• Non ci sono risultati.

Per una concezione integrale della ragione e un nuovo orientamento epistemologico

4 Il ruolo della «coscienza» nella nuova epistemologia.

Dalle riflessioni sul movimento neo-vitalista, dalle indagini sul problema dell’«origine» e dell’«essenza» della vita stessa, dallo sviluppo — o se preferiamo dal rovescio — di alcuni motivi del positivismo e di alcuni spunti del criticismo classico e del neocriticismo, emergono tracce utili alla comprensione dei compiti filosofici che investono la «riflessione sui processi d trasformazione avviati su scala europea, all’interno del sapere scientifico fra Ottocento e Novecento»249

. Dall’attività sperimentale condotta nei laboratori di chimica, dalle indagini naturalistiche, dalle ricerche in campo fisico e matematico, dai gabinetti di psicologia sperimentale, dalle discussioni sui postulati geometrici, il periodico di filosofia guidato da De Sarlo trae elementi sufficienti a giustificare una concezione epistemologica del tutto originale e ad orientarsi nella riflessione sui processi di trasformazione avviati su scala europea, all’interno del sapere scientifico a cavallo tra i due secoli.

È possibile parlare a questo proposito dell’affermazione di un nuovo indirizzo epistemologico? È corretto affermare che si fa largo un orientamento spiritualistico della ricerca scientifica e dell’epistemologia, su cui aprire una riforma integrale del ruolo della ragione e dei suoi processi? A nostro parere non si tratta di forzature, dato che le ricerche di De Sarlo e collaboratori vertono tutte sulla validità dei processi ragionativi in rapporto organico alle ricerche compiute nelle diverse branche scientifiche ed epistemologiche, a stretto contatto con la meditazione sul valore indistruttibile della persona e della spiritualità umana. Non sembra che i principali estensori e collaboratori della rivista abbiano molte remore nell’utilizzare il concetto di «spiritualismo». Lo stesso Aliotta — anche oltre la sua decennale partecipazione alle discussioni di inizio secolo con De Sarlo e colleghi — non esiterà a definire «spiritualistica» la sua riflessione filosofica, distinguendola in tal modo sia dal realismo ingenuo di tipo naturalistico, sia da ogni forma di soggettivismo idealistico e dagli esiti mistici.

In uno dei primissimi fascicoli compare un contributo, firmato da De Sarlo, che prende spunto da un testo di Snyder: Das Weltbild der modernen Naturwissenschaften250 (L’immagine del mondo delle

scienze moderne). Che cos’è il mondo per le scienze naturali? È sufficiente accontentarsi delle

risposte classiche fornite dall’empirismo e dal meccanicismo, secondo cui il mondo risulta un «intreccio» di sensazioni o un contesto fisico determinato da leggi meccaniche, o è necessario lavorare a diversi paradigmi epistemologici? Ora, dall’empirismo — suggerisce De Sarlo — bisogna subito distaccarsi, perché la cognizione scientifica prende l’abbrivio nel momento in cui l’uomo diventa consapevole di essere ingannato dai sensi. Il metodo della scienza inizia cioè quando l’uomo sente la necessità di sottrarsi all’apparenza dei sensi, lavorando ad un «complesso di qualità e determinazioni fisse, stabili, coerenti, concepibili come persistenti indipendentemente dal rapporto in cui si possono trovare con questo o quell’individuo, in questo o quel momento»251. Questo è il livello dell’autonomia della ricerca scientifica rispetto al dato sensibile (fenomeno); ma si cadrebbe in errore se si volesse affermare che lo scopo della ricerca consista nel negare il dato

249

Faracovi, Il caso Enriques, cit., p. 16.

250

Karl Snyder, Das Weltbild der modernen Naturwissenschaft: nach den Ergebnissen der neuesten Forschungen, Leipzig, J.A. Barth, 1905

251

De Sarlo, “Che cosa è il mondo per le scienze naturali?”, recensione di Das Weltbild der modernen Naturwissenschaften, di Karl Snyder, C.F., 4, (1907), p. 87.

59 sensibile, quando il suo reale obiettivo è quello di renderlo intelliggibile e coerente252. La scienza può insomma fare pulizia dagli errori e dagli inganni dell’esperienza, ma non può pretendere mai di fuoriuscire da alcuni precisi riferimenti percettivi. L’epistemologia che si illude di prescindere completamente dai dati sensoriali, sottraendosi alle esigenze fondamentali della ragione, non fa altro che «illudere sé stessa e gli altri»253. In tal modo De Sarlo intende prendere le distanze sia da chi concepisce la ricerca epistemologica appiattita sui dati dell’esperienza — (cosa che ci condannerebbe ad un fenomenismo radicale e ripugnante la ragione) — sia da chi afferma un razionalismo scientistico avulso ed indipendente da quegli stessi dati:

Il mondo della natura esterna, mentre adunque per le scienze fisiche non è definibile e caratterizzabile che in termini di qualità sensoriali, non si identifica affatto con le sensazioni considerate come fenomeni psichici, ma è concepito come qualcosa per sé stante254

Secondo la sua analisi il fenomenismo è inevitabilmente posto davanti ad un bivio logico: o esso si rende conto della necessità di trascendere il fenomeno e allora è costretto a rinnegare se stesso, o si avvia a diventare solipsismo vero e proprio se vuole essere coerente con i suoi presupposti255. Il fenomenismo non è però una teoria piovuta dal cielo o il frutto di singolari elucubrazioni di qualche mistico isolato. Ad un certo punto, il dibattito epistemologico e filosofico di interi settori della cultura europea, sono incorsi nella confusione fra esperienza esterna, (comune a tutti), ed esperienza interna, (propria di ogni individuo e particolare). Questo è l’ovvia conseguenza del

convenzionalismo a cui sono approdati anche molti matematici e scienziati di fama internazionale,

una buona parte dei quali procede ben oltre la ricezione del convenzionalismo stesso, inteso come metodologia critica, e arriva a sostenere che le nozioni scientifiche non sono altro che un tessuto di «concetti arbitrari, convenzionali», portatori di un valore esclusivamente pratico.

Non solo, il fenomenismo, se coerentemente sviluppato a partire dalle sue premesse, o trascende il fenomeno (rinnegandosi), o si risolve in un esito solipsistico. Ma su questo torneremo a breve. Saranno in molti coloro che appoggeranno e strumentalizzeranno i risultati del fenomenismo, in particolare gli idealisti attingono a piene mani dal programma fenomenista e sosterranno, in piena sintonia con esso, che i procedimenti scientifici ci allontanano dalla realtà vera e propria256. Inoltre faranno proprie le insegne secondo cui «la scienza naturale non dà che formule comode e non può presumere di rivelare alcuna verità assoluta e definitiva»257. Forti dell’autocritica degli stessi scienziati, gli idealisti sosterranno che le indagini scientifiche, e quelle naturalistiche su tutte, risultano solamente un «insieme di escogitazioni più o meno contraddittorie»258. Questo il clima

252 Il processo di elaborazione scientifica si limita a sostituire certe qualità sensoriali ad altre che non risultano non contraddittorie al

vaglio della ragione.

253 Ibid., p. 86. Le scienze della natura non sono la «descrizione» o «narrazione» dei dati sensoriali «in una coscienza». Uno dei

principali compiti della scienza naturale è anzi quello di determinare la natura della realtà che sfugge alla sensibilità umana. De Sarlo, per dimostrare l’impossibilità di identificare il mondo materiale col mondo delle sensazioni, porta numerosi esempi tratti dalle ricerche fisiche e chimiche, infatti queste discipline hanno come oggetto di studio «un mondo che, oltrepassando la sfera della sensibilità, può essere solo indirettamente descritto e definito», ibid.

254

Ibid.

255

De Sarlo, “I problemi gnoseologici nella Filosofia contemporanea. Il problema dello sviluppo della conoscenza”, C.F., 5, (1910), in particolare pp. 488-498; De Sarlo cita, sempre in questo articolo, l’imbarazzo che il filosofo Cornelius prova di fronte al problema del «tu» e le paradossali conclusioni dell’Ostwald, il quale arriva a porre l’«assoluto» non solo nella coscienza individuale, ma nel contenuto istantaneo e puntuale della coscienza.

256

La differenza – puntualizza De Sarlo – risiede semmai altrove: per i fenomenisti la verità è posta nelle sensazioni collegate tra loro, mentre per gli idealisti sta nei concetti o categorie variamente intrecciate e annodate fra loro.

257

De Sarlo, “Che cosa è il mondo per le scienze naturali”, C.F., 4, (1907), p. 87.

60 generale in cui si inserisce l’avventura del periodico guidato da De Sarlo, in un momento in cui «il contingentismo aveva spezzato le pretese universalistiche e deterministiche del positivismo scientifico e l’idealismo italiano tendeva a spogliare la scienza di ogni valore gnoseologico, per limitarla ad una funzione pratica, ad una esigenza economica dello spirito»259.

In Europa insomma in cima alle preoccupazioni di scienziati, polemisti e filosofi stava l’esigenza di aprire alle ragioni dello spiritualismo260, in direzione di una «rinnovata riflessione critica sui fondamenti e sulle procedure del sapere scientifico, sui rapporti con la filosofia e con il quadro più vasto della cultura»261. Un’esigenza di per sé assolutamente legittima, che caratterizza del resto l’intero panorama del dibattito filosofico ed epistemologico europeo felicemente sintetizzato dalle parole di H. Stuart Huches:

Di fronte alla insufficienza dell’immagine positivistica della scienza, alcuni di quegli intellettuali restarono legati a presupposti filosofici che il loro stesso pensiero aveva superato; altri accolsero con favore l’avvento dell’irrazionale; i più grandi mentre lottavano ad ogni passo per salvare quanto era possibile dell’eredità razionalista, contribuirono in modo decisivo a spostare l’asse di quella tradizione, per far posto alla nuova definizione dell’uomo come qualcosa di più (o di meno) di un animale capace di calcolare secondo logica262

In questo clima di incertezza e confusione, preso atto del fallimento del razionalismo enciclopedista, del meccanicismo ottocentesco e dell’astrattismo geometrizzante263

, De Sarlo si serve della Cultura Filosofica per lanciare un progetto di riforma epistemologica, basato sulla critica dei metodi di ricerca, sulla necessità di rimettere mano alle nozioni fondamentali grazie a cui le scienze naturali e la filosofia possono aspirare ad una visione del mondo sempre più coerente. Da meditare attentamente, a questo proposito, l’invito alla modestia rivolto da De Sarlo ai ricercatori:

Si può dire dopo ciò che le scienze naturali rispecchiano la realtà nella sua completezza e interezza? No, perché esse considerano come reali gli elementi a cui mette capo il processo analitico e non vedono che siffatti elementi attingono valore e significato dalle totalità concrete di cui entrano a far parte, dalla funzione a loro nelle stesse totalità devoluta. Ma d’altra parte si può dire che il mondo delle scienze naturali sia illusorio, falso? No, perché i casi od aspetti da esse rivelati hanno il loro corrispettivo nella realtà. Il punto di vista da cui quest’ultima viene considerata è parziale, è frammentario, è astratto, ma non è falso, come non è falso il risultato dell’analisi tendente a scomporre le parole nei vari suoni che le compongono264

La rivista voluta e diretta da De Sarlo rappresenta l’ambiente ideale in cui far emergere una concezione delle scienze che parte dalla crisi e dal superamento del determinismo fisico e che scopre «la dimensione storica del pensiero scientifico e, quel che più conta, l’impossibilità di eliminare il fattore non oggettivo, presente e sotteso in ogni descrizione del reale»265.

259

Cleto Carbona, “Filosofia e scienza nel pensiero di A. Aliotta”, in Lo Sperimentalismo di Antonio Aliotta, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, p. 63.

260

Un tipico esempio è il bergsonimo. Non a caso Le ragioni dello spiritualismo è anche il titolo di un libro del 1910 di Giovanni Calò edito a Modena dal famoso editore ebreo Formiggini.

261

Faracovi, Il caso Enriques, cit., p. 8

262

Stuart Huches, Coscienza e società. Storia delle idee in Europa dal 1890 al 1930, Torino, Einaudi, 1967, p. 68

263

De Sarlo non perde occasione per ribadire che indietro non è possibile tornare, che è necessario lavorare ad una sensibilità epistemologica diversa dai semplicismi banalizzanti del riduzionismo. Anche il seguente testo è a proposito molto chiaro: «che il naturalista nel mondo non trovi che materia, comunque questa venga intesa, che venga concepita, cioè, come energia, semplicemente, come elettricità, come sostanza inerte, come un fluido in cui si formino dei vortici moventesi in maniera speciali, s’intende: che tutti gli sforzi siano rivolti a risolvere i fatti che accadono nell’universo, compresi i fatti biologici, in processi chimici o in fenomeni elettrici, s’intende del pari, ma come da ciò possa essere tratta la conseguenza che nel mondo non vi sia che elettricità, energia, ecc., questo non s’intende davvero», De Sarlo, “Che cosa è il mondo per le scienze naturali”, C.F., 4, (1907), p.89.

264

Ibid. pp. 90-91.

61 Soltanto nel momento in cui si rinuncerà alla pretesa, del resto assurda e frutto di una concezione sbagliata dell’epistemologia, secondo cui sul terreno delle scienze naturali possono trovare risoluzione tutti i «misteri» del mondo, si potrà sperare che il lavoro coordinato fra i diversi campi in cui si manifesta la razionalità umana, possa offrirci un’immagine sempre più nitida e soddisfacente del mondo stesso. Bisogna semplicemente accettare il fatto che il «mondo per le scienze naturali» non è tutto il mondo colto nella sua verità essenziale. L’immagine del mondo che ricaviamo dalle indagini di matematici, fisici, biologi, psicologi, ci permette di organizzare una ricerca complessiva «con mentalità filosofica e risolvere i problemi più generali e più perturbanti per lo spirito umano»266, ma non si tratta di un sapere assoluto e definitivo. Le scienze permettono alla filosofia di «non intisichere» e di contribuire a fare luce sulle nozioni fondamentali utilizzate dagli scienziati. In altre parole l’immagine del mondo ricavata dalle ricerche naturalistiche costituisce la base, ma non il punto di arrivo — o per meglio dire il punto più alto — a cui è possibile giungere connettendo e sintetizzando i diversi dati «positivi» in una visuale più ampia e profonda.

Era questo il senso delle indagini sulla natura e sull’origine dei processi vitali di cui ci siamo occupati nel precedente paragrafo e non è un caso che De Sarlo rimandi esplicitamente a quelle ricerche:

quelle variazioni che per il naturalista [chimico] sono nient’altro che variazioni di numero e di disposizione di elementi nel fondo identici, per chi riflette implicano variazioni di ordine qualitativo267

Tuttavia col passare del tempo il direttore si convincerà sempre più della necessità di esplicitare la

pars construens della sua proposta filosofica. A questo fine sarà necessario ripartire dal concetto

stesso di «esperienza», facendo finalmente chiarezza sulla portata di un concetto spesso mal compreso. Una strada questa che andrà ben oltre l’esperienza della Cultura Filosofica e che costituisce un tentativo coraggioso di battere quella terza via fra oggettivismo e soggettivismo che in molti, all’epoca, sentivano come esigenza prioritaria.

Da dove è necessario prendere le mosse per seguire un tale programma? Innanzitutto è importante fare riferimento alle ricerche psicologiche condotte da De Sarlo e dai suoi allievi del laboratorio fiorentino all’inizio del secolo268

. Ha ragione infatti Garin quando invita chi vuole farsi una precisa idea di De Sarlo e della sua attività, a tornare alla «formazione né suoi suoi primi anni»269.

Dagli studi di psicologia egli aveva ricavato la convinzione che nessuna attività conoscitiva, così come nessun sapere empirico, può prescindere dall’«esperienza interna»: col «puro pensiero — scrive De Sarlo — non si cava un ragno dal buco»270. Ma, allo stesso modo, non è possibile neppure confondere l’esperienza interna, (introspezione psicologica), con quella esterna, (che sta alla base delle scienze naturali). L’esperienza interna e quella esterna non sono collocabili su di uno stesso piano, tuttavia sono in stretta dipendenza l’una dall’altra, nel senso che l’esperienza esterna si rivela

266

Enzo Bonaventura, “La psicologia nel pensiero e nell’opera di Francesco De Sarlo”, Logos, maggio-giugno, 1932, p. 299.

267

De Sarlo, “Che cosa è il Mondo per le Scienze Naturali?”, C.F., 4, (1907)., p. 87.

268

In particolare le Ricerche di Psicologia pubblicate tra il 1905 e il 1907 che raccoglievano i risultati dei lavori sperimentali compiuti nel Laboratorio di psicologia sperimentale dell’Università di Firenze da De Sarlo a dai suoi primi allievi (fra i quali ricordiamo Aliotta, Della Valle, Montanelli, Ciampolini).

269

Garin, “Francesco De Sarlo: Psicologia e Filosofia”, in Francesco De Sarlo e il Laboratorio Fiorentino di Psicologia, cit., p. 37

270

«anche coloro che credono di poter trarre dal puro pensiero i vari ordini di realtà e di poter prescindere nelle loro speculazioni da qualsiasi riferimento all’esperienza, parlano continuamente di volontà e di desiderio, di passioni e di sentimenti, d’interesse teorico e di interesse pratico, di tendenze e di gusti», F. De Sarlo, “Il fondamento del sapere empirico”, C.F., 2, (1912), p. 182.

62 sempre attraverso quella interna. Eppure, uno degli errori più ricorrenti della storia del pensiero filosofico e scientifico, consiste proprio nell’impostazione scorretta — posta spesso nei termini di una contrapposizione frontale — del rapporto fra «esperienza interna» ed «esterna».

Facendo leva su un’attenta lettura dei risultati delle scienze sperimentali, con un riferimento particolare alla disciplina psicologica, è possibile battere in breccia la teoria dello «schema utilitario» propugnato da pragmatisti e fenomenisti, senza dover riabilitare soluzioni metafisiche e monistiche oramai sorpassate. La psicologia offre un apporto molto significativo alla difesa del «valore di verità» delle discipline scientifiche sperimentali: è infatti nella «verificazione concreta nei fatti della nostra esperienza» che possiamo cogliere quelle leggi che esprimono i rapporti relazionali di cui, in ultima analisi, consiste il mondo. Si tratta infatti di «rapporti che si ripetono, ma che non sussistono separati dagli aspetti mutevoli dell’esperienza»271

. Lo studioso di psicologia non può che essere «realista e dualista»: realista nel senso che ammetterà una realtà esterna alla coscienza (psiche), dualista perché riterrà inaccettabile sia la riducibilità della coscienza alla materia fisica (materialismo), sia della materia fisica alla coscienza (idealismo).

Sulla scorta dei suoi studi psicologici, De Sarlo potrà affermare da una parte che la psiche dell’uomo «divelta dai suoi rapporti e presa per sé, perde ogni significato e consistenza»272

e dall’altra che la realtà del mondo consiste in pratica nel «termine dei miei atti cogitativi»273

.

Sempre tenendo presente gli studi psicologici si riuscirà a capire meglio la natura di tante discussioni sul rapporto fra «pensiero», (o coscienza), e «verità», (o realtà). Se si imposta in maniera scorretta il rapporto fra questi due termini del mondo, gli esiti di qualunque ricerca possono essere deteriorati e fuorviati.

Innanzi tutto bisogna dire che per De Sarlo non è possibile parlare di un solo ed unico modo di relazione «in cui l’esperienza psichica si trova coi vari ordini di realtà»274

. Al contrario, fra esperienza psichica e realtà si stabiliscono «molteplici relazioni»275, ciò significa che la coscienza è articolata in vari modi in rapporto alla realtà. Non si tratta di sottili bizantinismi e il lettore della rivista non deve sorprendersi di fronte allo spazio dedicato a simili problemi. Sul rapporto fra la ragione umana e la «realtà» si gioca difatti una partita decisiva che implica la stessa efficacia del valore della cognizione scientifica e la possibilità di rilanciare un’idea valida dell’indagine filosofica. A parere di De Sarlo il problema, per essere impostato in maniera corretta, deve partire dal presupposto che la «psichicità» possieda un’«attitudine a conformarsi»276 all’oggetto; attitudine che non è ulteriormente spiegabile e che costituisce un dato primordiale innegabile su cui è inutile arrovellarsi tanto. Il concepire la mente «conforme» agli oggetti del mondo o – il che è lo stesso – gli oggetti del mondo conformabili all’attivistà psichica, non può dunque essere il risultato di una indagine epistemologica, bensì una sua premessa fondamentale. In altri termini ogni indagine presuppone che nel mondo siano operanti «condizioni atte a provocare l’esplicazione dell’attività psichica»277. Risulta evidente la rottura degli argini entro cui si muoveva il naturalismo di matrice rinascimentale (da Telesio in poi), dal momento in cui la «conoscenza» non può essere ridotta a «sensibilità». L’esperienza interna, (Erlebniss), e l’esperienza esterna, (Erfharung), non sono

271

Carbonara, “Filosofia e scienza nel pensiero di A. Aliotta”, in Lo Sperimentalismo di Antonio Aliotta, cit, p. 69.

272 Ibid., p. 183. 273 Ibid. 274 Ibid., p. 184. 275 Ibid. 276 Ibid., p. 185. 277 Ibid., p. 188.

63 riducibili l’una all’altra e non possono «essere messe al medesimo livello»278. Se vogliamo davvero comprendere il «fondamento del sapere empirico» — insiste a più riprese De Sarlo — non possiamo prescindere dall’esperienza psichica. In essa troviamo i requisiti dell’esperienza per eccellenza, vale a dire l’«unione e quasi non dissi fusione del percipiente e percepito»279

.

Da una parte De Sarlo dunque attribuisce una rilevanza di primo piano all’attività psichica, ponendola addirittura a fondamento del sapere, dall’altra però non perde occasione per sottolineare il rigoroso dualismo che ispira il suo progetto di rinnovamento della cultura filosofica e scientifica; precisazione non di poco conto se teniamo presente lo sfondo culturale europeo di quegli anni:

condizione indispensabile perché si possa parlare di psichicità è che vi sia riferimento ad un obbietto; che noi rappresentiamo e giudichiamo, che desideriamo o vogliamo […], noi dirigiamo sempre la nostra attività verso un qualche obbietto280

nessuno nega che tra i fatti del cervello e quelli di coscienza esista una certa correlazione, ma la correlazione di per sé non basta perché si possa passare dalla duplicità all’unità dell’essere. Tra i fatti fisici e psichici non è possibile parlare