• Non ci sono risultati.

U N PRIMO ESAME DELLE FONTI NORRENE E DEI G ESTA D ANORUM DI S AXO

Sponsalia e nuptiae Quando i rituali alimentari scandiscono i momenti del

1. I L MATRIMONIO COME PROCESSO

2.1. U N PRIMO ESAME DELLE FONTI NORRENE E DEI G ESTA D ANORUM DI S AXO

GRAMMATICUS

A dire il vero, le saghe islandesi presentano diversi casi in cui il pranzo, più che essere esso stesso una festa, è sfruttato per dichiarare davanti ai presenti le proprie intenzioni circa un fidanzamento. Esse rappresentano, come già anticipato, una casistica a sé, che solo con molta prudenza va confrontata con i testi analizzati sino a questo momento: il modo in cui i racconti nordici indugiano sulla pratica del banchetto è infatti del tutto singolare. Così, per esempio, nella Saga di Ragnarr287, composta nel XIII secolo e facente parte del gruppo delle legendary sagas288. A tal proposito, è bene rammentare un particolare di grande importanza: le saghe appartenenti a questa classificazione, così come gli studiosi contemporanei hanno stabilito, tendono a narrare un passato mitico dell’Islanda preistorica. «Il tempo dell’azione», spiega Kaaren Grimstad, «è il “c’era una volta”, cioè in un periodo all’incirca precedente alla colonizzazione dell’Islanda (ca. 870), la cristianizzazione dell’Islanda (ca. 1000), o il regno di uno dei numerosi re norvegesi, ognuno dei quali rappresenta un riferimento temporale convenzionale all’interno della storiografia islandese»289. Tutto questo deve essere tenuto in considerazione dal momento che la dimensione religiosa poteva influire su quei rituali che la ricerca vuole indagare, specie perché si tratta di riti inerenti al matrimonio che per lungo tempo sono stati oggetto di discussione in ambito ecclesiastico (almeno per quanto riguarda le aree occidentali del bacino del Mediterraneo e delle regioni sul continente).

Chiusa questa breve parentesi, è bene tornare alla fonte. La Saga di Ragnarr narra delle gesta di un re danese del IX secolo, identificabile con il Regnerus di Saxo Grammaticus, e ne inquadra le imprese all’interno di una cornice fantastica290. La scena è ambientata alla corte del re di Svezia Eysteinn, «pagano convinto»291, in quel tempo grande amico e fido alleato di Ragnarr. La loro

287 Le edizioni di riferimento sono: La saga di Ragnarr, a cura di M. Meli, Milano 1993; J. Renaud (éd.), Saga

de Ragnarr aux Braies velues, Toulouse 2005.

288 Cfr. C. J. Clover - J. Lindow, Old Norse-Icelandic Literature. A critical guide cit.; U. Strerath-Bolz - R. von

R. McTurk, «Studies in "Ragnars saga loðbrókar" and Its Major Scandinavian Analogues», Alvíssmál 2 (1993), pp. 118–119.

289 La citazione fa riferimento al saggio di Kaaren Grimstad sulle saghe eroico-leggendarie contenuto in K.

Grimstad, Vǫlsunga saga. The Saga of the Volsungs, Saarbrücken 2000, p. 18.

290 Tale peculiarità narrativa, però, non deve gettare discredito sulla verosimiglianza di alcuni avvenimenti o

del “modo” in cui quegli avvenimenti prendono forma (cfr. supra, nella seconda parte dell’introduzione alla ricerca, dove si approfondisce il contesto storico-letterario in cui nascono le saghe nordiche.)

291 La saga di Ragnarr cit., p. 55. Come già accennato, il cristianesimo raggiunse le regioni nordiche solo

reciproca fedeltà, come narra il racconto, era confermata e rinforzata da una consuetudine ormai assodata, ovvero quella di offrire all’altro ogni estate, a turno, un banchetto. Per quanto le parole di Tacito risuonino distanti, ritroviamo dunque il forte valore sociale e aggregativo del pasto consumato in gruppo con l’intento di consolidare legami affettivi e diplomatici.

«Accadde una volta che toccò a Ragnarr recarsi al banchetto offerto da re Eysteinn»292,

prosegue la narrazione. Il sovrano danese si reca quindi a Uppsala, dove viene accolto con tutti gli onori. Quando Eysteinn ordina a sua figlia Ingibjörg di servire da bere293 al loro ospite, tutti gli uomini di Ragnarr, vedendo la ragazza, pensano che sarebbe stata cosa assai saggia se il loro re avesse ripudiato sua moglie Kráka, di stirpe contadina, per chiedere in sposa la bella principessa svedese. Come visto in precedenza294, infatti, il parere della cerchia dei nobili ha un peso significativo nella scelta del re di una potenziale consorte, da cui la necessità e l’usanza di rendere pubblico tale importante momento. Il convito si dimostra per i nobili l’occasione perfetta per informare Ragnarr della loro decisione: «Accadde quindi che uno degli uomini informò Ragnarr di quell’opinione»295, e il re decide di accondiscendere alla proposta. La fanciulla viene così chiesta in sposa (o meglio, sponsa, perché si tratta di sponsali) a Eysteinn, ma attenzione: la richiesta formale non rende immediatamente effettiva la promessa di fidanzamento, nonostante il parere favorevole del re svedese. Il convivio, in questo caso, funge da scenario solo per l’avanzamento della proposta. Si decide, infatti, che Ragnarr e Ingibjörg avrebbero celebrato il fidanzamento in seguito, e l’evento sarebbe stato sancito e celebrato ancora una volta con l’allestimento di un convivio:

292 Ivi, p. 56.

293 Come accortamente fa notare l’editore, tale costume è all’origine di numerosi antroponimi femminili, quali

Ölgefjon e Ölgerdr, composti di öl, “birra” (da cui l’odierno inglese ale e il già menzionato bridal). Ne ricaviamo che tale compito veniva generalmente demandato alle donne. Tuttavia, come dimostra il brano in oggetto e altri che analizzerò, non necessariamente si tratta di una mansione servile che implica sottomissione, ma un gesto riservato a donne di rango nobiliare per uomini della stessa classe sociale: mi riferisco a un passo della Cronaca di Novalesa, a due della Historia Langobardorum di Paolo Diacono, due presi rispettivamente dalla Volsunga saga e dalla Ynglinga saga, e non solo. Come vedremo in seguito, queste scene mostrano come il gesto di servire birra o vino fosse strettamente associato a una proposta di matrimonio; il particolare, in sostanza, potrebbe non essere affatto casuale. Inoltre, va sottolineato come la cultura nordica individuasse nella birra la bevanda fondante la propria identità, tanto da rimanere impressa nei nomi di persona.

294 Cfr. supra i riferimenti relativi a Gregorio di Tours e Paolo Diacono sulla necessità, da parte dei sovrani,

del consenso dei grandi del regno riguardo alle proprie unioni matrimoniali.

«Era giunto finalmente il momento prefissato in cui Ragnarr doveva recarsi a banchetto in Uppsala, ma poiché non vi si recò, parve a re Eysteinn un affronto, sia per lui che per sua figlia e allora i vincoli di alleanza fra i due re vennero meno»296.

Convivio a cui Ragnarr non si presentò mai, per via del bambino partorito nel frattempo da Kráka, la quale inoltre si scoprì non essere figlia di contadini, bensì di ascendenza regale, essendo nata da Sigurdr e Brunilde, figlia di Budli297. Ma al di là dell’esito negativo del fidanzamento con Ingibjörg, ritengo significativo che la cerimonia stessa venga identificata anche lessicalmente, proprio come già visto altrove, con un banchetto. Proposta durante un pranzo, sempre durante un pranzo l’unione sarebbe stata ratificata ufficialmente; vedremo più oltre se era consuetudine che anche le nozze venissero celebrate (ma ancora più importante, identificate) con il convito stesso che le avrebbe festeggiate.

Ciò che certamente impone una riflessione preliminare è la comparazione di questo racconto con quello della Vita Sanctae Geretrudis. Sei secoli separano le rispettive stesure scritte, meno probabilmente le loro versioni orali, se è lecito presumere che le saghe derivassero da una lunghissima tradizione di racconti tramandati di generazione in generazione per almeno trecento anni, con spiccato carattere conservativo, peraltro. Ma non è solo il tempo a rendere questi due testi così lontani: se ogni fonte va contestualizzata per indagarne il background culturale, gli scopi letterari e il relativo pubblico di riferimento, è giusto precisare che i racconti agiografici erano opere edificanti redatte da autori ecclesiastici per destinatari (inizialmente ascoltatori) cristiani o per chi doveva essere convertito al cristianesimo; i manoscritti delle saghe islandesi, generalmente parlando, erano invece il risultato di un lungo processo prima orale e poi scritto («la maggior parte dei manoscritti esistenti venne rivista e corretta nei monasteri medievali»298, puntualizza Gísli Pálsson), il cui fine era per lo più quello di fissare nel tempo le imprese e le vicende delle antiche stirpi di coloni che erano salpati per l’Islanda. Tali racconti, insomma, avevano lo scopo di conservare la memoria del passato ed eventualmente mitizzarne gli avvenimenti. «Vi sono molte prove che suggerirebbero anche che le saghe venivano scritte per esibizioni pubbliche, non per un

296 Ivi, p. 60. 297 Ivi, pp. 57-59.

298 G. Pálsson, The Textual Life of Savants: Ethnography, Iceland, and the Linguistic Turn, Chur, 1995, p. 18:

uso individuale o privato»299, prosegue l’antropologo islandese. «Spesso le saghe venivano lette a voce alta durante rimpatriate domestiche quando c’era poco da fare oltre che godersi una buona storia in compagnia di altri: da qui il frequente riferimento al sagnaskemmtan, la narrazione»300. Non ci sono pervenute notizie sugli autori delle saghe, tranne che per i nomi di Sæmundr the Learned (1056-1133), Ari the Learned (ca. 1067-1148), Snorri Sturluson (ca. 1179-1241) e Sturla Ƥórđarson (1214-1284)301. Essi sono sacerdoti o condottieri di rango nobiliare, e i testi sembrano appunto orientati a rimarcare le differenze sociali tra i potenti e il resto della popolazione: «i libri erano costosi ed erano dunque simbolicamente appropriati a manifestare potere e superiorità sociale».302 Nonostante finalità letterarie e contesti culturali così diversi, però, sovrapponendo le fonti vediamo emergere un importante dettaglio: il primo momento del processo matrimoniale prende forma durante un pranzo.

Si badi bene: nei due casi citati, agli autori non preme affatto riferire che cosa si mangia o si beve, a differenza che nella Historia di Cherubino Ghirardacci. Il cibo non esaurisce il suo significato nel momento in cui ristora il corpo, sazia lo stomaco e soddisfa il palato, tutt’altro: se c’è una cosa che le fonti ci hanno appena mostrato, e così sarà anche nel prosieguo di questa indagine, è che chi scriveva non decideva per puro caso di tralasciare alcuni dettagli e di includerne altri. Ciò che evidentemente si voleva sottolineare è che, a prescindere dal cibo presente sulla tavola, è il ritrovarsi a condividere un pasto, è il rituale alimentare, insomma, a costituire già di per sé un’importante occasione sociale. Ma c’è dell’altro: non si tratta di una celebrazione meramente festiva (come potremmo considerare quella odierna), ma un di un rituale funzionale a conferire pubblicità all’evento, che quindi ha anche rilevanza rispetto a quei decreti emanati dalle autorità che tentavano di scoraggiare i matrimoni clandestini.

Ciò che ha indotto il Ghirardacci a dare ampio spazio alla descrizione delle ricche e fantasiose ricette dei cuochi del signore, invece, non lo ritroviamo a proposito di Ragnarr, né di Gertrude. Ciò

299 Ibidem. «Much evidence also indicates that the sagas were written for public performances, not for

individual or private consumption. Often the sagas were read aloud at domestic gatherings when there was little else to do than to enjoy a good story in the company of others: thus the frequent references to sagnaskemmtan, storytelling».

300 Ibidem.

301 A. Eriksen - J. Viðar Sigurðsson, Negotiating Pasts in the Nordic Countries: Interdisciplinary Studies in the

Nordic countries, Falun 2009, p. 64; J. K. Helgason, The Rewriting of Njáls Saga: Translation, Ideology, and Icelandic Sagas, Clevedon 1999, p. 149; M. Magnússon, The Icelandic Sagas, London 2002, p. 80; E. Ó.

Sveinsson, The Icelandic family sagas and the period in which their authors lived, Acta Philologica Scandinavica 12, 1937.

302 A. Eriksen - J. Viðar Sigurðsson, Negotiating Pasts in the Nordic Countries: Interdisciplinary Studies in the

Nordic countries cit., p. 64: «Books were expensive and were therefore appropriate symbols for

che interessa comunicare agli autori di queste due opere è il valore culturale della mensa, il profondo significato attribuito al vivere e al condividere nella società attraverso la condivisione della tavola e del cibo (convivium).

La Bibbia, per citare un altro esempio, è piena di allusioni al banchetto in quanto rituale dalla intensa carica simbolica. Alcune delle scene più celebri che vedono protagonista Gesù accadono proprio durante un pranzo o una cena. Senza citare i casi che subito balenano in mente, voglio ricordare il brano del vangelo di Luca dove il messia si intrattiene con due discepoli del villaggio di Emmaus. Siamo nei giorni successivi alla resurrezione, e Cristo appare a più persone in luoghi diversi per mostrare di essere ancora in vita, superiore alla legge naturale che governa il mondo. Mentre i due uomini si stavano recando a Emmaus, «Gesù stesso si avvicinò e cominciò a camminare con loro. Ma i loro occhi erano impediti a tal punto che non lo riconoscevano»303. Il messia, allora, sentendoli parlare di Gerusalemme, chiede loro dei ragguagli sui fatti accaduti di recente, ed essi gli domandano stupiti: «‘Tu solo, tra i forestieri, stando in Gerusalemme, non hai saputo le cose che vi sono accadute in questi giorni?’»304. Gesù finge di non essere al corrente di alcuna novità, così i due gli raccontano di quel profeta nazareno crocifisso durante la Pasqua per volere dei capi dei sacerdoti e dei magistrati. «‘È vero che certe donne tra di noi ci hanno fatto stupire’»305, aggiungono. «‘Andate la mattina di buon'ora al sepolcro, non hanno trovato il suo corpo, e sono ritornate dicendo di aver avuto anche una visione di angeli, i quali dicono che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato tutto come avevano detto le donne; ma lui non lo hanno visto’»306. Gesù, allora, li rimprovera per non aver avuto fede nella Bibbia e nelle parole dei profeti, dove già si era preannunciata la passione di Cristo, e gliene riporta gli esempi principali, da Mosè in avanti. Mentre i tre stanno ancora parlando, giungono a Emmaus sul far della sera. I due discepoli invitano allora lo sconosciuto a fermarsi a cena con loro, ed egli accetta.

«Quando fu a tavola con loro prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro. Allora i loro occhi furono aperti e lo riconobbero; ma egli scomparve alla loro

303 Lc 24:14-16. 304 Lc 24:18. 305 Lc 24:22. 306 Lc 24:22-24.

vista. Ed essi dissero l'uno all'altro: ‘Non sentivamo forse ardere il cuore dentro di noi mentre egli ci parlava per la via e ci spiegava le Scritture?’»307.

Non è l’unica volta in cui Gesù si è manifestato ai discepoli una volta risorto. In altre occasioni, quando essi avranno paura di avere dinnanzi un fantasma, egli si farà toccare, e mangerà un pesce arrostito davanti a loro, per mostrare di essere presente fisicamente, carne e ossa. Interessante però, qui, che il disvelamento della sua identità avvenga nel momento di mangiare insieme ai discepoli, così come già era avvenuto per l’annuncio ai dodici di ciò che gli sarebbe accaduto durante la Pasqua. In più occasioni Gesù sceglie di affidare rivelazioni di grande importanza al momento della cena, o ancora meglio: al momento durante la cena in cui prende il pane, lo spezza e lo benedice. «‘Questo è il mio corpo’»308, aveva detto a tavola con gli apostoli, durante il convito più conosciuto in tutta la cultura occidentale e non solo degli ultimi duemila anni. L’associazione simbolica della natura umana di Cristo con il pane, il cibo per eccellenza dei popoli mediterranei, eleva il valore della mensa a momento di partecipazione comune al Signore. Il legame tra queste due dimensioni apparentemente tanto distanti, quella spirituale e insondabile della divinità e quella palpabile e concreta del mangiare, fa sì che i due discepoli di Emmaus riconoscano il messia solo nel gesto rituale di condividere il pane, che è l’emblema del messaggio cristiano della costante presenza di Dio nel mondo, fin dentro gli uomini stessi. La Bibbia è un mirabile esempio di come la mensa abbia assurto, in passato, a momento di radicato e indiscusso valore culturale; su tale aspetto tornerò nell’apposita sezione della ricerca. Per il momento, ci basti il brano di Luca a supporto dell’analisi appena svolta sulle due fonti in oggetto, la Vita Sanctae Geretrudis e la Saga di Ragnarr: mangiare alla stessa tavola non era solo un fatto alimentare, tant’è che non ci è dato sapere nulla, in quei due testi, riguardo a vivande e bevande. Ciò che si mangiava era insomma secondario al fatto stesso che lo si mangiasse insieme, e che quindi si condividesse un momento; il tutto con le relative implicazioni in ambito matrimoniale, visto che il contesto pubblico rendeva propizia l’occasione per avanzare una proposta di fidanzamento.

307 Lc 24:30-32. D’aiuto all’analisi si è rivelato il volume G. Rossé, Il Vangelo di Luca: commento esegetico e

teologico, Roma 1992, pp. 1015 e sgg.; si vedano anche C. F. Evans, The central section of St. Lukes’s Gospel, in Studies in the Gospels: essays in memory of R. H. Lightfoot, ed. Nineham, London 1955, p. 901;

P. Benoît, Passion et Resurréction du Seigneur, «Lire la Bible» 6, Paris 1966; B. Prete, Il racconto dei

discepoli di Emmaus e le sue prospettive eucaristiche, in L’Opera di Luca. Contenuti e prospettive, Leumann

1986, p. 312. Interessanti spunti si trovano anche in G. Hallbäck, Sacred meal and social meeting: Paul’s

argument in 1 Cor. 11.17-34, in I. Nielsen - H. Sigismund Nielsen, ed., Meals in a social context: aspects of the commnual meal in the Hellenistic and Roman world, Ahrus studies in Mediterranean Antiquity 1, Ahrus

1998, pp. 167-176.

308 Lc 22:19: «Poi prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: ‘Questo è il

Anche in un’altra antica saga islandese di autore anonimo, essa pure appartenente al ciclo delle saghe leggendarie, si racconta di un episodio simile a quello riportato nelle pagine dedicate a Ragnarr e Ingibjörg. Pervenutoci nella sua redazione più antica in un manoscritto del XIII secolo, il testo della Saga di Hervǫr presenta alcuni nuclei narrativi risalenti a molti secoli addietro e attinti da leggende più antiche309. Il carattere conservativo della saga è tale da riportare storie delle guerre tra Goti e Unni che risalivano alla fine del IV secolo e presentavano ancora invariate le forme germaniche di alcuni nomi di città e di popoli, senza mostrare alcuna influenza successiva della lingua latina310.

Il tutto accade nella già menzionata Uppsala, quando re degli Svedesi era Ingjaldr, ma la scena ha inizio altrove, nell’isola di Bólm, durante il solstizio d’inverno. Qui, i dodici figli del vichingo Arngrímr e di sua moglie Eyfura pronunciano un giuramento levando il “Brindisi del Capitano”, «com’era d’uso»311. Tale brindisi (in antico islandese bragarfull o bragafull, letteralmente “la coppa riempita del capo”, da bragr e dall’antico inglese brego, “capo”, “capitano”, e full, che indica il riempimento della coppa, il “brindisi”312) viene meglio descritto nella Ynglinga Saga di Snorri, ed era originariamente un rituale funebre nel corso del quale si libava alla memoria del re defunto313. Questa volta la libagione serve a conferire un carattere solenne al giuramento di Hjǫrvarđr, il quale promette «che avrebbe avuto la figlia di Ingjaldr, re degli Svedesi, poiché la ragazza era famosa ovunque per bellezza e qualità: altra donna non avrebbe voluto»314.

La missione matrimoniale ha dunque inizio con un gesto “alimentare”, se così è lecito definirlo: in molti modi, infatti, la cultura occidentale nel suo complesso ha associato alla celebrazione nuziale o alle sue fasi preliminari dei rituali in cui il cibo è l’elemento centrale. Prosegue il racconto:

309 La saga di Hervǫr, a cura di M. Meli, Padova 1995, p. 3.

310 Si veda la brillante introduzione a cura di Christopher Tolkien in Hervarar Saga ok Heidreks, ed. by G.

Turville-Petre, London 1956, p. xii.

311 La saga di Hervǫr cit., p. 11.

312 Á. R. Magnúsdóttir, La voix du cor. La relique de Roncevaux et l’origine d’un motif dans la littérature du

Moyen Âge (XIIe-XIVe siècles), Amsterdam 1998, p. 297. Cfr anche G. T., Zoëga, A concise dictionary of Old Icelandic cit.

313 La saga di Hervǫr cit., p. 104, n. 1. 314 Ivi, pp. 12-13.

«La primavera seguente i dodici fratelli compirono la loro spedizione; giunsero ad Uppsala e si presentarono davanti alla mensa del re, dov’egli sedeva con accanto la figlia»315.

Ora, è particolarmente interessante che l’arrivo stesso del gruppo di uomini venga stilizzato nella scena della visita alla sala della mensa reale. Il particolare non è affatto casuale: ciò che Hjǫrvarđr deve chiedere, d’altronde, non va nascosto al resto degli uomini del re.

«Qui Hjǫrvarđr avanzò la propria richiesta e riferì al re il giuramento, che tutti i presenti ascoltarono»316.

La chiave, ancora una volta, sta nell’ultima precisazione: tutti possono essere testimoni che lo