• Non ci sono risultati.

Il dibattito gnoseologico

2 Identità di pensiero e giudizio

Accanto alla comune convinzione che l’essere e il conoscere siano realtà reciprocamente e originalmente correlate, emerge un altro aspetto fondamentale su cui i compilatori della rivista indirizzano il dibattito gnoseologico, vale a dire l’identità del «pensiero» con il «giudizio». Sulle orme di Kant viene ripresa l’identità della facoltà ragionativa con quella giudicativa.

477

Sulla legge di non contraddizione Varisco apre un proficuo confronto con Vailati sul tema della non contraddizione e fa notare che «anche Vailati che pure credeva di potere abolire ogni gerarchia naturale degli assiomi deve ammettere la necessità della compatibilità fra di essi». Il riferimento esplicito è all’articolo “Pragmatismo e logica matematica”, nel fascicolo del febbraio del 1906 del Leonardo, dove si sostiene che i postulati hanno dovuto rinunciare a quella specie di «diritto divino» di cui sembrava investirli l’evidenza. Questo confronto comunque non trova seguito all’interno della rivista, rimanendo così una eccezione rispetto al mancato dialogo fra le posizioni propugnate dalla Cultura Filosofica e quelle del filosofo pragmatista.

478

Varisco, “Matematica e teoria della conoscenza II”, C.F., 8, (1907), p. 210.

479

Ibid., p. 213.

108 Esaminando attentamente la natura della facoltà giudicativa ci si accorge che in essa è racchiusa la soluzione, (o per lo meno la corretta impostazione), del problema gnoseologico su cui tanta parte della filosofia primo novecentesca si era invece arenata. I giudizi in quanto tetici481, si riferiscono direttamente all’oggetto e affermano il loro essere indipendente e trascendente. Sta quindi nell’analisi della facoltà di giudizio la prova migliore dell’impossibilità di considerare l’idea come ente assoluto al di fuori degli individui e delle persone concrete e la necessità di riconoscere alla conoscenza la caratteristica di essere trascendente rispetto al soggetto gnoseologico. Paradossalmente, è proprio Bonatelli, critico impietoso del noumeno kantiano, a proporsi come punto di riferimento per quanto riguarda il pensiero giudicativo in relazione al problema gnoseologico. La riflessione sul valore gnoseologico del giudizio era stata stimolata anche dalla conoscenza diretta che De Sarlo aveva delle indagini di Brentano482, quando il filosofo e psicologo austriaco si era trasferito in Italia e lì aveva stretto significativi rapporti di amicizia e di scambio culturale. Senza entrare nel merito dei rapporti fra Brentano, De Sarlo e il vasto circuito intellettuale nel quale egli si inserì, è però importante evidenziare come, di tali scambi, sulla valenza strategica assunta dai dibattiti sul giudizio, rimangono tracce significative anche sulle pagine della Cultura

filosofica, a dimostrazione del fatto che le riflessioni ospitate dalla rivista avessero respiro ed eco

internazionale483.

L’indagine sulla coscienza per De Sarlo, Bonatelli e gli altri autori che si interessano di questi argomenti sulle pagine della rivista, rappresenta realmente una priorità. Anzi potremmo dire che

fare filosofia per gli autori che determinano la linea editoriale della rivista significa, in primo luogo,

occuparsi dello studio della «coscienza». Ma ciò risulta impossibile senza indagare il carattere giudicativo e intenzionale del pensiero. La sua funzione precipua risiede nella capacità o attitudine ad oggettivare i dati attinti dall’esperienza e di affermarli mediante il giudizio. Perciò l’esistente, con le sue qualità, viene sempre appreso dal pensiero giudicativo che costituisce il nerbo razionale della coscienza. Una prospettiva questa che accorda le indagini proposte sulle pagine della Cultura

Filosofica ai problemi posti da gran parte della filosofia europea del tempo.

La coscienza è sempre coscienza di qualcosa, quindi la nostra conoscenza è sempre «giudicativa» e «transubbiettiva», come mette bene in rilievo Gennaro Ponzano nel brano che segue, facendo attenzione a sottolineare come nelle indagini desarliane confluissero elementi, di ordine sia psicologico che filosofico:

in ogni forma di coscienza, dalla più crepuscolare alla più chiara, in quanto c’è un accorgersi, un avvertire c’è sempre dualità di termini, e la vita psichica non si può ridurre a un flusso, a una corrente di fenomeni qualitativamente diversi; e anche quando sembra che non ci sia che una successione di puri stati, questi si riferiscono sempre alla rappresentazione di certe condizioni (oggetti). […] La coscienza implica, prima di tutto, riferimento ad altro: essa è essenzialmente

481

I giudizi tetici, nella logica formale, sono giudizi privi del predicato, essi si limitano ad asserire l'esistenza del soggetto.

482

L’autore della Psicologia dal punto di vista empirico dopo il suo ritiro dalla vita accademica per questioni personali, a fine secolo (1896) si trasferì a Firenze, dove restò fino allo scoppio della guerra mondiale. La sua permanenza in Italia è quindi molto lunga e Brentano allaccia stretti contatti con De Sarlo e Vailati, relazioni e collaborazioni che si rivelano decisive per gli sviluppi della filosofia e della psicologia di inizio Novecento, e non solo in ambito italiano.

483

«Se per Brentano il giudizio consisteva nell’anerkennen o nel verwerfen, nell’affermare o nel negare un dato contenuto, come se ne doveva poi intendere la differenza con la rappresentazione? Se tutto ciò che è rappresentato è reale nel senso in cui è rappresentato, se in tale riconoscimento sta l’obbiettività della rappresentazione, essa può considerarsi un giudizio implicito; e la distinzione sarà allora da cercare nel fatto che “la rappresentazione è intuizione di qualcosa come appartenente alla sfera dell’essere in generale, mentre il giudizio è determinazione sia della forma speciale d’essere che compete all’oggetto sia della sua natura o di qualche suo aspetto”. Ma con ciò non c’è giudizio che non riferisca un predicato a un soggetto, il quale può avere un massimo di astrattezza o di concretezza, e una concezione puramente tetica non farebbe che travisarlo». Calò, “Concezione tetica e concezione sintetica del giudizio”, C.F., 8-9 (1908), p. 350.

109

transubbiettiva; e d’altra parte essa implica il dispiegamento di particolari atti del soggetto. Ed ecco la possibilità di distinguere la coscienza esterna, come rapporto all’oggetto, e la coscienza interna come rapporto agli atti compiuti dal soggetto e riferentesi all’oggetto. Coscienza interna e coscienza esterna sono due momenti di un unico fatto, e quindi non possono essere considerate come due fatti staccati: ogni volta che si apprende qualcosa si apprende implicitamente l’atto di apprensione; l’oggetto a cui si riferisce la coscienza esterna, è appreso in maniera diretta, e l’atto di apprensione dell’oggetto, a cui si riferisce la coscienza interna, è appreso in maniera implicita, in modo obliquo, secondo l’espressione di Brentano. Dunque l’oggetto e l’atto non vengono appresi nella stessa maniera. […] Coscienza esterna e coscienza interna come fatti complementari e simultanei coincidono (percezione interna), e sono inscindibili, ma ciò non esclude la possibilità della distinzione e della duplice considerazione: la coscienza come rivolta all’oggetto e la coscienza come rivolta agli atti del soggetto. In una parola, si tratta di due aspetti dell’attività psichica: si apprende primariamente l’oggetto, termine dell’atto psichico, e implicitamente, secondariamente l’atto di apprensione dell’oggetto stesso (coscienza primaria e coscienza secondaria). Bisogna ammettere un fatto psichico unico, con cui è appreso l’oggetto e l’atto di apprensione di esso; l’atto psichico è rivolto all’oggetto e a se stesso, o, ciò è lo stesso, ha un duplice oggetto; l’oggetto primario e l’oggetto secondario484

È palese sia l’influenza diretta di Brentano, sia il portato di ragionamenti e studi di psicologia sperimentale485 che proprio in quegli anni andavano diffondendosi in Europa. De Sarlo si forgia un’idea del binomio coscienza-conoscenza del tutto coerente con le sue dichiarazioni di principio sul nesso filosofia-scienza ed in linea con la critica all’idealismo. La condizione indispensabile della psichicità è il riferimento ad un oggetto, che può essere reale o fittizio, particolare o universale, una determinazione concreta o astratta, positiva o negativa. Ciò che importa, in ogni caso, è che ogni atto del pensiero sia sempre accompagnato da un contenuto. Le relazioni in cui il soggetto gnoseologico si trova coi vari ordini di realtà sono dunque molteplici e non univoche, come vogliono gli interpreti di un sapere assoluto e monodimensionale.

Torniamo però a Bonatelli. Abbiamo detto che egli mette a fuoco la valenza essenzialmente giudicativa della conoscenza. Secondo il parere dell’anziano filosofo, occorre primariamente dipanare la confusione fra «sapere» e «sentire», confusione che a suo parere ha viziato gran parte della storia del pensiero filosofico fin dalle origini eleatiche. Bonatelli nutre l’«antico sospetto» che una simile confusione coincida con il «germe infetto» che ha corrotto l’intera storia del pensiero e denuncia il pericolo che «un qualche errore fondamentale, introdottosi quasi furtivamente nella corrente del pensiero e diventato a dir così padrone di casa, basti a rendere frustranei tutti i nostri sforzi»486. Bonatelli polemizza qui contro le posizioni empiristiche ed intellettualistiche e intende rifondare il rapporto tra «sensazione» e «conoscenza» da un punto di vista spiritualistico, profondamente rinnovato però rispetto agli esiti eclettici della scuola del Mamiani. Come fa notare Ponzano, la strada aperta da Bonatelli fa leva sull’«impossibilità della sensazione a darci una conoscenza obbiettiva della realtà, perché la sensazione è uno stato e non un atto, che perché si abbia conoscenza bisogna uscir fuori dall’attualità psichica e idealizzare il fatto, e l’idealizzare implica l’atto di affermazione del pensiero: il giudizio. Ciò che è soggettivo per mezzo delle categorie e del pensiero logico diviene oggettivo, fornito di validità necessaria e universale, oggetto d’un mondo razionale, elemento d’un sistema in cui ogni parte è in rapporto col tutto, soddisfacimento dell’esigenza più profonda della ragione umana, che è coerenza, organicità e unità»487. Ponzano mette così in luce un aspetto fondamentale della riflessione bonatelliana: ovvero

484

Ponzano, L’opera filosofica di F. De Sarlo, cit, p. 50-51.

485

È da notare che fin dai tempi della fondazione del Laboratorio di Psicologia a Firenze, De Sarlo, pur abbracciando una concezione in tutto e per tutto sperimentalista, fu sempre pienamente convinto dell’indissociabilità della psicologia con la filosofia, ed elaborò su questa basa un programma psicologico spiritualistico di cui le pagine della Cultura Filosofica sono una perfetta testimonianza.

486

Bonatelli, “Sentire e conoscere”, C.F., 1, (1909), p. 31.

110 il fatto che la confusione «del sentire col sapere o conoscere» è paragonabile ad un «germe canceroso della filosofia», che, nel corso della storia del pensiero, ha messo capo ad una dottrina falsificante e corruttrice di tutto il dibattito gnoseologico488. Ciò non significa affatto che l’anziano spiritualista releghi l’elemento sensibile ai margini dell’attività umana. Egli piuttosto ricolloca la

sensazione nel suo campo e ricorda come essa, pur essendo un mezzo innegabile di conoscenza, non

possa essere considerata conoscenza essa medesima. Perché accade allora – si domanda Bonatelli – che la sensibilità sia considerata comunemente «analogon rationis»? La risposta per Bonatelli è semplice: fino ad un certo punto la sensazione può fare le veci della conoscenza; per esempio «si possono anche costruire degli apparati meccanici, i quali esercitino una funzione eguale, sotto un certo rispetto, alla conoscitiva»489, ma alla fine bisognerà ammettere che «pensare» implica sempre un preciso atto di giudizio e che l’esistente viene appreso dal pensiero grazie al «giudizio tetico», cosa che non avviene affatto nel campo della conoscenza sensibile. Non solo gli oggetti che compongono il mondo materiale e naturale, ma anche tutti gli elementi che siamo abituati a definire come «ideali», sono appresi attraverso il giudizio tetico. Entrambe le categorie di oggetti, (attuali e

ideali), vengono apprese da atti di conoscenza giudicativa, cioè sono conosciute per intervento del

pensiero logico, dal momento che la mente, per una necessità intrinseca, tende sempre a tradurre il «fatto» in «idea». Sta quindi nell’identità tra pensiero e giudizio il valore della conoscenza; finché il pensiero viene confuso con i «fatti psichici» o con le «sensazioni», non è possibile fare un passo avanti verso la comprensione del suo significato più profondo e si rimane invischiati in una concezione rozzamente materialista (empirica) della facoltà ragionativa. La messa in valore del pensiero nel processo di concettualizzazione ed inveramento della realtà prende le mosse dal fatto che l’«oggetto» è sempre risolubile in elementi intellettuali, in quanto può essere determinato e compreso solo mediante nozioni universali. D’altra parte a Bonatelli non sfugge che anche le facoltà ragionative e logiche siano intimamente connesse490. Da questo punto di vista è comprensibile che sia Bonatelli che De Sarlo abbiano fatto notare come il pensiero possieda una «funzione semeiotica», vale a dire l’ufficio di significazione tramite cui il reale traspare al soggetto. L’attività conoscitiva possiede la particolarità di trarre dal reale l’intellegibile per mezzo dei processi e delle funzioni giudicative, che costituiscono i segni di comprensione dell’intera realtà. In estrema sintesi il pensiero significa e mette in valore il mondo giudicandolo. Se vogliamo afferrare la peculiarità del pensiero rispetto alle altre facoltà e il suo essere sovraordinato rispetto ad esse, e se si vuole comprendere il rapporto che intercorre tra essere e conoscere — continua Bonatelli — dobbiamo rintracciare la sua struttura portante in quell’atto giudicativo fondamentale e primordiale con cui la vita interna dell’uomo viene affermata nel suo immediato riferimento all’oggetto: quest’atto è appunto il giudizio tetico.

La riflessione sull’identità fra «giudizio» e «pensiero», si collega dunque alle riflessioni sul rapporto fra «essere» e «pensare». Il giudizio rappresenta l’atto con cui il soggetto giudicante afferra l’esistente, in un certo senso, il ponte naturale fra «essere» e «conoscere» e nel contempo la

488

«Da questa verità innegabile, cioè, lo ripeto, che non c’è conoscenza se il soggetto e l’oggetto non stiano impassibili l’uno a fronte dell’altro, risulta evidentemente che il fatto del sentire non è un fatto conoscitivo, sibbene un fatto, per quanto sotto molti rispetti importantissimo, d’altra natura», ibid.

489

Ibid., p. 16. Viene portato l’esempio del termometro. Da notare che la polemica ricalca le argomentazioni condotte da Aliotta contro la proposta di Annibale Pastore di considerare la mente umana come un modello meccanico, anzi un «modello fra gli altri modelli». L’errore per Bonatelli, come per gli altri ispiratori della rivista, non sta nell’attribuire alla sensibilità e ai suoi prodotti un valore, ma nel falsare il principio epistemologico identificando sentire e conoscere.

111 prova migliore che fra i due termini esiste una correlazione che non può essere negata a meno di negare le esigenze basilari della ragione stessa e approdare ad esiti solipsistici.

Ma andiamo con ordine. Ogni pensiero, anche quello più elementare, si riferisce sempre ad un oggetto e ne afferma la verità o la falsità. Se da una parte ogni attività conoscitiva, in virtù della sua stessa natura, si deve per forza di cose riferire sempre ad un oggetto, allora «la realtà afferrata dal di dentro, per intuizione, ha ad essere solo nella coscienza»491. Il giudizio intellettuale è insomma — usando una nota espressione aristotelica — il sinolo di «oggetto» e «soggetto», di materia e forma, e rappresenta l’elemento attraverso cui il mondo traspare e viene alla luce.

Il pensiero giudicativo è una funzione primaria e originaria della mente che ci permette di orientarci fra i contenuti e gli oggetti del mondo, altrimenti amorfi e incomprensibili. Il rapporto tra il conosciuto e il conoscente si dà quindi solo nella forma del giudizio, ma il giudizio, a sua volta, non è ulteriormente definibile. Pretendere di definire questo atto conoscitivo originario appare a Bonatelli, (come del resto anche a De Sarlo), impossibile dal momento che per riconoscerne l’esistenza e conoscerne il meccanismo, bisogna solamente praticarlo, ovvero «piegarsi su se stessi e provarlo»492. Giudicare è una posizione spontanea dell’intelletto di fronte all’oggetto, rappresenta l’atto mentale che afferra la realtà493

e ne afferma certe qualità e verità. In tal modo il concetto di «verità» muta radicalmente di segno rispetto a certe convinzioni filosofiche metafisiche o ai troppo facili entusiasmi di naturalisti e positivisti. La verità è certamente un’adeguazione dell’atto (del

soggetto) all’oggetto, dell’atto mentale al contenuto reale, ma questo significa solo che «è vero o

falso l’atto giudicativo secondo che è adeguato o no all’oggetto, sicché non si può dire che il contenuto rappresentativo è vero o falso per sé preso»494. In tal modo perde peso nelle riflessioni bonatelliane, la concezione della verità come corrispondenza e rispecchiamento tra pensiero e realtà. Egli respinge con nettezza la concezione della verità come «entità» o «determinazione reale di oggetti», che finisce per togliere ogni valore all’atto di credenza (la forma del giudizio) e alla relazione conoscitiva che – come relazione peculiare irriducibile – non può essere sostantivata. Bonatelli afferma il principio secondo cui non sono il contenuto o la materia ad essere veri o falsi, bensì il rapporto giudicativo fra materia e soggetto a decidere della verità o falsità di una proposizione.

In tal modo egli pone problemi importantissimi e traccia una linea da sviluppare scandendo i punti salienti dell’indagine gnoseologica e logica: la credenza è un atto del giudizio che afferma o nega la realtà; l’attività conoscitiva non è in alcun modo riassorbibile dall’attività pratica; il giudizio è un atto mentale specifico e irriducibile che ha la sua ragion d’essere in una necessità propria della funzione conoscitiva e in un peculiare ed originario rapporto fra soggetto e oggetto; la funzione gnoseologica non può in alcun modo essere ridotta ad attività pratica o sentimentale, (come fanno i pragmatisti), perché è una funzione intellettuale e atto di conoscenza che non ha come fine la valutazione dell’oggetto. Alla base dell’attività conoscitiva sta il criterio dell’evidenza e non altri criteri come pure si è spesso creduto, come la coerenza, l’assolutezza, ecc..

Certo si tratta di punti da sviluppare, ma Bonatelli ha il merito di impostare il problema compiendo un’operazione significativa, e cioè stabilendo un rapporto sano e compatibile fra i due termini del

491

Steno Tedeschi, “Sulla funzione conoscitiva del giudizio”, C.F., 1, (1910), p. 32.

492

Ibid., p. 35.

493

I corsivi sono termini impiegati da Tedeschi nell’articolo citato; il pensiero, conclude l’autore, è «il riconoscere di un fatto che consta», ibid.

112 mondo. Soggetto ed oggetto, essere e conoscere, Io e mondo si incontrano nell’atto immediato, originale e spontaneo del giudizio e questo incontro non è ulteriormente sondabile.

In omaggio all’opera di Francesco Bonatelli nel suo ottantesimo compleanno495

, Franceschini sottolinea come l’anziano filosofo abbia saputo indagare e valorizzare l’importantanza della

coscienza. Bonatelli — nota Franceschini — ha avuto la lucidità di isolare l’atto giudicativo come

«l’unica attività che la costituisce essenzialmente»496

attraverso cui la vita interna viene affermata nel suo immediato riferimento al soggetto. Non si tratta dunque di ricerche isolate, ma di proposte teoriche che trovano un preciso riscontro all’interno del dibattito gnoseologico ospitato dalla rivista fiorentina. E Franceschini non è il solo a riprendere e sviluppare il discorso bonatelliano.

L’identità di pensiero e giudizio e l’ipotesi che tale nesso sia anche una chiave di lettura insostituibile per risolvere le eventuali aporie di una cattiva maniera di intendere il rapporto fra

conoscenza e realtà, sono convinzioni che travalicano l’ambito specialistico della logica. Ciò vale

al di là degli scritti di Bonatelli; il giudizio rappresenta ad esempio per De Sarlo non solo una determinata posizione di fronte all’oggetto, ma una vera e propria «maniera di comportarsi» della mente. Bonatelli – sostiene De Sarlo – ha messo in luce che il giudizio è funzione originaria dello spirito, assolutamente irriducibile ad altre funzioni497, che si tratta insomma di un prius originario della mente, e che non è derivato da nulla e quindi assolutamente semplice. Il filosofo di Potenza, anche se non lo esplicita, si rifà qui alla lezione brentaniana sulla originalità e irriducibilità del fenomeno psichico. Ciò naturalmente non vuol dire che la realtà consista solo nel giudizio e per il

giudizio, come vogliono gli idealisti, i quali infatti non si limitano a rendere equipollenti pensiero e giudizio, ma si spingono ben al di là, affermando l’identità di ragione e realtà (Hegel).

A differenza delle teorie idealistiche, l’attività giudicatrice non è la matrice del mondo ma non dimostra neppure di essere inerte, e si configura anzi come l’unico tipo di attività capace di esprimere una carica creativa e di dare senso al mondo. La posizione degli idealisti viene in tal modo ribaltata, senza del resto ripristinare l’oggettivismo, bensì rilanciando l’idea che mediante l’attività giudicatrice la mente trasfigura le sensazioni, le rappresentazioni, i contenuti psichici in modo da avere la rivelazione di sempre nuovi aspetti della realtà.

Il pensiero attraverso il giudizio, dalle forme più semplici a quelle più complesse, stabilisce, anzi