovviamente però non tutti i valori sono da porre sullo stesso piano, altrimenti si cadrebbe nell’equivoco di appiattire ogni nostra esigenza, anche individuale, a valore generale! Non a caso De Sarlo, nei suoi scritti sul valore, – precisa Gennaro Ponzano – distingue fra «valori di fatto» e «valori di diritto, soggettivi e oggettivi»:

Gli uni contingenti, sentiti e realizzati in particolari circostanze, che sorgono e si dileguano col sorgere e il dileguarsi dei bisogni, in rapporto ai quali vengono avvertiti, variabili e mutevoli da individuo a individuo, relativi al tempo e allo spazio; gli altri assoluti e incondizionati, che, comunque e dovunque si presentano a un soggetto debbono essere sempre realizzati, hanno il diritto all’esistenza, necessari e permanenti, in quanto la valutazione non è fatta riferendosi a circostanze particolari, ma in abstracto […] ogni volta che si presenta il valore assoluto a un soggetto, esso non può non essere sentito come bene e degno di essere realizzato799

Sul fascicolo n. 7 del primo anno di pubblicazioni, Giovanni Calò indica i cardini all’interno dei quali il discorso morale deve svolgersi. L’evoluzione della morale800 è un testo asciutto, capace di inquadrare in poche pagine una linea di indagine etica precisa e puntuale. Non è possibile alcuna ricerca morale se non si tiene presente che «vita e coscienza sono sistemi organici, intrecci di funzioni in continuo sviluppo»801. In altre parole, secondo Calò, è erroneo lavorare ad un progetto etico unidimensionale che tenga conto soltanto di un aspetto della prassi morale, vale a dire di quello intellettuale o di quello del vissuto.

Il secondo tassello indispensabile per condurre un discorso morale è la nozione di «storicità», cioè «il divenire continuo secondo una linea direttrice più o meno facilmente riconoscibile e tale che in esso divenire appunto lo spirito sembra andar ritrovando e rivelando a sé stesso»802.

La storia è intesa da Calò come la cartina di tornasole della morale, come «mezzo di rivelazione della natura stessa delle relative funzioni spirituali»803. Sintetizzando possiamo dire che il progetto di ricerca etico a cui lavora Calò mette radici nell’intreccio di vita e coscienza e nella concezione della storia come diuturna rivelazione dell’uomo, il quale viene concepito come attore e portatore dell’insieme dei valori etici.

L’evoluzione morale di cui egli parla non ha nessuna relazione, se non di rottura, con la morale

evoluzionistica dei positivisti. Mentre quest’ultima spiega la vita morale ricavandola

dall’evoluzione diretta dagli istinti elementari e dai bisogni d’ordine inferiore, il progetto di Calò804

mira a rivelare la natura alta e assai più complessa del valore etico. Calò è consapevole che un termine come «evoluzione» sia potenzialmente equivoco, ma la sua posizione in merito è chiarissima. Lo studioso fa notare per esempio come l’«evoluzione della morale» risulti assai più complicata dell’«evoluzione del pensiero», i procedimenti del quale sono puri e più semplici di quelli etici perché non hanno attinenza con il sentimento, con gli istinti e con gli interessi della vita pratica. L’evoluzione del pensiero si evince facilmente dall’allargarsi della sfera dell’esperienza, dalla maggiore chiarezza e distinzione che acquistano le categorie e i giudizi logici, mentre non sempre la coscienza morale è proporzionata al grado di sviluppo civile di una società:

799

Ponzano, L’opera filosofica di F. De Sarlo, cit., p. 135.

800

Calò, “L’evoluzione nella morale”, C.F., 7, (1907).

801 Ibid., p. 214. 802 Ibid. 803 Ibid.

180

un progresso nella tecnica può infatti determinare un regresso nella sfera morale, e uno stadio inferiore di civiltà può, rispetto a certe caratteristiche etiche, essere senza confronto superiore rispetto ad una civiltà più avanzata805

Stabilire le dinamiche dell’evoluzione del pensiero logico è insomma relativamente semplice. Al contrario l’evoluzione della coscienza morale implica l’intreccio di diversi fattori come il pensiero teoretico, le forme economiche di produzione e scambio, i modelli di costituzione politica, la complessità dei rapporti sociali, ecc.. La vita etica risulta intimamente collegata alle diverse forme di attività umana ma irriducibile ad esse. Ecco perché secondo Calò è possibile parlare di «evoluzione morale» ma mai di «evoluzionismo»; la coscienza morale di un popolo non è mai una risultante pura e semplice del suo grado di evoluzione civile, teorica e intellettuale e la storia del Novecento ha ampiamente e crudamente dimostrato la validità di queste osservazioni.

Anche il rapporto fra morale e storia va chiarito. L’ideale etico si manifesta nel corso della storia ma né la genesi né lo sviluppo morale possono essere spiegati solo sulla scorta delle condizioni storiche e sociali. L’esperienza morale possiede un «carattere originario e irriducibile»806

proprio dell’intimità della persona.

Rimosso ogni retaggio meccanicistico Calò può articolare in positivo il suo progetto di ricerca morale. Il sentimento etico si distingue da ogni altra esperienza interiore perché si presenta come «obbligatorio» ed «imperativo»807. La nozione di «obbligo» gioca un ruolo decisivo perché è grazie a questa che Calò può collegare la dimensione morale alla società umana e al suo processo storico evitando così ogni riduzionismo808. Se infatti si studiano le società primitive è innegabile una certa idea della persona e la presenza di solidi valori umani. Fin dagli albori della consociazione umana, l’antropologia rileva l’esistenza di meriti e colpe nelle azioni degli uomini, tracce antichissime di

giustizia retributiva e perfino nozioni più o meno robuste di diritto personale. Anche le società più

arcaiche sono permeate da un «germe morale» spontaneo che ha in sé i prodomi della sua futura evoluzione.

Stando così le cose si capisce come una concezione storicista dell’etica non solo non sia incompatibile, ma sia invece necessariamente correlata all’affermazione della realtà e dell’universalità degli ideali:

certi valori morali, una volta riconosciuti nella loro universalità, non restano come se non fossero, ma operano in modo più o meno latente e permangono pur sempre, orientando verso di sé l’evoluzione posteriore. Una linea di sviluppo etico, è infatti riconoscibile nella storia umana809

Sono parole importanti che fissano in poche righe un orientamento preciso. L’esigenza di una morale universale è qui appena accennata, ma pochi mesi più tardi, sul numero 2 del 1908, Calò ha l’opportunità di specificare meglio come vada intesa l’universalità etica810

. Innanzitutto egli precisa

805

Ibid., p. 216; Calò adduce l’esempio della condizione di genere in riferimento allo sviluppo sociale, basta pensare per esempio che la condizione della donna nell’Inghilterra del secolo XVIII è parecchio inferiore a quella attestata dal codice di Hammurabi.

806

Ibid.

807

Calò descrive l’esperienza morale come un «avvertimento d’un valore inerente a certe determinazioni o manifestazioni della persona umana, sia in sé stessa, sia in rapporto alle altre, avvertimento accompagnato da un senso speciale d’obbligazione o doverosità», ibid., p. 220.

808

Calò, anche altrove, aveva espresso la convinzione che fosse un errore da evitare lo stabilire opposizioni e tensioni inesistenti tra

moralità e socialità. Per Calò è semplicemente sbagliato concepire il «mondo sociale» come «mondo di rapporti puramente

meccanici, intercedenti fra realtà fisiche (i corpi) e quindi soggetti a leggi fisse, simili a quelle del mondo della materia, e contrapponendogli lo spirito, mondo dell’assoluta libertà», Calò, “Una nuova casistica morale”, recensione di Morale et Société, di George Fonsegrive, C.F., 2, (1908), p. 88.

809

Calò, “L’evoluzione della morale”, C.F., 7, (1907), p. 220.

181 le differenze fra l’universalità propria del pensiero e l’universalità riferita alle riflessioni e all’esperienza etica. I procedimenti ragionativi hanno come riferimento un modello di «assoluta impersonalità» e in ciò consiste il loro essere universali. Anche le valutazioni etiche aspirano all’universalità, ma essa è da intendersi in modo diverso da quello valido per i procedimenti logico- analitici. Se infatti le valutazioni etiche seguissero la stessa strada dei processi logico-analitici si inaridirebbero e perderebbero senso: è quello che per esempio accade al rigorismo formalistico di Kant che non rende sufficientemente conto della specificità dell’esperienza etica e della sua radice individuale e personale. L’errore di ogni formalismo etico sta proprio nel modellare l’universalità morale sulle leggi universali della logica e i risultati non possono che essere scarsi non andando al di là di schematismi che risultano aridi e inapplicabili. Fatte le dovute precisazioni sulla specificità dell’esperienza e della valutazione morale rispetto al pensiero logico-formale – precisa Calò – non bisogna neppure affossare ogni ambizione all’universalità, perché una norma etica che non abbia più il carattere dell’universalità semplicemente non è una norma. Se non si tiene fermo questo il pericolo è quello di una «morale del caso per caso», la quale «non può che condurre alla bancarotta della morale, cioè uno scetticismo etico che proclami impossibile lo stabilire principi etici, sia pur semplicissimi, in base ai quali sia lecito giudicare qualsiasi condotta»811.

È dunque necessario individuare il carattere specifico dell’universalità etica senza però farsi prendere troppo la mano da semplicismi eccessivi.

Accantonate sia l’universalità del rigorismo intellettualistico sia il ristagno di una concezione morale «del caso per caso», Calò si rivolge all’«opera faticosa dell’evoluzione morale»812

, ricercando qui la peculiarità dell’esperienza etica. Nel corso della storia si sviluppa (e non certamente a caso) la «personalità umana libera e responsabile»813; perciò è proprio la «costituzione della persona umana»814 l’ipotesi di lavoro che permette a Calò una comprensione e una valorizzazione integrale del fenomeno etico, il quale si rivela capace di soddisfare sia le esigenze di tipo normativo (universalità) che di tipo storico (evoluzione). In altre parole il fatto che nel corso della storia sorgano nuovi valori, (momento evolutivo), non contraddice ma conferma la presenza di un «nucleo primitivo della coscienza etica umana»815 (momento universale). Solo grazie all’esistenza di un nucleo originario (ovvero lo «sviluppo di un germe presente dalla notte dei tempi»816) che lega tutte le singole esperienze etiche individuali, è possibile comprendere la ragione della loro universalità.

Ma torniamo al problema della definizione del concetto di «valore». Esso – ricorda Calò in una recensione ad un testo di Francesco Orestano scritta appena pochi mesi prima dell’articolo che abbiamo analizzato finora817 – è il perno intorno a cui ha lavorato la psicologia contemporanea e su cui ha riflettuto assiduamente tutta la cultura filosofica e scientifica moderna. Le scienze economiche, (in particolare la scuola austriaca od edonistica di Wieser, Menger, Boehm,

811 Ibid., p. 87. 812 Ibid., p. 88. 813

Calò, L’evoluzione della morale, cit., p. 216; una simile nozione sottende per Calò il concetto dell’«uguaglianza di natura», cioè quei diritti e doveri di cui tutti gli uomini sono depositari e la progressiva «armonia sempre più completa dei valori umani» che si svolge in seno alla singola persona e all’organizzazione sociale che la comprende.

814 Ibid., p. 215. 815 Ibid., p. 218. 816 Ibid.

182 Bawerk818), si orientano verso il concetto di valore; la scienza morale abbandona l’impostazione

razionalista e formalistica819 per andare alla ricerca, nell’esperienza morale, di un contenuto concreto; ma più in generale è possibile notare che l’influenza del concetto di valore va ben oltre la stessa dimensione dell’economia e dell’etica.

Il concetto di valore illumina ad esempio le ricerche gnoseologiche perché l’idea della neutralità della conoscenza viene soppiantata dal concetto che l’uomo, quando conosce, pone dei valori (Rickert). Il dibattito risulta ampio, ma proprio questa polisemia di significati del concetto di «valore» presta il fianco al pericolo di una deriva funzionalistica dell’etica. Fare per esempio del

valore il perno dell’indagine etica non può implicare l’appiattimento di quest’ultima a mero

utilitarismo820. Su questo s’appunta la critica ad Orestano e cioè sull’insufficienza di concepire le scienze naturali semplicemente come la descrizione e la comprensione più economica della realtà. Orestano crede infatti di scorgere il nocciolo elementare dell’esperienza etica nel concetto di «interesse». Naturalmente, agli occhi di Calò, Orestano sbaglia, esattamente come sbagliano tutti i riduzionisti quando sacrificano la ricchezza della viva realtà ad un principio unico. Il riduzionismo etico di Orestano, lungi dal semplificare le cose, non ci fa capire nulla sull’origine e sulla complessità dei valori umani.

Con un taglio simile, sempre recensendo i testi di Orestano, interviene un autore che si firma con la strana sigla di «Oy». Questa volta vengono messi in discussione i suoi Prolegomeni821.

Orestano ha in mente una scienza morale autonoma, e per realizzare un simile progetto lavora alla demolizione di quello che definisce l’«io morale assoluto». Per lui la fonte dell’etica è da cercarsi altrove e precisamente nella personalità empirica concreta, a cui egli attribuisce il nome di «sistema di vita» e che, in polemica alle astrazioni idealistiche, viene descritto come un «sistema di cui la coscienza non è che una piccola sezione accanto a quelle dell’inconscio e del subconscio»822

. Il «sistema di vita» nella sua complessa molteplicità è la matrice di tutte le determinazioni etiche. Ogni valore sarebbe quindi la «coscienza riflessa» di uno stato di interesse «bio-psichico». Orestano sviluppa il suo riduzionismo conducendolo alle sue conseguenze estreme. I valori posti dall’uomo «si misurano nel quantum di vita che essi impegnano»823 e che «noi siamo disposti a concedere loro»824. Secondo tale logica il «valore supremo» è quello cui il soggetto è disposto a subordinare tutta la propria vita. Peccato però che i risultati esposti nei Prolegomeni – commenta l’anonimo recensore –, invece di fondare la scienza etica, conducano al «disconoscimento e al dissolvimento di quel che v’è di caratteristico e di specifico nell’esperienza di cui si vuol fare la teoria»825

.

818

Come è noto l’edonismo economico, (in Italia rappresentato agli inizi del secolo da Pareto e Pantaleoni e per un breve periodo dal revisionismo economico di Croce), consiste nel considerare il fatto economico come un fatto valutativo, come una realtà psicologica di cui è possibile ricercare la “legge” nella dinamica dei bisogni umani.

819

Anche per Calò, esattamente come per Lamanna, il difetto capitale della filosofia pratica kantiana consiste nella sua struttura