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Capitolo III Il Framework dello Sviluppo Umano

3.3 Capability Approach e ricerca educativa

L’educazione per Sen (1992; Dreze & Sen, 1999) e la Nussbaum (1997, 2006) possiede un valore strumentale, uno intrinseco e uno sociale. Essa non è solo strumento per una migliore economia, come è considerata nell’ottica del capitale umano, ma ha valore in quanto consente la realizzazione degli individui, tanto nella dimensione individuale, quanto in funzione del fatto che rende le persone capaci di essere cittadini responsabili e partecipi delle scelte sociali.

Sen (1992) ha discusso tre modi in cui l’educazione può espandere le capability degli individui: la

literacy consente agli individui di discutere e dibattere pubblicamente le questioni pubbliche,

permette di partecipare nei processi di presa di decisione e aumenta la capacità dei gruppi marginalizzati di avere voce e interloquire politicamente. Tutto ciò, virtuosamente, può portare

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benefici all’intera collettività e contribuire alle libertà democratiche e al benessere della società nel suo complesso.

Sen ha affrontato il tema dell’educazione come capability in linea molto generale, anche se negli anni la sua visione si è articolata maggiormente. Il focus delle sue riflessioni ha sempre riguardato il valore della “basic education”, il raggiungimento della quale consente ad ampie fasce di popolazione di migliorare la propria condizione di vita.

La relazione tenuta alla Commonwealth Education Conference di Edimburgo (Sen, 2003) ben sintetizza l’idea che negli anni lo studioso ha sviluppato sul valore dell’educazione:

“One reason [to close the educational gap], among others, is the importance of this for making the world more secure as well as more fair. If we continue to leave vast sections of the people of the world outside the orbit of education, we make the world not only less just, but also less secure”.

L’assenza di literacy non permette di far valere i propri diritti, di partecipare nelle discussioni politiche e di esprimere i propri bisogni, affinché siano riconosciuti. Ciò contribuisce direttamente all’insicurezza delle persone, che non possono influenzare le scelte politiche. La literacy però contribuisce direttamente anche al miglioramento della salute e al contenimento delle epidemie, quella delle donne in particolare migliora il loro stesso benessere e riduce la mortalità infantile, nonché consente loro di migliorare il proprio status ed avere peso nelle decisioni familiari.

Nella stessa conferenza, più oltre, Sen introduce una novità rispetto al passato, la non neutralità dell’educazione e la necessità di specificare meglio di quale educazione si sta parlando:

“I have so far concentrated on gaps in access, inclusion and achievement that differentiate one group of people from another. But, this is also a good occasion to reflect a little on the gaps - of a very different kind - that exist in the coverage of the school curriculum. The nature of the curriculum is, of course, of obvious relevance to the development of technical skills (such as computing) that facilitate participation in the contemporary world. But, there are also other issues involved, since schooling can be deeply influential in the identity of a person and the way we see ourselves and each other. In promoting friendship and loyalty, and in safeguarding the commitment to freedom and peace, basic education can play a vital part. This requires, on the one hand, that the facilities of education be available to all, and on the other, that children be

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exposed to ideas from many different backgrounds and perspectives and be encouraged to think for themselves and to reason.”

Qui Sen mostra di recepire le critiche (Saito, 2003) in merito alla non neutralità dell’educazione e alla necessità di dover riflettere sugli orientamenti educativi e la loro dimensione etico-valoriale. Nussbaum affronta i temi dell’educazione in maniera più esplicita e definendo nel suo modello quale educazione sostiene lo sviluppo umano e la democrazia e quali sono le capability che a suo parere sono specificatamente educative, la ragion pratica, l’affiliazione e il pensiero critico.

La filosofa (1998) afferma a gran forza come l’educazione nutra la democrazia se al suo cuore coltiva le discipline umanistiche e artistiche e forma le capacità critiche ed immaginative de giovani. Nelle sue riflessioni l’educazione superiore deve offrire ai giovani gli strumenti per saper leggere criticamente la propria società e sviluppare la capacità di immedesimazione e empatia verso gli altri. Il suo lavoro offre spunti di grande interesse in chiave pedagogica, poiché nelle sue opere ne richiama alcuni elementi fondanti, l’idea di educabilità umana, la visione dello sviluppo come processo di autorealizzazione e la ricerca delle condizioni che possono sostenere il processo di flourishing degli esseri umani, così da far pensare alla sua opera come a una “pedagogia implicita”(Alessandrini, 2014).

Alessandrini osserva che l’attenzione alla fioritura umana, la capacitazione orientata al raggiungimento di una dignità umana, lo spazio per esercitare la libertà di scelta, presenti nel pensiero della filosofa americana, trovano un parallelismo nel discorso pedagogico nei concetti di educabilità, intesa come sviluppo orientato in senso antropologico, cioè centrato sull’essenza umana della persona, la quale apprende e agisce opzioni dotate di senso (ibidem, 2014).

Ciò nonostante, tanto nel lavoro di Sen che in quello della Nussbaum, la riflessione sul valore dell’educazione rimane su un piano delle considerazioni generali, poiché né l’economista né la filosofa scendono in profondità nei processi educativi e di apprendimento né sul fatto che questi ultimi potrebbero non sviluppare le capability per un adeguato sviluppo umano (Unterhalter, Vaughan, & Walker, 2007).

Questo lavoro è stato portato avanti da numerosi altri studiosi che riconoscono nel CA le sue potenzialità e che hanno “esploso” il frame work per studiare in maniera approfondita numerose questioni.

L’approccio di Sen da un lato è stato ampiamente utilizzato per valutare in maniera critica le policy e le teorie educative che le sottendono in funzione dei modelli economici a cui fanno riferimento.

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L’approccio della Nussbaum ha ricevuto molta attenzione invece rispetto ai contenuti dell’educazione e ai processi formativi che sostengono l’acquisizione di questi contenuti.

Il lavoro degli studiosi può essere approssimativamente raggruppato in tre macro categorie: 1) coloro che hanno riletto con il linguaggio del CA (capability, functioning e fattori di conversione) le questioni che ruotano intorno al valore dell’educazione, a come le risorse a monte si trasformano in funzionamenti, e ai processi con cui valutare questa trasformazione; 2) coloro che hanno affrontato le questioni legate al diritto all’educazione, l’equità e la giustizia sociale in educazione, affrontando questioni specifiche come i curricula, l’educazione secondaria, professionale e universitaria, la disabilità e i bisogni educativi speciali, l’ineguaglianza di genere; 3) coloro che hanno usato il CA per analizzare dati sugli apprendimenti dei bambini e degli adulti, nello sforzo di comprendere quali indicatori hanno un maggior valore euristico e possono essere misure adeguate per le capability.

Nel primo caso lo scopo degli studiosi è quello di valutare se coloro che apprendono hanno una reale opportunità di raggiungere determinati esiti educativi, se sono in grado di fare scelte informate per raggiungere la vita che hanno ragione di valutare.

Il possesso della literacy o della numeracy, la capacità di comprendere un fenomeno storico o ancora di prendere parte a una discussione con altri studenti, essere rispettati dai pari e dai docenti, sono risultati verso cui si indirizza il focus del CA per indagare i processi che li sottendono.

Rivelare il possesso di queste capacità in termini di funzionamenti raggiunti non dice infatti abbastanza di questo processo, in quanto uno stesso risultato tra due studenti, lo stesso livello raggiunto a un test ad esempio, può essere il frutto di percorsi tra loro molto diversi.

Se il focus della valutazione si ferma alla superfice dei risultati raggiunti, le performance di una prova o un esame, rimane all’ombra quali sono le capacità che lo studente ha messo in campo, quali le risorse utilizzate, quali gli ostacoli superati o insormontabili.

Il CA richiede dunque lo sforzo di valutare quali sono le opportunità, la reale libertà che uno studente ha avuto di raggiungere quel determinato funzionamento, quali sono gli ostacoli o al contrario i vantaggi, i fattori di conversione insomma, che sono intervenuti in questo processo.

Una valutazione di questo tipo consente di calibrare l’azione di intervento delle policy educative e di approssimarsi ad identificare adeguatamente processi di svantaggio, marginalizzazione ed esclusione, gettando nuova luce sulle modalità di intervento in questo campo.

I fattori di conversione potrebbero incidere a più livelli: internamente, come nel caso delle capacità di apprendere del singolo studente, e esternamente, come nel caso delle risorse che una scuola ha

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a disposizione o le capacità degli insegnanti o ancora le condizioni di deprivazione di un gruppo sociale specifico.

Questi rilievi mostrano gli effettivi limiti legati a una valutazione che si basi su risorse e risultati. Ugualmente vi sono limiti laddove la valutazione sia basata sul grado di soddisfazione individuale sui propri risultati raggiunti, poiché è necessario valutare quanto le aspirazioni educative di un soggetto siano il frutto di preferenze adattive, il risultato di un adattamento alle proprie circostanza di vita (Burchardt, 2009). Soprattutto nelle situazioni di maggiore marginalizzazione, infatti, il range delle opportunità può essere così ristretto che la capacità di aspirare di un individuo è minima, atrofizzata (Saronjini Hart, 2012).

Unterhalter (Unterhalter et al., 2007) spiega con un chiaro esempio ciò:

“Imagine a situation in which children from low income groups receive only primary education, and children from high earning families attend primary and secondary school. If both groups say they are satisfied, because this is what each has come to expect, then there is no problem in terms of utility or desire satisfaction, as both groups are apparently equally content. Yet there is something uncomfortable about this kind of conclusion.”(2007:13)

In sintesi ciò che emerge da questo nuovo ambito di applicazione del CA (Otto & Ziegler, 2008; Robeyns, 2006; Unterhalter, 2009) è che è necessario considerare qual è il range delle opportunità che i giovani hanno, quali prendono in considerazione e quale libertà hanno di raggiungere le

capability e i funzionamenti riferibili a quelle opportunità.

Per dirla con altre parole valutare l’educazione significa prendere in considerazione non tanto e non solo il grado di soddisfazione raggiunto da ciascuno riguardo ai propri risultati educativi, o ancora valutare oggettivamente i risultati scolastici o le risorse impiegate, bensì considerare il ventaglio delle reali scelte educative che sono disponibili per ciascun individuo e per tutti, se cioè le persone possiedono le capability che gli permettono di raggiungere un determinato funzionamento educativo.

In un’ottica di equità il focus valutativo non può di fatti essere fondato sugli indicatori precedentemente illustrati, indicatori quali il numero di insegnanti, gli anni di scuola erogati da un sistema scolastico, le infrastrutture scolastiche, non sono indicatori sufficienti. Una misura adeguata consiste nell’individuare quegli indicatori utili a dirci anche se le condizioni esistenti permettono di convertire le risorse in capability e potenzialmente in funzionamenti (ibidem, 2007).

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Inoltre, se al cuore del CA vi è l’idea che un individuo sia capace di sviluppare una comprensione adeguata di ciò che e fa secondo valore, ciò significa in termini educativi che una persona deve potere esplorare la propria concezione di ciò che ha valore ai propri occhi o di ciò che dovrebbe averne; da ciò ne consegue che l’educazione diviene mezzo e fine per espandere la capacità di fare scelte di valore nelle altre sfere di vita.

Unterhalter afferma che l’educazione “non solo apre la mente a nuovi orizzonti, essa apre la via per

acquisire nuove ulteriori valutabili capability” per l’individuo e la società, promuovendo il loro empowerment (Unterhalter, 2009:208).

Un secondo gruppo di studiosi (Saronjini Hart, 2012; Unterhalter, 2003; Walker, 2007) si è focalizzato sui temi dell’equità e della giustizia sociale in educazione a partire dal riconoscimento nell’educazione della coesistenza di tre ruoli: quello strumentale, quello intrinseco ed empowerizzante e quello redistributivo. L’educazione infatti può contribuire a superare le ineguaglianze e facilitare i processi che riequilibrano le ingiustizie.

Un primo passo consiste nel comprendere come modelli differenti di educazione portino a scelte e conseguenze ben precise nel campo delle policy educative.

Robeyns (Robeyns, 2006), descrive tre modelli educativi: uno fondato sul concetto di capitale umano, un altro fondato sul concetto di diritto e in ultimo quello che si fonda sul concetto di capability.

Il modello che si fonda sul capitale umano considera l’educazione rilevante in quanto funzionale a creare skills e conoscenze per il futuro lavoratore, utile ai fini di un’economia produttiva. Questo modello coglie unicamente il valore strumentale dell’educazione, per quanto questo valore strumentale riguardi tanto il singolo quanto la collettività. Un modello siffatto, oltre a non tener conto del fatto che l’educazione possiede anche un valore intrinseco di per sé, porta con sé i rischi legati a un investimento massiccio orientato alla formazione di skills specifiche in un mercato altamente fluttuante e mutevole12.

12 In Europa, a partire dal Trattato di Lisbona, l’idea che formazione, lavoro ed economia siano strettamente

interconnessi e che dalla prima scaturiscano le altre due, è stata un leitmotiv degli ultimi quindici anni. In continuità con la Strategia di Lisbona, l’agenda Europa2020 ha rinforzato l’idea che una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva sia fondata sulla società della conoscenza e su una cittadinanza attiva che supportino un economia competitiva ed ecosostenibile. Malgrado l’accento posto dalla UE su valori fondanti quali cittadinanza attiva, coesione sociale, lotta alla povertà e all’esclusione sociale, le assunzioni e gli argomenti che fondano il focus della policy europea si mostrano ancora profondamente legati a un modello educativo fondato sull’idea di capitale umano. I limiti di questo modello sono stati messi in evidenza da diversi studi, tra cui Ross e Leathwood (2013) e NESSE (2013) a cui abbiamo fatto riferimento nel I capitolo.

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Anche il modello fondato sui diritti, pur fondato sul valore intrinseco dell’educazione, mostra dei limiti, il primo dei quali è una certa retorica con cui si considera il diritto come attributo astratto. La conseguenza più evidente di questa impostazione, dice la Robeyns, è il riconoscimento legale di diritti che poi non vengono fruiti in maniera sostanziale, rimangono un esercizio retorico che non porta a cambiamenti effettivi, gestito in buona sostanza da governi o istituzioni che lasciano fuori le persone, le quali rimangono oggetti e non soggetti di intervento.

Il modello fondato sul CA riconosce nell’educazione sia un valore intrinseco che strumentale, in quanto da un lato l’educazione consente alle persone di fiorire in quanto esseri umani, ma al contempo è anche strumento per l’espansione di altre capability, poiché li rende capaci di essere responsabili nella società, li rende capaci di lavorare e di produrre. La possibilità di considerare insieme i molteplici valori e fini a cui l’educazione, ed il fatto di essere un modello multidisciplinare che attinge a teorie sociali e modelli esplicativi diversi, permette di comprendere meglio la natura delle situazioni a cui si applica e di valorizzare interventi che tengano in considerazione le diverse sfaccettature della realtà, diversamente dal modello del capitale umano, centrato in maniera ristretta unicamente sul valore economico dell’educazione e sul modello dei diritti, centrato unicamente sugli aspetti umanitari dei diritti in sé.

Se l’educazione diviene base per l’acquisizione e l’espansione di altre capability, tanto a livello individuale che collettivo, oltre che tradursi in vantaggio economico, essa ha un effetto empowerizzante e distributivo, in quanto consente di migliorare la propria condizione anche in quanto consente di esprimere e far valere i propri bisogni, diritti e unicità all’interno di relazioni paritarie.

Fraser (Fraser, 1998) afferma che la giustizia sociale è, infatti, insieme materiale (economico distributiva) che culturale e include tre elementi: 1) la redistribuzione delle risorse di varia natura, 2) il riconoscimento e la valorizzazione delle diverse identità, e 3) la partecipazione paritaria. Quali individui, quale tipo di diritti e in quale contesti dipende dalla natura degli ostacoli che le persone fronteggiano sotto la lente della parità di partecipazione.

Cosa significa questo in riferimento all’educazione come strumento di giustizia sociale? Significa ad esempio che l’educazione può essere strumento di giustizia redistributiva per un individuo quando la si consideri in riferimento alle opportunità di ricchezza economica e di ascensore sociale a cui essa contribuisce, ma allo stesso modo può essere strumento di una giustizia quando consente allo stesso individuo il riconoscimento e il rispetto di un proprio status sociale e culturale, che solo il possesso di una voice consente.

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Il riconoscimento della dimensione partecipativa della giustizia sociale porta anche a interrogarsi su quale status riconoscere ai bambini e i giovani, alle loro capability attuali e in divenire.

Saito (Saito, 2003) argomenta che il valore dell’educazione nell’espandere le capability trova fondamento e applicazione anche nell’infanzia, non unicamente in quanto investimento per le capabilities che il bambino possiederà grazie all’educazione quando diventerà adulto, così come inteso da Sen, bensì per il valore che esso può avere nello stesso presente del bambino. Egli afferma che un’educazione che espanda le capability dei bambini deve essere un tipo di educazione che consenta loro di divenire autonomi e che consenta allo stesso di sviluppare una capacità di giudizio sulle proprie capability e sul senso dell’esercizio di queste, cioè dei valori che le sostengono, aprendo così a quegli studi che si interrogano e approfondiscono i contenuti e i modi di sviluppare le capability dei bambini e dei giovani.

Il contributo di quest’area di studi ha consentito di colmare un altro aspetto mancante nelle riflessioni di Sen e della Nussbaum, il fatto che l’educazione possa essere fonte di violenza ed esclusione (Bourdieu & Passeron, 1970) tanto quanto di empowerment ed inclusione. L’educazione è carica di valori, non è neutrale, come del resto lo stesso Sen finisce con il sottolineare nella conferenza di Edimburgo. E’ necessario dunque definire anche qual è la concezione educativa a cui ci si riferisce se si vuole pervenire a una giustizia sociale, proprio perché l’educazione contemporanea è immersa ed è mezzo di riproduzione di disuguaglianze come la classe sociale, la razza, il sesso.

In questo senso la definizione di una lista di capability educative non è in contrapposizione all’idea che queste ultime debbano essere il frutto di una concertazione partecipata, perché nello specifico caso dell’educazione, non è pensabile che essa resti completamente aperta e indefinita.

Soprattutto nelle situazioni in cui gli studenti vivono una condizione di svantaggio sociale e culturale, è necessario tenere a mente contemporaneamente tanto la possibile vulnerabilità della loro condizione quanto l’obiettivo che essi giungano a scelte deliberate e autonome, senza sostituirvisi. Nella funzione di docenti e educatori diviene chiaro, ad esempio, che essere i depositari di un sapere e mettere gli studenti in una posizione di acquisizione passiva delle conoscenze, non consente il processo di espansione delle capability e non consente di giungere a scelte deliberate e autonome. Freire (Freire, 1973) spiega chiaramente che la conoscenza è un processo di ricerca e investigazione attiva, che emerge solo attraverso l’invenzione e la reinvenzione, un interrogarsi e interrogare gli altri inquieto e impaziente, in cui la messa in gioco di sé stessi nel mondo e col mondo è l’unica possibilità, un processo di apprendimento trasformativo, coinvolto, critico e curioso.

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Questo potrebbe essere, in un certo senso, il passo per un processo di definizione concertata delle

capability dei e dai bambini e giovani, che abbia come condizione prima e insostituibile la garanzia

di avere la possibilità, il potere, di parlare ed essere riconosciuto competente nel farlo.

Le questioni appena accennate, quale tipo di educazione può espandere le capability e il riconoscimento dei bambini e dei giovani come interlocutori competenti, ha portato a sottolineare la necessità che si tenga conto dei periodi dello sviluppo dell’infanzia o della giovinezza a cui ci si riferisce, perché alcune capability acquistano rilevanza piuttosto che altre a seconda dell’età di un individuo, e al riconoscimento dei bambini e dei ragazzi come attori sociali competenti, e non semplicemente meri recipienti, ed ha mostrato com’è possibile condurre una ricerca partecipata in cui i bambini definiscono la priorità delle capability per loro fondamentali (Biggeri, Libanora, Mariani, & Menchini, 2006)

Comprendere se vi è giustizia sociale nell’educazione è la premessa al suo uso per raggiungere la