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Proteste politico-sociali a Pietrasanta

5. La dissoluzione del Granducato di Toscana

5.2 Proteste politico-sociali a Pietrasanta

Nel Granducato di Toscana non si ebbero aperte insurrezioni popolari durante le prime due ondate rivoluzionarie, tuttavia, come dimostrato dagli eventi accaduti a Pietrasanta, il fermento era presente anche in questo Stato.

All'alba del 5 marzo 1831, mentre l'insurrezione imperversava nei Ducati Padani e nello Stato Pontificio, il caporale della squadra di polizia di Pietrasanta si imbatté in un cartello dai toni rivoluzionari, affisso al muro dell'attuale Palazzo Bambini in via del Marzocco:

a nome del capo della Costituzione della città di Modena vengano pregati tutti i cittadini di questa terra di Pietrasanta a non alcuna resistenza a l'avvicinarsi delle nostre Bandiere, in caso diverso saremo ad usare, e mettere in pieno vigore le nostre armi. Vi salutiamo ed iddio vi feliciti. Dato da Modena questo dì due Marzo 1831. Anno del Signore144.

La mattina del 9 il fatto si verificò di nuovo. Cartelli ancora più accessi furono affissi nel centro della città, prendendo di mira anche la classe dei ricchi pietrasantini, in essi si poteva leggere:

«Viva Napoleone il Grande – vorrei che ritornasse in queste bande – Dico viva la Libertà» «Il Povero si lagnia e non può vivere, e tu signior che n'hai le possessioni – Privato andresti a suono di Bastoni»145.

145 Ibidem, p.431.

Illustrazione XVIII: Cartelli rivoluzionari affissi in Pietrasanta nella notte dall'8 al 9 marzo 1831, l'uno d'intonazione bonapartista l'altro ispirato alla lotta sociale, Archivio Comunale di Pietrasanta.

Queste rime popolaresche aggiungevano ai motivi di liberà e di uguaglianza la denuncia di una situazione economico-sociale capace di provocare un'azione violenta per fini di ordine sociale.

I compilatori di quelle iscrizioni, dunque, esprimevano la loro nostalgia per Napoleone, manifestando il tema fondamentale su cui si fondava la propaganda bonapartista diffusasi dopo la rivoluzione parigina di luglio oltre che in Francia anche in Italia; ma, allo stesso tempo, risultava esplicito l'incitamento verso le classi meno abbienti affinché passassero a vie di fatto contro i «signori». Era questo un discorso che nel secolo scorso avremmo definito di lotta di classe, il quale lasciava intravedere come fossero filtrate fino ai cospiratori pietrasantesi certe idee di rivoluzione sociale che a partire dagli anni Venti dell'Ottocento iniziarono a circolare in Europa.

Per tali caratteri i cartelli affissi a Pietrasanta si distinguevano da tutti gli altri che fino allora erano comparsi in Toscana, nei quali si erano sempre lette soltanto invocazioni alla costituzione e alla libertà, senza alcun cenno di incitamento all'azione violenta contro la classe dei ricchi.

Il 10 marzo il Vicario di Pietrasanta informò il Governatore di Pisa del rinvenimento di quelle iscrizioni così accese, ma trattenne i cartelli nel proprio ufficio, facendosi premura di chiedere che si procurasse lavoro agli indigenti del Vicariato, dove si vivevano giorni di crisi economica a causa della grande carestia di olive che si verificò dal 1828-29 al 1830-31146.

La polizia si tenne così sempre più all'erta e già il 13 marzo sequestrò ad un giovane di ritorno da Pisa una lettera compromettente indirizzata al dottor Gaetano Bichi. Questi, chiamato al tribunale pietrasantino, si vide mostrare la lettera ancora chiusa. Gli fu fatta aprire e leggere. Il suo contenuto era esplosivo. Fra l'altro vi si diceva:

la Francia è per mandare un esercito capitanato da La Fayette a liberar l'Italia; la Rivoluzione è al punto di esplodere in Livorno e in Pisa. È la mossa del Piemonte che a tal uopo si attende. In caso di ritardo una mano di giovani andrà a formarsi in reggimento a Bologna e quindi piomberà a risvegliare la Patria. Questa Patria devesi o liberarla o morire! Concordia e unione verranno a troncare gli estremi sforzi della tirannide147.

Lo scrivente poi si proponeva di andare a organizzare i liberali di Pietrasanta e suggeriva al Bichi di spiare i sentimenti di quei pochi che dicevano di avere un'anima italiana e di ridurre al proprio partito coloro che vi si dimostravano disposti. Nel finale della lettera si parlava anche di ragguagli trasmessi «all'amico del Buon Riposo». Nessuna firma compariva in calce allo scritto.

Gli inquirenti, allora, chiesero al Bichi se per autore della lettera riconoscesse il concittadino Michele Carducci, futuro padre di Giosuè, di anni 21, studente di medicina a Pisa, ed egli non ebbe

146 Ibidem., pp.107-108.

difficoltà a rispondere affermativamente.

Gaetano Bichi fu trattenuto in arresto, mentre si procedette alla perquisizione in casa di lui e alla villa del Buon Riposo, residenza del cav. Antonio Gherardi Angiolini, la cui famiglia era in relazione con i Napoleonidi.

Una perquisizione fu fatta anche nell'abitazione del fratello del Bichi, il sacerdote Giovan Battista, dove si rinvennero oggetti tricolori, lettere di affari politici a lui dirette da Gaetano e un foglio di appunti trattanti argomenti liberali.

Nel frattempo Michele Carducci, che aveva ricevuto l'avviso di Gaetano Bichi, tornò nella sua casa di Pietrasanta dove fu arrestato il 16 marzo.

Tutti e quattro, con l'accusa di «trattative sediziose» furono trasferiti alle carceri segrete di Pisa. Contro di loro si compilò il processo in forma economica, cioè con una procedura che era estremamente sommaria e che portava a soluzioni molto sbrigative, senza dibattimento e senza che gli imputati potessero disporre di garanzie di difesa.

Nel corso della formazione degli atti il Gherardi Angiolini fu rimesso in libertà, poco più tardi fu rilasciato anche il sacerdote Giovan Battista Bichi. Suo fratello Gaetano e Michele Carducci, invece, non vennero liberati148.

Nella relazione stilata dal magistrato pisano a seguito del loro interrogatorio possiamo infatti leggere:

io credo che non si possa dubitare che tanto Michele Carducci che il Dott. Gaetano Bichi siano convinti d'aver preso una certa parte nella cospirazione formatasi in Toscana per sovvertire l'ordine politico stabilito, e per sottrarre in generale l'Italia all'impero dei legittimi di lei sovrani affrettando col desiderio, non meno che mostrantisi pronti all'opera a secondare e favorire lo sviluppo di questo avvenimento149.

Tuttavia proseguì mettendo in risalto la giovane età degli imputati, entrambi ventunenni, e, dopo averli presentati come vittime del proselitismo di persone «venali e ambiziose», proponeva alla Presidenza del Buon Governo di Firenze di condannarli entrambi a sei mesi di relegazione a Volterra.

Il 12 aprile giunse a Pisa la risposta del Presidente del Buon Governo, il quale condannò entrambi al confino: per Gaetano Bichi erano previsti diciotto mesi in Grosseto, mentre per Michele Carducci un anno in Volterra, minacciando ad ambedue di esser relegati per il doppio tempo rispettivamente nell'Isola del Giglio in caso di inobbedienza.

148 Ibidem., p.18.

Il Buon Governo era dunque stato di mano assai pesante: raddoppiando la condanna al Carducci e triplicandola a Gaetano Bichi mostrò di aver valutato l'attività dei due pietrasantini molto più dannosa alle istituzioni di quanto l'avesse giudicata il magistrato pisano.

In data 13 aprile venne stilato il decreto n.188 con cui Michele Carducci e Gaetano Bichi furono condannati conformemente alle disposizioni impartite da Firenze e dopo pochi giorni i condannati raggiunsero le loro sedi di relegazione150.

Tuttavia, una volta scontata la pena il Carducci conseguì l'abilitazione chirurgica, sposò Ildegonda Celli, conosciuta in esilio, e nel 1835 nacque il primo figlio Giosuè. Inizialmente esercitò la professione di chirurgo nelle comunità di Pietrasanta, Seravezza e Stazzema, poi, nel 1838, si trasferì con la famiglia in Maremma.

Dopo la relegazione anche Gaetano Bichi tornò a Pietrasanta, dove, come abbiamo visto, nel 1840-41 ricoprì la carica di priore e sostenne le aspirazioni artistiche dell'amico Vincenzo Santini di eseguire il monumento a Leopoldo II da collocarsi sulla principale piazza cittadina. Ma, dalla lettera che egli inviò al Santini, datata 20 agosto 1840, possiamo notare come l'impegno del Bichi rispondesse più alla volontà di aiutare un amico che ad un interesse nel veder erigere una statua al Granduca:

Ieri nell'adunanza magistrale adottammo le vostre istanze contenute nella lettera diretta al Gonfaloniere (…) Nella nota dei vari soscritti per la statua vi apposi anche il mio nome per due azioni e così ho eseguito i miei impegni verso di voi151.

Di fatto il Bichi abbandonerà la carica di priore nell'ottobre del 1840, esulando in Francia152.