con-siglieri eletti e il segretario, al solito, lo
lascia-vano
solo edorè va far tutto dasé tanto che,aun
22
certo punto,
aveva
stimato inutile tenere ancora in affìtto lacamera
mobigliata in via Ovidio, in fondo ai Prati, e la notte, stanco dal lavoro di tutta la giornata, sibatteva adormir vestito,lì su l'ottomana, per poche ore.
Nell'altra stanzetta s'era allogato
Geremia
con la figliuola.Povero Geremia
!Aveva
final-mente una
retribuzione fissa, sul fondo della tombola telegrafica, e casa franca.Poteva
ormai dire che l'Italia, per cuiaveva
sofferto ecom-battuto, s'era alla fine costituita e rassettata.
In
premio
delle eroiche fatichedeHa
sua gio-ventù, incompenso
dei molti stenti patiti fino alla vecchiaia, alloggiava nella seded'una Asso-ciazionenazionale, e Tudina, lafigliastra, poteva alla fine stenderead
asciugare su le sedie di quellamagna
sala tutti i suoi straccetti, talvoltaanche
sul mezzobusto diDante
Alighieri ; per ignoranza, badiamo, povera Tudina,non
permancanza
di rispetto al padre della lingua Ita-liana.Dante
Alighieri, per Tudina, era tutto nel nasosdegnosamente
arricciato.Lo chiamava
: Quell'uomo che sente puzza.E non
capiva, Tudina, perchèOamposoldani
lo tenesse lì, in capo alla sala, dietro la tavola della presidenza.
Stendendo
il bucato su le sedienon
poteva soffrire quella faccia di gesso che23
la
guardava
dulia colonnina con quel cipiglio sdegnoso, e correva subito a nasconderla con uno straccelleNon
era brutta Tudina,ma neanche
bella.Belli,
veramente
belli, aveva gli occhi soltanto, e anche i capelli: neri profondi e brillanti, gli occhi; neri e ricciolati, i capelli.Aveva
già ventiquattro anni,ma
pareva ne avesse quindici,non
più. Nelle carni, nell'aria della testa, in quegli occhi brillanti, in quei capelli riccioluti, arruffati, era rimasta ragazzamezzo
selvaggia, irriducibile a ogni principio d'esperienza e di cultura.Era
stata a scuola, da bambina; in parecchie scuole : da tutte era stata cacciata via.Una
volta s'era
messa
sotto i piediuna compagna
e per miracolonon
gli aveva strappatogli occhi ; un'altra volta s'era ribellata con attinon meno
violentid'insubordinazionealla maestra.
Nessuno
aveva voluto tener conto della ragione di quegli atti violenti.Ma
s'eramessa
quellacompagna
sotto i piedi vedendosi derisa per aver detto che aveva paura dei cani perchè
una
gatta, da bambina, la aveva sgraffiata. Quellacompagna non
sapevach'ella tenevaamorosamente
inbrac-24
ciò quella gatta, e che quella gatta avevai gat-tini bellini bellini, e che
un
cane s'eraaccostato minaccioso, abbaiando, e che la gatta allora s'era arruffata e,non
potendo sgraffiare il caneaveva
sgraffiato lei: donde, logicamente, la suapaura
dei cani. Quella maestra, poi,aveva volu-tonientemeno
costringerla a intingere nelcala-maio
il pennino,un
bel pennino tutto pulito e lucente che figuravauna manina
con l'indice teso,un amore
dipennino
che a lei, per altro,pareva quasi un'arma, di cui,
mandandola
a scuola, la avessero insignita e che ella dovesse custodir gelosamente e conservare intatta.Più. volte, il patrigno, tornando acasa, stanco, la sera, s'era provato
prima
di cena odopo
cena a insegnarle lui, con molta pazienza,un
po' di alfabeto sul sillabario.Il fatto che & e « fa ha, enunziato dal
patri-gno
con quella vocina dizanzara e quel risolinomesto
e ragionevole che gli era abituale,non
le era sembratoné
serioné
verosimile.Era
ri-masta
a mirarlo negli occhi a bocca aperta.Spesso,
anche
adesso,rimaneva
a lungo a mi-rarlo così, peruna
ragione, che più speciosanon
si sarebbe potuta immaginare.
Non
eramica
certa, Tudina, che quelsuo pa-trigno fosse vero,un uomo
vero, di carne e di ossacome
tutti gli altri, enon
piuttostouna
98
larva d'uomo, un'ombra ohe un soffio poteva portar via. I><> vedevaparlare, sorrider©;
ma
ohedioesse, perchè «» «li ohe sorridesse,
non
capiva;non capiva perchè talvolta gli brillassero gli occhi chiari dietro il velo perenne delle lagri
me; e non sapeva Credere elle le <lila Ireinic chianti di quelle
manine
esangui avessero tatto,da sentir le <'<>><• die toccavano,och'egli
avver-se
il gusto dei cibi «'Ih' mangiava, o ohe in quella testa candida si potessero volgerepen-sieri. Le pareva (piasi aereo, quel patrigno; un
uomo
ohe per Sé, di suo, non avesse nulla, a cui tutto venisse di combinazione, non perchè lui tacesse qualche cosa per averlo,ma
perchè gli altri glielo davano, quasi per ridere, per il gustodi veder
come
stava così parato emesso
su, con quella camicia, con quel cappello, con quelle Bearne, con quei calzoni, con quel pastrano: tutto, sempre, troppo largo, tanto largo che vi sem-brava «lemro perduto.Quegli abiti, quel cappello, quelle scarpe era-no, conservavano tutti qualche cosa della loro provenienza;
Tudina
li riconosceva per quelli di Tizio di Gaio;ma
chi era, che consistenza aveva colui che li portava?-Mai
una
camicia di suo;mai un
paio di scarpe fatte per i suoi piedi;mai un
cappello che gli calzasse giusto in capo !26
La
miseria, l'incertezza d'ogni stato, quel ve-derlo andarsempre vagando
quasi per aria, smarrito, dietro a faccende vane, con quel ron-zìo di parole senza senso su le labbra trai riso-lini e le lagrime, ledavano
quell'idea dell'irrea-lità di lui,non
solo,ma anche
di se stessa e di tutto. Dove, in che poteva toccarla, la realtà, lei, in quella perpetua precarietà d'esistenza, se attorno e dentro di lei tutto era istabile e in-certo, senon
aveva nientené
nessuno a cui ap-poggiarsi?E Tudina
balzava talvolta d'improvviso a stracciare, a rompere, a fracassare,un
fascio di carta,un
vaso,un qualunque
oggetto, chestra-namente
a poco a poco le s'avvistasse davanti agli occhi; così,apparentemente
perun
im-peto selvaggio,ma
in realtà perun
bisognoi-stintivo, incosciente, di togliersi dinanzi e di-struggere certe cose di cui
non
riusciva a co-gliere il senso e il valore, o di sperimentare lasua presenza, la sua forza contro di esse, per il
dispetto ch'esse le facevano nel vedersela star
lì davanti, ecco,
come
se leinon
ci fosse,come
se lei, volendo,
non
le potesse stracciare, rom-pere, fracassare. Quel vaso lì...ma
sì che leipoteva da lì metterlo qui, e da qui lì, e anche sbatterlo forte, così,sul davanzale della finestra, e fracassarlo... ecco fatto... Perchè!
Ma
per27
niente... così... perchè le faceva dispetto! Invece per certi altri oggetti tenui, labili, minuscoli,
«li nessun valore,
un
pezzetto di carta velina colorata,un
chicco di vetro,un
bottone di ca-miciadi fìnta madreperla,aveva
protezione, cura, delicatezza infinita: li lisciava conun
dito e se limetteva
tra le labbra.E
certi giorninon
finiva
mai
di carezzarsi col pettine i folti ric-cioli neri, asserpolati sul capo, allungandoli pian piano e poi lasciandoli riasserpolaro,non
per civetteria,ma
per il piacere che ledava
quella carezza; cert'altri giorni al contrario seli stracciava rabbiosamente.
Bonaventura Oamposoldani non
avevamai
ba-dato a quella figliastra di Geremia.Le donne non
entravano, senon
per poco e di passata, nella sua vita. Tutt'al più, la donna, ecco, così in astratto, ladonna come
questione sociale, ilproblema
giuridico della donna, sì,un
giorno ol'altro, avrebbe potuto interessarlo.
Era un
pro-blema,una
questione socialecome
un'altra, da studiare,acuiattendere; epotevaentrarenel cam-podellasuaattività:non
darisolvere,Dio
guardi!Se tutti i problemi sociali,
come
amano
amano
sorgono dalla vita e s'impongono all'attenzione e allo studio dei