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La caduta dei Lorena

5. La dissoluzione del Granducato di Toscana

5.4 La caduta dei Lorena

Il nuovo atteggiamento assunto dal Granduca fece allontanare anche i sudditi più leali: Principe e popolo erano ormai paragonabili a due vecchi amici fra i quali era sorto un vivo contrasto. Mantenevano, sì, rapporti fra loro, ma il sentimento comune che un tempo li legava, l'affettuosa reciproca fiducia, non c'era più.167

La giovane generazione soprattutto non si sentiva corrisposta da uno Stato la cui massima consisteva unicamente nel conservare l'esistente migliorandolo qua e là; sempre meno essa riusciva a contentarsi del fatto che in futuro e per sempre si sarebbe governato per il popolo, ma non attraverso il popolo e i suoi rappresentanti. Malgrado il progresso materiale raggiunto, le stavano stretti i confini della bella e amata ma troppo piccola Toscana. I giovani toscani, anche quelli appartenenti alla borghesia e alla nobiltà conservatrice, cominciarono sempre più a volgere lo sguardo altrove. Speravano infatti in una crescita comune dei popoli d'Italia che, sebbene in ritardo rispetto alla Francia e all'Inghilterra, insieme avrebbero formato un'unica grande e potente nazione, seguendo l'esempio tedesco a nord delle Alpi168.

Se da un lato, il principe ereditario Ferdinando poteva considerasi appartenente alla nuova generazione italiana; dall'altro, non ne condivise mai i propositi, i desideri, le aspirazioni, né mai si fece portavoce di alcuni di questi di fronte al capo della sua famiglia e del suo Stato. Anzi, accettò docilmente e senza obiezioni le massime del padre e, come quest'ultimo, provava un'adorazione illimitata e scevra da qualunque critica per l'allora imperatore austriaco Francesco Giuseppe169.

Nel 1849 esisteva ancora un certo accordo dei signori, cioè i proprietari terrieri, molto spesso nobili, con il Granduca, e i contadini, i mezzadri e i coloni vi si attenevano. Dieci anni dopo però questi ultimi videro con stupore che il Granduca e i signori assunsero posizioni diverse e spesso opposte, per cui non risultò più chiaro loro chi dover seguire, se la vecchia tradizione radicata nel loro animo o i loro padroni. Infine, anche la popolazione delle campagne si allontanò sempre più dalla dinastia. Sentivano che il padrone era loro più vicino del Granduca. Per Ferdinando IV risultò dunque impossibile riunire un gruppo di controrivoluzionari, in quanto in suo sostegno non rimanevano altro che figure marginali: la maggior parte dell'opinione pubblica si trovava ormai dalla parte dei liberali e dei nazionalisti170.

167 Ibidem., p.301. 168 Ibidem., p.321. 169 Ibidem., pp.306-307. 170 Ibidem., pp.390-391.

La situazione precipitò definitivamente con l'inizio della Seconda guerra d'indipendenza. Nella primavera del 1859 Napoleone III unì le sue truppe a quelle del Regno di Sardegna per difenderlo dall'aggressione austriaca. La guerra che la Francia e il Regno di Sardegna combatterono contro l'Austria ebbe successo e portò all'occupazione della Lombardia, ma quando la conquista del Veneto fu a portata di mano, piuttosto inaspettatamente, Napoleone III decise di interrompere la guerra e di stipulare un armistizio con gli austriaci (Villafranca, 11 luglio 1859).

Su tale decisione influì sicuramente l'evoluzione della situazione politica nell'Italia centrale, che sconvolse i piani previsti a Plombières.

Nel luglio 1858 Napoleone III aveva invitato Cavour a un incontro diplomatico riservato in cui si disse disposto ad aiutare militarmente il Regno di Sardegna in una guerra contro l'Austria, in vista di un riassetto geopolitico complessivo della penisola, da concretizzarsi con la formazione di una Confederazione italiana composta da quattro regni autonomi (Alta Italia, Centro Italia, Napoli e Roma papale); la presidenza della nuova confederazione sarebbe stata affidata al Papa, per compensarlo della perdita di gran parte dei suoi territori.

Il trattato di alleanza tra Francia e Regno di Sardegna venne siglato il 24 gennaio 1859: esso prevedeva la formazione di un Regno dell'Alta Italia la cui corona spettava a Vittorio Emanuele II e la cessione di Savoia e Nizza alla Francia; stabiliva le condizioni dell'aiuto militare francese; mentre niente di esplicito venne detto sul destino del resto della penisola.

Tra la fine di aprile e il giugno del 1859 scoppiarono però una serie di sollevazioni che portarono alla cacciata oltre che del Granduca di Toscana, della duchessa di Parma, del duca di Modena e delle autorità pontificie di Bologna e di Romagna e a una loro sostituzione con governi provvisori favorevoli all'unione di queste aree con il nuovo Stato che si stava formando a nord attraverso l'annessione della Lombardia al Regno di Sardegna. Svanì così il progetto di Napoleone di creare un Regno dell'Italia centrale in cui porre come sovrano un discendente della sua famiglia.

Leopoldo II aveva creduto di aver trovato nella soluzione della neutralità toscana una via d'uscita alla difficile situazione, ma questa non fu accettata né da Vienna né dalla Francia e il Piemonte.

Come se non bastasse, a Firenze, la notte stessa dello scoppio della Seconda guerra d'indipendenza, si tenne una riunione dei capi dei vari schieramenti politici favorevoli all'unificazione italiana, durante la quale fu stabilita per il giorno successivo una grande manifestazione in tutte le principali città del Granducato. Così la mattina del 27 aprile una gran folla scese in piazza Barbano, peraltro limitandosi a gridare il proprio sostegno al Regno di Sardegna ed a lanciare invettive contro l'Austria.

Le truppe, ultima speranza del Granduca, con le quali egli non si era però mai preoccupato di creare un rapporto di fiducia, si unirono al popolo e chiesero, oltre alla sostituzione della bandiera

granducale, molto simile a quella asburgica, con il tricolore,la dichiarazione di guerra all'Austria. A quel punto, Leopoldo II, trincerato in Palazzo Pitti, con i suoi ministri, convocò il principe

Neri Corsini, liberale d'altissima reputazione non direttamente compromesso con i rivoltosi, dichiarando che era disposto a formare un nuovo governo, schierarsi contro l'Austria e concedere una costituzione; per calmare gli animi acconsentì inoltre alle truppe di inalberare il tricolore. Il principe Corsini si recò allora presso la sede diplomatica del Regno di Sardegna dove erano riuniti i capi congiurati, ma tornò dal Granduca con un ultimatum volutamente inaccettabile, che prevedeva l'abdicazione del sovrano, la destituzione del Ministero e dei membri dell'esercito che si erano maggiormente pronunciati contro il sentimento nazionale, un'alleanza col Piemonte, nonché la pronta collaborazione militare.

La richiesta di abdicazione sollevata dai suoi sudditi e pronunciata da un nobile ferì profondamente la dignità di sovrano per volontà divina e di principe che Leopoldo II credeva di essersi reso benemerito nei trentacinque anni trascorsi in Toscana.

Probabilmente il suo sbaglio fu l'instaurare un governo all'insegna della lotta dei conservatori contro le nuove idee liberali e nazionali. Egli credette fino alla fine di non doversi piegare alla volontà di uomini che si facevano portavoce del popolo sovrano. Il figlio ed erede era della stessa idea: il pensiero di porsi a capo di un'insurrezione popolare e salvare così la dinastia, non lo sfiorò neppure171.

Il giorno stesso dell'insurrezione, verso le quattro di pomeriggio, davanti a una grande folla tumultuante per le strade di Firenze e all'aperto rifiuto dell'esercito di obbedire al proprio Sovrano, Leopoldo II, per evitare guai peggiori a se stesso ed al suo Stato, partì in carrozza da Palazzo Pitti alla volta dell'Austria, uscendo per la porta di Boboli, verso la strada di Bologna.

La rassegnazione al corso della storia, che portò il Granduca a non pensare mai ad una soluzione di forza, e le modalità del commiato, con pochi effetti personali caricati in poche carrozze e con attestazioni di simpatia al personale di corte, sembra che permisero a Leopoldo di riacquistare l'antica stima da parte dei suoi ormai ex sudditi: la famiglia granducale fu salutata dai fiorentini, levantisi il cappello al passaggio, con il grido «Addio babbo Leopoldo!».

Si racconta che, lasciando Firenze, il sovrano volle donare un sigaro ad un popolano, dicendogli: «Tieni, di sigari buoni come questo non ne fumerai mai più».

Nobile fu inoltre il suo appello alla pacificazione enunciato prima della partenza:

Toscani, in mezzo alle gravi circostanze nelle quali si trova il paese e nel vivo desiderio di risparmiare al medesimo immensi mali, il vostro principe poteva disporsi a secondare i concetti

che in questi ultimi giorni si erano manifestati. Ma il partito agitatore ha spinto le sue intemperanze fino ad esigere la nostra abdicazione. Non desiderio di regno, grave peso sempre, ora gravissimo, ma sentimento di dovere e di decoro, c'impone di non piegare avanti questa violenza. Vogliamo che i buoni toscani ne siano istruiti, mentre protestiamo contro la violenza che ci viene imposta e della nullità di tutti gli atti che venissero fatti da questo momento.

Firenze 27 aprile 1859172.

I diplomatici francesi, che si trovarono in quel frangente a Firenze e che conoscevano le rivoluzioni di Parigi, restarono meravigliati di una tale pacifica rivoluzione.

Qualche ora dopo il consiglio comunale di Firenze, data l'assenza di alcuna disposizione lasciata dal sovrano, nominò un governo provvisorio Toscano formato da Ubaldino Peruzzi, Vincenzo Malenchini ed il maggiore Alessandro Danzini.

Il 28 aprile tale governo provvisorio offrì la dittatura a Vittorio Emanuele II che però ritenne opportuno non accettare la proposta, in quanto la situazione internazionale era molto fluida e soprattutto non era chiara la posizione di Napoleone III.

Vittorio Emanuele II si limitò ad accordare la propria protezione e nominò commissario straordinario il suo inviato Carlo Boncompagni, con funzioni di capo di Stato, il quale formò un gabinetto di governo con personalità locali.

Il 29 maggio fu dichiarata l'alleanza della Toscana al Regno di Sardegna ed alla Francia nella guerra contro l'Impero austriaco.

L'andamento delle azioni belliche rimosse per la famiglia Lorenese la speranza di tornare in patria dopo una vittoria austriaca.

Inoltre, l'imperatore Francesco Giuseppe considerò Leopoldo II un impedimento al ritorno dei Lorena a Firenze, riponendo invece grandi speranze in Ferdinando, politicamente non ancora compromesso, così il 21 luglio Leopoldo II fu convinto ad abdicare in favore del figlio, il quale però divenne Granduca solo formalmente essendo stato costretto alla fuga da Firenze assieme al resto della famiglia.

Di fatti dopo l'armistizio di Villafranca, il commissario straordinario cedette i poteri al consiglio dei ministri, presieduto dal barone Bettino Ricasoli.

Dalle memorie di Leopoldo II sembrerebbe che egli, nonostante il dispiacere nel dover rinunciare al titolo di Granduca di Toscana, ritenesse oculata tale scelta politica e con questa fase terminò il suo Governo di famiglia: «salva è Toscana pel mio sacrificio, ella sa che sino alla fine io

l'ho amata»173.

Molto probabilmente Leopoldo scrisse queste righe sul suo diario nel luglio 1859 e durante la rielaborazione successiva deve aver trascurato di correggerle secondo la realtà storica. Infatti la Toscana non sarebbe stata salva, se con ciò si intendeva il ritorno degli Asburgo-Lorena, grazie al sacrificio di Leopoldo II: per la dinastia essa era ormai perduta. A questo punto l'abdicazione non avrebbe cambiato niente per quanto il figlio, che adesso firmava col nome di Ferdinando IV, lo desiderasse e sperasse. Vista a posteriori, quella di Leopoldo II, fu una dolorosa rinuncia, compiuta invano.

La formazione del governo provvisorio Toscano fu la premessa alla convocazione del plebiscito di annessione al Regno di Sardegna, che poi, effettivamente, si tenne l'11 e il 12 marzo 1860 ed ebbe risultati positivi: su 534.000 aventi diritto (potevano votare tutti i maschi adulti che avessero compiuto 21 anni) votarono 386.445 persone, di cui 366.571 favorevoli.

In realtà, la decadenza della dinastia lorenese era già stata decretata dall'Assemblea Toscana, ovvero una Camera dei deputati eletta per volontà governativa con diritto di censo nei giorni 7-8 agosto 1859.

Il decreto, votato a grande maggioranza da tale Camera il 16 agosto del 1859, dichiarava che la dinastia lorenese, passata al nemico, era «incompatibile con l'ordine e la felicità della Toscana» e che «non vi è modo alcuno per cui tale Dinastia possa riabilitarsi […] a regnare di nuovo nella Toscana»174

Tuttavia con il plebiscito dell’11 e 12 marzo 1860 fu sancita definitivamente l’unione della Toscana alla monarchia costituzionale del re Vittorio Emanuele.