Terminologia
Senza voler offrire un quadro completo del lessico specifico relativo al matrimonio medievale, questo capitolo si soffermerà sui vocaboli più pertinenti al nostro oggetto d’indagine. In sostanza, su quei termini che più degli altri hanno attirato la nostra attenzione durante il vaglio delle fonti. Questo renderà notevolmente più facile, nelle pagine a seguire, cogliere le differenze sostanziali tra l’istituto matrimoniale medievale rispetto a quello a noi contemporaneo, evitando di cadere in spiacevoli equivoci terminologici.
Sono quattro i vocaboli latini che principalmente ci interessano in relazione al concetto di matrimonio92:
• Coniugium
In origine CONJUGIUM, da CUM (“con”, “insieme”) + JUGO o JUNGO (“aggiogare”, “unire”).
Significato: unione, vincolo matrimoniale. (lett.: “unione sotto lo stesso giogo”). Presenta come sinonimo conubium, dal verbo nubere, legato al concetto di “nozze” e “cerimonia nuziale” (nuptiae)93.
Cfr. Isidoro di Siviglia: «Coniuges appellati propter iugum, quod imponitur matrimonio coniungendis. Iugo enim nubentes subici solent, propter futuram concordiam, ne separentur»94; «Conjugium est dictum, quia conjuncti sunt, vel a
92 In questa sezione è stato fatto largo uso degli strumenti fondamentali per questo tipo di analisi. Tra tutti: A.
Forcellini, Lexicon totius Latinitatis, Padova, 1940; C. Du Fresne Du Cange, Glossiarium mediae et infimae
Latinitatis. Graz, 1954; A. Blaise, Lexicon Latinitatis Medii Aevi, praesertim ad res ecclesiasticas investigandas pertinens. Turnhout, 1986.
93 G. B. Pellegrini, Terminologia matrimoniale, in Il matrimonio nella società altomedievale, XXIV Settimana
di studio del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 2 voll., Spoleto 1977, pp. 43-102, p. 45.
jugo, quo in nuptiis copulantur, ne resolvi, aut separari possint»95; «Quod autem non unus et multae sed unus et una copulantur, ipsa prima divinitus facta coniunctio in exemplo est. [...] Quod ergo in Christo et in ecclesia, hoc in singulis quibusque viris atque uxoribus conjunctionis inseparabile sacramentum est»96.
Le formule più comuni sono generalmente: “in meo sociare coniugio”97 o “sibi in coniugium sociare”98.
• Matrimonium
Composto da MATER + il suffisso MONIUM che indica un’azione, un agente (cfr.
MUNUS, “obbligo”, “dovere”, “funzione”: il matrimonio ha come scopo la
procreazione dei figli, compito della madre). Significato: matrimonio.
Cfr. Isidoro di Siviglia: «Matrona est quae iam nupsit, et dicta matrona, quasi mater nati, vel quia iam mater fieri potest, unde et matrimonium dictum»99; «Matrimonium est nobilium iusta conventio et condicio»100.
Cfr. in Tacito l’espressione: “Alii matrimonio se obstringere”101.
• Nuptiae (nupciae)
Da NUBO (“andare in sposa”). In antichità il verbo nubere era identificato con la cerimonia della velazione del capo della donna, considerando il vocabolo etimologicamente affine a nubes (“nuvola”, poiché le nubi velano il cielo).
95 Ivi, IX, 7, 20.
96 Isidorus Hispalensis, De ecclesiasticis officiis, CC SL 113, II 20; PL 83, 810.
97 Documenti longobardi e greci per la storia dell'Italia meridionale nel Medio Evo, ed. G. Beltrani, Roma
1877, a. 965, 5, 24.
98 Rot., c. 211.
99 Isidorus Hispalensis, Etymologiarum siue Originum libri XX cit., IX, 7, 13. 100 Ivi, IX, 7, 19.
Significato: nozze.
Cfr. Isidoro di Siviglia: «Nuptae dictae, quod vultus suos velent. Translatum nomen a nubibus, quibus tegitur caelum. Unde et nuptiae dicuntur, quod ibi primum nubentium capita velantur. Obnubere enim cooperire est»102.
• Sponsus, sponsa
Da SPONDERE (“promettere formalmente”, “giurare”), parallelamente al greco
SPÈNDEIN (“promettere solennemente facendo libagioni”). Il termine è in
connessione con la cerimonia della desponsatio (o sponsalia), «nota in tutte le civiltà antiche sotto forme diverse, ma simili e tipica del diritto longobardo»103. Scrive Ulpiano: «Sponsalia autem dicta sunt a spondendo: nam moris fuit veteribus stipulari et spondere sibi uxores futuras»104.
Significato: fidanzato, promesso sposo.
Cfr. Isidoro di Siviglia: «Sponsus ab spondendo vocatus. Nam ante usum tabellarum matrimonii cautiones sibi invicem emittebant, in quibus spondebant se invicem consentire in iura matrimonii, et fideiussores dabant. Unde admissum est ut sponsum dicamus virum, ab spondendo, et sponsam similiter. Ceterum proprie spondere velle est. Ergo sponsus non quia promittitur, sed quia spondet sponsores dat»105.
È attraverso questi quattro i termini e i loro derivati, in linea generale, che le fonti dell’alto Medioevo ci hanno parlato del matrimonio. Non approfondiremo, invece, tutti quei vocaboli inerenti alla dimensione economica e giuridica di tale istituto, dacché non è su quelli che la ricerca sarà incentrata. Mi riservo dunque di rinviare all’ottimo intervento di Giovan Battista Pellegrini nel volume dedicato al matrimonio nella società altomedievale106, dove l’analisi linguistica comparativa
102 Isidorus Hispalensis, Etymologiarum siue Originum libri XX cit., IX, 7, 10. 103 G. B. Pellegrini, Terminologia matrimoniale, cit., p. 47.
104 Dig., 23.1.2.
105 Isidorus Hispalensis, Etymologiarum siue Originum libri XX cit., IX, 7, 3-4. 106 G. B. Pellegrini, Terminologia matrimoniale cit.
si estende all’intero ceppo degli idiomi indoeuropei. In questa sede, voglio se non altro sottolineare il frequente riscontro dell’espressione “uxorem ducere” (“sposare”), il cui verbo indica letteralmente il “condurre” la sposa, in chiaro riferimento alla “deductio”, ossia il trasferimento della sposa dalla casa paterna a quella del marito107. Quest’ultimo è la fase conclusiva della
desponsatio germanica108 e sancisce manifestamente, alla presenza di parenti e amici, la traditio
puellae109, ossia la “consegna della sposa”.
Nella mia analisi citerò senz’altro il morgengab110, anche se principalmente per riflessioni attente al suo significato culturale più che giuridico. Tale istituto, difatti, rappresentava letteralmente “il dono del mattino” («tam in dote quam in morganegyba, hoc est matutinale donum»111, scriveva Gregorio di Tours), dato dal marito alla moglie in segno di soddisfazione per la comprovata verginità della sposa.
Faceva parte della fase di desponsatio anche la subarrhatio112, da arrha (o l’equivalente arra), traducibile con “pegno” o il derivato “caparra”. L’arrha era la somma che lo sposo pagava alla famiglia della sposa e che, in caso di rottura del matrimonio, egli avrebbe perso o avrebbe avuto il
107 Si veda per esempio Notkerus Balbulus, Vita sancti Galli metrica (BHL 3255t; BHL 3256), ed. K. Strecker,
MGH Poet. Lat., 4, 1923, pp. 1094-1108, p. 1096: «Egerat autem hoc, primo propter auctoritatem hominis, dehinc ne, si sui quidem, quos habebat facundissimos, magnate suum elatius scribendo extollerent, adulatorie eum laudasse putarentur et linguis sic detrahentium cum sancto Ieronimo roderentur.
Descripta est igitur tandem per abbatem opinatissimum vita; quam cum in processu temporis eruditissimi illi primo propter reverentiam tam arduae dictationis laudatam accuratius relegerent secumque habitando colloquiis vacarent, Tuotilo inter eos plane iuvenis acutissimus, qui ‘Hodie cantandus est’ tropum effecerat, Notkero assentienti ita in aurem locutus est: ‘Videsne’, ait, ‘ntime mi, quod tamen imperitorum minus patet caecitati, dissertissimum illum passim barbarico modo et more latina dixisse ut illud “quam habuit desponsatam’, quod quidem latinius esset, si ‘quam desponsaverat’ posuisset?
Matheus enim de Herode non ait ‘Quia habuit eam domum ductam’, sed ‘quia duxerat eam’».
108 Come chiariremo meglio in seguito, difatti, la fondamentale differenza fra il matrimonio germanico e quello
di tradizione romana è la distinzione del primo in due fasi principali: desponsatio e traditio.
109 Rot., c. 183: «De traditione puellae aut mulieris. Si quis pro libera muliere aut puella mundium dederit, et
coinvenit, ut ei tradatur ad uxorem, posteaque contigerit marito mortuo...». Questo capitolo richiama peraltro l’istituto del mundio (nel caso specifico, il potere di protezione del capofamiglia su una figlia, della quale era “mundualdo” fino a che un pretendente non decideva di sposarla, acquistando così il medesimo diritto di protezione e tutela; cfr. Rot., c. 178: «qui mundium eius potestatem habet»; c. 201: «ad quem mundius de ipsa pertinet»), per il quale si veda E. Cortese, Per la storia del mundio in Italia, in Rivista italiana per le
scienze giuridiche, VIII Sez. III anni IX-X (1955-1956), pp. 323-474. Giovan Battista Pellegrini cita anche il
più datato volume di F. Schupfer, Il diritto privato dei popoli germanici con speciale riguardo all’Italia, II. La
famiglia, Roma 1914.
110 Cfr. Liut., c. 7, ma comune anche alle altre leges germaniche.
111 Gregorio di Tours, La storia dei Franchi, a cura di M. Oldoni, 2 voll., Napoli 2001, II, IX, 20.
112 Si veda, a titolo esemplificativo, il capitolo 3 delle Lex. Vis. (a. 654), “De non revocandis datis arris”, p.
diritto di vedersi restituita, a seconda che gli sponsali fossero stati rotti da lui o da sua moglie113. Tale pratica implicava il consenso della sposa al matrimonio, elemento già necessario nel matrimonio romano, e che il cristianesimo aveva poi introdotto in quello germanico, nonché l’accettazione del principio della sacramentalità delle nozze114.
L’importanza della subarrhatio consiste anche nel rituale che tradizionalmente simboleggiava il versamento del pegno, ovvero la donazione di un anello da parte dello sponsus alla sponsa (da cui la formula subarrhatio cum anulo)115, che diventò parte dell’insieme di gesti consuetudinari che formavano la celebrazione del matrimonio.
Nell’ottica del nostro studio dei rituali e, quindi, anche dei colori e dei rumori delle feste nuziali, non posso mancare di citare quelli che nelle fonti giuridiche germaniche erano detti troctingi, identificati da Leicht con il corteo di familiari e persone care che accompagna la sposa nella casa maritale116. Il troctingus faceva parte dei paranymphi, che letteralmente dovremmo tradurre “accompagnatori della sposa”. Questa definizione coincide con la figura classica della pronuba117, mentre Agostino chiarisce che il paraninfo è un amico intimo dello sposo: «Faciant hoc amici sponsi; et est quaedam in nuptiis humanis solemnitas, ut exceptis aliis amicis, etiam paranymphus adhibeatur, amicus interior conscius creti cubicularis»118. Tuttavia, al significato di “accompagnatore” si affiancava anche quello di “sensale”, cioè mediatore di matrimoni, oppure, più malignamente, “ruffiano”.
113 Cfr. A. Rava, Il requisito della rinnovazione del consenso nella convalidazione semplice del matrimonio,
Roma 2001, pp. 26-27.
114 Cfr. F. Calasso, Medio Evo del diritto, I: Le fonti, Milano 1954, pp. 221-223.
115 Fredegarius scholasticus, Chronicarum libri IV, ed. B. Krusch, MGH SSRM, 2, Hannover 1888, pp. 1-168,
lib. II, 62, p. 86: «Revertens Iustinianus cum magno triumpho Constantinopole, sedem tenens imperiae, Antunia, sumtis secum quinque aureis, duos dedit hostiariis, permissa est introire palatio; tres dedit ad tenentis velum, ut sua causa permitteretur suggerere, dicens ad Iustinianum: ‘Clementissime imperator, iuvenis aliqui in hanc civitatem dedit mihi anolum in sponsaliae arras et meum sibi accepit, promittens et sacramento firmans, aliam non nuerit, sed me haberit uxorem’».
Pellegrini ricorda che, con uguale significato, si usava anche la formula “wadiare anulo”, da “wadia”, la consegna della festuca tipica del diritto germanico che suggellava il patto tra le parti (G. B. Pellegrini,
Terminologia matrimoniale cit., pp. 74-75). Brandileone ha evidenziato come, nel latino medievale, ad
“anulus” si accostasse talvolta il sinonimo “signum” (F. Brandileone, Saggi sulla storia della celebrazione del
matrimonio in Italia, Milano 1906, p. 250).
116 P. S. Leicht, Troctingi e paraninfi nel matrimonio longobardo, in Scritti vari di storia del diritto italiano, II, 2,
Milano 1948, 231-234.
117 Confermata anche da Isidoro: «Pronuba dicta, eo quod nubentibus praeest, quaeque nubentem viro
coniungit. Ipsa est et paranympha. Nam nympha sponsa in nuptiis; et nympha pro lavationis officio, quod et ad nomen nubentis adluditur» (Isidorus Hispalensis, Etymologiarum siue Originum libri XX cit., IX, 7, 8).
118 Augustinus Hipponensis, Sermo 293, 7, PL 38, p. 1332. Ho colto il suggerimento di C. Fayer nel suo
Per quanto riguarda, invece, il gruppo di fonti relativo all’Islanda medievale, porremo l’accento su poche ma fondamentali voci119. Tra questi, i vari composti di brūđ, che analogamente all’odierno termine inglese bride significava “sposa”, come per esempio:
• brūđarbekkr → “panca della sposa”; • brūđarlìn → “velo della sposa”;
• brūđkaup → “festa di nozze” o genericamente “matrimonio” (con l’annessione di kaupa, “comprare”, in accordo con quanto raccontato da Tacito sui doni del fidanzato alla fidanzata)120; • brūđkaupligr → “nuziale”;
• brūđlaup → “matrimonio”121; • brūđveizla → “festa nuziale”;
Inoltre, vanno segnalati il sostantivo gipt (“dono”, da cui l’odierno inglese gift) e i suoi derivati, che ricorderebbe come la concezione del matrimonio, nella cultura islandese, fosse saldamente legata alla nozione di contratto:
• gipta, giptr (v.) → “dare in matrimonio”; • giptast (v. rifl.)→ “sposarsi”;
• gipting → “matrimonio” (di una donna);
Spesso, ce ne siamo già accorti in queste brevi e fugaci osservazioni, le sfumature culturali celate dalle fonti, come in molti casi è accaduto ai rituali alimentari propri delle nozze, riemergono e si palesano attraverso strade alternative, talvolta insospettabili, e proprio per questo l’attenzione alla morfologia dei termini chiave può aiutarci a illuminare qualche traccia rimasta celata. Sarebbe stato un peccato, al riguardo, se per esempio il tempo o l’errata cognizione linguistica non ci avessero
119 Per questa parte, è risultato fondamentale il dizionario di antico islandese a cura di G. T., Zoëga, A
concise dictionary of Old Icelandic, Oxford 1910 (6th ed. 1967).
120 Come ricorda G. B. Pellegrini, Terminologia matrimoniale cit., p. 49. Tacito scrive: «Dotem non uxor
marito, sed uxori maritus offert, intersunt parentes et propinqui ac munera probant; munera non ad delicias muliebres quaesita nec quibus niva nupta comatur, sed boves et frenatum equum et scutum cum framea gladioque. In haec munera uxor accipitur, atque in vicem ipsa armorum aliquid viro affert: hoc maximum vinculum, haec arcana sacra, hos coniugales eos arbitrabantur...» (Tacito, Germania, a cura di E. Risari, Milano 2009, 18).
121 Pellegrini vi riconosce il verbo germanico laupa, “correre”, che si riferirebbe all’antica usanza del ratto
fatto riscoprire nel termine inglese bridal ciò che dopo il XVII secolo gli anglosassoni avevano invece dimenticato. Già dal XV secolo la tendenza fu di assimilare la seconda parte della parola con il suffisso -al (come nel sinonimo nuptial), andando così ad equivocare la morfologia della stessa che nell’antico inglese era conosciuta nella forma brydealo (“festa nuziale”). La parola risultava dall’unione di due sostantivi distinti:
brȳd + ealu
Com’è evidente, quindi, il suffisso -al era stato confuso con un vocabolo molto simile ma che, in quanto tale, aveva in realtà un significato ben preciso: ale (“birra”)122. Contestualizzato questo dato all’interno della cultura anglosassone, storicamente affezionata al consumo di birra, vediamo come il matrimonio, occasione festiva per eccellenza, veniva connesso proprio con quella bevanda, poiché evidentemente la coscienza collettiva identificava la letizia e l’allegria di una celebrazione con ciò che si mangiava e si beveva; o per lo meno, anche con questo123.
122 W. W. Skeat, The concise dictionary of English etymology, Ware, Herfordshire 1993; The Oxford English
Dictionary, 2nd ed., Clarendon Press, 1989; E. Klein, A Comprehensive Etymological Dictionary of the English Language, Amsterdam, 1971.