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Sponsalia e nuptiae Quando i rituali alimentari scandiscono i momenti del

3. L E NOZZE IL CIBO COME LINGUAGGIO E SIMBOLO

3.3. I L CALICE : COMUNIONE E COMUNICAZIONE

Nella sezione di questa ricerca dedicata alla micro-letteratura che ho definito del “fidanzamento bevuto” è emerso un dato centrale: la bevuta rituale ricopriva, in passato, un ruolo simbolico importante dovuto alla sua natura di gesto culturale volto all’avvicinamento tra i futuri sposi, al loro primo contatto fisico, alla loro prima condivisione di un alimento (che abbiamo generalmente visto essere il vino). Che la bevanda venisse semplicemente servita dalla donna all’uomo o consumata da entrambi dallo stesso calice, come il cerimoniale tipico dell’ospitalità prevedeva, poco intacca il concetto di fondo: le scene tendono comunque a comunicare un senso di comunione, unione.

Il gesto alimentare era già stato individuato nella Bibbia (ma non solo) come momento in cui “partecipare” di una dimensione simbolica altra. Nella sua prima lettera alla comunità di Corinto, Paolo scrive: «il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?»572. Il caso del Cristianesimo è esemplare proprio per la sua inclinazione ad amplificare il significato dell’atto alimentare fino a renderlo allegoria della partecipazione del fedele in Cristo, trasferendo in due voci del dizionario gastronomico mediterraneo (il pane e il vino) le due sostanze di Cristo: il suo corpo, il suo sangue. Gli scrittori cristiani dell’alto Medioevo hanno rinnovato tale concetto con una continuità straordinaria573, segno di come avessero inteso che la trasmissione e la diffusione di un credo religioso è facilitata dal ricorso a un tipo di linguaggio “alimentare”, a cui riserverò le pagine finali del presente lavoro. Denominatore comune di tale linguaggio è proprio l’idea che mangiare e bere insieme significa far parte insieme di qualcosa, condividere una determinata esperienza, il che rende piena giustizia all’etimologia del termine convivium. «Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demoni», continua Paolo; «non potete bere il calice del Signore e il calice dei

572 1Cor 10,16.

573 Mi limito a segnalare alcune riflessioni sull’argomento, particolarmente utili proprio perché svolte da un

punto di vista “alimentare”: M. Montanari, Gusti del Medioevo. I prodotti, la cucina, la tavola cit., pp. 60-62 (per quanto riguarda il pane), e pp. 149-182 (relativamente al vino); id., La fame e l’abbondanza cit., p. 25; C. Vogel, Symboles cultuels chrétiens. Les aliments sacrés: poisson et refrigeria, in Simboli e simbologia

nell’alto Medioevo, Spoleto 1976, Fondazione Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, pp. 197-252; P.

Tombeur, L’allégorie de la vigne et du vin dans la tradition occidentale, in Image et réalité du vin en Europe, Paris 1989, pp. 181-273; G. Archetti, De mensura potus. Il vino dei monaci nel Medioevo, in La civiltà del

vino. Fonti, temi e produzioni vitivinicole dal Medioevo al Novecento cit., pp. 205-326; A. Gautier, Alcuin, la bière et le vin. Comportements alimentaires et choix identitaires dans la correspondance d’Alcuin, in Alcuin, de York à Tours. Écriture, pouvoir et réseaux dans l’Europe du haut Moyen Âge, a cura di Ph. Depreux e B.

Judic, «Annales de Bretagne et des Pays de l’Ouest», 111, 3, 2004, pp. 431-441; J.-L. Flandrin, Chronique

demoni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni»574. È evidente come l’avvicinamento a Dio venga stilizzato nel sedersi alla stessa tavola, mangiando ciò che Egli offre agli invitati.

Sbaglieremmo a pensare che si tratta di una pura astrazione: simili meccanismi allegorici sono sempre ispirati da valori culturali concreti e di natura quotidiana. Il linguaggio simbolico adottato nella Bibbia, ma anche dagli intellettuali che nel Medioevo la commentano e dagli agiografi che perpetuano le gesta dei profeti nelle vite dei santi, non è un codice asettico, impermeabile al contesto culturale che lo attornia: il forte significato dell’atto alimentare in quanto momento di condivisione e celebrazione aveva radici più profonde del foglio di una pergamena, come già si è avuto modo di constatare. Atto alimentare che, relativamente alla promessa di matrimonio, poteva essere rappresentato da un brindisi e/o da un banchetto; si può dire lo stesso della festa nuziale vera e propria?

Una prima risposta indicativa la voglio proporre attraverso la citazione di un verso dell’Edda poetica, una raccolta di poesie in lingua norrena conservate nel manoscritto detto Codex Regius (compilato nella seconda metà del XIII secolo), in cui confluiscono motivi tradizionali della letteratura germanica derivanti da leggende orali tramandate sin dall’età delle grandi migrazioni575. Nel componimento poetico che recita il titolo di Gripisspo, ossia La profezia di Gripir, prende forma un dialogo tra Sigurdhr e suo zio Gripir ove si riassumono le vicende del primo sulla scorta degli antichi racconti. A un certo punto della narrazione, l’autore così scrive riguardo alle nozze di Sigurdhr, appunto, e di un altro personaggio già citato in questa sede, Gunnar:

«‘I matrimoni insieme verranno celebrati, di Sigurdhr, di Gunnar, nella corte di Gjuki [...]’»576.

A prima vista, non si può certo dire di trovare nulla di particolare in questi versi. Eppure, a guardare la versione originale dell’opera, cioè il testo norreno, la traduzione proposta non rende pienamente fede al lessico utilizzato dall’autore577. Il Codex Regius riporta, per la precisione:

574 1Cor 10,20-21.

575 Il canzoniere eddico, a cura di P. Scardigli, Milano 2004, pp. vii-ix. 576 Ivi, p. 193.

577 Dettaglio che, molto accortamente, il curatore dell’edizione italiana Piergiuseppe Scardigli non ha

mancato di sottolineare. Dalla sua ottica, la traduzione proposta è comunque corretta, ma qui va approfondita la scelta di usare quel tipo di espressione lessicale nel testo norreno. A tal fine, l’edizione da me utilizzata è Poetic Edda. Old Norse-English diglot, a cura di K. Hildebrand, H. Gering e H. Adams Bellows, Melbourne 2011.

«‘Saman munu brullaup bǣþi drukkin Sigurþar ok Gunnars

ī sǫlum Gjūka [...]’»578.

Andando a tradurre in senso più letterale, si ottiene:

«I matrimoni di entrambi saranno bevuti insieme [drukkin, dal verbo drekka, che richiama da vicino l’odierno inglese drink],

di Sigurdhr e Gunnar, nella sala di Gjuki».

Questo ci ricorda senz’altro qualcosa: la consuetudine russa che De Gubernatis riporta come ancora attuale al suo tempo, secondo cui, dopo gli opportuni brindisi di vino e birra, si diceva che la sposa era “bevuta” per intendere «ch’ella è fatta»579. Il fatto che si possa ritrovare la medesima

espressione linguistica in un testo che, rispetto a quando parla lo studioso torinese, risale a seicento

anni prima ed è stato redatto in area scandinava, lascia quantomeno supporre che né il tempo, né lo spazio siano fattori abbastanza corrosivi da rimuovere una precisa espressione culturale, cioè il fatto che si identificassero le nozze con un brindisi rituale. Non sarebbe una novità, in un certo senso: si è già visto come il matrimonio potesse venire stilizzato nel solo momento alimentare del banchetto, e su questo tornerò in seguito. Ad ogni modo, tali indizi non fanno che suggerire che, almeno secondo una percezione collettiva, il verbo sposarsi poteva trovare dei suoi surrogati nelle azioni di mangiare o bere insieme.

È proprio ciò che può vedersi nella Volsunga saga all’interno di una scena in parte già commentata, ossia quella delle nozze tra Sigurđr e Guđrún. Durante i molti giorni di festeggiamenti in cui si susseguono spettacoli e giochi di vario genere, l’anonimo scrittore racconta:

«Drekkr Sigurđr nú brúđlaup til Guđrúnar»580.

578 Ivi, p. 485.

579 A. De Gubernatis, Storia comparata degli usi nuziali in Italia e presso gli altri popoli indoeuropei cit., p.

108.

A titolo di esempio, ripropongo tre delle differenti traduzioni in cui la frase viene riportata nelle edizioni moderne:

- «E Sigurđr beve dal calice nuziale alla salute di Guđrún»581; - «...and Sigurđr drank at the wedding of him and Guđrún»582; - «And Sigurđr now married Guđrún»583.

Tre differenti interpretazioni584 piuttosto indicative di come il codice linguistico sia specchio su cui la cultura (anche alimentare) sovente possa riflettersi. Se la versione più letterale rispetto al testo norreno è la seconda, che riporta l’azione di bere (drekkr), ciò non significa che le altre non siano sostanzialmente corrette, anzi: si tratta solo di modi diversi in cui il traduttore di turno ha reagito, secondo la propria sensibilità, di fronte allo stesso problema. Sottolineo tale questione proprio per il fatto che, in risposta alla medesima questione, le soluzioni sono state leggermente divergenti, attorno a un’equazione che potrebbe presentarsi come: brindare al matrimonio = sposarsi.

Annalisa Febbraro, che si è dedicata alla traduzione dell’edizione italiana qui utilizzata, sceglie appositamente di inserire come elemento il “calice nuziale” per facilitare la lettura, esigenza che i suoi colleghi anglosassoni non avvertono rispetto al proprio pubblico di lettori (d’altronde, il testo norreno non parla di alcun calice). Questo, se non altro, suggerisce come la cultura nordica e quella anglosassone siano state già in passato inclinate a richiamare l’equazione di cui sopra; ciò naturalmente nobilita il gesto alimentare di bere in onore delle nozze, se detto rituale e l’azione di sposarsi venivano in sostanza identificati.

Lo stesso si può dire di un successivo brano della Saga dei Volsunghi, che vede ancora come protagonista Guđrún, in occasione del suo matrimonio con Atli. Compare nuovamente la formula già conosciuta:

«Ok at Þessi veizlu drekkr Atli brúđlaup til Guđrúnar»585.

581 Ivi, p. 177.

582 Anonymous, The Saga of the Volsungs, transl. by E. Magnússon and W. Morris, Stilwell, KS 2005, p. 62. 583 R. G. Finch (ed. and trans.), The Saga of the Volsungs, London 1965, p. 47.

584 Cfr. H. R. Ellis Davidson, Myths and Symbols in Pagan Europe: Early Scandinavian and Celtic Religions,

Syracuse (NY) 1988, p. 42.

Anche in questo caso, la traduttrice dell’edizione italiana sceglie di inserire il particolare del calice, che nell’originale non è presente. Scrive: «E a questo banchetto, Atli bevve la coppa matrimoniale con Guđrún»586. Analogamente a quanto osservato poc’anzi, invece, l’edizione Finch riporta: «And Atli married Guđrún at this feast»587, mentre quella a cura di Eirikr Magnússon e William Morris: «And at that feast drinks Atli his bridal with Gudrun»588. Ancora, con diverse sfumature, vediamo l’identificazione dell’atto di celebrare le nozze con quello di brindare a esse (o, come nel caso precedente, alla salute della sposa).

Un ulteriore esempio che emerge da un campione di fonti norrene (impensabile in questa sede elencare i risultati ottenuti da tutti i testi) si trova nella già citata Saga di Ragnarr. Quando il protagonista confessa a Kráka di voler giacere quella notte insieme a lei, ella risponde con una proposta che trovava più dignitosa:

«La sera stessa, mentre gli uomini preparavano i loro giacigli, Ragnarr espresse il desiderio che lui e Kráka si coricassero insieme. Rispose Kráka che non era possibile: ‘Bevi con me prima - spiegò - il calice delle nozze, una volta giunto nel tuo regno. Questo mi pare degno per te e per i nostri eredi, se mai ne avessimo’»589.

Anche Marcello Meli, traduttore della presente edizione, inserisce l’elemento del calice nuziale, quando il testo originale recita una formula che coincide con quelle viste in precedenza:

«‘ok vil ek, at þú drekkir brúðlaup til mín [...]’»590.

Laddove, quindi, si presume a giusto titolo che un lettore italiano del XX secolo necessiti di una precisazione riguardo al rituale di bere il matrimonio, l’ascoltatore/lettore medievale d’Islanda conosce già il significato dell’espressione e del relativo rituale, poiché presente nel suo dizionario linguistico e culturale. Quanto alla moderna traduzione inglese del testo, Chris Van Dyke si tiene

586 Ivi, p. 221.

587 R. G. Finch (ed. and trans.), The Saga of the Volsungs cit., p. 64. 588 Anonymous, The Saga of the Volsungs cit., p. 82.

589 Saga di Ragnarr cit., p. 49.

590 Margaret Schlauch, The Saga of the Volsungs: The Saga of Ragnar Lodrok together with the Lay of

piuttosto aderente all’originale: «She said it could not be thus, ‘and I want you to drink a wedding feast for me, when you come to your kingdom [...]’»591.

Come accortamente suggerisce Meli, il brindisi era un «un atto rituale che suggellava, nel corso di un convito pubblico, il contratto di matrimonio»592: una declinazione del rituale di libagione, tipico delle culture antiche593, con la differenza fondamentale che essa prevedeva l’offerta agli dei di vino, acqua, miele o latte.

Il nesso che lega la libagione alla celebrazione nuziale, peraltro, precede il Medioevo. Già Verrio Flacco, vissuto a cavallo tra il I secolo a.C. e il I d.C., pretendeva che i termini sponsus e sponsa derivassero dal greco σπονδή, relativo proprio alla libagione; con tale associazione, egli intendeva che gli sponsi suggellavano la stipulazione pubblica della loro promessa di matrimonio facendo una libagione agli dei. Festo, nel II secolo d.C, avrebbe riproposto la medesima interpretazione: «Spondere Verrius putat dictum, quod sponte sua, id est voluntate, promittatur. Deinde oblitus inferiore capite sponsum et sponsam ex Graeco dicta[m] ait, quot i σπονδὰς interpositis rebus divinis faciant»594.

Che si tratti di un’usanza dal forte carattere identitario non c’è dubbio, se ne rimangono ampie tracce ancora oggi. Facendo un fugace balzo in avanti nel tempo, leggiamo la studiosa americana Linda Watts descrivere così il rituale del brindisi nella cultura statunitense contemporanea: «C’è un ampio insieme di tradizioni che circonda le bevande, dal caffè allo Chardonnay. [...] I rituali aiutano a dar forma agli eventi, a rinforzare l’identità, e a dar risalto agli avvenimenti sociali più importanti nel ciclo vitale di un individuo, una famiglia, o un altro gruppo. [...] Altre usanze relative alle bevande contribuiscono al festeggiamento di eventi formali, come matrimoni, anniversari, e bar mitzvahs e bat mitzvahs. Probabilmente l’elemento più noto della cultura del bere concerne il

591 C. Van Dyke, Ragnars saga lođbrókar, Denver 2003, p. 13. È doveroso notare che l’espressione “to drink

a wedding feast” non è comune nella lingua inglese, per quanto il suo significato sia comunque intuibile; nella fattispecie, la scelta del traduttore è probabilmente mirata a lasciare intatto il significato letterale del passo. Ellis Davidson puntualizza che, con la sua forma più generica (“to drink a feast”), nella letteratura norrena ci si riferiva ad assemblee e feste, occasioni in cui il rituale del brindisi rivestiva un ruolo sociale di primo piano (H. R. Ellis Davidson, Myths and Symbols in Pagan Europe: Early Scandinavian and Celtic

Religions cit., p. 42). «The drinking party really provides the formal setting for their entire organisation. The

meeting is called “the drinking”, to hold a meeting is always called “to drink a feast”, even where the object of the assembly is something more practical», precisava al principio del secolo scorso Vilhelm Grönbech (V. Grönbech, The Culture of the Teutons, translated into English from Vor folkeæt i oldtiden I-IV by W. Worster, London 1931, p. 147).

592 Saga di Ragnarr cit., p. 125, n. 29; si veda anche F. Lissarrague, Un rituel du vin: la libation, in In vino

veritas, a cura di O. Murrey e M. Tecusan, Londra 1995, pp. 126-144.

593 L. Mussiet, La pénétration chrétien dans l'Europe du nord et son influence sur la civilisation scandinave,

in La conversione al cristianesimo nell'Europa dell'alto Medioevo, XIV Settimana di studi del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 2 voll., Spoleto 1967, pp. 263-325, a p. 301.

brindisi. I brindisi sono gesti narrativi associati al consumo di bevande alcoliche durante occasioni celebrative»595. Nel caso dei matrimoni, prosegue la Watts, il brindisi è generalmente associato a un augurio di salute e armonia familiare formulato dalla persona più vicina agli sposi, che sia essa amica o congiunta, il tutto all’interno di un discorso spontaneo o preparato e studiato in separata sede, di solito di natura ironica596. Se volessimo ricercare l’identico tipo di rituale in aree culturali del mondo assai distanti da quella americana, troveremmo per esempio che in Cina il consumo di alcool è una delle tradizioni alimentari più tipiche quando si sta parlando di feste nuziali. Nelle usanze di gruppi etnici quali Han, Dai, Jingpo e Lahu, è consuetudine che la famiglia del pretendente offra da bere una bevanda alcolica a quella della futura sposa. «Tra gli Ewenki, si capisce che i genitori hanno approvato il matrimonio quando bevono il dono ricevuto»597; inoltre, durante i festeggiamenti per le nozze, lo sposo e la sposa sono soliti bere un bicchiere insieme (anche stavolta di una bevanda alcolica), gesto atto a simboleggiare l’impegno dell’uno verso l’altro; allo sposo solamente, invece, è demandata l’usanza di brindare a ogni membro della famiglia di sua moglie e ai suoi amici598.

Ma tornando al Medioevo, sembra un fatto che il brindisi rappresentasse uno dei momenti più significativi all’interno della festa nuziale e di uno dei suoi rituali fondanti, ossia il banchetto. Questo è tanto più vero per le popolazioni scandinave, se il teologo tedesco Adamo di Brema scriveva, attorno all’anno 1070, che presso i Suedi «si pestis et famis imminet, Thorydolo lybatur, si bellum, Wodani, si nuptiae celebrandae sunt, Fricconi»599, ossia che durante le celebrazioni nuziali essi libavano a Frigg, sposa d’Odino nella mitologia norrena. Jean-Marie Maillefer ha rimarcato tale aspetto, evidenziando come nella Scandinavia medievale “bere le nozze” fosse espressione comune per significare che esse avevano avuto luogo ufficialmente e legalmente, consuetudine attestata

595 L. S. Watts, Encyclopedia of American Folklore, New York 2007, pp. 384-385: «There is an extensive

body of lore surrounding beverages, from coffee to Chardonnay. [...] The rituals help shape events, reinforce identity, and acknowledge major events in the life cycle of an individual, family, or other group. [...] Other drinking lore contributes to the festivity of formal occasions, such as weddings, anniversaries, and bar mitzvahs and bat mitzvahs. Probably the best-known element of drinking culture in this regard is the toast. Toasts are narrative acts associated with the consumption of alcoholic beverages at celebratory events».

596 Ibidem.

597 M. Grant, Alcohol and emerging markets: patterns, problems, and responses, Ann Arbor, MI 1998, p. 127:

«Among the Ewenki, it is understood that the parents have approved the marriage once the gift is drunk». Cfr. D. Lombardi, Storia del matrimonio. Dal Medioevo a oggi cit., p. 28.

598 Ibidem.

599 Adamus, Gesta Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum, ed. J. M. Lappenberg, MGH SSRG, Hannover

anche dai testi legislativi600. Caso ancora più peculiare l’area svedese dell’Östergötland, dove le partecipazioni di nozze venivano comunicate attraverso appositi ölbud, letteralmente “messaggeri della birra”, che invitavano gli ospiti till öls, “per la birra”; tutto ciò spiega perché il momento centrale della festa di matrimonio fosse detto laga ölstämma, cioè “riunione della birra”. Le normative di questa provincia, redatte nella seconda metà del XIII secolo, prevedevano che, una volta suggellata la promessa di fidanzamento, si fissasse il giorno in cui si sarebbe bevuta la

giptaröl, la “birra matrimoniale”.

Parimenti, nel testo legislativo municipale del re svedese Magnus Eriksson (1350 ca.) si parla specificatamente di “birra del matrimonio” (bryllups öl). Questo, peraltro, va a contraddire in un certo senso quella gerarchia di valori che, come visto in precedenza, voleva il vino quale bevanda socialmente più prestigiosa presso le genti del nord: se da un lato tale gerarchia poteva esistere in virtù del fatto che la minore reperibilità del vino faceva di questo una bevanda riservata a pochi, ciò non ha evitato che i testi legislativi eleggessero la cervogia quale morfema centrale all’interno del linguaggio inerente alle normative nuziali.

Ciò che emerge da queste brevi osservazioni è, ancora una volta, che le culture umane hanno spesso assegnato ai gesti alimentari dei significati e degli scopi altri che si andavano a sovrapporre a quelli meramente nutritivi. Mangiare è un atto sociale, e non può ridursi alla semplice dimensione di «necessità corporale»601: questo vale per la società medievale, ma potremmo vederlo come un processo connaturato nell’indole umana. Processo che, senz’altro, coinvolge anche l’ambito nuziale, come si è visto. D’altro canto vorrà pure dir qualcosa se in Francia, al principio del XVII secolo, il giurista Antoine Loysel così sintetizzava il matrimonio secondo una formula divenuta celebre: “boire, manger, coucher ensemble, c’est mariage ce me semble”.

600 Per questa e per le successive indicazioni si veda J.-M. Maillefer, Le mariage en Scandinavie médiévale,