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Sponsalia e nuptiae Quando i rituali alimentari scandiscono i momenti del

1. I L MATRIMONIO COME PROCESSO

2.1. I L FIDANZAMENTO “ BEVUTO ”

Malgrado possa sembrare curioso, il titolo di questo capitolo non è casuale. A dire il vero, è il richiamo a uno studio storico-antropologico molto datato eppure assai funzionale, la Storia

comparata degli usi nuziali in Italia e presso gli altri popoli indoeuropei di Angelo de Gubernatis.

Nella sezione dell’opera dedicata alle proposte di fidanzamento, infatti, l’autore si sofferma a descrivere le consuetudini nuziali della Russia a lui contemporanea (seconda metà del XIX secolo), e così scrive a proposito delle usanze dei contadini:

«Fatto il battimano, i contadini russi aggiungono: ‘Dio ci permetta di vivere amici e di visitarci gli uni e gli altri, di mangiare pane e sale insieme, di modo che la buona gente ci invidii’. I nostri contratti finiscono in bere; così i due suoceri russi, terminati gli accordi, si scambiano, oltre ai doni, vino e birra. Si beve, ed in quel punto si dice in Russia, che la sposa è bevuta, ossia ch’ella è fatta»362.

Brindare in compagnia, così come mangiare, è un rituale che solo banalmente si potrebbe definire “accessorio”: può infatti considerarsi una voce primaria della celebrazione nuziale, tanto da poter talvolta permanere nel vocabolario vero e proprio, come in questo caso. Un esempio di come il dizionario culturale può finire per coincidere con quello linguistico, se il rituale è fortemente identitario per la cultura stessa. I testi che analizzerò qui di seguito mostreranno, a tal proposito, come un rituale alimentare possa divenire fulcro narrativo ma, al tempo stesso, indice delle caratteristiche di una data cultura, in prossimità del confine tra tòpos letterario e narrazione verosimile.

Nella già menzionata Saga dei Volsunghi emerge appunto un rituale alimentare a cui finora si è poco più che accennato: il brindisi. È qui utile ricordare la cornice epico-leggendaria del racconto e il background culturale “pagano” che fa da sfondo alla storia, parallelamente a una considerazione che è importante esporre sin da ora: le fonti norrene riportano con alternanza i due rituali del convivio e del brindisi e li presentano come condizioni apparentemente necessarie, quando non sufficienti, per la celebrazione pubblica degli sponsalia. Con ciò non si può logicamente concludere

362 A. De Gubernatis, Storia comparata degli usi nuziali in Italia e presso gli altri popoli indoeuropei cit., p.

che si trattasse di gesti culturali indispensabili in ogni occasione e per ogni strato sociale, ma si può arrivare a un’impressione di minima che difficilmente può essere confutata: il rituale alimentare, in senso assoluto, ha un innegabile valore culturale nell’ambito delle trattative pre-nuziali e delle celebrazioni della promessa di matrimonio, giacché quando le fonti ci forniscono dei dettagli che vanno oltre il semplice resoconto di un’unione da festeggiare nell’immediato o nel futuro, tra le prime sfumature a emergere vi sono appunto conviti o, come stiamo nuovamente per verificare, dei brindisi.

Il brano cui stavolta mi riferisco è quello relativo all’incontro tra Sigurđr e Brynhildr. All’amico Alsviđr, l’eroe confessa di aver visto poco prima una donna bellissima che, seduta a un tavolo dentro una torre, era intenta a ricamare su un arazzo proprio le sue imprese. «Hai visto Brynhildr, figlia di Buđli»363, lo informa Alsviđr. «È una donna nobilissima»364. Sigurđr dichiara di volerla assolutamente incontrare e farla sua365, ma l’amico frena il suo entusiasmo, giacché a quanto egli sa, non c’è uomo a cui Brynhildr si concederà mai. Ma aggiunge anche un altro particolare, che tanto ci ricorda da vicino l’ordine di re Eysteinn a sua figlia Ingibjörg di servire da bere a Ragnarr:

«Non esiste al mondo l’uomo [...] a cui darà birra da bere»366.

Ritroviamo, quindi, un riferimento al gesto di servire una bevanda come rappresentazione simbolica del rapporto tra marito e moglie: un ulteriore indice di come un “atto” alimentare contenga già in sé una determinata valenza culturale a prescindere dall’alimento che viene servito e consumato, come avrò modo di mostrare meglio in questa sezione367.

Sigurđr non si lascia affatto scoraggiare, ma anzi chiede all’amico di aiutarlo a incontrare la donna; il giorno seguente, i due fanno così visita alla dimora della dama, e Sigurđr è viene introdotto all’interno della sua camera:

363 La saga dei Volsunghi cit., p. 165. 364 Ibidem.

365 Da specificare che poco prima nella narrazione, Sigurđr e Brynhildr si erano già impegnati a convolare a

future nozze.

366 Ibidem.

367 Alcuni fugaci spunti si possono trovare in P. Scholliers, Food, drink and identity: cooking, eating and

«Sedette accanto a lei. Poi entrarono quattro donne con grandi coppe dell’amicizia368 d’oro e con il miglior vino, e si fermarono davanti a loro. [...] Sigurđr disse: ‘È l’ora di mantenere ciò che hai promesso’. Lei rispose: ‘Sii il benvenuto’. Poi si alzò, e le quattro fanciulle con lei, e gli andò davanti con il calice d’oro e gli disse di bere. Lui tese le mani verso la coppa, afferrò le mani di lei e la tirò a sedere acconto a sé. La abbracciò e la baciò e disse: ‘Non è mai nata una donna più bella di te’. [...] Brynhildr rispose: ‘Non è destino che viviamo insieme. Io sono una valchiria e porto l’elmo in mezzo ai re della guerra: devo appoggiarli, e non sono riluttante a combattere’. Sigurđr rispose: ‘Il mio desiderio supremo sarebbe vivere insieme e sopportare il dolore che comporta è peggio di un’arma appuntita’. Brynhildr rispose: ‘Io devo andare a cercare nelle truppe dei guerrieri e tu devi sposare Guđrún, figlia di Gjúki’. Sigurđr rispose: ‘Nessuna figlia di re mi sedurrà: su questo non cambio idea, e giuro agli dèi che io avrò te o nessun’altra donna’. Lei ricambiò la promessa. Sigurđr la ringraziò per queste parole e le diede un anello d’oro; quindi pronunciarono di nuovo il giuramento e lui se ne andò a raggiungere i suoi uomini e vi restò per un certo tempo con grande prosperità»369.

Per la seconda volta, quindi, Sigurđr e Brynhildr si promettono l’uno all’altra, ma con una differenza: se la prima volta l’impegno era stato espresso solamente in forma verbale, ora a questa viene aggiunta la donazione di un anello da parte dello sponsus alla donna, un pegno materiale atto a ratificare il voto, nonché una bevuta rituale. A tal proposito, ritengo opportuno citare le parole di Claudia Bornholdt, che ha accortamente segnalato alcune corrispondenze all’interno dei racconti relativi al corteggiamento nei testi altomedievali, così come chi scrive. Pertanto, integrerò la mia analisi con le riflessioni della studiosa, anticipando qualche particolare che comunque mi riservo di illustrare in maniera più approfondita nel presente capitolo. Queste le parole cui mi riferisco: «Un confronto tra il Waltharius e le più antiche storie incentrate su una richiesta di matrimonio mostra che la più stringente somiglianza fra tali testi sta nella descrizione del primo incontro del corteggiatore con la futura sposa (ossia il segreto incontro e la segreta promessa di fidanzamento). In questi racconti la futura sposa offre una coppa di vino al pretendente che a quel punto le afferra o

368 Dove il traduttore scrive “coppe dell’amicizia”, il testo originale riporta solamente borđkerum, da borđker,

“coppa” (L’edizione inglese The Saga of the Volsungs. The Norse epic of Sigurd the dragon slayer cit., traduce infatti semplicemente con il termine goblet, “coppa”).

le tocca la mano e talvolta perfino la bacia. La scena in Waltharius è così vicina al racconto di Paolo Diacono a proposito del corteggiamento di Autari e a quello della Chronica Fredegarii che il poeta del Waltharius deve essere stato ben a conoscenza di tali scene o, forse più probabilmente, ha intenzionalmente fatto uso di motivi molto comuni nella narrativa matrimoniale che ha radici profonde nella tradizione germanica»370.

Come vediamo, quindi, lo studio dei rituali alimentari si intreccia necessariamente con indagini di tipo letterario. Qui mi occuperò di rinforzare tali considerazioni con altri esempi, oltre a quelli citati da Claudia Bornholdt, ma non mancherò di soffermarmi anche su questi ultimi. Ciò che però è giusto rimarcare sin da subito è un concetto che può essere meglio espresso attraverso una domanda: se anche si dimostrasse che il motivo del brindisi di fidanzamento fa parte della tradizione narrativa germanica dall’alto Medioevo in poi, se ne può trarre qualche conclusione a livello storico? In altre parole: l’uso di questa tradizionale scena tipica delle bridal-quest stories può suggerirci qualcosa riguardo al rituale in sé e per sé?

A questo tenterò di rispondere nelle prossime pagine. Ma prima, è interessante osservare come la studiosa prosegue nelle sue riflessioni: «Il corpus della letteratura germanica contiene numerosi esempi in cui il consumo di vino è un fattore importante nelle scene di fidanzamento [...]»371. Essa sottolinea come Hans Fromm e Wolfgang Regeniter abbiano a loro volta esteso l’analisi alla letteratura scandinava, fornendo elementi sufficienti per asserire che l’incontro privato tra corteggiatore e dama, la richiesta dell’uomo di avere del vino e il tocco della mano della donna, l’abbraccio, il bacio e la dichiarazione di volersi unire in matrimonio a lei sono elementi tipici del

370 C. Bornholdt, Engaging moments. The origins of medieval bridal-quest narrative, Berlin 2005, pp. 79- 80:

«A comparison between Waltharius and the earliest bridal-quest stories shows that their most striking similarity is the description of the first meeting of wooer and bride-to-be (i.e. the secret meeting and secret betrothal). In these tales the bride-to-be offers a cup of wine to the wooer who then grasps or touches her hand and sometimes even kisses it. The scene in Waltharius is so close to Paul the Deacon’s account of Authari’s wooing and to the wooing in the Chronica Fredegarii that the Waltharius poet must either have been familiar with these tales or, perhaps more likely, intentionally made use of a very common bridal-quest motif that is deeply rooted in the Germanic tradition».

371 Ibidem: «The corpus of Germanic literature contains several examples in which the consumption of wine

fidanzamento germanico tradizionale372. Riguardo all’anello, invece, la Bornholdt suggerisce che esso non debba essere considerato elemento strettamente necessario nel quadro di una promessa di fidanzamento, o perché talvolta è sostituito dal altri oggetti che hanno l’identico valore di dono/ pegno, o perché in qualche episodio esso non compare affatto373. Nella Chronica Fredegarii, per citare un esempio, esso funge primariamente da segno identitario che permette a Crotechilde di riconoscere Aureliano quale intermediario di Clodoveo.374.

Ma è bene ora tornare all’oggetto principale d’indagine: il rituale alimentare. Partendo dal primo episodio preso in esame, quello dell’incontro tra Sigurđr e Brynhildr, si può osservare una scena in cui la proposta di fidanzamento (che qui ne segue una già formulata in passato, come puntualizzavo un momento fa) avviene tramite un incontro privato375 nella camera della donna, un brindisi e la donazione di un anello. Peraltro, come raramente sin qui si è potuto constatare, la fonte è più chiara riguardo all’alimento protagonista del rituale, in questo caso la bevanda che viene consumata: il

372 Ivi, p. 80: «Hans Fromm lists similar examples from Scandinavian sources, such as the drink Gerđr offers

Skírnir who woos her on Freyr’s behalf in Skirnismál (st. 37), and the drink Sigrdrifa serves Sigurđr in

Sigrdrífomál (st. 2). [...] Regeniter concludes from these parallels that the scene in Waltharius is an old

engagement scene that was later modified into a “Verlöbniserneuerung”. He goes on to argue that the scene in Waltharius contains more elements typical of Germanic betrothal rituals, such as the fact that the two are alone during the meeting, that the man asks for some wine and touches her hand, that he hugs and kisses his bride, and that he declares his love for her and vice versa (W. Regeniter, Sagenschichtung und

Sagenmischung: Untersuchungen zur Hagengestalt und zur Geschichte der Hilde- und Walthersage, Munich

1971, p. 231). Regeniter rightly assigns these elements to the typical betrothal ceremonies encountered in early Germanic writings - the strongest evidence for this ritual is found without a doubt in the two examples told by Paul the Deacon. It is also very likely that this scene used to be the initial wooing and betrothal scene of the Walter tale».

373 C. Bornholdt, Engaging moments. The origins of medieval bridal-quest narrative, Berlin 2005, p. 81: «[...]

in the Historia Langobardorum it is Theudelinda’s nurse who removes the maiden’s doubts, and in Fredegar’s account, Aurelianus, who meets with Clotild in her chamber, reveals the identity of her suitor by giving her a ring as a token and sign of the seriousness of the wooing. The ring as a love token or sign, by means of which the maiden and the wooer can identify each other later, is missing in Walter’s and in Authari’s wooing. Although the ring (or other tokens) is one of the most important elements of the secret betrothal in bridal-quest narratives, it is not necessary for the wooing of Walter and Authari. In both cases the wooer talks to the maiden in person and not by means of an intermediary».

374 Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici Libri IV cum continuationibus, MGH SSRM, 2, 3, 18, p

99: «Porro Chlodoveus legationem in Burgundia sapius mittens, conperentes Chrothechilde. Et cum non esset licetum eam videre, Chlodovius Aurilianum quendam ex Romanis ingenio quo potebat Chrotechildem praevidendam direxit. Ad ille nisi singlus, ad instar mendico peram ad dorso ferens, veste deforme, illi perrexit partibus, anolum Chlodovei, quo pocius crederetur, secum portans. Cumque ad Ianuam civitatem, ubi Chrotechildis cum germana Saedeleuba sedebat, venisset, et illas hospitalitate peregrinis sectantes, eum causae mercides suscepissent, et pedis eius Chrotechildis lavaret, Aurilianum verbo secreto, inclinans ad eam, dixit: ‘Domina mi, grande verbo tibi nunciaturus sum, si loco dare dignas, ubi secrecius suggeram’. Illa annuens, verbo secreto audiens, dixitque Aurilianus: ‘Chlodoveus rex Francorum me direxit; si voluntas Dei fuerit, te vult culminis sui sociare coniugium. Ut certe ficeris, hoc anulum tibi direxit’. Quem illa accipiens, gaviso gaudio magno, dixitque ad eum: ‘Accipe centum soledus pro laboris tui munere et anolum hoc meum. Festinans reverte ad dominum tuum et dic ei: ‘Si me vult matrimunium sociari, protenus per legatus patruo meo Gundebado postoletur [...]».

375 O almeno, privato nella concezione dell’epoca. Le quattro fanciulle che avevano portato le coppe, infatti,

vino, e non la birra, come eventualmente potremmo aspettarci considerato il fatto che si tratta di un testo norreno. Ciò che è ancora più interessante è che, lo si è già evidenziato, prima dell’incontro con la fanciulla, Alsviđr dice a Sigurđr: «Non esiste al mondo l’uomo [...] a cui darà birra da bere»376, quasi ad indicare che è questa la bevanda “tipica” (in senso identitario) che una donna servirebbe a un uomo, ossia quella che si consumerebbe nella vita quotidiana; il fatto che nel racconto sia invece il vino a prendere il suo posto suggerisce allora che esistesse un modello narrativo cui fare riferimento, tanto forte da prevalere persino sul contesto ambientale della scena, o che forse si volessero richiamare dei valori identitari di genesi ben più antica che vedevano nel vino una bevanda di maggior prestigio sociale rispetto alla birra377.

Va notato, inoltre, che il brindisi è anche momento per un contatto fisico più ravvicinato tra la coppia, poiché quando la donna offre il calice a Sigurđr, questi le afferra le mani e la pone a sedere accanto a sé. Per l’interpretazione di tali sfumature abbiamo necessariamente bisogno di confrontare il brano con altri similari, ma già ora è possibile fare un’osservazione: tale rituale, svolto

376 La saga dei Volsunghi cit., p. 165.

377 In merito al significato identitario che le varie popolazioni europee, nel Medioevo, conferivano al vino e

alla birra, si veda M. Montanari, Gusti del Medioevo. I prodotti, la cucina, la tavola cit., pp. 155- 182. In particolare, Montanari richiama un’epistola di Alcuino di York del 790, in cui a un allievo irlandese di stanza a Tours scriveva: «quia nos non habemus, tu bibe pro nostro nomine [...] saluta fratres nostros in

Baccho» (Alcuino, Epistolae, 7, MGH Epistulae Karolini Aevi, 2, pp. 33-34). Con ciò intendeva lamentare la

mancanza di vino a York che lo obbligava a consumare birra, cosa che evidentemente lo entusiasmava. Lo stesso Alcuino, d’altronde, aveva lodato in una sua poesia la corte carolingia «dove il vino scorre in abbondanza» (Alcuino, Carmina, XXVI, v. 49, MGH Poet. Lat. medii aevi, 1, p. 246). Questo atteggiamento non si spiegherebbe con un sentimento anti-inglese dello scrittore, bensì con la sua volontà di non essere confuso con i comuni bevitori di birra inglesi, dai quali si vuole differenziare. La birra, come sottolinea Montanari, tendeva a essere associata alla cultura pagana (le fonti agiografiche lo mostrano più volte), e in generale non colta, popolare, quando invece il vino è, per Alcuino, il segno distintivo che lo avvicinerebbe piuttosto alla scuola palatina di Carlo Magno, luogo per eccellenza degli intellettuali europei dell’epoca. Parallelamente, se è vero che nelle regioni del Nord Europa il vino si produceva con più difficoltà e costava generalmente di più, questo lo rendeva già in partenza una bevanda di maggior prestigio rispetto alla birra, che tutti bevevano e che tutti potevano permettersi. A proposito di ciò, si vedano anche M. Lachiver, Vins,

vignes, et vignerons. Histoire du vignoble française Paris, 1988; J.-P. Devroey, L’éclair d’un bonheur. Une histoire de la vigne en Champagne, Paris 1989; nella fattispecie, Devroey parla del vino come vero e proprio

attributo sociale che distingueva il rango nobiliare nelle regioni in cui tale bevanda non era destinata al largo consumo (ruolo invece ricoperto dalla birra).Uno studio più improntato, invece, sulle vicende di tipo economico che hanno riguardato la conservazione e l’espansione della viticoltura nel Medioevo, e su come la cultura del vino sia stata perpetuata non solo dai cristiani, ma anche dai “barbari”, è quello di R. Dion,

Histoire de la vigne et du vin en France des origines au XIXe siècle, Paris 1959: qui lo studioso rimarca

come il vino fosse diventato un alimento distintivo per le classi sociali agiate, anche se il discorso va limitato alle sole regioni settentrionali dell’Europa medievale. Paolo Tomea ricorda un caso esemplare: in un testo del X secolo si vede il conte di Rennes a riunione con i grandi di Bretagna, e per allietarli ci sono idromele e birra in abbondanza, bevande che li soddisfano appieno. Sopraggiunti però all’improvviso gli inviati del conte d’Angiò, sorge un problema: non c’è vino per loro; a rimediare provvederà un contadino, grazie a un miracolo che gli farà trovare un barile di vino nel porto di un’isola vicina. (P. Tomea, Il vino nell’agiografia: elementi

topici e aspetti sociali, in La civiltà del vino. Fonti, temi e produzioni vitivinicole dal Medioevo al Novecento, a

cura di G. Archetti, Brescia, Centro culturale artistico di Franciacorta e del Sebino, pp. 341-364, a p. 347). Chiaramente, l’episodio mostra come le diverse bevande fossero catalogate secondo una precisa gerarchia di valori, tanto più evidente nelle aree in cui il vino era di più difficile acquisizione per la gente comune.

unicamente tra l’uomo e la donna che si promettono l’uno all’altra, sovverte un elemento che finora era sembrato una caratteristica fondamentale del rituale alimentare nuziale, ossia la condivisione pubblica. Ciò significa forse che esso non aveva considerevole importanza solo ed esclusivamente quando si doveva celebrare un fidanzamento in pubblico; se il rituale, infatti, resta una costante (seppur in forma diversa, ovviamente) anche in ambito privato, allora non può essere considerato come gesto accessorio. Il cibo, che fosse la portata di un banchetto, il banchetto stesso, un brindisi insieme agli invitati alla festa o riservato al pretendente e alla corteggiata, sembra sempre rivestire un significato di valore indiscutibile. Quello tra Sigurđr e Brynhildr pare infatti enfatizzare il concetto di condivisione378: della stessa bevanda, di un momento importante per entrambi, ma