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C ULTURA DELL ’ ECCESSO , CULTURA DEL RISPARMIO

Sponsalia e nuptiae Quando i rituali alimentari scandiscono i momenti del

3. L E NOZZE IL CIBO COME LINGUAGGIO E SIMBOLO

3.1. C ULTURA DELL ’ ECCESSO , CULTURA DEL RISPARMIO

Entriamo ora nel merito della questione di cui si parlava poco fa: il valore che hanno l’abbondanza alimentare e le cospicue spese per i preparativi nell’ambito di una celebrazione di matrimonio. Si badi bene, però, che questa specifica analisi si basa sulle testimonianze presenti nelle saghe islandesi e in alcuni testi occitani di tarda composizione, poiché generalmente le fonti cronachistiche e agiografiche ignoravano tali particolari. Le riflessioni sviluppate saranno pertanto impressioni parziali, spunti da approfondire e riconsiderare in altre sedi.

Nella Laxdæla saga troviamo alcuni spunti interessanti al riguardo, cominciando ad esempio dal racconto del matrimonio tra Ólafur e Porgerđur467. A seguito di una trattativa matrimoniale non senza difficoltà dovute alle incertezze sulla nobiltà di sangue dell’uomo, le quali ci aiutano meglio a contestualizzare socialmente l’accaduto468, Ólafur non desiste dal suo intento, ma anzi invita suo padre a recarsi insieme a lui presso la tenda di Egill (il padre di Porgerđur), così da poter parlare personalmente con la ragazza. Per mostrare tutto il suo valore e la nobiltà del suo nome, egli «si preparò e indossò le vesti scarlatte che gli aveva regalato re Haraldur. In testa aveva un elmo dorato e in mano una spada decorata, regalatagli da re Mýrkjartan»469. Una volta nella tenda di Egill, Ólafur vede una donna affascinante e di grande portamento, ed è sicuro che quella sia Porgerđur; allora «si avvicinò alla panca e si sedette vicino a lei. Porgerđur lo salutò e chiese chi fosse. Ólafur le disse il suo nome e quello di suo padre: ‘Ti sembrerà ardito che il figlio di una schiava osi sedersi vicino a te e cerchi di parlarti’. Porgerđur rispose: ‘Senz’altro avrai osato cose più ardite che parlare con le donne’»470. Dopo che ebbero parlato a lungo, per tutto il giorno, Egill e Höskuldur li

467 Laxdæla saga. La saga della gente della valle del fiume del salmone cit., p. 73.

468 Tutto derivava dalla diffidenza di Porgerđur nei confronti di Ólafur, per via del fatto che questi si diceva

fosse figlio di una schiava, quando in realtà sua madre Melkorka era figlia del re d’Irlanda. La prima proposta di matrimonio viene infatti rifiutata da Porgerđur: «Egill si recò poi da Porgerđur e presero a parlare. Disse allora Egill: ‘C’è un uomo di nome Ólafur, figlio di Höskuldur: egli è ora uno degli uomini più rinomati. Suo padre, Höskuldur, ha fatto una proposta di matrimonio a nome suo, chiedendoti in moglie. Gli ho detto che spetta a te decidere. Voglio ora sapere la tua risposta. Tuttavia a mio avviso non è difficile rispondere, perché è un partito molto nobile’. Porgerđur rispose: ‘Ti ho sentito dire che, fra i tuoi figli, amavi me più di tutti. Ma ora mi sembra che le tue parole non siano vere, visto che vuoi farmi sposare il figlio di una schiava, anche se di bell’aspetto e di grandi imprese’. Egill disse: ‘Non sei così bene informata su questa come lo sei su altre vicende. Non hai sentito che si tratta del nipote di Mýrkjartan, il re degli Irlandesi. Ha una discendenza molto più nobile da parte della famiglia della madre che da quella del padre, anche se questa per noi sarebbe buona a sufficienza’. Porgerđur non ne fu convinta [...]» (Laxdæla saga. La saga della gente

della valle del fiume del salmone cit., p. 72).

469 Ivi, pp. 72-73. 470 Ivi, p. 73.

interruppero per riprendere il discorso sulla proposta di matrimonio, rimasto in sospeso, e stavolta la ragazza si mostrò favorevole all’accordo: «Questa volta Porgerđur rimise la decisione nelle mani di suo padre»471, racconta l’autore, e il fidanzamento viene concordato immediatamente, senza bisogno di ulteriori gesti celebrativi; allo sposo, anzi, viene concesso un onore particolare:

«Allora tutto fu deciso con facilità e il fidanzamento fu concluso all’istante. In segno di onore per gli uomini di Laxárdalur fu concordato che la sposa sarebbe stata accompagnata da loro. Fu deciso che le nozze si sarebbero festeggiate a Höskuldsstađir sette settimane prima della fine dell’estate. [...] Poi, a Höskuldsstađir si iniziarono i preparativi per le nozze e nulla venne risparmiato, perché i mezzi erano abbondanti. Gli invitati arrivarono alla data fissata. Da Borgarfjörđur giunse molta gente, fra la quale Egill e suo figlio Þorsteinn. Con loro c’era anche la sposa e le persone più eminenti della regione. Già molte persone si trovavano da Höskuldur. La festa fu splendida. Alla partenza gli ospiti ricevettero regali. [...] Le nozze trascorsero senza grandi eventi e tutti gli ospiti se ne tornarono a casa»472.

Nessuna celebrazione particolare per la promessa di fidanzamento, ma in compenso l’accordo viene siglato immediatamente, e altrettanto in fretta viene stabilito quanto necessario per le nozze, in prima istanza il luogo della festa. Ed è proprio riguardo a ciò che viene reso onore all’importanza del lignaggio dello sposo, ossia nella concessione da parte di Egill di organizzare le nozze a casa sua, e non, come da consuetudine, nella propria, cioè in quella del padre della sposa.

Ma è sulle righe seguenti che vorrei per un momento soffermarmi, e più in particolare su un concetto: nulla venne risparmiato. Ora, è vero che le feste nuziali in ambito nobiliare dovevano necessariamente essere luogo dell’abbondanza e del lusso per via della notevole disponibilità di denaro, ma se ci limitassimo a una considerazione del genere non coglieremmo di certo il punto. A prescindere dalla ricchezza delle rispettive famiglie, il fulcro della questione è proprio in quel dato:

nulla venne risparmiato. Naturalmente, si tratta di una considerazione svolta su base ideologica,

giacché non sarebbe corretto prendere tale espressione alla lettera, ma le idee non sono entità astratte distaccate dal mondo della realtà: nessun nobile finiva sul lastrico per una festa di nozze, ma la cultura di base era evidentemente quella del “non badare a spese”.

471 Ibidem. 472 Ivi, pp. 73-74.

Cerchiamo di fare un parallelo con i nostri tempi: quando oggi una coppia decide di sposarsi, poche, pochissime organizzano una festa in grande, prenotando ristoranti lussuosi e curando tutta quella miriade di particolari (dalle lettere di partecipazione, agli abiti, al fotografo di turno, per fare qualche esempio) senza il costante pensiero di stare esagerando, vista anche la drammatica congiuntura economica che oggi costringe molte famiglie ad adottare una condotta di consumo molto vicina al concetto di austerity; il destino degli wedding planners ha avuto tragici sviluppi in quest’età di crisi, almeno in Europa. La pratica consuetudinaria è ormai diventata quella del risparmio, il che ha condotto a diverse soluzioni: ridurre (talora drasticamente) il numero degli invitati, organizzare conviti più misurati (quando non sono gli stessi ristoranti a proporre delle offerte speciali per i pranzi di matrimonio), e in generale stabilire un budget più ristretto per tutte le spese di contorno. Non a caso si è recentemente inaugurata la formula dei “matrimoni solidali”, un’idea piuttosto attenta alle esigenze e alla sensibilità dell’epoca contemporanea, dove la possibilità di tagliare sensibilmente i costi grazie alla personalizzazione di ogni minimo particolare della festa viene affiancata a un concetto altrettanto forte, ossia le beneficenza: come a dire, di questi tempi è giusto spendere poco per il matrimonio, ma esso rimane comunque una buona occasione per devolvere qualche risparmio in aiuto di alcune associazioni impegnate nel sociale. La formula coglie in pieno due ideali molto comuni e condivisi nella società odierna: risparmio e solidarietà, dove il primo rafforza la seconda proprio in virtù del fatto che risparmiare su un evento notoriamente costoso dà un’ulteriore spinta a destinare parte di quei soldi tolti all’abito o al ristorante per finalità (socialmente) più onorevoli, in aiuto di chi dalla crisi è stato più colpito. Questo nuovo panorama sociale ed economico induce, quindi, a limitare il più possibile le spese in occasione di un evento che, per definizione, richiede un grosso esborso di denaro per il suo allestimento: d’altronde, crisi o non crisi, tutto ciò che ruota attorno alle nozze continua ad avere costi indubbiamente elevati. Dunque, questo è ciò che intendevo un attimo fa riguardo alle idee, e a come esse siano ancorate a una realtà ben determinata, o ancora meglio, alla realtà pratica di tutti i giorni: se oggi l’ideale di base è quello di risparmiare, la categoria risparmio (insieme a quelle che vi sono collegate in senso logico: oggigiorno, prima tra tutte e peggior male, la sfiducia nella società e nelle istituzioni) si applicherà a ogni azione, decisione, pensiero. Ciò che ne consegue è che anche se il matrimonio costa tanto, ci si sposerà lo stesso (un po’ meno, certo), ma si proverà a spendere il meno possibile. Una tale categoria è così forte e radicata nella società da potersi applicare anche a quelle classi di persone che problemi economici non ne hanno proprio. In tali circostanze, anzi, si palesa con la massima chiarezza quali siano gli ideali fondanti, visto che gli enormi patrimoni svincolano queste famiglie dalle problematiche concrete da cui la maggior parte delle persone sono

vessate. Un esempio tra tutti, sia perché molto recente, sia perché ha richiamato grande attenzione attorno a sé: le nozze tra il principe della casa reale inglese William e Kate Middleton (29 aprile 2011). La popolarità di una famiglia monarchica, si sa, passa anche e soprattutto per una costante dimostrazione di vicinanza ai sudditi: dunque, in contingenze socio-economiche quali quelle post-2007, ciò significa adottare una condotta ben più moderata per quanto concerne le spese, a maggior ragione quelle generalmente percepite come “superflue”. Ebbene, una celebrazione matrimoniale come quella di William e Kate si situa proprio a metà strada tra il necessario e l’accessorio. Se da un lato, infatti, la crisi impone (imporrebbe) di stringere i cordoni della borsa, dall’altro è pur vero, come poc’anzi si ricordava, che le nozze sono comunque un evento occasionale e di grande importanza, a cui quindi tributare le dovute attenzioni; tanto più se l’interessato è il principe d’Inghilterra. Come districare una matassa, dunque, che inevitabilmente lancerà un preciso messaggio all’opinione pubblica, compiacendola, compatendola o contrariandola?

La soluzione trovata dalla casa reale inglese è stata proprio una risposta a metà strada (ma per nulla ambigua), in sintonia con il problema: spendendo comunque molto, perché inevitabile, ma presentando la celebrazione come low cost attraverso delle scelte economicamente ed ecologicamente sostenibili. A partire dal cibo: il menù del pranzo473 è stato pensato per essere composto solamente da cibi biologici e quando possibile a chilometri zero474 (così una delle due torte nuziali), per la maggior parte coltivati nelle proprietà del principe Carlo, compresi carne e pesce allevati secondo norme appunto sostenibili. Il costo totale dell’evento, sostenuto in comunione dal Her Majesty’s British treasury e dalla famiglia Middleton, è stato stimato attorno ai venti milioni di sterline (tra l’altro, il budget destinato alla sicurezza e vigilanza è stato il più alto della storia); gli sposi hanno inoltre chiesto agli invitati di sostituire i consuetudinari doni nuziali

473 Cito l’articolo della corrispondente del The Telegraph Roya Nikkhah, datato 30 aprile 2011: «As everyone

present at dinner was deemed “equally important” to the couple, the tables were a mix of Royals, family members and friends of the couple [si noti bene: l’intento degli sposi è di porre tutti gli invitati sullo stesso piano, e ciò si esprime nella sistemazione dei posti a tavola; come abbiamo visto in precedenza, l’assegnazione dei posti era un particolare basilare anche nel Medioevo]. In keeping with the couple’s “organic and local” theme from the flowers and plants in Westminster Abbey to the canapes served at the lunch-time reception, guests at dinner were treated to a menu of British-food created by the leading chef Anton Mosimann, owner of the Mosimann’s private dining club in Belgravia where Prince William and his bride are regulars. Dinner began with a starter of dressed crab from Wales, accompanied with mini crab timbale (mousse), crayfish and prawns, described by one guest as “exquisitely delicious”. A main course of lamb fillet from Highgrove “done three ways” followed, before guests were treated to a trio of mini-puddings of trifle, chocolate fondant and homemade ice-cream in brandy-snap baskets. The meal, which lasted around two hours, was served with wines, thought to be from the Buckingham Palace and Clarence House cellars, described by another guest as “stunningly good” - a white Meursault Burgundy and Pomerol claret. When the petit-fours and coffee had been served, it was time for the speeches».

474 Nella stessa ottica ricade la scelta da parte degli sposi di utilizzare delle carrozze alla fine della cerimonia,

con delle offerte in beneficenza a determinate organizzazioni benefiche. In sostanza, l’evento è stato allestito in pieno accordo con una tradizione che vuole le nozze della casa reale inglese (come delle altre superstiti in Europa) sfarzose e nel segno del lusso, ma parallelamente l’etichetta promozionale del matrimonio è stata quella di celebrazione green, rispettosa dell’ambiente e contraria agli eccessi. Riusciamo ora a misurare meglio la distanza di questo tipo di atteggiamento mentale e di idee, così in voga oggi, rispetto a quelli trovati nella Laxdæla saga dove il lusso è elemento fondamentale, l’abbondanza di cibo475 un requisito primario e, in generale, l’idea di riferimento è proprio quella del non badare a spese. Non che venti milioni di sterline siano pochi per una festa di matrimonio, ma è il concetto di fondo a differire: nel caso di William e Kate, sono comunque venti milioni di sterline spesi per delle nozze sostenibili. Quest’ultima idea, che ho già provato a definire un’idea di

risparmio e solidarietà, non ha corrispettivi nel mondo medievale, o almeno non in quello che le

fonti disegnano attorno a una festa di matrimonio.

Nella stessa Laxdæla saga, poco oltre l’episodio appena letto, si racconta delle nozze tra Geirmundur e Þuriđur (la figlia dei già citati Ólafur e Porgerđur). Il primo si era innamorato della fanciulla tempo prima e l’aveva chiesta in sposa una prima volta al padre, senza successo, forse a causa del proprio carattere «taciturno e brusco»476. Geirmundur poté raggiungere il suo scopo solo dietro una cospicua offerta in denaro alla madre della ragazza, gesto che la convinse a parlare con suo marito Ólafur per organizzare il fidanzamento; «‘Egli è un grande guerriero, ricco e generoso’»477, prese a dire Porgerđur, cercando di convincere il consorte a promettere la fanciulla al combattente vichingo. La reazione di Ólafur è accondiscendente e rispettosa della volontà della moglie: «Ólafur rispose: ‘Non mi opporrò alla tua volontà né in questa né in altra cosa, anche se sarei più felice di dare in sposa Þuriđur a un altro uomo’»478. Non è la prima volta che, tra le altre cose, vediamo l’antica cultura islandese dare peso alla volontà espressa da una donna, che fosse il consiglio di una moglie o il consensus di una figlia479, dato piuttosto significativo.

In seguito, ecco finalmente celebrarsi il fidanzamento e quindi le nozze tra i protagonisti della vicenda:

475 E, come indica l’Historia di Bologna, anche la sua ricercatezza gastronomica. 476 Laxdæla saga. La saga della gente della valle del fiume del salmone cit., p. 85. 477 Ibidem.

478 Ibidem.

479 Ovviamente la considerazione va ristretta ai ranghi nobiliari e regali, cioè quelli principalmente raccontati

«Porgerđur se ne andò, contenta di quello che aveva ottenuto, e comunicò a Geirmundur qual era stata la conclusione. Egli la ringraziò per il suo aiuto e la sua determinatezza. Geirmundur fece allora una seconda proposta di matrimonio a Ólafur, e questa volta fu facile ottenerne il consenso. Dopo di ciò, Geirmundur e Þuriđur furono fidanzati e le nozze decise per la fine dell’inverno a Hjarđarholt. Alle nozze parteciparono molti ospiti, tanto che la sala ne fu completamente piena. Uno degli ospiti era Úlfur Uggason; aveva composto una poesia su Ólafur Höskuldsson e dei racconti le cui scene decoravano la sala. Egli recitò la poesia alla festa. Questa poesia si chiama Húsdrápa ed è molto ben composta. Ólafur li ricompensò generosamente per la sua poesia. A tutte le persone di rango, presenti alle nozze, donò anche dei regali. Si riteneva che Ólafur, con questa festa, avesse aumentato il suo prestigio»480.

L’intera descrizione sembra attraversata da un motivo ben individuabile: l’importanza dell’atto di donare. La festa stessa è un dono, d’altro canto: è il dono dell’ospitalità presso la propria casa, e del proprio cibo. La generosità di chi ospita si misura anche sulla quantità degli ospiti che non a caso, racconta l’autore, riempiono tutta la sala, come a dire: sono stati invitati tutti quelli che era possibile accogliere. Il padrone di casa, come se ciò non bastasse, onora perfino gli invitati più illustri con dei regali, ringraziandoli di aver partecipato al suo banchetto. Chi può tra gli ospiti, naturalmente, ricambia a suo modo: Úlfur Uggason compone una poesia appositamente per l’occasione, e la declama davanti a tutti. Le idee imperanti sono quindi quella di elargizione, offerta, generosità (anche se non nel senso cristiano del termine): tutto ciò che il padre della sposa possiede, sembra suggerire il brano, è ben lieto di metterlo a completa disposizione degli ospiti, poiché le massime espressioni del concetto di festa sono la condivisione e il dono, senza alcuna attenzione (sempre sul piano delle categorie di idee) al denaro speso.

La chiave di tale interpretazione sta proprio nell’ultima frase del brano: «Si riteneva che Ólafur, con questa festa, avesse aumentato il suo prestigio»481. Tale concetto va chiaramente a combaciare in senso antitetico con quello che sottendeva alla celebrazione nuziale della casa reale inglese di due anni fa: in quel caso, eventualmente, il prestigio della festa risiedeva nell’attenzione verso le problematiche ambientali ed economiche. Tuttavia, il denominatore comune è più che evidente, mi sembra: in entrambe le culture, quella islandese altomedievale e quella britannica odierna, è

480 Laxdæla saga. La saga della gente della valle del fiume del salmone cit., p. 85. 481 Ibidem.

l’aderenza alla sensibilità dei rispettivi contemporanei che rende una celebrazione matrimoniale “prestigiosa”; che poi questa sensibilità sia cambiata nel corso di mille anni, è dovuto a un più che giustificabile processo storico-culturale.

Tutti questi elementi si possono ritrovare più oltre nella stessa saga che, considerando l’oggetto di questa ricerca, si mostra un’opera particolarmente feconda di spunti e suggerimenti. Questa volta mi riferisco al matrimonio tra il figlio di Ólafur, Kjartan (uno dei tre protagonisti dell’intera saga, assieme a Guđrún e Bolli) e Hrefna. Nel breve brano in cui la vicenda prende vita, infatti, emergono con forza i valori culturali che la mentalità altomedievale (in questo caso islandese, è ovvio) associava alla celebrazione nuziale. Di nuovo, l’autore lascia trasparire con una certa chiarezza le categorie di idee che egli e, presumibilmente, i suoi contemporanei applicavano al concetto di festa di matrimonio. Vediamolo nello specifico:

«Quindi Kjartan e Ólafur iniziarono i preparativi per una festa imponente. Ásgeir e Kálfur arrivarono dal nord alla data stabilita, insieme a Guđmundur e a Hallur: in tutto erano in sessanta. Anche dalla parte di Kjartan era già arrivata molta gente. La festa nuziale fu splendida e durò una settimana. Kjartan diede a Hrefna come regalo di nozze il copricapo, e questo regalo divenne molto famoso, perché non vi era nessuno così istruito né tanto ricco da aver visto o posseduto un tale capolavoro. Quelli che se ne intendevano sostenevano che nel copricapo fossero intessuti otto aurar d’oro. Kjartan fu molto allegro alla festa, tanto da divertire tutti coi suoi discorsi, raccontando i suoi viaggi. La gente rimase molto impressionata dalle vicende che raccontava, perché era stato per lungo tempo al servizio di un eccellente capo, re Ólafur Tryggvason. Alla fine dei festeggiamenti, Kjartan scelse dei magnifici regali per Guđmundur, Hallur e per gli altri uomini importanti.